N. 744 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 1998

                                N. 744
  Ordinanza emessa il 7 aprile 1998 dalla corte  d'appello  di  Milano
 nel procedimento penale a carico di Mauro Pierluigi ed altri
 Reato  in  genere  -  Prescrizione  -  Criteri  di  determinazione  -
    Riferimento  alla  configurazione  giuridica  data  al  fatto  dal
    giudice,  con  computo  delle  circostanze attenuanti o aggravanti
    ritenute  all'esito  dell'esame  del   merito   del   processo   -
    Preclusione   della   determinazione   del   tempo   necessario  a
    prescrivere nella stessa misura in tutte le fasi del  procedimento
    -  Lesione  del  principio di obbligatorieta' dell'azione penale -
    Contrasto con la Convenzione europea dei diritti  dell'uomo  circa
    la durata ragionevole del processo penale.
 (C.P., art. 157, comma 2).
 (Cost., art. 112; legge 4 aprile 1955, n. 848, art. 6, primo comma).
(GU n.42 del 21-10-1998 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha  pronunziato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale nei
 confronti di Mauro Pierluigi nato a Teor il 25 marzo  1944,  Stramare
 Giacomo nato a Gallarate il 6 febbraio 1941, Stramare Vincenzo nato a
 Gallarate  il  18 luglio 1936, imputati del delitto di cui agli artt.
 319 e 321 c.p.;
   Rilevato:
     che l'art. 157 c.p. rapporta i termini di prescrizione al massimo
 della  pena  astrattamente prevista per ciascun reato, che il delitto
 per cui si procede e' punito nel massimo con la pena  di  5  anni  di
 reclusione  cui  corrisponde  il  termine di prescrizione di 10 anni,
 destinati a diventare 15 per effetto dell'interruzione;
     che per i reati puniti con pena inferiore ai  5  anni  e'  invece
 previsto  un termine di prescrizione di 5 anni, destinati a diventare
 7 anni e 6 mesi per effetto dell'interruzione;
     che l'art. 157, comma secondo, c.p.,  prevede  un  meccanismo  di
 riduzione  convenzionale  di  un  giorno  in  caso di applicazione di
 circostanze  attenuanti,  che  talune  circostanze  sono  del   tutto
 generiche  o  facoltative  e non possono comunque essere fatte valere
 nella fase delle indagini sino alla celebrazione del giudizio;
     che, in  caso  di  conferma  della  condanna,  la  gia'  avvenuta
 concessione ex art. 62-bis c.p., delle attenuanti generiche, comporta
 la  riduzione  dei  termini  prescrizionali  dai 15 anni a 7 anni e 6
 mesi, gia' interamente decorsi;
     che, a fronte di una fattispecie di reato  rimasta  immutata  nei
 suoi  elementi oggettivi, il termine di prescrizione del reato de quo
 nella fase iniziale del processo era fissato in 10 anni, senza alcuna
 possibilita'  di  variazione   se   non   in   aumento   dell'effetto
 dell'interruzione, mentre riduce nella fase terminale;
     che   questa   situazione   contrasta   con   il   principio   di
 ragionevolezza secondo cui  le  valutazioni  di  merito  del  giudice
 presuppongono   la   procedibilita'   e  non  possono  costituire  il
 presupposto per negare la stessa legittimita' della loro espressione;
     che non risulta che la Corte costituzionale abbia  mai  esaminato
 in   passato  la  presente  questione  sotto  il  profilo  che  viene
 evidenziato, avendo  esaminato  con  la  sentenza  n.  431/1990,  con
 riferimento all'art.  425 c.p.p., solo le questioni relative alla non
 valutabilita'  all'udienza  preliminare  ai  fini  della prescrizione
 delle questioni di merito sottese all'applicazione degli artt. 62-bis
 e 69 c.p., sentenza nella quale  ha  riconosciuto  che  l'intento  di
 semplificazione presente nel nuovo codice e' disatteso dalle esigenze
 di  accertamento  nel  merito  che  accompagnano la valutazione delle
 circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 69 c.p.;
     che  con  le  sentenze  n.   175/1971   e   202/1971   la   Corte
 costituzionale   affrontando   la   questione  della  rinunziabilita'
 dell'amnistia e della prescrizione aveva  riconosciuto  la  rilevanza
 dell'arbitrarieta'  delle cause estintive escludendo in quel caso per
 la prescrizione la rinunziabilita' nella considerazione che  essa  e'
 legata  ad  un  evento,  il  decorso  del  tempo,  sottratto  ad ogni
 discrezionalita' (sent. n. 202/1971);
     che  con  la  sentenza  n.  275/1990  la  Corte   costituzionale,
 introducendo  il  principio della rinunziabilita' della prescrizione,
 ha affermato che essa si identifica "nella valutazione  astratta  del
 tempo  necessario  a  prescrivere a seconda del tipo di reato" e, sia
 pure al diverso fine di consentirne la rinunciabilita', che "e' privo
 di ragionevolezza, rispetto a una situazione processuale improntata a
 discrescionalita', che quell'interesse a non piu' perseguire (sorto a
 causa di circostanze  eterogenee  e  comunque  non  dominabili  dalle
 parti) debba prevalere su quello dell'imputato, con la conseguenza di
 privarlo di un diritto fondamentale";
     che  e', dunque, necessario sottoporre all'attenzione della Corte
 se i principi incidentalmente affermati nelle citate sentenze rendano
 l'art. 157, comma secondo, c.p., compatibile  con  l'art.  112  della
 Costituzione  al  diverso fine di assicurare che la potesta' punitiva
 dello stato, dopo  che  si  sia  legittimamente  esplicata,  non  sia
 vanificata  con riferimento a quelle situazioni in cui si manifestano
 margini  di  discrezionalita'  influenti  sulla  determinazione   del
 termine di prescrizione.
                             O s s e r v a
   L'istituto  della  prescrizione,  che  determina l'estinzione di un
 reato per effetto del decorso del tempo, e' ispirato al principio  di
 civilta' giuridica secondo il quale non e' tollerabile che una accusa
 rimanga  in  piedi  a  lungo  senza  che  si  pervenga  in  un  tempo
 ragionevole alla verifica della sua sussistenza. Essa  e'  improntata
 al  massimo  di  automaticita'  e  si impernia su dati essenzialmente
 obiettivi per cui non dovrebbe esservi spazio per un esame  caso  per
 caso  della  personalita'  del  reo  ne'  di aspetti che attengono ad
 esigenze rieducative, alla cui valutazione  sono  destinati  istituti
 diversi  ed  in particolare quelli disciplinati dal nuovo ordinamento
 penitenziario.
   La prescrizione e' destinata ad incidere su posizioni precostituite
 ed astrattamente disciplinate dal diritto  penale  sostanziale  e  ad
 essere  regolata  dai  principi  propri di questa branca del diritto,
 compreso quello relativo alla  irretroattivita'  della  legge  penale
 piu'  sfavorevole.  Allorche' invece si esamini la fattispecie penale
 con  riferimento  al  caso  concreto  la  questione  sostanziale   si
 trasforma  in  questione processuale e coinvolge il diverso principio
 del tempus regit actum, in quanto la norma processuale  si  distingue
 rispetto  a  quella  penale  perche'  e' norma strumentale diretta ad
 ottenere la pronunzia nel merito, con la possibilita' di introduzione
 di  tutta  una  serie  di  valutazioni  che,  per  quanto  sottoposte
 all'obbligo  di  motivazione,  sono  pur  sempre discrezionali. E' in
 questa  sede che, oltre all'accertamento del fatto, vengono  compiute
 le valutazioni sulla personalita' dell'imputato ex  artt. 62-bis e 69
 c.p.,  che  costituiscono  valutazioni  discrezionali  integrative di
 quelle dirette alla determinazione della pena.
   L'ordinamento processuale penale prevede la  estinzione  del  reato
 per   prescrizione   tra   le   cause  di  improcedibilita',  la  cui
 declaratoria e' obbligatoria in ogni stato o grado del processo,  non
 appena  ne vengano riconosciuti i presupposti di applicabilita' (art.
 129 c.p.p.).  Tale obbligo puo' essere vinto solo dalla  esigenza  di
 esame  nel  merito  in  contraddittorio  tra  le  parti  al  fine del
 prevalente interesse al riconoscimento di una formula assolutoria nel
 merito con riguardo alla insussistenza del  fatto,  alla  estraneita'
 dell'imputato,   alla   non   previsione  dello  stesso  come  reato,
 all'esistenza di una causa di giustificazione (diritto alla prova sul
 merito della regiudicanda).
   Non sussiste sul piano processuale altra  possibilita'  di  entrare
 nel  merito  del  processo in presenza di una causa di estinzione del
 reato. Dunque, salvo possibilita' di un giudizio  di  merito  diretto
 solo  alla  applicazione  di  una  formula  piu' favorevole ovvero di
 diversa  qualificazione  giuridica  del   fatto,   i   requisiti   di
 applicabilita'  della  prescrizione  devono  essere identificabili in
 tutti i loro estremi nella fase predibattimentale  ed  a  prescindere
 dell'esame  del merito del processo. E difatti, in armonia con questo
 principio   -   ritenuto  nella  sentenza  della  Corte  n.  431/1990
 costituzionalmente legittimo - che nel momento  in  cui  in  sede  di
 rinvio  a  giudizio vengono fissati i termini della regiudicanda, non
 e' prevista la possibilita' di compiere valutazioni  in  ordine  alla
 concedibilita'  delle  attenuanti generiche ed al giudizio di valenza
 di cui all'art. 69 c.p. al fine di applicare  la  prescrizione  (art.
 425 c.p.p.).
   Cio'  nonostante  l'art.  157,  comma  secondo c.p., prevede che il
 giudice possa tener conto delle attenuanti generiche  e  compiere  un
 giudizio  di  comparazione tra attenuanti ed aggravanti ai fini della
 determinazione del termine di prescrizione e le relative  valutazioni
 presuppongono un esame del merito del processo.
   Sussiste, dunque, una comtraddizione nel sistema nella parte in cui
 attraverso il meccanismo di cui  all'art. 157, comma secondo c.p., si
 preveda  la  possibilita'  della  applicazione della prescrizione non
 gia' a posizioni sostanziali  astrattamente  prefigurate,  bensi'  al
 giudizio che viene dato nei confronti del loro autore.
   I  parametri  costituzionali  entro  i  quali  dal  punto  di vista
 processuale  l'istituto  puo'  trovare   applicazione   sono   quello
 dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale sancito dall'art. 112 della
 Costituzione e  quello  previsto  dall'art.  6,  comma  primo,  della
 Convezione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che subordina i
 tempi  di  celebrazione  dei processi al principio di ragionevolezza,
 mitigando in tal modo il  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione
 penale.
   Il  principio  sancito  dal citato art. 6 afferma che la durata del
 processo deve essere rapportata alla convocazione in giudizio, il che
 rende chiaro che i termini di prescrizione devono essere indipendenti
 dalla soluzione del merito del processo e devono essere  valutati  in
 base   alla   sua   complessita'   da   definire  preventivamente  ed
 oggettivamente al momento del rinvio a giudizio. Nell'attuale sistema
 processuale le norme concernenti  la  prescrizione  dei  reati  vanno
 applicate  -  come  si  e' gia' posto in evidenza - non al reato come
 fattispecie criminosa astrattamente prevista dalla norma, ma al reato
 nella sua configurazione finale,  come  delineato  ed  accertato  dai
 giudici   di   merito   e  cosi'  come  risultante  a  seguito  della
 applicazione  delle  circostanze  aggravanti  ed  attenuanti  e   del
 relativo  giudizio  di comparazione (Cass. sez. 6, sent. n. 15463 del
 10 novembre 1989, ud. 29 aprile 1989).
   L'interpretazione giurisprudenziale consolidatasi e'  probabilmente
 andata  al  di la' della volonta' del legislatore che introducendo le
 attenuanti generiche con l'art. 2 del d.l.l. 14  settembre  1944,  n.
 288,  non aveva considerato tutte le implicazioni sistematiche che ne
 sarebbero potute conseguire, tant'e' che in alcuni primitivi commenti
 e originarie applicazioni ne fu categoricamente esclusa la  rilevanza
 agli  effetti  della  prescrizione  (Vannini Ottorino, "In materia di
 circostanze attenuanti" in Rivista penale, 1945, pag.  481  tribunale
 di Roma sent. 8 febbraio 1958, in Riv. it. dir. proc.  pen. 1958, 824
 ss.).
   L'applicazione  della  prescrizione  secondo  i  citati principi di
 rilievo  costituzionale  deve  invece  avere  riguardo  agli  estremi
 oggettivi  di configurazione dell'imputazione (anche se messa a fuoco
 nei  suoi  termini  reali  al  termine  del  processo)  e  non   alla
 valutazione che sulla figura dell'imputato si fa nella sede cognitiva
 del  processo.    A tale principio e' ispirata la restante disciplina
 dell'istituto della prescrizione, tant'e' che essa e' tendenzialmente
 destinata a regolare in modo conforme tutti  i  rapporti  processuali
 relativi  al  medesimo  reato  (art.  161  c.p.). Ne consegue che per
 essere conformi ai  principi  richiamati  i  parametri  temporali  di
 applicazione   della   prescrizione   devono  essere  necessariamente
 predeterminati,  devono   cioe'   precedere   e   prescindere   dalla
 valutazione  delle  condizioni personali dell'autore cui il reato sia
 stato addebitato, ed a tale fine devono essere predefiniti  nel  loro
 contenuto.
   Non  risulta  essere conforme a tali principi il disposto dell'art.
 157, comma secondo c.p., nella  parte  in  cui  prevede  che  abbiano
 invece  effetto  ai  fini  della  determinazione  del  termine  della
 prescrizione circostanze  soggettive  assolutamente  indeterminate  e
 circostanze la cui applicazione sia facoltativa come la recidiva, non
 valutabili preventivamente ma solo all'esito del complessivo esame di
 tutto  il  merito del processo (in particolare quelle di cui all'art.
 62-bis  c.p.,  che  non  riguarda  all'art.  133  c.p.  possono   far
 riferimento  alla  personalita' dell'imputato, al suo carattere, alla
 condotta di vita successiva al  reato  ed  alle  condizioni  di  vita
 individuale,   familiare   e   sociale   e  quelle  ex  art.  69  che
 presuppongongo un giudizio comparativo di valenza tra  aggravanti  ed
 attenuanti riferito alla loro concreta esplicazione).
   Questi   elementi,   che   rappresentano   esercizio   del   potere
 discrezionale del giudice intimamente connesso a quello relativo alla
 determinazione della pena, sono estranei alla struttura del reato  e,
 dunque,  l'estensione  ad essi operata surrettiziamente a mezzo degli
 artt. 62-bis e 69 c.p., del  metodo  di  determinazione  del  termine
 prescrizionale   presenta   aspetti  che  collidono  con  l'interesse
 punitivo dello stato che e' stabilito dall'art. 112 Cost.  e  con  il
 principio  di ragionevolezza nella misura in cui incidono sul termine
 di prescrizione.
   Gli stessi argomenti valgono anche in relazione a  qualsiasi  altra
 circostanza  non  oggettiva,  non preventivamente definibile nei suoi
 contenuti, facoltativa e  solo  eventualmente  ritenuta  dal  giudice
 all'esito dell'esame del merito del processo.
   Per  effetto  del mecanismo consentito dall'art. 157, comma secondo
 c.p., la riconoscibilita' di fattori che incidono sulla  prescrizione
 e'  possibile solo al termine del processo nel momento di valutazione
 complessiva della condotta dell'autore del reato, sicche' ne consegue
 l'effetto  perverso  per  cui,  anche  in   presenza   di   accertata
 sussistenza del reato, l'attivita' giurisdizionale, pur correttamente
 esercitata   in   relazione  ad  un  termine  prescrizionale  che  si
 prefigurava oggettivamente di una  determinata  durata,  puo'  essere
 dichiarata  a  posteriori priva di effetto per il rilievo dato in una
 successiva fase di giudizio ad una  circostanza  che  originariamente
 non   sarebbe   stato  possibile  prendere  in  considerazione  o  fu
 addirittura esclusa.
   Questa situazione contrasta  con  il  principio  di  ragionevolezza
 secondo  cui  le  valutazioni  di merito del giudice presuppongono la
 procedibilita' e non possono costituire il presupposto per negare  la
 stessa legittimita' della loro espressione.
   II.   -   L'art.   157,  comma  secondo  c.p.,  stabilisce  che  la
 prescrizione va applicata al reato nella  sua  configurazione  finale
 tenendo conto delle attenuanti generiche nella misura della riduzione
 minima  di  un  giorno.  Da  tale  meccanismo  deriva  una  ulteriore
 valutazione di irragionevolezza, dal momento che per  definizione  le
 attenuanti generiche sono riferibili ad una prospettazione di assenza
 di  gravita'  concreta  del reato e dunque alla esigenza di riduzione
 della soglia minima e non di quella massima della pena.
   Dunque il meccanismo previsto non risponde  alla  realta'  pratica,
 rimanendo  per  definizione  il  termine di riferimento della entita'
 della pena  nel  massimo,  previsto  come  parametro  di  riferimento
 dall'art.    157  c.p., sempre identico a se stesso e non destinato a
 mutare pur nel caso di concessione di attenuanti.
   III.  -  I   meccanismi   regolatori   della   applicazione   della
 prescrizione  devono  essere ispirati alla ragionevolezza anche sotto
 il profilo che essi non devono essere strutturati in modo da influire
 negativamente sul mantenimento di un  livello  minimo  di  efficienza
 dell'amministrazione della giustizia.
   L'art.  6,  comma  primo,  della Convenzione impone di modellare il
 sistema processuale alla esigenza di  celebrazione  dei  processi  in
 tempi   ragionevoli.   Ne   consegue   l'esigenza  di  una  strategia
 organizzativa complessiva intesa a ridurre i  tempi  di  celebrazione
 dei  processi  mediante  la  eliminazione  di  tutti  gli adempimenti
 processuali non assolutamente  necessari  per  la  preservazione  dei
 principi  di correttezza costituzionale del processo, la eliminazione
 di occasioni di spreco di attivita'  giurisdizionale  vanificabile  a
 posteriori    e   la   concentrazione   delle   energie   complessive
 dell'organizzazione  giudiziaria  alla   celebrazione   di   processi
 destinati a sfociare in un provvedimento che abbia la possibilita' di
 dare  una  soluzione,  quale  esso  sia,  alla situazione sostanziale
 esaminata.
   Il meccanismo previsto dall'art. 157, comma secondo,  nella  misura
 in  cui  e'  riferibile  alle  attenuanti generiche ed al giudizio di
 valenza di  cui  all'art.  69,  consente  di  vanificare  l'attivita'
 giudiziaria  precedentemente  svolta  e,  quindi,  di  accumulare uno
 spreco di impegno giudiziario che  e'  destinato  a  diventare  tanto
 maggiore  quanto  piu' si manifesti l'opportunita' di applicazione di
 meccanismi di mitigazione della asprezza della pena riferita al  caso
 concreto,   obiettivo   che,   se  ritenuto  rilevante,  deve  essere
 perseguito secondo meccanismi piu' ragionevoli.
   In un sistema giudiziario gia' gravato da  notevoli  ritardi  nella
 celebrazione  dei  processi  -  evidenziati  dai numerosi richiami da
 parte delle istituzioni comunitarie  europee  -  tutti  i  meccanismi
 destinati  ad  incidere negativamente sulla celebrazione dei processi
 in  tempi  rapidi  devono  essere  necessariamente   eliminati,   per
 restituire   possibilita'   di   impiego   proficuo   delle   risorse
 giudiziarie.  Il  solo  fatto  che  gli  organismi  europei   abbiano
 ripetutamente  richiamato  il  nostro  paese  al  rispetto  di  tempi
 ragionevoli  nella   celebrazione   dei   processi   costituisce   la
 dimostrazione     della    irragionevolezza    e,    dunque,    della
 incostituzionalita' del meccanismo che si intende censurare.
   Tale censura coinvolge indirettamente la struttura stessa dell'art.
 157 c.p., non piu' adeguata alla esigenza  -  irrinunciabile  in  una
 societa'  profondamente diversa rispetto a quella del legislatore del
 1930 - di accertamento in tempi rapidi delle  situazioni  giuridiche,
 dal  momento  che,  per  effetto dello sbarramento della prescrizione
 complessivamente  calcolata,  sono  molteplici  le  possibilita'   di
 attivita'  giudiziaria  destinata  a  posteriori ad essere dichiarata
 improduttiva, mentre sarebbe piu' proficuo un sistema che  prevedesse
 degli  sbarramenti temporali adeguati a ciascuna fase di giudizio, in
 modo analogo  alla  disciplina  gia'  positivamente  sperimentata  in
 materia di carcerazione preventiva.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, per violazione
 degli  artt.  112  della  Costituzione  e  6,  comma   primo,   della
 Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell'uomo ratificata con
 la legge 4 aprile 1955, n. 848,  le  questioni  di  costituzionalita'
 dell'art.    157,  comma secondo, c.p., nella parte in cui tale norma
 consente che il termine di prescrizione del reato non sia  definibile
 nella  stessa  misura  in  tutte  le  fasi  del  procedimento  ed  in
 particolare nella parte in cui  sulla  determinazione  dei  tempi  di
 prescrizione  abbia  effetto  la  concessione  dell'attenuante di cui
 all'art. 62-bis c.p., ovvero di ogni altra circostanza del reato  non
 specificamente  identificabile  nei  suoi  contenuti,  facoltativa  e
 comunque non preventivamente  individuabile  all'atto  del  rinvio  a
 giudizio,  nonche'  il giudizio di valenza tra circostanze eterogenee
 previsto dall'art. 69 c.p.;
   Sospende il processo in corso ed ordina la trasmissione degli  atti
 alla Corte costituzionale;
   Ordina  altresi'  che a cura della cancelleria copia della presente
 ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Milano, addi' 7 aprile 1998
                  Il presidente: (firma illeggibile)
                                    I consiglieri: (firme illeggibili)
 98C1151