N. 808 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 luglio 1998

                                N. 808
  Ordinanza emessa  il  6  luglio  1998  dal  tribunale  di  Nola  nel
 procedimento penale a carico di Donadio Felice ed altri
 Processo  penale  -  Dibattimento  -  Esame di coimputato - Esercizio
    della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali  contenenti
    le  dichiarazioni  rese  nel  corso  delle  indagini preliminari -
    Preclusione  per   il   giudice   di   utilizzabilita'   di   tali
    diichiarazioni  nei  confronti  di  altri senza il loro consenso -
    Disparita' di trattamento rispetto al regime  delle  dichiarazioni
    rese  dai  congiunti  e  di  quelle  rese  dall'imputato  di reato
    connesso divenute irripetibili - Lesione dei principi  del  libero
    convincimento dei giudice e di obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P.  1988,  art.  513,  modificato dalla legge 19 agosto 1997, n.
    267, (recte: 7 agosto 1997, n. 267)).
 (Cost., artt. 3, 25, secondo comma, 101, secondo  comma,  111,  primo
    comma, e 112).
(GU n.44 del 4-11-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza;
   Letti gli atti, sentite le parti;
                             O s s e r v a
   Donadio  Felice,  imputato, nel presente procedimento, fra l'altro,
 di rapina in danno di Leone Gerardo, e', altresi', offeso  dal  reato
 di  lesioni  personali  aggravate  ascritto  al  predetto  Leone,  in
 concorso  con  Basile  Francesco  e  Pitirollo  Pasquale.   In   tale
 procedimento, esso Donadio, detenuto per il suddetto reato e per vari
 altri   a   lui  stesso  ascritti,  ha  dichiarato  di  rinunziare  a
 presenziare all'intero dibattimento;  conseguentemente,  il  p.m.  ha
 chiesto  acquisirsi,  in sostituzione dell'esame di esso imputato, il
 verbale delle  dichiarazioni  rese  dallo  stesso  nella  fase  delle
 indagini,  che,  in assenza dell'accordo delle parti, non puo' essere
 acquisito,  ne'  letto,  ne',   conseguentemente,   utilizzato,   nei
 confronti  degli  altri  imputati, in conseguenza del divieto sancito
 dall'art. 513 c.p.p.
   Cio' premesso, in  punto  di  fatto,  va  osservato,  in  punto  di
 diritto,  che  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 513 cit.  dev'essere ritenuta rilevante, sol che si consideri che  il
 Donadio, offeso dal reato di lesioni volontarie aggravate ascritto al
 Leone,  al  Basile e al Pitirollo, ha fornito al p.m. quegli elementi
 di  prova  che  hanno  consentito  la  formulazione  dell'accusa  nei
 confronti  di  questi  ultimi,  nonche'  di tutti gli altri imputati,
 relativamente ai reati loro ascritti, e che l'esame del  medesimo  e'
 stato  ammesso,  quale  mezzo  di  prova,  anche relativamente a tali
 reati, e, permanendo nell'ordinamento processuale  la  norma  di  cui
 all'art.  513  c.p.p., nella sua attuale formulazione, l'acquisizione
 dei suddetti elementi di  prova  sarebbe  assolutamente  preclusa  al
 giudice.
   La  questione  qui  sollevata,  poi,  non si profila manifestamente
 infondata. Invero, scopo del processo penale e',  anche  nel  vigente
 schema  accusatorio,  sicuramente,  quello di "accertare i fatti onde
 pervenire  a  una  decisione  il  piu'  possibile  corrispondente  al
 risultato  voluto dal diritto sostanziale" e di tendere alla "ricerca
 della verita'" (C. cost. n. 258/1991, n. 255/1992, n. 111/1993).
   Altrettanto,  nel  vigente  schema  processuale  accusatorio   deve
 ritenersi  operante  il  principio  costituzionale di non dispersione
 della prova (C. cost. n. 255/1992), com'e' dato  evincersi  dell'art.
 512  c.p.p.,  che  consente l'utilizzazione, ai fini della decisione,
 delle dichiarazioni di coloro la cui presenza  nel  dibattimento  sia
 divenuta impossibile in conseguenza di vis maior, le quali, pertanto,
 sono divenute irripetibili.
   Allo  stesso  modo,  dunque,  impetibili sono le dichiarazioni rese
 dall'imputato, nel corso del suo interrogatorio, qualora egli  stesso
 si    rifiuti,   poi,   di   sottoporsi   all'esame   dibattimentale:
 evidentemente,  l'ordinamento   intende   conferire   prevalenza   al
 principio  di  non  dispersione  della  prova,  rispetto a quello del
 contraddittorio.
   Del resto, gia' sull'originaria formulazione dell'art.  513  c.p.p.
 la  Corte costituzionale si pronuncio', affermandone l'illegittimita'
 costituzionale, nella parte  in  cui  tale  norma  non  prevedeva  la
 possibilita'  di  dare lettura - e, conseguentemente, utilizzare - le
 dichiarazioni  rese  fuori  del  dibattimento  dai  soggetti  di  cui
 all'art.  210  c.p.p., qualora essi si fossero avvalsi della facolta'
 di non sottoporsi a esame dibattimentale, cosi' rilevando  l'illogica
 disparita'  rispetto  all'ipotesi di acquisizione delle dichiarazioni
 rese  dall'imputato  contumace  ovvero   dall'imputato   che   avesse
 esercitato la suddetta facolta'.
   Orbene,  il  dubbio  di  leggittimita' costituzionale dell'art. 513
 c.p.p., si profila, relativamente agli artt. 3,  25,  secondo  comma,
 101 secondo comma, 111 primo comma e 112 Cost.
   Innanzitutto,   e'   inneagabile   che   sussista   disparita'   di
 trattamento,  rispetto  all'ipotesi  delle  dichiarazioni   rese   da
 congiunti,   i  quali,  poi,  si  avvalgano  della  facolta'  di  non
 testimoniare; altrettanto  dicasi,  relativamente  all'ipotesi  delle
 dichiarazioni   rese   da   imputato   di  reato  connesso,  divenute
 irripetibili, ai sensi dell'art 512 c.p.p.:  in entrambi  tali  casi,
 infatti, le dichiarazioni rese dai predetti nella fase delle indagini
 sono incondizionatamente acquisibili e utilizabili. Si rende, dunque,
 necessario verificare se, a tutela del principio del contraddittorio,
 sia  legittima  l'introduzione, nel sistema processualpenalistico, di
 meccanismi che impediscano l'utilizzazione di  fonti  di  prova  che,
 successivamente alla loro assunzione, siano divenute irripetibili per
 factum principis.
   Relativamente  agli  altri  profili d'illegittimita' costituzionale
 prospettati, occorre ricordare come  la  Corte  costituzionale  abbia
 individuato i principi che escludono la partecipazione del giudice al
 processo penale in veste di mero garante dell'osservanza delle regole
 in  una  dialettica  di  parte,  nel principio di legalita' (art.  25
 Cost.) e in quello di obbligatorieta' dell'azione penale (art.    112
 Cost.),  al  punto che si e' ritenuto, da una parte, inconcepibile la
 disponibilita' della tutela giurisdizionale  in  materia  penale  (C.
 cost.  n.  113/1993)  e,  dall'altra, inammissibile la disponibilita'
 della prova nella  medesima  materia,  stante  l'attuale,  innegabile
 finalita'  primaria  del  processo  penale  di ricerca della verita',
 cosi' come si e' escluso che in un sistema processuale caratterizzato
 dai principi di legalita' e  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale
 possano  trovare spazio norme che ostacolino in maniera irragionevole
 il processo di accertamento dei fatti, necessario per pervenire a una
 decisione giusta (C. cost. n. 255/1992).
   Diversamente  opinando,  si  ammetterebbe  la  legittimita'   della
 predeterminazione  legale del valore persuasivo delle prove, con cio'
 ostacolando il libero convincimento del giudice, inteso come liberta'
 di valutazione della prova secondo il suo prudente apprezzamento, pur
 con l'obbligo di rendere conto in motivazione dei criteri adottati  e
 dei  risultati  conseguiti.  Ne',  peraltro, dev'essere trascurato di
 considerare che la scelta  normativa,  attuata  mediante  il  vigente
 codice   di   rito,  di  formazione  della  prova  nel  dibattimento,
 ricorrendo al principio di oralita',  e'  accompagnata,  nei  congrui
 casi,   dal   correttivo  dell'acquisizione  mediante  lettura  degli
 elementi  di  prova  non  compiutamente  acquisibili  mediante   tale
 ricorso,  in  attuazione  del  ricordato principio di non dispersione
 degli elementi di prova.
   Alla  stregua  di  tali  considerazioni,  risulta,   ulteriormente,
 evidente  l'illegittimita'  dell'art.  513 c.p.p., nella parte in cui
 subordina all'accordo delle  parti  la  lettura  delle  dichiarazioni
 precedentemente  rese  dall'imputato,  il  quale, poi, si sia avvalso
 (nella specie, rinunziando a essere presente al  dibattimento)  della
 facolta'  di  non  rispondere.  Tale  illegittimita' si manifesta, in
 primo luogo, rispetto all'art. 112 Cost.,  poiche'  la  sopravvenuta,
 imprevedibile  irripetibilita'  di atti, sui quali il p.m. ha fondato
 l'esercizio   dell'azione   penale,   finisce   per   atteggiarsi   a
 irragionevole ostacolo a tale legittimo esercizio. Essa si manifesta,
 ancora, rispetto agli
  artt.  25, 101 e 111 Cost., poiche' si risolve nell'attribuzione del
 potere dispositivo della prova - pur legittimamente acquisita e utile
 per l'accertamento della verita' - alle  parti  e  nella  sottrazione
 della  prova  medesima  alla  valutazione del giudice, secondo il suo
 libero convincimento.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara non manifestamente infondata la questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  513  c.p.p.,  come  novellato dall'art. 1,
 legge 19 agosto 1997, n. 267, relativamente agli artt. 3, 25, secondo
 comma, 101, secondo comma, 111, primo comma e 112 Cost. nella   parte
 in cui subordina all'accordo delle parti la lettura dei verbali delle
 dichiarazioni  precedentemente  rese dall'imputato, il quale, poi, si
 avvalga della facolta' di non rispondere.
   Dichiara sospeso il procedimento in corso e manda alla  cancelleria
 per  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale, per la
 notifica della presente ordinanza al sig.  Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri e per la comunicazione della stessa ai sigg. Presidenti
 della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
     Nola, addi' 6 luglio 1998
                         Il presidente: Zazzera
                                        I giudici: Alfano - Napoletano
 98C1235