N. 774 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio - 7 ottobre 1998
N. 774 Ordinanza emessa il 29 gennaio 1998 (pervenuta alla Corte costituzionale il 7 ottobre 1998) dal tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da Parisi Giovanni contro il Ministero dell'interno ed altra. Circolazione stradale - Soggetto gia' sottoposto a misura di sicurezza personale, poi revocata, nei cui confronti non siano intervenuti provvedimenti riabilitativi - Prevista revoca della patente di guida - Lesione del principio di eguaglianza, in relazione a soggetti sottoposti, in atto, a tali misure - Violazione del diritto al lavoro. (C.S.N., art. 120, comma 1, sostituito dal d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, art. 5). (Cost., art. 3 e 4).(GU n.43 del 28-10-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 4311 del 1997 proposto da Parisi Giovanni, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Margariti ed elettivanente domiciliato in Milario, via Giulianova n. 1, presso lo studio degli avv.ti Gaetano Fedeli e Paolo Pagliai; Contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica e la prefettura di Varese, in persona del Prefetto pro-tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui uffici sono elettivamente domiciliati in via Freguglia n. 1; Per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento prot. n. 16944/1997 sett. II auto del 27 giugno 1997 con cui il prefetto di Varese ha revocato al ricorrente la patente di guida. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 29 gennaio 1998 il relatore dott. Carlo Testori; Uditi, altresi', i procuratori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Con sentenza della Corte d'appello di Palermo del 22 gennaio 1988 il sig. Giovanni Parisi, condannato per reati connessi alla prostituzione, fu sottoposto alla misura di sicurezza della assegnazione a casa di lavoro per anni uno; con ordinanza del giudice di sorveglianza di Varese in data 7 luglio 1989 detta misura fu sostituita con la liberta' vigilata per anni uno; infine, con provvedimento del 13 settembre 1990, il medesimo giudice dispose la revoca di quest'ultima misura di sicurezza. Con atto n. 16944/1997 Sett. II auto del 27 giugno 1997 il prefetto della provincia di Varese, facendo riferimento all'intervenuta sottoposizione del sig. Parisi alle citate misure ed alla circostanza che non era intervenuto provvedimento di riabilitazione, ha disposto, ai sensi dell'art. 120, comma 1, del Codice della strada approvato con d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, la revoca della patente di guida rilasciata al ricorrente nel 1986. Avverso tale determinazione il sig. Parisi ha proposto il ricorso in epigrafe, deducendo: 1. - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 120, comma primo, del codice della strada. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e per travisamento dei fatti (e' erronea l'interpretazione dell'art. 120 epigrafato in base alla quale la revoca e' atto vincolato nei confronti di chi sia stato sottoposto a misura di sicurezza, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione ex art. 178 c.p.: attesa la finalita' preventiva della norma, si deve ritenere che l'effetto riabilitativo si verifichi anche semplicemente con la revoca della misura di sicurezza, che viene disposta ex art. 207 c.p. ove sia cessata la pericolosita' sociale del soggetto; d'altra parte la riabilitazione non ha nulla a che vedere con le misure di sicurezza, ne' produce effetti su di esse; ove cosi' non fosse, si dovrebbe quantomeno riconoscere che la revoca della patente puo' essere disposta dal prefetto, in relazione alla pregressa sottoposizione a misura di sicurezza, solo in base ad una valutazione discrezionale della sussistenza di un pericolo attuale che il soggetto interessato possa avvalersi del documento di guida per delinquere: in tal modo si adeguerebbe la situazione considerata a quella, parimenti disciplinata dall'art. 120, di chi sia stato condannato a pena detentiva non inferiore a tre anni). 2. - In subordine, illegittimita' costituzionale dell'art. 120, comma primo, C.d.S. (per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, ove l'art. 120 debba essere interpretato nel senso fatto proprio dalla prefettura di Varese). Si e' costituita in giudizio l'amministrazione intimata, insistendo per il rigetto del ricorso. Nella camera di consiglio del 16 ottobre 1997 questa sezione ha accolto, con ordinanza n. 3470, la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato. Entrambe le parti hanno depositato memorie in vista dell'udienza del 29 gennaio 1998, in cui la causa e' passata in decisione. D i r i t t o 1. - Oggetto della presente controversia e' un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida. La materia e' disciplinata, nel nuovo Codice della strada approvato con d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, dall'art. 120, primo comma, come successivamente sostituito dall'art. 5 del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575. Tale disposizione stabilisce: La patente di guida e' revocata dal prefetto ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza e a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327 e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, cosi' come successivamente modificata e integrata, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonche' alle persone condannate a pena detentiva, non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura. Va immediatamente sottolineato che il nuovo Codice della strada dispone la revoca della patente non piu' solo a carico di chi sia sottoposto a misura di sicurezza personale (la cui esecuzione, cioe', non si sia ancora esaurita), come era previsto dal combinato disposto degli artt. 82 e 91, comma 13, del previgente t.u. 15 giugno 1959, n. 393, ma anche nei confronti di chi sia stato sottoposto in passato ad una misura di tal genere, ormai cessata, sempre che non siano intervenuti provvedimenti riabilitativi. In tale ultima fattispecie rientra (almeno ad avviso del prefetto di Varese) il caso di cui si discute, atteso che il ricorrente e' stato sottoposto a misura di sicurezza disposta nel 1988, revocata nel 1990 ed in relazione alla quale non e' intervenuta riabilitazione. In sostanza il prefetto ha ritenuto di essere obbligato, in base al disposto del citato art. 120, comma 1, a revocare il documento di guida di cui era titolare il sig. Parisi, ricorrendo i presupposti della sottoposizione del predetto a misura di sicurezza e della non intervenuta riabilitazione, a nulla rilevando la revoca della misura de qua. 2. - Le argomentazioni poste a fondamento dell'atto impugnato e la stessa lettura della norma seguita dall'amministrazione sono contestate dalla difesa del ricorrente sotto molteplici profili. In primo luogo si sostiene che il richiamo testuale dell'art. 120, comma primo, a "provvedimenti riabilitativi" (l'intervento dei quali impedisce la revoca della patente) va inteso in senso generico ed atecnico, cioe' come riferito non esclusivamente all'istituto della riabilitazione disciplinato dagli artt. 178 ss. del codice penale, bensi' anche al provvedimento di revoca della misura di sicurezza che, ex art. 207 c.p., e' necessariamente correlato ad un giudizio di cessazione della pericolosita' sociale del soggetto interessato. Cio' in quanto la finalita' perseguita dall'art. 120, comma 1, e' quella di evitare che l'uso della patente sia strumentale al compimento di attivita' criminose e la revoca del documento viene quindi disposta in base ad un giudizio prognostico sulla pericolosita' di determinati soggetti; e non e' ragionevole ritenere il legislatore abbia inteso formulare una valutazione prognostica negativa nei confronti di chi, avendo ottenuto la revoca della misura di sicurezza, e' stato giudicato non piu' socialmente pericoloso. Per quanto ben argomentata, la tesi sostenuta nel ricorso non puo' essere condivisa. Sia perche' il suo accoglimento impone di ritenere (come in effetti ritiene il ricorrente) che il riferimento normativo a coloro che "... sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali ..." debba essere considerato tamquam non esset, cioe' un mero infortunio del legislatore: e non si puo' consentire all'interprete di porre in tal modo rimedio alla ritenuta irragionevolezza di una disposizione. Sia perche', contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non e' affatto vero che la riabilitazione ex art. 178 c.p. non ha nulla a che vedere con le misure di sicurezza, tant'e' che a norma dell'art. 179 c.p. la riabilitazione presuppone la revoca di tali misure, eventualmente disposte. Si deve quindi concludere che attrraverso la formulazione dell'art. 120, primo comma, del nuovo Codice della strada il legislatore ha scelto di innovare sensibilmente e rigoristicamente la disciplina in tema di revoca della patente e che solo l'intervenuta riabilitazione vale ad escludere l'applicazione della norma nei confronti dei soggetti sottoposti in passato a misure di sicurezza personali. 3. - Nel ricorso viene prospettata, in via alternativa, una diversa interpretazione dell'art. 120, comma primo, che riconosce in capo al prefetto un potere di valutazione, in concreto, della attuale pericolosita' del soggetto in passato sottoposto a misure di sicurezza personali; essa consentirebbe di evitare effetti aberranti e di armonizzare la disposizione riguardante i soggetti di cui si discute con quella relativa alle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, che appunto subordina la revoca della patente ad una valutazione discrezionale del prefetto sulla effettiva possibilita' che il documento sia utilizzato per delinquere. Anche tale prospettazione appare infondata. Il collegio e' dell'avviso che, come gia' nella vigenza del Codice della strada del 1959, cosi' attualmente il tenore delle disposizioni in materia di revoca della patente induce ad affermare che il provvedimento prefettizio in questione, laddove trovi il suo fondamento nella sottoposizione del titolare ad una misura di sicurezza, e' espressivo di attivita' vincolata: il prefetto, in altre parole (era ed) e' tenuto in detta ipotesi a procedere alla revoca della patente al solo verificarsi del presupposto normativamente indicato, senza poter esprimere alcuna valutazione discrezionale sull'an del provvedimento (in senso conforme t.a.r. Napoli, III sez., 7 agosto 1996, n. 635 e 8 luglio 1996, n. 580; t.a.r. Reggio Calabria 13 febbraio 1995, n. 281; t.a.r. Milano, I sez., 1 aprile 1993, n. 259). Depone in tal senso, in primo luogo, la formulazione letterale delle disposizioni in parola (sia il previgente art. 91, comma 13, sia l'attuale art. 120 statuiscono: "... la patente e' revocata ..".); in piu' nella disciplina vigente in tema di revoca sono chiaramente distinte le ipotesi in cui la revoca dipende esclusivamente dal verificarsi di date circostanze obiettive (tra le quali figura, appunto, la sottoposizione a misura di sicurezza) e quella in cui la revoca consegue non solo al verificarsi di una data circostanza di fatto (condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni), ma anche ad una ulteriore fase valutativa (circa la strumentalita' della patente ai fini della commissione di reati della stessa natura). E non e' consentito accogliere un'interpretazione che, nell'intento di assicurare una lettura della norma ritenuta piu' ragionevole e corretta, anche sotto il profilo costituzionale, in realta' disattende sia il chiaro dato testuale, sia l'altrettanto palese intento del legislatore. 4. - Le censure proposte nel ricorso e sinora esaminate non meritano quindi accoglimento. Risultano invece non manifestamente infondati i dubbi sollevati dal ricorrente in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 120, primo comma, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, come successivamente sostituito dl'art. 5 del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, nella parte in cui prevede la revoca della patente anche nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali, senza che siano intervenuti provvedimenti riabilitativi, in particolare con riferimento all'art. 3 della Costituzione. La questione e' rilevante perche' nella specie la revoca impugnata e' stata disposta nei confronti del ricorrente appunto perche' sottoposto in passato a misura di sicurezza personale in seguito revocata, senza che peraltro sia poi intervenuta la riabilitazione. In relazione ai principi di cui all'art. 3 della Costituzione appare dubbia la legittimita' della disposizione ex art. 120 comma primo citato relativa a coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali perche' determina una equiparazione che sembra ingiustificata ed irragionevole tra chi, in passato, e' stato assoggettato a tali misure, poi revocate, e chi invece vi e' in atto sottoposto. E' noto che le misure di sicurezza personali possono essere applicate, ex art. 202 c.p., soltanto alle persone riconosciute socialmente pericolose, cioe' a chi ha commesso taluno dei fatti indicati dal citato art. 202 ed e' probabile che commetta nuovi reati (art. 203). Esse hanno finalita' essenzialmente preventive e, pertanto, una durata non predeterminata, se non nel minimo; decorso tale periodo minimo il giudice rivaluta il profilo della pericolosita' sociale del soggetto (art. 208): nel caso questi risulti ancora pericoloso si provvede a successivi accertamenti; perche' la misura di sicurezza possa essere revocata e' necessario che la persona sottoposta abbia cessato di essere socialmente pericolosa (art. 207), cioe' si possa prevedere che non commettera' nuovi reati. Risulta quindi chiaro che, se la cessazione della misura di sicurezza, mediante la revoca della stessa, presuppone l'accertato venir meno della pericolosita' sociale del soggetto che vi era sottoposto, la differenza tra chi e' in atto assoggettato a misura di sicurezza personale e chi non lo e' piu' sta nel fatto che solo il primo, e non piu' il secondo, e' ancora ritenuto socialmente pericoloso. Non si comprende allora il perche' della censurata scelta legislativa espressa nell'art. 120, comma 1, del vigente Codice della strada; se la revoca della patente ha, come gia' detto, finalita' eminentemente cautelare, volta ad evitare il pericolo che detto documento sia strumentalmente utilizzato per delinquere, non appare ragionevole porre a tal fine sul medesimo piano, cioe' assoggettare al medesimo trattamento, chi sia tuttora giudicato socialmente pericoloso (in quanto e' probabile che commetta nuovi reati) e chi non sia piu' considerato tale. In altri termini, rispetto al fine perseguito la disposizione della cui legittimita' costituzionale si dubita appare spropozionata, perche' estende l'applicazione della misura cautelare a tutti coloro che siano o siano stati sottoposti a misure di sicurezza personali, senza differenziare in base all'attuale pericolosita' dei soggetti interessati; ed anche a ritenere legittima la scelta legislativa di prescindere, nel disporre la revoca della patente, dalla valutazione della pericolosita' sociale operata ai sensi degli artt. 199 ss. del codice penale, appare comunque irragionevole e sproporzionata un'applicazione del provvedimento in questione estesa anche a chi in passato sia stato sottoposto a misure di sicurezza, sulla base di una generalizzata presunzione di pericolosita', non verificata in concreto. L'irragionevolezza della scelta legislativa di cui si discute emerge anche dal confronto tra il trattamento riservato, ai fini della revoca della patente, a coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali e quello previsto nell'ultima parte del primo comma dell'art. 120 C.d.s. nei confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni; in tale ultimo caso la revoca e' disposta dal prefetto "... quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura". Nell'ipotesi considerata l'adozione del provvedimnto in questione e' quindi subordinata ad una valutazione, in concreto, della attuale sussistenza di un rapporto tra titolarita' della patente e pericolosita' del soggetto, intesa quantomeno come possibilita' che lo stesso, in relazione alla specifica natura dei reati gia' commessi, si avvalga del documento di' guida per delinquere nuovamente. L'attribuzione al prefetto di tale potere valutativo va collegata alla circostanza che il soggetto, benche' gia' condannato a pena di non lieve entita', non e' per cio' solo qualificabile come socialmente pericoloso e pertanto, ai fini dell'eventuale applicazione di una misura che incide in modo non irrilevante sulla sfera di liberta' dell'interessato, occorre che la pericolosita' dello stesso sia accertata in concreto. Premesso che le evidenti differenze esistenti tra le situazioni di chi e' stato condannato a pena detentiva e di chi e' stato sottoposto a misura di sicurezza impediscono di ravvisare profili di irragionevolezza dell'art. 120, comma primo, per avere diversamente disciplinato le ipotesi considerate, il raffronto tra le scelte operate in proposito dal legislatore appare comunque utile. Esso consente infatti di rilevare che l'applicazione del provvedimento di revoca della patente e' correlata in generale (e trova la sua giustificazione) nella riconosciuta possibilita' che il documento di guida sia strumento per la commissione di reati, possibilita' che a sua volta si riconnette ad una valutazione di pericolosita' del titolare della patente; tale valutazione e' espressa dall'autorita' giudiziaria (attraverso determinati provvedimenti di piu' ampia portata, la cui adozione si riflette anche ai fini che qui interessano), oppure dall'autorita' amministrativa (nell'ambito dello stesso procedimento finalizzato alla revoca); in ogni caso non manca una previa fase di accertamento e riconoscimento della pericolosita' del soggetto interessato. Alla regola generale fa eccezione (ad avviso del Collegio ingiustificatamente ed irragionevolmente) il caso di coloro che sono stati sottoposti a misura di sicurezza, cioe' a misura la cui esecuzione e' cessata per revoca. A carico di costoro la revoca viene infatti disposta obbligatoriamente dal prefetto benche' sia cessata la pericolosita' sociale che aveva giustificato l'adozione della misura di sicurezza e senza che sia stato in seguito svolto nei loro confronti alcun ulteriore accertamento al riguardo e sia stata espressa una successiva valutazione di pericolosita'. Cio' induce a ritenere che nel quadro complessivo delineato dall'art. 120, comma primo, il richiamo a "coloro che ... sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali" costituisce un elento non omogeneo ed anzi disorganico. 5. - La legittimita' costituzionale della norma di cui si discute appare al collegio dubbia anche in relazione all'art. 4 della Costituzione, che contiene il riconoscimento del diritto al lavoro in favore di tutti i cittadini e vincola l'ordinamento a promuovere le condizioni che rendano effettivo tale diritto. E' superfluo sottolineare quanto sia importante in una societa' complessa la disponibilita' di un automezzo e, quindi, del relativo permesso di guida. Anche ai fini dell'attivita' lavorativa essa e' spesso essenziale. La revoca della patente nei confronti di chi in passato e' stato sottoposto ad una misura di sicurezza personale, poi revocata per la riconosciuta cessazione della pericolosita' sociale del soggetto, appare confliggente con i richiamati principi ex art. 4 della Costituzione, perche' puo' pregiudicare ogni possibilita' di effettivo e definitivo recupero, attraverso una regolare attivita' lavorativa, di chi in atto non e' piu' ritenuto pericoloso per la compagine sociale. Non e' dunque ravvisabile in tale ipotesi alcuna ragione idonea a giustificare l'imposizione, attraverso la revoca della patente, di una limitazione della sfera di liberta' dell'individuo che puo' rivelarsi estremamente grave, suscettibile di compromettere qualsiasi sforzo di recupero individuale, senza che il sacrificio imposto risulti giustificato con l'esigenza, verificata in concreto, di tutelare interessi preminenti. 6. - Cio' premesso, attesa la rilevanza delle questioni prospettate e ritenuta la loro non manifesta infondatezza, si dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del giudizio, di cui si ordina, nelle more, la sospensione.
P. Q. M. Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale; in relazione agli artt. 3 e 4 della Costituzione, dell'art. 120, comma primo, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dall'art. 5 del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, nella parte in cui prevede la revoca della patente anche nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali, senza che siano intervenuti provvedimenti riabilitativi, sospende il giudizio sul ricorso n. 4311 del 1997 e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte cosituzionale; Disone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Milano, nella camera di consiglio del 29 gennaio 1998. Il presidente: Mariuzzo Il primo referendario est.: Testori 98C1191