N. 826 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile - 22 ottobre 1998
N. 826 Ordinanza emessa il 17 aprile 1998 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 ottobre 1998) dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti sul ricorso proposto da Emme Emme di De Francesco Maria s.n.c. contro l'Ufficio delle Imposte dirette di Vasto. Contenzioso tributario - Giudizio innanzi le Commissioni tributarie - Prova testimoniale - Divieto - Irragionevo-lezza - Lesione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa - Violazione del principio della capacita' contributiva. Contenzioso tributario - Accertamento con adesione del contribuente, ai fini delle imposte sul reddito e dell'I.V.A. - Applicabilita' - Esclusione, nel caso in cui sia configurabile l'obbligo di denuncia da parte dell'ufficio, all'autorita' giudiziaria, per i reati di cui agli artt. da 1 a 4, decreto-legge n. 429/82 o quando per tali reati risulti presentato rapporto dalla Guardia di finanza o gia' avviata azione penale - Riformulazione della proposta di accertamento da parte dell'Ufficio, in caso di procedimento penale archiviato o definito con sentenza di proscioglimento o di assoluzione - Mancata previsione - Lesione del principio di eguaglianza - Incidenza sul principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva. (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4; d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis, comma 2, e 3, convertito in legge 30 novembre 1994, n. 656). (Cost., artt. 3, 24, 27 e 53).(GU n.45 del 11-11-1998 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 2116 dell'anno 1997 del r.g.r. vertente tra Emme Emme di De Francesco Maria C. s.n.c., in persona del legale rappresentante sig. De Francesco Maria, elettivamente domiciliata in Chieti alla via Arcivescovado n. 32 presso lo studio dell'avv. Giancarlo Fiordelli, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Lucio V. Moscarini e Salvatore De Simone in virtu' di procura a margine del ricorso, ricorrente; e Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto, resistente. Oggetto: impugnazione del provvedimento adottato il 23 settembre 1997 dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto, prot. n. 44 - mod. 22, notificato il successivo 25 settembre, di annullamento della proposta di accertamento con adesione, "nonche' di ogni atto presupposto, conseguenziale e comunque connesso, ed in particolare, si opus sit, gli avvisi di accertamento Ilor e Irpef nn. 3112000184 - 33111003936 - 3111003936, tutti notificati il 25 settembre 1997". Conclusioni Per la ricorrente: "annullare il provvedimento impugnato con ogni conseguenziale statuizione anche in ordine alle spese di giudizio. In subordine e per l'invero denegata ipotesi in cui il ricorso non dovesse essere giudicato fondato, si confida che l'ecc.ma Commissione adita voglia sollevare la questione di legittimita' costituzionale con riguardo all'art. 3, del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, modificato dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427, per i motivi sopra spiegati, rimettendo cosi' gli atti alla Corte costituzionale, e all'esito annullare egualmente il provvedimento impugnato con ogni pronuncia conseguenziale". Per il resistente: "rigettare il ricorso di cui all'oggetto, confermando quindi in pieno i contenuti dell'accertamento. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio, come per legge". Svolgimento del processo Con ricorso notificato il 20 novembre 1997 e depositato il successivo 28 novembre, la Emme Emme di De Francesco Maria C. s.n.c. impugnava (1) il provvedimento adottato dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto il 23 settembre 1997 (prot. n. 44/Mod. 22), e notificatole il 25 settembre con il quale era stata annullata, ai sensi dell'art. 68, comma 1, del d.P.R. n. 287/92, sia la proposta di accertamento con adesione, in precedenza rivoltale, per l'anno d'imposta 1991 e sia, in via conseguenziale, "l'intero atto di accertamento con adesione relativamente allo stesso anno d'imposta", nonche' (2) ogni altro atto ad essa determinazione di annullamento presupposto, connesso e conseguenziale, con particolare riferimento agli avvisi di accertamento Ilor ed Irpef nn. 3112000184, 33111003936, 3111003936, portati ugualmente a sua conoscenza lo stesso 25 settembre. In f a t t o Esponeva: a) di aver ricevuto dall'amministrazione finanziaria la proposta di accertamento con adesione di cui all'art. 3, del decreto-legge n. 564/94, convertito nella legge n. 656/94, per l'anno d'imposta 1991; b) di avervi aderito, presentando il modello di adesione all'Ufficio, distrettuale delle imposte dirette di Vasto congiuntamente alle quietanze attestanti il pagamento della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi; c) di essere stato adottato, in data 31 ottobre 1995, dal predetto Ufficio un provvedimento di revoca della citata proposta di accertamento, motivato dalla "conoscenza di elementi ostativi di carattere penale in epoca antecedente a quella dell'avvenuto pagamento degli importi proposti"; d) di aver immediatamente impugnato tale revoca dinanzi al t.a.r. Abruzzo, sezione staccata di Pescara, deducendone la illegittimita' per "violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, legge 30 settembre 1994, n. 656 e successive modifiche", per "violazione e falsa applicazione dell'art. 3, d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, cosi' come modificato dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427. Difetto di motivazione" nonche' per "eccesso di potere, in particolare per travisamento dei fatti e sviamento"; e) di aver formulato, nel corso dello stesso giudizio, dei motivi aggiunti, prospettando la "violazione sotto altro profilo di fatto delle norme e principi la cui violazione e' stata gia' denunciata con il secondo e terzo motivo del ricorso principale" ed allegando la falsita' dell'assunto, sul quale era fondata la revoca, secondo cui, in epoca antecedente alla proposta di accertamento ed alla sua accettazione da parte della societa' Emme Emme, era stata iniziata l'azione penale nei confronti degli amministratori della stessa o comunque erano state rilevate delle tracce di reita' a carico di questi ultimi, poiche' delle presunte circostanze che potevano assumere rilevanza penale l'amministrazione ne aveva acquisito conoscenza soltanto il 12 ottobre 1995, e quindi in data di molto successiva a quella del 10 luglio 1995, in cui si era esaurito il procedimento di accertamento con adesione ed era cosi' divenuto intangibile il concordato che lo aveva definito; f) di aver accolto il giudice amministrativo la domanda incidentale di sospensione, proposta contestualmente al succitato ricorso, limitandone tuttavia gli effetti a mesi tre, affinche' essa ricorrente potesse impugnare l'avviso di rettifica n. 820152/96, con il quale l'Ufficio I.V.A. di Chieti aveva dato seguito alla disposta revoca della proposta di accertamento, intimando il pagamento della maggiore imposta e degli accessori; g) di aver impugnato quest'ultimo atto dinanzi la Commissione tributaria provinciale di Chieti, che, in accoglimento dell'istanza cautelare contemporaneamente avanzata, ne aveva sospeso l'efficacia; h) di aver, nel dubbio circa la potesta' giurisdizionale a decidere sui suindicati provvedimenti di revoca e di rettifica, contestualmente interposto entrambe le impugnative sia innanzi al giudice amministrativo che dinanzi a quello tributario e, dopo aver ottenuto da parte di ambedue tali organi giudicanti le invocate sospensioni, di aver proposto regolamento di giurisdizione, al fine di fugare la detta incertezza; i) di avere l'Ufficio basato il provvedimento di annullamento, odiernamente impugnato, sulla circostanza - contrastante con la documentazione depositata nel suddetto giudizio amministrativo - che "l'Ufficio I.V.A. di Chieti avrebbe acquisito prima dell'adesione della Societa' alla proposta di accertamento atti e documenti relativi ai rapporti economici intercorsi tra la societa' Emme Emme e la U.S.L. di Bari 11 e dunque sarebbe stata a conoscenza, prima del perfezionamento del procedimento di accertamento con adesione, di elementi ostativi di carattere penale". Deduceva la illegittimita' degli atti impugnati ed affidava il gravame ai seguenti motivi: 1) "violazione e falsa applicazione dell'art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241, e di ogni altra norma e principio in materia di integrazione della motivazione dell'atto amministrativo - Eccesso di potere sotto il profilo della manifesta vessatorieta', della carenza di interesse e della sostanziale violazione delle ordinanze di contenuto sospensivo adottate dal TA.R." e dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, sostenendo: a) che l'atto impugnato e' meramente replicativo del provvedimento di revoca gia' adottato, differenziandosene soltanto per "la maggiore attenzione" mostrata dall'amministrazione "nel motivare il suo potere di autotutela e le ragioni che consigliavano il suddetto annullamento"; b) che esso avendo - l'amministrazione "gia' provveduto a revocare la proposta di accertamento" - e' unicamente finalizzato a confutare le argomentazioni e le deduzioni da essa prospettate nei giudizi dinanzi al t.a.r. ed alla Commissione tributaria, per cui se ne deve desumere la sua natura persecutoria, avendo sostanzialmente da un lato lo scopo di eludere le ordinanze di sospensione gia' emesse e dall'altro quello di azionare nuovamente una pretesa tributaria allo stato inibita dalle predette decisioni interinali; c) che eventuali ulteriori argomentazioni dovevano, da parte dell'ufficio, essere ritualmente addotte nei giudizi in corso e non fatte valere con un'ulteriore atto tributario, poiche' con tale modus procedendi era stata illegittimamente gravata dell'onere di impugnarlo e venivano nullificati gli effetti delle pronunce cautelari ad essa favorevoli; 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 68, d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, e di ogni altra norma e principio in materia di esercizio del potere di autotutela in pregiudizio per il contribuente - Eccesso di potere per difetto di interesse, illogicita ed irragionevolezza", poiche': a) la ratio dell'art. 68 del d.P.R. 287/92, intitolato "tutela dei contribuenti e trasparenza dell'azione amministrativa", e' quella di tutelare il contribuente e quindi il presupposto per il legittimo esercizio del relativo potere di autotutela, da tale norma attribuita agli uffici finanziari, e' quello della commissione di "errori pregiudizievoli per il contribuente"; b) la stessa disposizione "impedisce all'amministrazione finanziaria di annullare propri provvedimenti quando da tale annullamento possa derivare un danno alle ragioni del contribuente che verrebbe privato della tutela in precedenza riconosciutagli"; 3) "violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, della legge 30 settembre 1994, n. 364, e successive modificazioni, dell'art. 8 del Regolamento 13 aprile 1995, n. 177, nonche' degli artt. 1326 e segg. c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di conclusione degli accordi stipulati iure privatorum", sul rilievo: a) che, per effetto dell'adesione alla proposta formulata dall'Ufficio e del contestuale versamento delle somme dovute, "il procedimento di formazione del patto fiscale" deve "ritenersi concluso e definitivamente perfezionato con l'incontro dei consensi avvenuto" il 10 luglio 1995; b) che l'art. 8 del Regolamento n. 177/95 dispone la irrevocabilita', la inoppugnabilita', la immodificabilita' e la non integrabilita' dell'accertamento con adesione; c) che l'eventuale riferimento "a norme e principi in materia di conclusione di accordi di natura contrattuale" non muterebbe i termini della risoluzione della questione in senso ad essa favorevole; 4) "violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, modificato dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427, nonche' dell'art. 1 della circolare 7 settembre 1995, n. 237/E - Eccesso di potere per difetto di istruttoria, irragionevolezza, perplessita' dell'azione amministrativa - Difetto assoluto di motivazione", sulla base delle considerazioni che seguono: a) "al momento del perfezionamento del procedimento di accertamento con adesione, e cioe' al 10 luglio 1995, non sussistevano cause ostative di ordine penale", anche in virtu' del contenuto della circolare esplicativa n. 237/E del 7 settembre 1995 secondo cui "i fatti di rilevanza penale devono emergere prima dell'avvenuto pagamento totale delle somme richieste"; b) l'ufficio alla predetta data "non era a conoscenza di elementi comprovanti la violazione" di norme penali riconducibili all'amministrazione della societa' ne' all'uopo, con riferimento all'indicato giorno, era stata presentata alcuna denuncia e/o pendeva procedimento penale per i reati previsti dalla legge n. 516/82; c) in ogni caso, ove l'amministrazione fosse venuta a conoscenza in epoca antecedente al 10 luglio 1995, ad esempio - come da essa ipotizzato - l'8 luglio, di circostanze preclusive l'ammissibilita' dell'accertamento con adesione, costituite dall'acquisizione di elementi configuranti i reati di cui agli artt. da 1 a 4 del d.-l. n. 429/82, convertito dalla legge n. 516/82, l'ufficio non avrebbe dovuto "accettare l'adesione esplicando in sede di presentazione le ragioni dell'inammissibilita' e contestualmente o anche prima di cio' comunicare la notizia di reato conosciuta alla competente autorita' inquirente"; d) peraltro, "la mancanza delle notizie di rilevanza penale da parte dell'ufficio finanziario in data antecedente al versamento si desume e trova piena conferma" nella richiesta di proroga delle indagini preliminari - iniziate sulla base della denunzia sporta dall'ufficio dopo aver avuto cognizione della notizia di reato inerente la sussistenza di presunte responsabilita' penali ex lege n. 516 cit. ascrivibili agli amministratori della societa' - avanzata, in data 28 settembre 1996, dal p.m. della procura della Repubblica presso il tribunale di Vasto al g.i.p., dalla quale risulta che gli ipotizzati fatti delittuosi sono stati accertati in Vasto il 12 ottobre 1995"; 5) "violazione sotto altro profilo delle stesse norme e principi la cui violazione e' stata gia' denunciata con i precedenti motivi di ricorso", poiche' - in ogni caso - i fatti aventi rilevanza penale non si sarebbero potuti rinvenire "in una nota della U.S.L. di Bari con allegata fotocopia della fattura n. 28 del 6 settembre 1991", della quale l'amministrazione rappresentava di esserne venuta in possesso l'8 luglio 1995, bensi' essi scaturivano, a mente dell'assunto dello stesso ufficio (formulato nel verbale di constatazione n. 118 del 28 ottobre 1995), "da un raffronto tra il documento inviato dalla U.S.L. di Bari, altro esemplare della fattura esibito dalla societa' Emme Emme ed i registri contabili relativi alla gestione dell'Albergo Roma e della Villa Maristella", per cui la probabile sussistenza di fattispecie di reato "non e' derivato dal semplice ricevimento della nota della U.S.L. di Bari e della fattura ad essa allegata, ma solo da un successivo approfondito esame comparato di tutta la documentazione in possesso dell'amministrazione, compiuto soltanto molti mesi dopo" il ricevimento della predetta nota "e precisamente nell'ottobre 1995". Subordinatamente al mancato accoglimento delle dette censure, la ricorrente osservava che alcuni giudici tributari avevano sospettato della legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. n. 564 cit., siccome contrastante con il principio della presunzione d'innocenza dell'imputato, enunciato dall'art. 27 Cost., con quello di uguaglianza, nonche' con il canone della ragionevolezza, anche sotto il profilo che le precedenti discipline legislative emanate nella materia de qua (del 1982 e del 1991) non prevedevano l'ostativita' del beneficio nella ipotesi, contemplata dalla predetta norma, in cui l'ufficio fosse venuto a conoscenza di elementi, dati e notizie - che avrebbero potuto configurare dei reati - comportanti l'obbligo di denuncia all'A.G.O. Spiegava, pertanto, le conclusioni trascritte in epigrafe. Costituitosi in giudizio, l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto contestava la fondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione sull'assunto della legittimita' del proprio operato; l'ente, in particolare, deduceva: 1) la sostanziale differenza fra gli istituti della revoca e dell'annullamento; 2) la validita' e la legittimita' dell'annullamento disposto con l'atto impugnato, anche perche' lo scopo dell'art. 68 del d.P.R. n. 287/92 non e' quello di tutelare il contribuente ma di "consentire all'amministrazione finanziaria di procedere all'annullamento dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati"; 3) la sussistenza di un vizio del consenso nella formazione della volonta' dell'ufficio, nell'ambito del procedimento di accertamento con adesione, costituito dalla esistenza di cause ostative alla definizione dello stesso; 4) l'invalidita' dell'atto di adesione per la presenza di tale motivo viziante; 5) l'acquisizione di fatti di rilevanza penale in epoca antecedente al 10 luglio 1995, poiche' "in data 28 giugno 1995 e 8 luglio 1995 l'Ufficio I.V.A. di Chieti entrava in possesso di documenti provenienti dalla U.S.L. di Bari che, confrontati con quelli facenti parte della contabilita' della societa' Emme Emme, in quel momento soggetta a verifica da parte dell'ufficio stesso, facevano emergere quegli elementi ostativi di carattere penale posti a base del successivo annullamento dell'atto di adesione. Infatti i documenti contabili esistenti presso la societa' messi a raffronto con le copie degli stessi inviate dalla U.S.L. di Bari, risultavano diversi nella forma e nella sostanza e, senza che si rendesse necessario fare ricorso ad altro processo logico, emergeva immediatamente e chiaramente l'esistenza di fatti che, per la loro rilevanza penale, inducevano lo stesso Ufficio I.V.A. a darne comunicazione all'Ufficio delle imposte, perche' lo stesso prendesse le iniziative necessarie per la revoca della proposta di accertamento con adesione"; 6) la decisivita' che le "cause ostative siano emerse prima del perfezionamento dell'atto di adesione, cosa che risultava ictu oculi dal semplice raffronto di due documenti che avrebbero dovuto essere identici e al contrario erano completamente difformi l'uno dall'altro". Le parti hanno depositato memorie, con le quali hanno, fra l'altro, ulteriormente illustrato le proprie difese. All'odierna pubblica udienza, all'esito della discussione, la causa veniva posta in deliberazione ed indi decisa come da dispositivo. D i r i t t o Va pregiudizialmente affermata la potesta' giurisdizionale del giudice tributario nella controversia de qua (tale questione, pur non essendo stata prospettata dalle parti, il Collegio ritiene di doverla esaminare d'ufficio). L'art. 19 del d.lgs. n. 546/92, nell'elencazione degli atti impugnabili dinanzi le commissioni tributarie, ricomprende nell'ambito degli stessi "l'avviso di accertamento del tributo" (comma 1, lettera a)) e "il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari" (let. h)). Tale elencazione pur dovendo ritenersi tassativa, attesa la previsione di cui al comma terzo, primo periodo, della citata disposizione, laddove si sancisce che: "Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente" deve coordinarsi con l'art. 2 del d.lgs. 546 cit., che delimita la sfera oggettiva della giurisdizione tributaria. Ne consegue che il dato normativo espresso dall'art. 19 cit. va interpretato estensivamente, allo scopo di ricomprendere nelle categorie in esso contemplate quegli atti che, indipendentemente dalla loro intitolazione, appartengano sostanzialmente alle stesse; Tale opzione ermeneutica e' affatto necessitata ai fini della tutela del diritto di difesa del contribuente, poiche' i procedimenti con i quali puo' estrinsecarsi la potesta' tributaria, sovente articolantisi in sub-procedimenti, sono talmente variegati e complessi, soprattutto per effetto della continua evoluzione della legislazione in materia fiscale, da cui scaturisce la incessante introduzione di nuove forme provvedimentali adottabili dalla p.a., che non risulta obiettivamente possibile prestabilire aprioristicamente la tipologia degli atti con cui, in maniera diretta o indiretta, viene a manifestarsi la pretesa impositiva. A cio' aggiungasi che l'enucleazione degli atti impugnabili dev'essere necessariamente adeguata alle innumerevoli e multiformi fasi della procedura di applicazione e di riscossione dei tributi. D'altronde, nella vigenza dell'art. 16 del d.P.R. 636/72 (attualmente abrogato dal d.lgs. 546 ult. cit.), le sezioni unite della S.C. avevano esplicitamente accolto "l'interpretazione estensiva della nozione di atto di accertamento" (sent. n. 661 del 3 febbraio 1986); coerentemente, si era ritenuta ammissibile l'impugnabilita' di un provvedimento di rigetto di una istanza di condono sul presupposto che esso e' assimilabile, sotto un profilo sostanziale, ad un atto di accertamento (cfr., in tal senso, Cass., sez. I, 7 settembre 1991, n. 9429). La Corte costituzionale, a sua volta, ha affermato che per accertamento tributario (suscettibile di impugnazione) deve "intendersi un atto efficace nei confronti del soggetto passivo di imposta, conclusivo di un procedimento o di un subprocedimento di accertamento comunque denominato; di un procedimento cioe' che accerta e dichiara la sussistenza, in tutto o in parte, dell'obbligazione tributaria o di un suo elemento"; ed ha soggiunto che la impugnabilita' deve essere riconosciuta "qualunque sia la forma e la denominazione dell'atto" (Corte cost. 6 dicembre 1985, n. 313). Orbene, appare di tutta evidenza che il provvedimento di annullamento della proposta di accertamento con adesione emesso il 23 settembre 1997 dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto, impugnato in questa sede, accertando e dichiarando la esclusione della forma di definizione dell'accertamento prevista dall'art. 3 del d.-l. 564/94 conv. in legge con legge 656/94, si sostanzia in un rigetto della domanda di definizione agevolata del rapporto tributario ed e' pertanto annoverabile nella categoria di atti di cui alla suddetta let. h), dell'art. 19 ult. cit. Peraltro, pur volendosi nutrire dei dubbi in proposito, e' indubitabile che il provvedimento in esame sia essenzialmente riconducibile - in virtu' della suindicata scelta esegetica - in quella categoria. Passandosi al merito, va senz'altro disatteso il primo motivo. Difatti, con il precedente provvedimento adottato il 31 ottobre 1995, prot. n. 46/mod. 22, era stata disposta la revoca della "proposta di accertamento con adesione a suo tempo formulata nei confronti" della societa' Emme Emme "per l'anno 1991" e per l'effetto era stata dichiarata "inammissibile l'adesione della societa' alla predetta proposta". Invece, con l'atto impugnato in questa sede sono stati annullati sia "la proposta di accertamento con adesione a suo tempo indirizzata alla societa' "Emme Emme di De Francesco Maria s.n.c." per l'anno d'imposta 1991" che "l'intero atto di accertamento con adesione relativamente allo stesso anno d'imposta". Orbene, la revoca di un atto amministrativo consiste nell'eliminazione dello stesso per ragioni di merito, cioe' di convenienza e di opportunita', mentre con l'annullamento tale rimozione avente efficacia ex tunc e' determinata da motivi di legittimita' (cfr., in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 1992, n. 1049). In sostanza, il presupposto essenziale ed indefettibile dell'annullamento e' costituito dalla circostanza che l'amministrazione abbia posto in essere un atto geneticamente illegittimo, a differenza della revoca che non postula affatto una siffatta illegittimita' bensi' si estrinseca in una riconsiderazione della situazione di fatto e degli elementi di diritto che avevano portato alla precedente determinazione. Da tale sostanziale diversita', in ordine sia ai presupposti che agli effetti di tali mezzi di riesame attribuiti alla p.a. (e segnatamente allo stesso organo che ha emanato il provvedimento oggetto di rivisitazione, poiche' "il potere di provvedere in via esclusiva su determinati affari comprende necessariamente e coerentemente anche quello dell'adozione del contrarius actus: Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1997, n. 424), discende la possibile coesistenza, in ordine ad un pregresso atto amministrativo, di una revoca e di un annullamento dello stesso. Ne' il disposto annullamento concreta un provvedimento elusivo delle pronunce cautelari emesse dal t.a.r. e dalla Commissione tributaria in quanto le stesse hanno avuto ad oggetto la suindicata revoca. Miglior sorte non puo' essere riservata alla seconda censura. Il comma 1, dell'art. 68, del d.P.R. 287 del 1992, non puo' essere interpretato, come preteso dalla societa' ricorrente, nel senso che il potere di annullamento in esso previsto sarebbe posto ad esclusivo presidio della posizione del contribuente, ossia che esso sia esercitabile soltanto quando costui ne tragga vantaggio. Difatti, tale norma prevede testualmente che "gli uffici dell'amministrazione finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, di propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell'atto", senza alcuna specificazione circa l'eliminabilita' dell'atto nella sola ipotesi in cui dalla stessa scaturisca un beneficio per i contribuenti. Ne' puo', in proposito, utilmente farsi riferimento all'intitolazione della disposizione, esplicitata con la "tutela dei diritti dei contribuenti" e con la "trasparenza dell'azione amministrativa", poiche' tali enunciazioni hanno una valenza meramente programmatica e quindi sono prive di quella portata precettiva che dovrebbe vincolare l'interprete nell'esegesi del contenuto della norma. D'altro canto, l'art. 2-quater, del d.-l. 564, ult. cit. - proprio con riferimento sia all'accertamento con adesione c.d. "a regime" ex art. 2-bis (abrogato dall'art. 17 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, e sostituito dall'art. 2 di detto decreto legislativo che ha introdotto un nuovo meccanismo di definizione del rapporto d'imposta) che a quello, contemplato dall'art. 3 (ricorrente nel caso di specie), relativo agli anni pregressi al 1994 - prevede espressamente che l'Amministrazione, nell'esercizio del potere di autotutela, possa annullare o revocare gli "atti illegittimi o infondati" e rimette a decreti del Ministro delle finanze l'indicazione degli organi all'uopo competenti. Anche il terzo motivo non appare suscettibile di avallo. L'istituto dell'accertamento con adesione, ex art. 3 ult. cit., costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un'analisi delle varie componenti dei redditi ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso; esso si perfeziona, ex comma 4, secondo periodo, dell'art. 2-bis, ult. cit., "con il pagamento delle maggiori somme dovute per effetto dell'adesione, che sono versate in base alle norme sull'autoliquidazione"; coerentemente, il successivo comma 5 (sostanzialmente riprodotto nel comma 1, dell'art. 8, del d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177, recante "norme per l'esecuzione dell'art. 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito nella legge 30 novembre 1994, n. 656, relativamente all'attivazione dell'accertamento con adesione del contribuente per gli anni pregressi al 30 settembre 1994" stabilisce che lo stesso non e' soggetto ad impugnazione, non e' integrabile o modificabile da parte dell'ufficio". Tale definizione e' tuttavia inammissibile, ex comma 2, dell'art. 2-bis, ult. cit.; "quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell'ufficio e' configurabile l'obbligo di denunzia all'autorita' giudiziaria per i reati di cui agli artt. 1, primo comma, 2, terzo comma, 3 e 4 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, e successive modificazioni", nonche' nell'ipotesi in cui "per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o risulta essere stata avviata l'azione penale". Dunque, la pur abile argomentazione svolta dalla ricorrente, secondo cui, una volta intervenuto l'accordo e quindi stipulato il patto fiscale, quest'ultimo sarebbe divenuto intangibile e percio' irretrattabile, non merita consenso, poiche' la sussistenza di una delle appena citate condizioni preclude ab origine l'ammissibilita' del procedimento di accertamento con adesione - rendendo invalidi sia la proposta che l'atto di adesione e quindi l'accertamento nella sua interezza - e legittima l'Amministrazione all'esercizio del potere di autotutela. Egualmente inaccoglibile e' il quarto motivo nella parte in cui si denunzia il vizio motivazionale che inficerebbe l'atto impugnato. Invero, la problematica dell'identificazione dell'oggetto del processo tributario ha suscitato, in dottrina ed in giurisprudenza, un ampio dibattito, nel quale sono venuti emergendo due indirizzi: quello secondo il quale tale processo va considerato come giudizio di impugnazione dell'atto, circoscritto, percio', alla verifica della legittimita' dello stesso, avuto riguardo, tra l'altro, all'adeguatezza della motivazione; e quello secondo il quale esso ha per oggetto il rapporto obbligatorio di imposta, nell'ambito del quale il giudice deve accertare la validita' dei presupposti della pretesa dell'amministrazione, assunti a fondamento del provvedimento impugnato. Orbene, il Collegio ritiene di dover optare per quest'ultimo orientamento, che sembra essersi definitivamente affermato a discapito dell'altro, aderendo, fra l'altro, all'opinamento espresso dalla impareggiabile Cass., ss.uu., 9 giugno 1989, n. 2786, secondo cui la giurisdizione tributaria, a differenza di quella amministrativa, non e' un processo di mero annullamento, coinvolgendo anche il rapporto tributario contro il quale l'attacco e' ammesso nei limiti segnati dall'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972 ... omissis ..., ancorche' il relativo giudizio "se necessariamente intermediato dall'impugnazione dell'atto attraverso il quale l'amministrazione finanziara formula la pretesa, costituente lo schermo da infrangere imprescindibilmente per giungere alla cognizione del rapporto (cfr. significativamente le sentenze nn. 1471 del 1980, 3047 del 1984, 661, 1419, 2246 del 1986, 4852 del 1987 e 5883 del 1988). Pertanto, pur volendosi ritenere sussistente una carenza motivazionale di carattere relativo (nel senso della incompleta esternazione delle ragioni dell'annullamento), cio' non comporterebbe la definizione del giudizio con una mera declaratoria di illegittimita' (e quindi con l'annullamento) dell'atto impugnato, dovendosi decidere la lite nel merito, ossia accertare la validita' sostanziale, o meno, del provvedimento de quo. Diversamente, una assoluta mancanza di motivazione - ricorrente nelle evenienze di totale assenza della stessa ovvero di una sua estrinsecazione in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio della determinazione amministrativa (c.d. motivazione apparente) o fra di loro inconciliabili o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (com'e' dato di rilevare, trattasi di "ipotesi scolastiche" - non puo' che comportare la declaratoria di nullita' dell'atto inficiato da una cosi' radicale invalidita', ossia da un difetto di forma indispensabile al raggiungimento dello scopo. E non puo' non rilevarsi la insussistenza, nel caso de quo, della detta illegittimita' formale poiche' il gravato provvedimento esprime compiutamente ed esaurientemente le ragioni del disposto annullamento, mediante la enunciazione della circostanza - consistente nell'asserita conoscenza, da parte dell'Ufficio, "di elementi per i quali era configurabile l'obbligo di denunzia all'autorita' giudiziaria per alcuni dei reati" indicati nel comma 2, dell'art. 2-bis, ult. cit. - che avrebbe determinato l'inammissibilita' dell'accertamento con adesione. Ne' la doglianza sarebbe suscettibile di avallo ove la si volesse intendere nei senso che l'Ufficio, nell'adottare l'atto impugnato, non avrebbe provato la detta circostanza. In effetti, sotto questo profilo deve ritenersi che il provvedimento amministrativo e' valido anche se non contiene gli elementi probatori dei fatti assunti dall'Amministrazione a sostegno della determinazione in esso contenuta; la allegazione dei mezzi istruttori appartiene, infatti, alla fase processuale, che interviene solo dopo l'opposizione del contribuente e cioe' quando si rende necessario verificare la sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento; l'atto emesso dall'Ufficio, in sostanza, ha carattere di provocatio ad opponendum e l'obbligo motivazionale deve ritenersi soddisfatto ogniqualvolta il contribuente sia posto in grado di conoscere la pretesa tributaria e quindi di contestarne efficacemente ed immediatamente la fondatezza e l'ammontare. In tal senso si e' pronunciata, in tema di accertamento dei redditi (il principio e' estensibile mutatis mutandis, alla fattispecie in esame), la suprema Corte (cfr. sent. 31 gennaio-2 settembre 1996, n. 7991, della Sez. I), che ha sapientemente osservato come: "la motivazione degli atti di accertamento serve sia a identificare a quali elementi esso si riferisce sia a renderne note al contribuente le ragioni, delimitando la materia del contendere dell'eventuale controversia che faccia seguito. Il detto requisito, quindi, come si e' osservato in dottrina, costituisce un minus rispetto alla prova della pretesa azionata. La motivazione deve dar conto della sequenza argomentativa su cui si fonda la rettifica, ma non ha l'obbligo di dimostrare, anche sul piano probatorio, l'effettiva esistenza di quanto l'ufficio afferma. E' sufficiente che essa indichi i fatti ipotizzati dall'ufficio, in guisa che il contribuente possa comprendere se, ed in quale misura, rispondono alla realta'". Vanno, a questo punto, vagliate le rimanenti censure contenute nel quarto motivo e quelle espresse con il quinto motivo, che - data la loro intima connessione - possono esaminarsi congiuntamente. Al riguardo, deve in limine osservarsi come non possa accedersi alla tesi espressa da Com. trib. prov. di Belluno, sez. I, 16 luglio 1997, n. 69, secondo cui con riferimento all'accertamento per adesione relativo alle annualita' anteriori al 1994 non sarebbe impeditiva dello stesso "l'esistenza di dati e notizie a conoscenza dell'Ufficio che potrebbero configurare l'obbligo di denuncia all'autorita' giudiziaria" ovvero la "presentazione di rapporto della Guardia di finanza" oppure "l'avvio dell'azione penale" il giudice bellunese ha basato la propria statuizione sull'assunto che "l'applicazione in via analogica della condizione prevista dall'art. 2-bis, secondo comma, per l'esperibilita' dell'accertamento con adesione "a regime" anche all'istituto disciplinato dall'art. 3 non appare ne' ragionevole, ne' conforme a legge, in ragione del carattere speciale di quest'ultimo", soggiungendo come non possa "ritenersi che il mancato richiamo espresso a tale condizione nell'art. 3, del d.-l. in esame, modificato dalla legge di conversione, sia una svista del legislatore o sia supplita dal generico richiamo dell'art. 2-bis", e ponendo in risalto che "lo stesso regolamento di attuazione dell'istituto disciplinato dal citato art. 3, approvato con d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177, non fa alcuna menzione alla condizione ostativa della esistenza di dati e notizie a conoscenza dell'Ufficio che possono configurare l'obbligo di denuncia all'autorita' giudiziaria o alla presentazione di rapporto alla Guardia di finanza o comunque all'avvio dell'azione penale". In effetti, il richiamo all'art. 2-bis, ult. cit. - in ordine alla definizione dei rapporti tributari "limitatamente alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994" contenuto in principio del comma 1 dell'art. 3, ult. cit. non puo' che essere inteso nel senso di un recepimento di tutte le condizioni di ammissibilita' - per accedere all'accertamento con adesione - previste dalla norma richiamata, ivi comprese quelle di cui al comma 2 della stessa. Cio' premessosi, il nucleo centrale delle doglianze in esame si sostanzia nella deduzione che al momento del perfezionamento dell'accertamento con adesione, ossia alla data del 10 luglio 1995 (in cui e' stato effettuato il pagamento delle maggiori somme dovute per effetto della intervenuta definizione agevolata), l'Ufficio non era a conoscenza di fatti penalmente rilevanti; la contribuente, sul punto, sostiene che, ove gli stessi fatti fosse stato possibile desumerli da "una nota della USL di Bari con allegata fotocopia della fattura n. 28 del 6 settembre 1991", la detta rilevanza penale non sarebbe comunque scaturita "dal semplice ricevimento" dei citati documenti "ma solo da un successivo, approfondito esame comparato di tutta la documentazione in possesso dell'amministrazione, compiuto soltanto molti mesi dopo l'arrivo della nota della USL e precisamente nell'ottobre 1995" (come emergerebbe dalle risultanze del procedimento penale in corso per gli stessi fatti alla luce delle quali questi ultimi sarebbero stati accertati in Vasto il 12 ottobre 1995), puntualizzando, in proposito, che cio' si rileverebbe anche dal verbale di constatazione n. 118 del 28 ottobre 1995. L'Ufficio resistente, dal suo canto, adduce che la suindicata nota della USL di Bari (cui era acclusa, in copia, la sopradetta fattura) sarebbe pervenuta all'Ufficio I.V.A. di Chieti l'8 luglio 1995 e che il funzionario quivi addetto, in quello stesso giorno, avrebbe "effettivamente esaminato e conosciuto" l'atto medesimo, individuandovi gli estremi per la prefigurabilita' dei reati ex artt. 1-4, del d.-l. 429/82; tale circostanza - osserva, ulteriormente, l'intimato - sarebbe "implicitamente dimostrata dal comportamento del contribuente stesso, che il primo giorno utile successivo a quella data (il lunedi' successivo)" (n.d.r.: 10 luglio 1995) "effettua il versamento della non indifferente somma di L. 6.000.000 circa (e avrebbe potuto attendere il 15 dicembre), con l'evidente intento di ''bruciare sul tempo'' l'Ufficio ed impedire il ritiro dell'atto inammissibile". L'ente assume altresi' che sarebbe all'uopo sufficiente "la ''possibilita''' della conoscenza concretizzata in questo caso dalla ''presenza fisica'' dell'atto in questione in ufficio, come si evince dal protocollo di arrivo". Tale assunto non appare condivisibile. In effetti, l'amministrazione intende far riferimento al concetto di "conoscibilita'" dell'atto in parola, con l'evidente scopo di cristallizzare la situazione al di' (8 luglio 1995) in cui esso e' pervenuto nella sfera del destinatario ancorche' quest'ultimo non ne abbia subito appreso il contenuto. Senonche', la norma di cui al comma 2, dell'art. 2-bis, ult. cit. fa esplicito riferimento ad elementi, dati e notizie "a conoscenza dell'ufficio", ossia gia' esaminati dallo stesso, tant'e' che per effetto di tale scrutinio dev'essere "configurabile l'obbligo di denunzia all'autorita' giudiziaria". In sostanza, cio' che rileva, ai fini della individuazione del limite temporale oltre il quale e' inammissibile la definizione de qua, e' l'avvenuta cognizione, da parte dell'organo tributario, della fattispecie penalmente rilevante. Tale interpretazione risulta peraltro conforme alla circolare 7 settembre 1995, n. 237/E-I/2/1646/95, della dir. centr. accertamento e programm., serv. I, div. II, del Ministero delle Finanze, laddove si precisa che esplica "piena efficacia l'adesione del contribuente qualora la conoscenza da parte degli uffici delle suddette fattispecie penalmente rilevanti si sia verificata successivamente al totale pagamento degli importi indicati nella proposta. In tal caso l'azione penale seguira' il suo corso, ma la definizione permane perfezionata ai fini fiscali". Al lume dei rilievi svoltisi, la risoluzione della controversia dipende dall'accertamento della circostanza se, come dedotto dal resistente, un funzionario (il cui nominativo non e' stato precisato) dell'Ufficio I.V.A. di Chieti abbia esaminato la suindicata nota della USL di Bari (cui era allegata una copia della fattura n. 28/91), ravvisandovi gli elementi costitutivi dei reati di cui agli artt. 1-4 cit.; deve puntualizzarsi, in proposito, che dalla nota dell'Ufficio I.V.A. di Chieti 11 ottobre 1995, prot. n. 25/Ris./95 (cfr. fascicolo di parte resistente) risulta che tale organo ha ritenuto sussistenti i detti reati ma dalla stessa non e' dato evincersi l'epoca in cui il documento sarebbe stato vagliato. E l'onere di provare tale circostanza incombe sull'Ufficio, in quanto - ex art. 2697, comma 2, c.c. - trattasi di fatto impeditivo del diritto della ricorrente a fruire della definizione agevolata del rapporto d'imposta. Al riguardo, deve rilevarsi come una siffatta circostanza possa essere dimostrata solo con una prova testimoniale, per mezzo delle dichiarazioni di soggetti che possano riferire (a) sull'effettiva disamina, in data 8 luglio 1995, da parte di un funzionario dell'Ufficio I.V.A. di Chieti, della pluricitata nota della U.S.L. di Bari e della fattura n. 28/91 ad essa allegata in copia nonche' (b) sull'avvenuta contestuale constatazione, ad opera del medesimo, della diversita' di quest'ultima da quella esistente agli atti della societa'. E tale mezzo istruttorio, si badi, non puo', nella fattispecie, essere surrogato da dichiarazioni rese per iscritto, ancorche' asseverate. Difatti, le dichiarazioni extraprocessuali provenienti da terzi non hanno alcuna valenza probatoria; neppure l'atto notorio, ove il dichiarante si assume le responsabilita' penali conseguenti alla falsita' delle proprie affermazioni, si sottrae a tale regola, avendo la giurisprudenza chiarito che esso "consistendo nella dichiarazione, resa fuori del processo, di essere a conoscenza di determinati fatti, non assurge al rango di prova e non vale quindi ad eludere la necessita' di provare, nelle forme e nei modi previsti dalle norme processuali, quei medesimi fatti, che altrimenti restano indimostrati" (conf., ex multis, Cass., sez. III, 14 dicembre 1993, n. 12328; anche nel processo amministrativo e' stato affermato lo stesso principio: cfr. t.a.r. Napoli, sez. II, 7 dicembre 1995, n. 484; Cons. Stato 21 febbraio 1983, n. 94; t.a.r. Ancona 29 settembre 1994, n. 266; t.a.r. Aquila 22 giugno 1995, n. 487; t.a.r. Catania, sez. III, 2 novembre 1992, n. 715; t.a.r. Palermo, sez. I, 29 dicembre 1986, n. 1277; t.a.r. Napoli, sez. I, 17 marzo 1987, n. 130; t.a.r. Aquila 13 aprile 1989, n. 189). Ed e' ineccepibile tale indirizzo giurisprudenziale poiche' l'esclusione di ogni efficacia probatoria di una siffatta dichiarazione - indipendentemente dall'interese che puo' animare il dichiarante - consegue inevitabilmente dalle modalita' di acquisizione degli atti notori; cosicche' essi "non hanno alcun valore nei confronti dell'autorita' giudiziaria, che deve assumere nel giudizio, e nel contraddittorio delle parti, le testimonianze delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti ai fini di causa" (Cass., sez. lav., 26 marzo 1984, n. 1979). Non ha avuto fortuna, in proposito, la dottrina, nettamente minoritaria (cfr. Taruffo, in "La prova dei fatti giuridici" Milano, 1992, pag. 355), che auspicava di conferire una dignita' probatoria a tali dati cartolari inquadrandoli nell'ambito delle cosiddette "prove atipiche", la tesi, difatti, e' stata inappuntabilmente ripudiata da quella estremamente piu' autorevole e maggioritaria (cfr. Nappi, "L'atto di notorieta' come prova documentale atipica", in "La Gazzetta Giuridica" Milano, n. 35 del 1997, pag. 9; Verde, voce "Prova documentale: diritto processuale civile" in "Enc. giur.", XXIV, 1991, pag. 5; Denti, voce "Prova documentale: diritto processuale civile" in "Enc. dir." XXXVII, 1988, pag. 716), dal cui pensiero si e' originato anche il suindicato pacifico e consolidato orientamento giurisprudenziale. Non possono, dunque, esservi dubbi sulla assoluta inutilizzabilita' di dichiarazioni rese da terzi (quali potrebbero essere, ad es., nel caso de quo quelle provenienti da funzionari dell'Ufficio I.V.A. di Chieti). Non meritano, pertanto, consenso quelle isolate pronunce di organi giurisdizionali tributari che hanno valorizzato le dichiarazioni extraprocessuali scritte, sull'assunto di una loro sostanziale equivalenza alla prova documentale, valutandone il contenuto e ritenendole probatoriamente efficaci (cfr. Com. trib. centr., sez. XXII, 29 ottobre 1990, n. 7073; Com. trib. primo grado di Matera, sez. I, 28 marzo 1989, n. 969; Com. trib. primo grado di Treviso 9 luglio 1987, n. 748). Com'e' noto, la prova testimoniale e' espressamente esclusa dall'ambito dei mezzi istruttori esperibili nel processo tributario, innovato dal d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546. In effetti, in tale giudizio e' ammessa la sola prova documentale, ex artt. 22, comma 4, 23, comma 2, e 32, comma 1, del citato testo legislativo; quanto ai poteri di investigazione d'ufficio, al lume del disposto di cui all'art. 7 dello stesso ordinamento processuale, le commissioni tributarie: "esercitano tutte le facolta' di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta" (comma 1); "possono" - quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessita' - "richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica" (comma 2); nonche' possono "ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia" (comma 3). Il comma 4 dell'art. 7 cit. sancisce, invece, il divieto di acquisizione della prova testimoniale, disponendo testualmente che: "Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale". Tale limitazione probatoria si appalesa contrastante con i principi di rango costituzionale espressi dagli artt. 3, 24 e 53 della Carta fondamentale. Quanto ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 cit., non possono non ritenersi sussistenti: a) la disparita' di trattamento fra le parti contendenti, poiche' - essendo inibito all'intimato di addurre l'unico mezzo istruttorio con cui provare la suindicata circostanza, che si rivela qundi imprescindibile per tutelare il proprio interesse - la posizione processuale del medesimo e' ingiustificatamente penalizzata rispetto a quella della ricorrente; b) la compromissione del diritto di difesa - al quale, naturalmente, e' intimamente connesso quello alla prova - dell'Amministrazione Finanziaria, per essere la stessa impossibilitata a dimostrare la causa ostativa del concordato di massa, costituita dall'avvenuta conoscenza da parte dell'organo tributario dei fatti penalmente rilevanti di cui al comma 2, dell'art. 2-bis, ult. cit. In sostanza, il mancato espletamento della prova testimoniale si risolverebbe ineluttabilmente nella soccombenza dell'ente impositore. Viceversa, ove venissero acquisite le deposizioni testimoniali e le risultanze di esse fossero favorevoli all'amministrazione, le ragioni sostanziali di quest'ultima verrebbero salvaguardate; diversamente, le stesse rimarrebbero irrimediabilmente vanificate. Negare, pertanto, l'ingresso della prova testimoniale significherebbe pregiudicare - in maniera irragionevole ed arbitraria - il diritto di difesa dell'ente. In via conseguenziale, appare vulnerato anche il principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione (Corte Costituzionale 30 luglio 1997, n. 291), in quanto la suevidenziata inibizione istruttoria determina una lesione dell'interesse pubblico (che si produrrebbe concretamente nel caso in cui il giudizio, in conseguenza dell'ammissione della citata prova per testi e dell'esito positivo della stessa per l'amministrazione resistente, si risolvesse a favore di quest'ultima) per effetto della diminuzione del gettito tributario, derivante dalla intangibilita' dell'accertamento con adesione de quo. Ne' varrebbe obiettare che nella specie trattasi di una scelta insindacabile del legislatore, il quale, nel bilanciamento degli interessi in giuoco nel processo tributario, avrebbe operato una valutazione di netto disfavore per una prova, qual'e' quella testimoniale, che potrebbe essere il frutto di concertazioni preordinate e fraudolente. In effetti, nelle situazioni processuali come quella de qua precludere alla parte la utilizzazione dell'unico strumento probatorio attraverso il quale dimostrare una circostanza fondamentale per salvaguardare il proprio interesse sostanziale si traduce, in concreto, nella privazione del mezzo di tutela giurisdizionale. D'altronde, rientra negli istituzionali compiti del giudice l'apprezzamento del materiale istruttorio - per cui al medesimo appartiene anche la valutazione sull'attendibilita' delle deposizioni testimoniali - e la scelta delle fonti del proprio convincimento. Ed e' ovvio, attesa la estrema rilevanza dell'interesse pubblicistico coinvolto nel giudizio tributario, che, in un siffatto contesto processuale, le dichiarazioni dei testi dovranno essere vagliate con particolare prudenza e con la dovuta cautela, nonche' armonizzate - per quanto possibile - con le altre risultanze istruttorie. Le considerazioni svoltesi danno conto della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del comma 4, dell'art. 7, del d.lgs. 546 ult. cit. - per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. - nella parte in cui sancisce l'inammissibilita' della prova testimoniale nel processo tributario anche quando tale mezzo istruttorio - secondo la motivata valutazione del giudice - si riveli indispensabile per dimostrare un fatto decisivo ai fini della risoluzione della controversia in senso favorevole alla parte interessata. Per evitare che il presente incidente di costituzionalita' subisca la infausta sorte riservata all'ordinanza emessa il 29 maggio 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Brescia, iscritta al n. 729 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1997, la cui questione di legittimita' costituzionale, analoga a quella in esame, e' stata dichiarata - con ordinanza del giudice delle leggi n. 249 del 30 giugno/3 luglio 1998 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 27 dell'8 luglio 1998) - manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto il giudice a quo aveva omesso "qualsiasi cenno sulla richiesta di prova testimoniale" il collegio osserva che l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto, nella propria memoria difensiva depositata il 6 aprile 1998; ha sostanzialmente formulato l'istanza di ammissione della prova testimoniale, avendo dedotto che le circostanze (1) della disamina, in data 8 luglio 1995, della nota della USL di Bari e dell'allegata copia della fattura n. 28/1991 e (2) della contemporanea verifica della difformita' fra quest'ultima e quella risultante dalla contabilita' (ufficiale) della societa' ricorrente possono essere dimostrate mediante l'audizione del funzionario dell'Ufficio I.V.A. di Chieti che ha provveduto all'espletamento di tali incombenze. La detta richiesta probatoria deve conseguentemente ritenersi ritualmente proposta dall'intimato. La stessa, pero', allo stato non puo' essere ammessa, atteso l'anzidetto esplicito veto stabilito dalla normativa processuale. Occorre, a tal punto, doverosamente, esaminare brevemente la giurisprudenza costituzionale sinora formatasi sul divieto di assunzione di prova testimoniale nel processo tributario al fine di verificare se la stessa abbia gia' risolto in senso negativo la questione di costituzionalita' che si intende sollevare in questa sede. Con sentenza n. 128 del 1972 nonche' con ordinanze n. 506 del 1987, n. 108 del 1990, n. 6 del 1991 e n. 328 del 1992 la Corte ha ritenuto la infondatezza della questione sul duplice presupposto che "il solo fatto della esclusione di un mezzo di prova come quello della testimonianza non costituisce di per se' violazione del diritto di difesa" e che "le modalita' dell'esercizio del diritto di difesa possono essere dal legislatore, nella sua discrezionalita', diversamente regolate in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti". Con ordinanza n. 76 del 1989 il sospetto di incostituzionalita' non ha avuto miglior sorte; la ratio della declaratoria di manifesta infondatezza stavolta e' consistita nel rilievo che il fatto da provarsi "poteva essere facilmente dimostrato mediante l'esibizione o l'acquisizione di apposita documentazione". Dunque, il giudice costituzionale, quando ha dovuto - con la ord. n. 76/1989 da ultimo citata - affrontare la tematica sotto il profilo della inevitabilita', o meno, dell'esperimento istruttorio ai fini dell'acquisizione probatoria di un determinato fatto, ha giudicato non indispensabile la prova testimoniale siccome la circostanza che avrebbe dovuto formarne oggetto era, in modo agevole, documentalmente dimostrabile. Si tratta, quindi, di una verifica sulla indispensabilita' o meno delle dichiarazioni testimoniali per provare un fatto essenziale, ai fini dell'esito della lite tributaria, non altrimenti assumibile con l'ausilio di altri mezzi istruttori. E la Sezione ritiene - sulla base delle suesposte argomentazioni - che, nella fattispecie in esame, tale verifica non puo' che essere positiva (nel senso della assoluta necessita' dell'espletamento della prova per testi). Egualmente meritevole di essere sottoposta allo scrutinio di costituzionalita' si appalesa la questione prospettata dalla ricorrente nel sesto motivo circa la mancata previsione nel comma 2, dell'art. 2-bis, e nell'art. 3 del d.-l. 564/1994 convertito in legge 656/1994 che le cause di inammissibilita' del concordato di massa ivi contemplate vengano meno quando il procedimento penale a carico del contribuente interessato (per i reati di cui agli artt. da 1 a 4, del d.-l. 429/1982 convertito in legge n. 516/1982) - gia' pendente ovvero promosso a seguito (a) della denunzia di cui al primo periodo del comma 2 cit. oppure (b) della presentazione del rapporto da parte della Guardia di finanza di cui al secondo periodo, prima proposizione, della norma stessa - venga archiviato oppure si definisca con sentenza di proscioglimento o di assoluzione. Sembrano, in concreto, violati i precetti di cui agli artt. 3 e 27 Cost., conformemente a quanto opinato dalla Commissione tributaria provinciale di Verbania con la pregevole ordinanza emessa il 9 luglio 1997 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 43 del 22 ottobre 1997. In effetti, il soggetto sottoposto a procedimento penale, in veste di indagato (prima della eventuale richiesta di rinvio a giudizio formulata dal p.m.) ovvero di imputato (successivamente alla predetta richiesta, ex art. 60 c.p.p.), gode della presunzione d'innocenza, ex art. 27, comma 2, Cost., "sino alla condanna definitiva". Orbene, e' oltremodo evidente che questa sua qualita', avente una rilevanza esclusivamente processuale, non puo' definitivamente precludergli la fruizione della definizione agevolata del rapporto d'imposta prevista dalla suindicata normativa fiscale. Tale preclusione sarebbe, difatti, giustificata soltanto in presenza di una sentenza irrevocabile di colpevolezza. Diversamente, verrebbe a crearsi anche una irragionevole ed arbitraria diseguaglianza - con conseguenziale configurabilita' di una palese disparita' di trattamento - fra i contribuenti assoggettati a procedimento penale in conseguenza di errori, di valutazione commessi dagli organi inquirenti, ovvero condannati, con decisioni soggette ad impugnazione, e poi assolti, in sede di gravame, e coloro che non vi sono stati affatto sottomessi per effetto di corretti apprezzamenti operati dagli stessi organi.
P. Q. M. Visti gli artt. 1, della legge costitizionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 4, dell'art. 7, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (attuativo della delega per la revisione del contenzioso tributario, contenuta nell'art. 30, legge 30 dicembre 1991, n. 413), per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, nella parte in cui prevede indiscriminatamente l'inammissibilita della prova testimoniale nel processo tributario e quindi anche quando tale mezzo istruttorio - secondo la motivata valutazione del giudice - si riveli indispensabile per dimostrare un fatto decisivo ai fini della risoluzione della controversia in senso favorevole alla parte interessata; Dichiara, altresi', rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settombre 1994, n. 564, convertito in legge, con modificazioni, con legge 30 novembre 1994, n. 656, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che le cause di inammissibilita' dell'accertamento con adesione (per gli anni pregressi al 1994) ivi contemplate non siano piu' ostative del beneficio quando il procedimento penale a carico del contribuente interessato (per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 del d.-l. n. 429/1982 convertito in legge n. 516/1982) - gia' pendente ovvero promosso a seguito (a) della denunzia di cui al primo periodo del comma 2 cit. oppure (b) della presentazione del rapporto da parte della Guardia di finanza di cui al secondo periodo, prima proposizione, della norma stessa - venga archiviato oppure si definisca con sentenza di proscioglimento o di assoluzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria, alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Cosi deciso in Chieti, nella camera di consiglio del 17 aprile 1998. Il presidente: Quinzio Il giudice-estensore: Gialloreto 98C1254