N. 665 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 marzo 1998
N. 665 Ordinanza emessa il 27 marzo 1998 dalla commissione tributaria provinciale di Firenze sul ricorso proposto da Agricola Barbialla S.r.l. contro l'ufficio del registro di Empoli Contenzioso tributario - Procedimento innanzi le commissioni tributarie - Pronuncia di cessazione della materia del contendere, a seguito di revoca o annullamento da parte dell'amministrazione finanziaria, dell'atto impositivo impugnato dal ricorrente - Spese processuali - Imposizione a carico della parte che le ha anticipate - Deteriore trattamento del contribuente rispetto alla p.a. - Violazione del diritto di eguaglianza - Lesione del diritto di difesa - Incidenza sul principio di imparzialita', di buon andamento della p.a. e sul diritto alla tutela giurisdizionale contro gli atti della p.a. (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46, comma 3). (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, 97 e 113).(GU n.39 del 30-9-1998 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 1094/95 spedito il 9 febbraio 1995, avverso avviso di accertamento n. val. 408 - Invim straordinaria contro il registro di Empoli dall'Agricola Barbialla S.r.l. in persona del legale rappresentante Luigi Nardi, residente a Ravenna in via degli Ariani, 1, difeso dallo studio Rok, residente a Milano, in via del Bollo, 4; Con ricorso presentato alla commissione tributaria di primo grado di Firenze in data 11 febbraio 1995, la societa' Agricola Barbialla S.r.l., in persona del suo legale rappresentante sig. Luigi Nardi, ha impugnato l'avviso di accertamento di valore e di liquidazione di imposta, ai fini dell'imposta Invim straordinaria al 31 ottobre 1991, notificatogli dall'ufficio del registro di Empoli in data 13 dicembre 1994. Mediante l'avviso di accertamento e di liquidazione di imposta impugnato l'ufficio ha, sostanzialmente, disconosciuto, ai fini dell'applicazione dell'imposta suddetta, la rilevanza di un conferimento, avvenuto il 13 maggio 1985; cio' ha comportato la retrodatazione al 1966 dell'inizio del periodo relativamente al quale l'incremento di valore soggetto ad imposta doveva essere calcolato. Nel ricorso di cui trattasi la societa' ricorrente fa notare che i beni conferiti e di cui si discute sono costituiti da fabbricati siti in comune di Montaione, per i quali e' stata corrisposta l'Invim fino all'atto del conferimento. La parte ricorrente aggiunge che, operando cosi' come fatto dall'ufficio, ai fini del calcolo dell'Invim straordinaria dovuta successivamente al conferimento e quindi non assunto quale momento iniziale quello in cui il conferimento ha avuto luogo, si verrebbe a calcolare l'imposta anche sull'incremento di valore maturatosi nel periodo antecedente il conferimento stesso e per il quale l'imposta e' stata gia' in precedenza versata; a tal fine viene fatto riferimento a quanto prescritto dalla Ris. Min. fin. dir. gen. loc. 5/576 in data 8 agosto 1978. La societa' ricorrente conclude il proprio ricorso con la richiesta di dichiarare nullo o comunque di annullare l'accertamento impugnato. Con successiva istanza, depositata presso questa commissione provinciale in data 20 febbraio 1998, la societa' ricorrente ha domandato la trattazione in pubblica udienza della vertenza di cui ora qui si discute. L'ufficio del registro di Empoli si e' costituito con memoria presentata a questa commissione tributaria provinciale in data 13 febbraio 1998, per chiedere il rigetto di tutte le domande della societa' ricorrente. Con lo stesso atto di costituzione l'ufficio ha domandato il rinvio della udienza fissata per il 6 marzo 1998, a seguito di proposta di conciliazione prodotta dall'ufficio stesso alla controparte. Successivamente, con atto depositato il 26 febbraio 1998, l'ufficio ha domandato a questa commissione di voler emettere decreto di cessata materia del contendere, per l'intervenuta revoca dell'avviso di accertamento, ai sensi dell'art. 2-quater, d.-l. n. 564/1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656/1994 e regolamento attuativo d.m. 11 febbraio 1997, n. 37 (autotutela); con compensazione di spese e onorari processuali, ai sensi del comma 3, dell'art. 46, d.lgs. n. 546/1992. Alla udienza del 6 marzo 1998 la societa' ricorrente prendeva atto della intervenuta rinuncia, da parte dell'ufficio, all'accertamento impugnato, ma insisteva nel richiedere la condanna dell'ufficio alle spese di giudizio; a tal fine presentava la nota relativa, ammontante complessivamente a L. 9.414.000 oltre I.V.A. e cap. L'ufficio, da parte sua, confermava in udienza la rinuncia all'accertamento impugnato, ma insisteva per la compensazione delle spese, in applicazione del comma 3, dell'art. 46, d.lgs. n. 546/1992. La commissione, ritenendo che la disciplina del regolamento delle spese di giudizio e di cui all'art. 46, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992 possa generare ragionevoli dubbi di legittimita' costituzionale, si e' riservata la decisione, per una piu' approfondita valutazione di quanto in oggetto. In scioglimento della riserva espressa a seguito dellaudienza del 6 marzo 1998, questa commissione provinciale non puo' che prendere atto della revoca, da parte dell'ufficio del registro di Empoli, dell'accertamento impugnato ai sensi dell'art. 2 quater, d.-l. n. 564/1994, convertito, con modificazioni, nella legge n. 656/1994 e regolamento attuativo d.m. 11 febbraio 1997, n. 37 (autotutela). Conseguentemente la commissione dovra' dichiarare cessata la materia del contendere. Per quanto riguarda le spese la commissione rileva che il citato art. 46 del d.lgs. n. 546/1992 prevede, testualmente, che in "nei casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge o in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere, le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diversa disposizione di legge". Quindi, nel caso in esame e in mancanza di diversa disposizione, dovrebbe essere sicuramente applicata tale norma, con conseguente compensazione delle spese stesse tra le parti. In termini pratici, raffrontando gli effetti, ai fini delle spese di giudizio, della rinuncia da parte dell'ufficio all'atto impositivo, rispetto alla rinuncia al ricorso da parte del ricorrente, emerge che, allorche' l'ufficio, nel corso di un giudizio tributario di qualsiasi complessita' e articolato anche in piu' gradi, si risolve a rinunciare all'atto impositivo che tale giudizio ha originato, il contribuente, che beneficia cosi' del venir meno della pretesa tributaria, si trova pero' a dover sopportare tutte le spese processuali da esso incontrate e che possono essere anche rilevanti (nel caso in esame, con il valore della controversia determinato in L. 638.408.000, le spese e gli onorari per la difesa sono stati indicati in L. 9.814.000. Invece la legge istitutiva del processo tributario (d.lgs. n. 546/1992), all'art. 44, nel disciplinare il caso di estinzione del processo tributario per rinuncia del ricorrente al ricorso, prevede che si determini la estinzione della controversia con il pieno riconoscimento delle pretese tributarie dell'ufficio ma, in questa ipotesi, la attribuzione delle spese ha luogo in maniera analoga a quella prevista dal codice di procedura civile e questa e' concretamente diversa da quella avanti esaminata per il caso di rinuncia dell'ufficio alla pretesa tributaria. Infatti il citato art. 44 impone al ricorrente rinunciante "il rimborso delle spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra di loro"; e la cennata norma aggiunge che "la liquidazione (delle spese) e' fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile e che costituisce titolo esecutivo". Sulla base di quanto detto e' evidente la difformita' fra le due norme, regolanti comportamenti del contribuente e dell'ufficio sostanzialmente equivalenti e cio' appare incongruo; sembra quindi a questa commissione come la disciplina della attribuzione delle spese processuali prevista dall'art. 46, comma 3, del d.lgs n. 546/1992, raffrontata alla analoga disciplina, di cui all'art. 44 della stessa disposizione legislativa, non sia rispettosa dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione della Repubblica italiana. Sembra infatti a questa commissione che: a) non sia rispettato il diritto costituzionale, contenuto nell'art. 3, dell'eguaglianza dei cittadini dinanzi alle leggi, sussistendo differenze di trattamento ingiustificate tra il cittadino ricorrente che rinuncia al ricorso e quindi tenuto a rimborsare le spese alle altre parti e l'amministrazione finanziaria che, in ipotesi di rinuncia alla pretesa tributaria dopo l'introduzione del ricorso da parte del contribuente (equiparabile alla rinuncia al ricorso da parte del contribuente), e' esonerata al pagamento delle spese stesse; b) non sia rispettato il diritto costituzionale di cui all'art. 24 e relativo al diritto di difesa. Infatti la impossibilita' legale di ottenere il ristoro delle spese sostenute ove l'ufficio rinunci all'atto impositivo puo', data l'entita' spesso rilevante delle spese occorrenti per la difesa in sede tributaria, costituire elemento lesivo di tale diritto, con particolare riguardo ai soggetti meno abbienti; c) non sia altresi' rispettato il diritto di cui all'art. 97, relativo al buon andamento e correttezza della pubblica amministrazione; infatti viene meno, nel caso in esame, il principio della soccombenza previsto per il contenzioso tributario dall'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 in conformita' con le previsioni del codice di procedura civile, richiamato espressamente dal comma 2, dell'art. 1 dello stesso d.lgs. n. 546/1992; tale principio di soccombenza costituisce un ostacolo per indurre la pubblica amministrazione a tenere nel maggior rispetto possibile i diritti dei contribuenti: cio' in quanto l'attribuzione dell'onere delle spese processuali, in caso di soccombenza, costituisce fatto stimolante per orientare la pubblica amministrazione stessa a vigilare sulla propria attivita' che, essendo esercitata con ampi margini di discrezionalita', deve essere corretta e imparziale, volta ad evitare arbitri nei confronti dei contribuenti; d) non sia infine rispettato il diritto costituzionale di cui all'art. 113 relativo al principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione. Infatti, la mancata possibilita' di ripetere il rimborso delle spese processuali relative ai ricorsi contro atti della pubblica amministrazione che la stessa abbia revocato dopo la proposizione del ricorso, avendone cosi' riconosciuto, anche implicitamente, l'illegittimita' o l'infondatezza, costituisce un sicuro ostacolo alla tutela del diritto costituzionalmente garantito e cio' soprattutto per i soggetti meno abbienti. L'importanza della questione emersa nel presente giudizio impone a questa commissione, a fonte delle conclusioni formulate dalla societa' ricorrente, di sospendere il procedimento in esame, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale per la pronuncia in ordine alla questione prospettata, rilevante ai fini del procedimento stesso.
P. Q. M. Dispone la trasmissione degli atti di cui al presente giudizio alla Corte costituzionale, perche' questa valuti se l'art. 46, comma 3, del d.-lgs. n. 546/1992 sia costituzionalmente legittimo e compatibile con gli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione della Repubblica italiana, nella parte in cui direttamente non prevede che la pubblica amministrazione possa essere condannata al pagamento delle spese processuali, per il caso di dichiarazione di cessazione di materia del contendere per revoca o annullamento, da parte della pubblica amministrazione stessa, dell'atto impositivo impugnato, dopo la proposizione del ricorso. La commissione sospende pertanto il giudizio in attesa dell'esito della decisione della Corte costituzionale. Visto l'art. 23, comma 4, del d.-l. 11 marzo 1983, n. 87, ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia altresi' comunicata ai Presidenti delle Camere. Cosi' deciso in Firenze, il 27 marzo 1998. Il presidente: Cariti Il relatore: Comparini 98C1067