N. 694 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 1998

                                N. 694
  Ordinanza emessa il 21  maggio  1998  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  del  Lazio  sul  ricorso proposto da Federazione nazionale
 trasporti pubblici locali contro il Ministero del tesoro ed altra
 Giustizia   amministrativa   -   Sentenze   emesse   dai    tribunali
    amministrativi  regionali  -  Carattere  di esecutivita' - Mancata
    previsione di strumenti processuali  per  assicurare  l'esecuzione
    delle  stesse  -  Proponibilita' del giudizio di ottemperanza solo
    nei  confronti  delle  sentenze passate in giudicato - Lesione del
    principio di eguaglianza e del diritto di azione - Violazione  del
    diritto  alla  tutela  giurisdizionale  nei confronti della p.a. -
    Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 419/1995).
 (Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 33 e 37; r.d. 26 giugno 1924,
     n. 1054, art. 27, primo comma, n. 4).
 (Cost., artt. 3, 24, 103 e 113).
(GU n.40 del 7-10-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2519 del  1998,
 proposto  dalla  Federazione  nazionale trasporti pubblici locali, in
 persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa
 dall'avvocato Paolo Tesauro ed elettivamente  domiciliata  presso  lo
 studio di questi in Roma, largo Messico n. 7;
   Contro  il  Ministero  del  tesoro e la Direzione generale servizio
 secondo,   in   persona   del   legale   rappresentante   pro-tempore
 rappresentati   e   difesi   dall'Avvocatura  dello  Stato,  via  dei
 Portoghesi n. 12, Roma, nonche' contro la Banca d'Italia, in  persona
 del  legale  rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli
 avvocati Pier Luigi Lorenti e Vincenza Profeta dell'Avvocatura  della
 stessa Banca;
   Per  l'esecuzione  della  sentenza  del  24  luglio  1997 n. 1747 e
 provvedimento di correzione dell'8 ottobre  1997,  n.  2522,  gravata
 dalla   parte   soccombente,   con   istanza   respinta  dal  giudice
 dell'appello il 2 dicembre 1997, n. 2255;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 intimata;
   Vista la memoria prodotta dalle ricorrenti;
   Visti gli atti della causa;
   Uditi,  nella camera di consiglio del 21 maggio 1998 l'avv. Tesauro
 per la parte ricorrente e l'avv. Profeta per la Banca d'Italia;
   Udita la relazione del consigliere Linda Sandulli;
   Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
                               F a t t o
   La   Federazione   nazionale   trasporti   pubblici   locali   (ora
 Federtrasporti)  chiede  l'esecuzione  della  sentenza  con  la quale
 questa  sezione,  in  accoglimento  della  richiesta  avanzata  dalla
 medesima Federazione, ha annullato il provvedimento del Ministero del
 tesoro di diniego di svincolo delle aziende consociate dal sistema di
 tesoreria unica.
   Avverso tale sentenza il Ministero del tesoro ha presentato appello
 avanti  al  Consiglio  di  Stato  ed  il relativo giudizio e' tuttora
 pendente  mentre  l'istanza  cautelare,   gia'   esaminata,   risulta
 respinta.
   Prima  di proporre l'odierno ricorso la Federazione ha chiesto alla
 Banca d'Italia ed al Ministero del tesoro l'esecuzione della sentenza
 di merito, vale a dire lo svincolo dall'assoggettamento al sistema di
 tesoreria unica ed ha ottenuto soltanto una lettera di disponibilita'
 ad  eseguire,  da  parte  della  prima,  che  ha  pero'   subordinato
 l'esecuzione  alla  previa  formulazione  di indicazioni da parte del
 Ministero del tesoro.  Non  e'  pertanto  riuscita  a  realizzare  un
 risultato concreto.
   La  conferma  dell'esecutivita'  della  sentenza  di  primo  grado,
 proveniente dal giudice di appello, sia pure limitatamente alla  sede
 cautelare,  a  causa  del rigetto dell'istanza di sospensione di essa
 presentata dal Ministero del tesoro, e  le  esigenze  di  riconoscere
 effettivita'  alla  sentenza  esecutiva  ed alla pronuncia cautelare,
 consentono, secondo la  ricorrente,  di  richiedere  i  provvedimenti
 necessari  ad  una  tutela  effettiva, in particolare sia pure in via
 subordinata:  l'ottemperanza alla decisione gia' assunta  e,  per  il
 caso di ulteriore inerzia, la nomina di un commissario ad acta.
   Rileva  a  tale  proposito  che  se e' pacifico che il giudice puo'
 ordinare l'esecuzione di un giudicato formatosi su una sentenza o  di
 un'ordinanza  adottata  in sede cautelare, non puo' non ammettersi la
 possibilita' di un provvedimento giurisdizionale capace di assicurare
 ad una sentenza di merito, confermata almeno  sotto  il  profilo  del
 fumus   boni   juris  dalla  mancata  concessione  della  sospensione
 cautelare da parte del giudice dell'appello, lo scopo perseguito  con
 l'originaria impugnativa.
   Nel  merito  rileva che la tesoreria unica trova il suo presupposto
 normativo nella legge 720 del 1984, legge che e' stata  ritenuta  non
 applicabile  alle  aziende  consociate dell'ATVO rispetto alle quali,
 pertanto, afferma che  e'  venuto  meno  qualunque  titolo  normativo
 legittimante.
                             D i r i t t o
   Va  dato  atto  della carenza di legittimazione passiva della Banca
 d'Italia che deve pertanto essere estromessa dal presente giudizio.
   Il  collegio  condivide,  invero,  l'argomentazione  svolta   dalla
 medesima  sulla  sua  mancata  autonomia  decisionale nell'apertura e
 chiusura delle contabilita' speciali intestate agli enti pubblici che
 partecipano al sistema di "tesoreria unica".
   Secondo  gli  artt.  585  e  seguenti  del  r.c.g.s.  dalla  stessa
 richiamati  l'azione  della  Banca  d'Italia, in casi quali quello di
 specie, e' subordinata alla previa autorizzazione del  Ministero  del
 tesoro sicche' la mancata autorizzazione da parte di quest'ultimo non
 consente  di  richiedere l'esecuzione della sentenza nei confronti di
 quest'ultima.
   La  Federazione  ha  chiesto,  con  le  formalita'   dell'ordinario
 giudizio   di  cognizione,  l'adozione  di  provvedimenti  idonei  ad
 assicurare l'esecuzione della sentenza di questo tribunale, sez. III,
 24 luglio 1997, n.   1747,  gravata  di  appello,  tuttora  pendente,
 mentre  l'istanza  di  sospensione  proposta dall'appellante e' stata
 respinta.
   La questione e' certamente  estranea  all'ambito  del  giudizio  di
 ottemperanza,  difettando  il  necessario  presupposto  dell'avvenuta
 formazione del giudicato formale tra le parti (cfr. Cons. Stato,  Ad.
 Plen.  23  marzo  1979,  n. 12; id., 10 aprile 1980, n. 10), e quindi
 parte ricorrente  invoca  correttamente,  a  sostegno  della  propria
 domanda, l'art. 33 della legge 5 dicembre 1971, n. 1034, ai sensi del
 quale   le  sentenze  dei  tribunali  amministrativi  regionali  sono
 esecutive, richiamando altresi' la sentenza n. 190 del 28 giugno 1985
 della  Corte  costituzionale  e  la  giurisprudenza  della  Corte  di
 giustizia CE.
   Ritiene  il collegio che la questione non possa essere risolta alla
 luce del principio  dell'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale
 espressamente   enunciato   nella   citata   sentenza   della   Corte
 costituzionale (artt. 24, 103 e 113 della Costituzione)  in quanto si
 tratta  di  questione  che  presenta profili di maggiore complessita'
 dovendosi, al riguardo, valutare se, in ossequio  a  tale  principio,
 esiste,  nella  vigente  disciplina  del  processo amministrativo, un
 procedimento che consente di riconoscere quanto richiesto dalla parte
 ricorrente e  cioe'  l'esecuzione  di  un  sentenza  non  passata  in
 giudicato.
   La  giurisprudenza  amministrativa,  in  tema  di  esecuzione delle
 sentenze di primo grado gravate da appello, offre una risposta chiara
 sull'inesistenza di un procedimento  di  esecuzione  capace  di  dare
 concretezza al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale
 dopo una pronuncia di un giudice di primo grado.
   Tale  giurisprudenza  ha  rilevato  che l'esecuzione coattiva delle
 statuizioni giudiziali alle quali  l'Amministrazione  non  ha  inteso
 uniformarsi   puo'   realizzarsi   solo   mediante   il  giudizio  di
 ottemperanza, disciplinato dall'art. 37, legge n. 1034 del 1971; art.
 27, primo comma, n. 4, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e dagli artt.  90
 e  91  del  r.d.  17  agosto  1907, n. 642, che presuppone definito e
 concluso l'iter  giudiziale  con  il  passaggio  in  giudicato  della
 sentenza,  mentre nessun procedimento e' previsto per l'esecuzione di
 una statuizione giurisdizionale non  dotata  dell'autorita'  di  cosa
 giudicata.
   Pertanto  il  carattere  esecutivo  delle  sentenze di primo grado,
 fissato dall'art. 33 della legge  n.  1034  del  1971  e  conseguente
 obbligo  della  stessa  amministrazione  di  uniformarsi  al  comando
 impartito dal giudice di primo grado,  non  trovano  possibilita'  di
 diretta  attuazione mediante la realizzazione in concreto, sia pure a
 titolo provvisorio, della pretesa del ricorrente riconosciuta fondata
 in primo grado, ritenendosi, di conseguenza,  che  l'esecutivita'  e'
 limitata  all'effetto  cadutorio  della pronuncia giurisdizionale e a
 quello  preclusivo  per  l'amministrazione  di   adottare   ulteriori
 provvedimenti   che   nell'atto   annullato   trovino   fondamento  e
 giustificazione  ovvero  provvedimenti  contrari   alle   statuizioni
 contenute  nella  sentenza,  con esclusione dell'effetto conformativo
 della successiva attivita' dell'amministrazione  (Cons.  Stato,  sez.
 IV, 4 luglio 1990, n. 548; id., sez. VI, 12 marzo 1994, n. 332).
   Al  di  la'  di  questi  limitati  ed  angusti confini non e' stata
 rinvenuta altra possibilita' di  esecuzione,  nel  diritto  positivo,
 sicche'  ove l'amministrazione non intenda assumere le determinazioni
 necessarie per assicurare la realizzazione dell'interesse sostanziale
 per cui il ricorso e' stato proposto, l'art.  33  della  legge  prima
 citata,  in  quanto non assistito da alcuna regola processuale per la
 sua attuazione, non consente di assicurare il bene richiesto.
   Ne consegue che la domanda di esecuzione proposta dall'ATVO -  alla
 luce  delle  considerazioni  che  precedono  dovrebbe essere ritenuta
 inammissibile in quanto preordinata ad un risultato per il quale  non
 esiste   alcun   procedimento   all'interno  del  nostro  ordinamento
 positivo.
   Prima di intervenire a tale risultato occorre  pero'  farsi  carico
 della  costituzionalita'  o  meno  delle  norme  che  impediscono  il
 raggiungimento  di  tale  risultato,  soprattutto  alla  luce   delle
 considerazioni  svolte  dalla  Corte costituzionale nella sentenza n.
 419,   dell'8   settembre   1995,   riguardante   l'attuazione    dei
 provvedimenti cautelari adottati dal giudice amministrativo.
   Dopo  aver  precisato  che  il  principio  di legalita' dell'azione
 amministrativa unitamente  a  quello  di  effettivita'  della  tutela
 giurisdizionale,    "se   da   un   lato   affermano   l'indipendenza
 dell'amministrazione     dall'altro     comportano     esplicitamente
 l'assoggettamento  dell'amministrazione  medesima  a  tutti i vincoli
 posti  dagli  organi  legittimati  a  creare  diritto,  fra  i  quali
 evidentemente, gli, organi giurisdizionali" il giudice delle leggi ha
 precisato che "una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale la
 quale   riconosca   come   ingiustamente  lesivo  dell'interesse  del
 cittadino un determinato comportamento  dell'amministrazione,  o  che
 detti   le   misure   cautelari   ritenute  opportune  e  strumentali
 all'effettivita'    della     tutela     giurisdizionale,     incombe
 sull'amministrazione   l'obbligo   di  conformarsi  ad  essa;  ed  il
 contenuto di tale obbligo consiste appunto  nell'attuazione  di  quel
 risultato  pratico,  tangibile, riconosciuto come giusto e necessario
 dal giudice".
   Ha affermato altresi', alla luce di un preciso  criterio  che  deve
 assistere la funzione giurisdizionale come funzione caratterizzata da
 imprescindibile  esigenza  di credibilita' collegata al suo esercizio
 anche coattivo, che "la previsione di una fase di esecuzione coattiva
 delle decisioni di  giustizia,  in  quanto  connotato  intrinseco  ed
 essenziale  della  stessa  funzione  giurisdizionale,  deve ritenersi
 costituzionalmente necessaria".
   Ora se il potere riconosciuto  al  giudice  amministrativo  con  la
 sentenza   surriferita   riguarda   la  possibilita'  di  portare  ad
 esecuzione le  ordinanze  cautelari  adottate  da  quest'ultimo  -  a
 seguito  di una sommaria delibazione - anche mediante la nomina di un
 commissario ad acta, non puo' non  ritenersi  necessario  un,  almeno
 pari,   potere,   in  capo  allo  stesso  giudice,  nei  riguardi  di
 statuizioni contenute in una sentenza di merito, anche se non  ancora
 passata  in giudicato.   Basta, a tale riguardo, porre mente al fatto
 che  la  sentenza  costituisce   un   provvedimento   giurisdizionale
 pronunciato  a  conclusione  di  una  approfondita  valutazione della
 questione sottoposta a giudizio e non una  pronuncia  adottata,  come
 quelle  proprie  della  fase  cautelare,  sulla  base di una sommaria
 delibazione.
   E d'altro canto non  riconoscere  un  potere  di  esecuzione  delle
 sentenze  del  giudice amministrativo significa consentire un diverso
 trattamento di queste  ultime  rispetto  alle  pronunce  del  giudice
 ordinario,  le quali se sono assistite da un giudizio di ottemperanza
 solo  nel  caso  di  un  loro  passaggio  in  giudicato  sono   pero'
 assoggettabili  all'esecuzione  forzata  nelle  forme stabilite dalla
 legge processuale civile.
   Una ulteriore disparita' di trattamento va ravvisata fra ricorrenti
 che abbiano fatto valere in giudizio un interesse di natura meramente
 oppositiva, per  la  cui  realizzazione  e'  sufficiente  l'efficacia
 demolitaria    e   ripristinatoria   delle   sentenze   del   giudice
 amministrativo di primo  grado,  non  occorrendo  al  riguardo  alcun
 ulteriore  intervento  dell'amministrazione o del giudice, e coloro i
 quali, essendo titolari di  un  interesse  di  tipo  pretensivo,  non
 possono    ottenere    effettiva   tutela,   in   caso   di   inerzia
 dell'amministrazione  soccombente,  in  mancanza  di  uno   strumento
 processuale ad hoc.
   Il  riconoscimento  di  un potere di esecuzione, e per suo tramite,
 della effettivita' della tutela giurisdizionale garantita dagli artt.
 24  e  113  della  Costituzione,  serve  del  resto  a  salvaguardare
 quell'imprescindibile  esigenza  di  credibilita'  che deve assistere
 l'esercizio della funzione giurisdizionale, richiamata  espressamente
 nella  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 419 del 1995, prima
 citata, senza che  da  cio'  derivi  necessariamente  un  contestuale
 sacrificio  del  definitivo  assetto degli interessi coinvolti, quale
 risultera' al momento della formazione del giudicato.
   Non va, infatti, dimenticato che la sentenza del giudice  di  primo
 grado,  secondo  l'espressa  statuizione  contenuta  nel  terzo comma
 dell'art.  33 della legge n. 1034 del 1971, puo' essere  sospesa  dal
 giudice  dell'appello  nel  caso  in  cui  dalla sua esecuzione possa
 derivare  alla  pubblica   amministrazione,   un   danno   grave   ed
 irreparabile. Sicche' accertata l'assenza di tale possibile evento e'
 difficile  comprendere  le  ragioni  di un rinvio dell'esecuzione con
 sacrificio,  certo  dell'interesse  riconosciuto   come   fondato   e
 sussistente   in   sede   giurisdizionale   e   perdita   di   quella
 imprescindibile   esigenza    di    credibilita'    della    funzione
 giurisdizionale, prima riferita.
   Dalle  argomentazioni  svolte,  riconosciuta  la rilevanza, ai fini
 della decisione del ricorso, e la non  manifesta  infondatezza  della
 questione di legittimita' costituzionale nei sensi prima espressi, in
 riferimento  agli  artt.  3,  24, 103 e 113 della Costituzione, deve,
 conseguentemente, disporsi la sospensione del presente giudizio e  la
 remissione    della    citata   questione   all'esame   della   Corte
 costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.
 87.
   Tale  questione  va  sollevata sia nei confronti dell'art. 33 della
 legge n. 1034 del 1971, che stabilisce l'esecutivita' delle  sentenze
 dei  tribunali  amministrativi regionali e ne disciplina la possibile
 sospensione dell'efficacia, senza peraltro prevedere alcuno strumento
 processuale capace di rendere concreta la statuizione introdotta, sia
 nei confronti dell'art. 37 della legge 6 dicembre  1971,  n.  1034  e
 dell'art.  27,  primo  comma, n. 4, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054,
 nella parte in cui limitano alle sentenze  passate  in  giudicato  la
 possibilita'   di   ricorsi   diretti   ad   ottenere   l'adempimento
 dell'obbligo  dell'autorita'  amministrativa  di   conformarsi   alle
 decisioni giurisdizionali.
                               P. Q. M.
   Solleva  d'ufficio  questione  di incostituzionalita' dell'art. 33,
 della legge n. 1034, del 6 dicembre 1971 e 37, della  medesima  legge
 oltre  all'art.  27,  primo  comma, n. 4, del r.d. 26 giugno 1924, n.
 1054; nelle parti in cui non prevedono un procedimento di  esecuzione
 delle  sentenze  degli organi di giustizia amministrativa non passate
 in giudicato;
   Sospende il giudizio in corso e dispone, a  cura  della  segreteria
 della  sezione,  che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte
 costituzionale per la risoluzione della prospettata questione  e  che
 la  presente  ordinanza  sia  notificata alle parti al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  delle  due  Camere
 del Parlamento della Repubblica.
   Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio 1998.
                         Il presidente: Giulia
                                   Il consigliere, estensore: Sandulli
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