N. 865 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 ottobre 1998

                                N. 865
  Ordinanza  emessa  l'8  ottobre  1998  dal  tribunale di Locri nella
 procedura fallimentare a carico di Alvaro Vincenzo
 Fallimento - Revoca della dichiarazione di  fallimento  con  sentenza
    passata  in  giudicato  -  Omessa indicazione, nella sentenza, del
    soggetto che abbia dato causa al fallimento -  Liquidazione  delle
    spese  di  procedura - Prelievo delle stesse dall'attivo acquisito
    al fallimento prima della sua restituzione  all'avente  diritto  -
    Mancata  previsione  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto alla
    disciplina degli effetti degli  atti  compiuti  dagli  organi  del
    fallimento   -   Irragionevolezza   -  Lesione  del  principio  di
    eguaglianza - Violazione del principio  di  buon  andamento  della
    p.a.
 Fallimento  -  Revoca  della dichiarazione di fallimento con sentenza
    passata in giudicato - Omessa  indicazione,  nella  sentenza,  del
    soggetto  che  abbia  dato  causa al fallimento - Liquidazione del
    compenso dovuto  al  curatore  -  Prelievo  del  relativo  importo
    dall'attivo  acquisito  al fallimento prima della sua restituzione
    all'avente  diritto  -  Mancata   previsione   -   Disparita'   di
    trattamento   rispetto   all'ipotesi   in   cui  il  provvedimento
    concernente tale liquidazione intervenga prima  del  passaggio  in
    giudicato  della  sentenza  di revoca - Irragionevolezza - Lesione
    del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di azione  -
    Incidenza sulla tutela del diritto al lavoro.
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 21, primo comma).
 (Cost.,  artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 35, primo comma e 97,
    primo comma).
(GU n.49 del 9-12-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato d'ufficio la seguente ordinanza ex artt. 1, legge  9
 febbraio  1948, n. 1, e 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n.  87,
 nella procedura fallimentare (Reg. Fall. 924/1996) a carico di Alvaro
 Vincenzo;
                            P r e m e s s o
   1. -  Questo  tribunale  con  sentenza  del  12  dicembre  1996  ha
 dichiarato  il  fallimento  di  Alvaro Vincenzo titolare dell'omonima
 ditta  individuale  e  poi  con  sentenza  del  19   febbraio   1998,
 accogliendo  l'opposizione proposta ex art. 18 r.d. 16 marzo 1942, n.
 267,  ha  revocato  il  fallimento  predetto;  il  dispositivo  della
 sentenza  di  revoca,  passata  in  giudicato,  non  contiene  alcuna
 statuizione  circa il soggetto che con il proprio comportamento abbia
 dato causa alla dichiarazione di fallimento.
   2. - Tra la data di dichiarazione e quella di revoca del fallimento
 sono state affrontate delle spese di  procedura  ed  il  curatore  ha
 espletato  l'attivita' di sua competenza, sicche' questo tribunale ai
 sensi dell'art. 21, secondo comma 1.f.  -  su  istanza  del  curatore
 depositata  l'8  ottobre  1998  -  con decreto dell'8 ottobre 1998 ha
 liquidato le spese ed il compenso teste' indicati rispettivamente  in
 L.  2.538.000  ed  in L. 5.565.000 oltre c.a.p. ed i.v.a.; si precisa
 che le spese liquidate si riferiscono ad atti interni necessari a far
 andare avanti la  procedura  fallimentare  e,  pertanto,  sono  state
 prenotate a debito ex art. 91 1.f.
   Attualmente  la  procedura  sul  proprio conto bancario ha un saldo
 attivo di L. 11.866.577.
                             O s s e r v a
   Va sollevata d'ufficio la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  21,  primo  comma  del  r.d.  16  marzo  1942,  n. 267, in
 riferimento:
     agli  artt.  3,  primo  comma  e  97,  primo  comma  della  Carta
 costituzionale  nella  parte  in  cui  non  prevede  che,  qualora il
 fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato e qualora
 in tale sentenza non sia individuato  il  soggetto  che  con  il  suo
 comportamento  abbia  dato causa alla dichiarazione di fallimento, le
 spese  di  procedura  debbano   essere   pagate   mediante   prelievo
 dall'attivo  acquito  al  fallimento  prima  della  sua  restituzione
 all'avente diritto;
     agli artt. 3, primo comma, 24, primo  comma  e  35,  primo  comma
 della  Costituzione  nella  parte  in cui non prevede che, qualora il
 fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato e qualora
 in tale sentenza non sia individuato  il  soggetto  che  con  il  suo
 comportamento  abbia  dato causa alla dichiarazione di fallimento, il
 compenso  al  curatore  debba   essere   pagato   mediante   prelievo
 dall'attivo  acquisito  al  fallimento  prima  della sua restituzione
 all'avente diritto.
   1. - Rilevanza della questione nella procedura fallimentare.
   La  questione  appare   rilevante   nell'ambito   della   procedura
 fallimentare in parola.
   Invero,  l'art.  21,  1.f.  sancisce  che,  in caso di revoca della
 dichiarazione di fallimento, le spese di procedura ed il compenso  al
 curatore  sono  liquidati  dal  tribunale  e  sono posti a carico del
 creditore  istante  che  e'  stato  condannato  ai  danni  per   aver
 colposamente  chiesto  il fallimento ovvero a carico di colui, che ha
 subito la dichiarazione di fallimento e che ha dato causa alla stessa
 con il proprio comportamento.
   Inoltre, la norma richiamata prevede che, qualora il giudice  della
 revoca  del  fallimento  non statuisca in ordine alla responsabilita'
 della  dichiarazione  di  fallimento,  il  compenso  al  curatore  va
 corrisposto  secondo  la  legge  speciale n. 995, del 10 luglio 1930;
 tuttavia,  si  rileva  che  tale  normativa  e'  stata  abrogata  dal
 D.L.C.P.S. 23 agosto 1946, n. 153, e non e' stata sostituita da altra
 legge ad hoc.
   Orbene,  nel caso di specie il tribunale con decreto dell'8 ottobre
 1998 ha provveduto a liquidare le spese di procedura  e,  su  istanza
 del  curatore, il compenso di costui senza poter indicare il soggetto
 obbligato al pagamento dei relativi importi, in quanto nella sentenza
 di revoca del 19 febbraio 1998 non e' stato individuato  il  soggetto
 (creditori  istanti e/o debitore) che con il proprio comportamento ha
 colposamente dato causa alla dichiarazione di fallimento.
   Ne consegue che lo Stato per il recupero delle spese  di  procedura
 prenotate  a  debito ex art. 91, 1.f. ed il curatore per il pagamento
 del suo compenso non possono agire nei confronti di alcuno, in quanto
 manca del tutto il soggetto obbligato.
   E' appena il caso di evidenziare che per il pagamento del  compenso
 al curatore non si puo' far ricorso all'art. 91, 1.f., in quanto tale
 norma  e'  costantemente  interpretata dalla giurisprudenza nel senso
 che sull'erario possono  gravare  solo  ed  esclusivamente  le  spese
 relative  al  compimento  degli atti necessari a far andare avanti la
 procedura fallimentare e non anche gli importi di natura retributiva,
 fra i quali senza dubbio e' compreso il compenso al curatore.
   Ne' si puo' ritenere che il  tribunale,  in  sede  di  liquidazione
 delle  spese  di  procedura  e  del  compenso al curatore ex art. 21,
 secondo comma legge fallimentare, abbia il potere di  individuare  il
 soggetto    colposamente   responsabile   della   dichiarazione   del
 fallimento, in quanto per orientamento giurisprudenziale costante  il
 giudice  dell'opposizione  ex  art. 18, l.f. ha competenza funzionale
 esclusiva  in  ordine   alla   cognizione   e   dichiarazione   della
 responsabilita'  in  parola  (ex  multis:   Cass. 23 ottobre 1993, n.
 10556, Cass. 8 febbraio 1990, n. 875, Cass.  1 giugno 1989, n.  2663,
 Cass. 26 febbraio 1979, n. 1254).
   2. - Non manifesta infondatezza della questione.
   La   questione  appare  non  manifestamente  infondata  per  quanto
 riguarda sia le spese di procedura che il compenso al curatore.
     a) Spese di procedura.
   L'art. 21, primo comma legge fallimentare si pone in contrasto  con
 gli artt. 3, primo comma e 97, primo comma della Costituzione.
   La  violazione  dell'art.  3,  primo comma risulta dal fatto che la
 norma censurata disciplina in modo differente gli effetti degli  atti
 legalmente  compiuti  dagli  organi del fallimento e le spese occorse
 per porre in essere  tali  atti;  infatti,  in  caso  di  revoca  del
 fallimento,  l'art.  21,  primo  comma, l.f sancisce l'intangibilita'
 solo degli effetti degli atti e non anche delle spese incontrate  per
 il loro compimento.
   Tale  disparita'  di trattamento risulta del tutto irragionevole ed
 ingiustificata, in quanto gli effetti e  le  spese  in  questione  si
 riferiscono   agli   stessi   atti   di  procedura  e  sono  fenomeni
 strettamente legati  fra  loro  da  un  rapporto  di  interdipendenza
 reciproca:  al riguardo e' sufficiente evidenziare che da un lato gli
 effetti di  un  atto  non  possono  esplicarsi  se  mancano  i  fondi
 necessari a far nascere giuridicamente l'atto stesso; dall'altro lato
 le  spese  sono  un  elemento  essenziale  per  compiere  un atto che
 esplichi effetti nella procedura fallimentare.
   Inoltre,  si  ritiene  che  tale   ingiustificata   disparita'   di
 disciplina  normativa  emerga  in  tutta  la  sua  evidenza sol se si
 consideri che, in caso di revoca della dichiarazione  di  fallimento,
 l'ex fallito da un canto "sopporta" gli effetti degli atti legalmente
 adottati  e dall'altro canto non e' "gravato" degli esborsi impiegati
 per compiere tali atti.
   La violazione dell'art. 97, primo comma si  concretizza  nel  fatto
 che in caso di revoca del fallimento e di mancata pronuncia in ordine
 alla   responsabilita'  della  sua  dichiarazione,  poiche'  l'attivo
 acquisito dev'essere restituito  immediatamente  all'avente  diritto,
 gli  importi  anticipati e/o prenotati a debito a mente dell'art. 91,
 l.f.  non  possono  essere  recuperati  e   gravano   definitivamente
 sull'erario.
   Al   contrario  il  principio  costituzionale  del  buon  andamento
 dell'attivita' della pubblica amministrazione impone di  far  gravare
 sullo  Stato  solo  le spese necessarie a mandare avanti la procedura
 fallimentare  verso  il  suo  fine   naturale   rappresentato   dalla
 liquidazione   dell'attivo   e   dalla  soddisfazione  dei  creditori
 concorsuali; opinare diversamente significa  ritenere  che  lo  Stato
 debba sopportare le spese di una procedura divenuta in concreto priva
 di  rilevanza  pubblica,  in  quanto  la  stessa  e' stata attinta da
 giudizio positivo di revoca ex art.  18, l.f.
     b) Compenso al curatore.
   L'art. 21, l.f. si pone in contrasto con gli artt. 3, primo  comma,
 24, primo comma e 35, primo comma della Costituzione.
   (La violazione dell'art. 3, primo comma Costituzione si concretizza
 nel  fatto  che  il  provvedimento  di  liquidazione  del compenso al
 curatore, qualora venga adottato prima  del  passaggio  in  giudicato
 della  sentenza  di  revoca che non contenga alcuna statuizione sulla
 responsabilita' della dichiarazione di fallimento, esplica in pieno i
 suoi  effetti  giuridici  e,  pertanto,  l'importo  liquidato   viene
 materialmente  corrisposto al curatore; invece, tale provvedimento di
 liquidazione, qualora venga emesso dopo  il  passaggio  in  giudicato
 della  sentenza  di  revoca  che  non dichiari la responsabilita' per
 colpa di alcuno circa l'intervenuto fallimento,  non  puo'  esplicare
 alcun  effetto  giuridico  ed  e'  inutiliter dato in quanto manca il
 soggetto obbligato al pagamento del compenso e ne' tale soggetto puo'
 essere individuato dal collegio in sede di liquidazione ex  art.  21,
 secondo  comma  l.f.,  atteso  che al riguardo sussiste la competenza
 funzionale esclusiva del giudice della revoca del fallimento.
   In  altre  parole,  si  riscontra  una  palese,  ingiustificata  ed
 irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra il curatore, che veda
 liquidato il proprio compenso prima del passaggio in giudicato  della
 sentenza  di revoca priva della statuizione di responsabilita', ed il
 curatore il cui compenso venga liquidato dopo tale momento, in quanto
 solo nella prima ipotesi  e  non  anche  nella  seconda  il  curatore
 percepisce   il   proprio   compenso  mediante  prelievo  dall'attivo
 acquisito alla procedura;  eppure  non  v'e'  chi  non  veda  che  in
 entrambi  i  casi  il  curatore  ha  espletato  la  propria attivita'
 d'ufficio ed ha compiuto gli atti di procedura volti a  soddisfare  i
 creditori concorsuali.
   In ogni caso si rimarca che il compenso al curatore non puo' essere
 posto  a  carico  dell'erario  ai sensi dell'art. 91, l.f., in quanto
 tale norma consente di effettuare anticipazioni  solo  per  le  spese
 relative  all'adozione  di  atti interni necessari a far camminare la
 procedura.
   Il  contrasto  con l'art. 24, primo comma, Costituzione risulta dal
 fatto che il curatore,  qualora  il  fallimento  venga  revocato  con
 sentenza passata in giudicato senza alcuna statuizione in ordine alla
 responsabilita'  della  sua  dichiarazione,  non  puo'  conseguire il
 pagamento del proprio compenso, in quanto non e' stato individuato il
 soggetto obbligato e neppure puo'  instaurare  un  autonomo  giudizio
 ordinario   volto  ad  individuarlo;  infatti,  l'accertamento  della
 responsabilita' in ordine alla  dichiarazione  di  fallimento  e'  di
 competenza esclusiva del giudice della revoca.
   Ne  consegue  che  il  diritto del curatore a percepire il compenso
 resta privo di tutela giuridica e  non  puo'  essere  in  alcun  modo
 azionato.
   La  violazione  dell'art.  35,  primo comma Costituzione emerge dal
 fatto che nella fattispecie concreta sub iudice il curatore,  benche'
 abbia   svolto  l'attivita'  d'ufficio  nell'ambito  della  procedura
 fallimentare sino al passaggio in giudicato della sentenza di revoca,
 non vede in alcun modo tutelato il proprio diritto  di  percepire  il
 compenso;  eppure  il  lavoro  svolto  dal  curatore  dovrebbe essere
 riguardato e considerato alla stregua di  qualsiasi  altra  attivita'
 lavorativa,  in quanto in base al parametro costituzionale richiamato
 il lavoro e' tutelato "... in tutte le sue forme ed applicazioni ..."
 e, cioe', sia esso autonomo che subordinato.
                               P. Q. M.
   1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  la  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 21, primo comma del r.d.  16
 marzo 1942, n. 267, in riferimento:
     agli  artt.  3,  primo  comma  e  97,  primo  comma  della  Carta
 costituzionale nella  parte  in  cui  non  prevede  che,  qualora  il
 fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato e qualora
 in  tale  sentenza  non  sia  individuato  il soggetto che con il suo
 comportamento abbia dato causa alla dichiarazione di  fallimento,  le
 spese   di   procedura   debbano   essere  pagate  mediante  prelievo
 dall'attivo acquisito al  fallimento  prima  della  sua  restituzione
 all'avente diritto;
     agli  artt.  3,  primo  comma,  24, primo comma e 35, primo comma
 della Costituzione nella parte in cui non  prevede  che,  qualora  il
 fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato e qualora
 in  tale  sentenza  non  sia  individuato  il soggetto che con il suo
 comportamento abbia dato causa alla dichiarazione di  fallimento,  il
 compenso   al   curatore   debba   essere  pagato  mediante  prelievo
 dall'attivo acquisito al  fallimento  prima  della  sua  restituzione
 all'avente diritto;
   2)   Sospende   la   procedura  fallimentare  in  corso  ed  ordina
 trasmettersi - a cura della cancelleria - gli atti di procedura  alla
 Corte costituzionale;
   3)  Dispone  che  copia  della  presente  ordinanza  - a cura della
 cancelleria - sia notificata ad Alvaro Vincenzo, al  curatore  ed  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti
 della Camera e del Senato.
   Cosi' deciso in Locri, nella camera di consiglio  del  Tribunale  -
 sezione fallimentare, addi 8 ottobre 1998.
                       Il presidente: Frammartino
                                             L'estensore: Mastropasqua
 98C1316