N. 410 SENTENZA 10 - 16 dicembre 1998

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Procedimento  penale  in  genere  -  Atti  di  polizia giudiziaria -
 Opposizione  del  segreto  di  Stato  -   Illegittima   utilizzazione
 documentale   e   lesione   delle   attribuzioni   costituzionalmente
 riconosciute al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  in  tema  di
 tutela  del  segreto  di  Stato  -  Non  spettanza  al p.m. presso il
 tribunale di Bologna rinnovare la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio
 utilizzando  fonti  di  prova  acquisite in violazione del segreto di
 Stato, gia'  accertata,  con  sentenza  della  Corte  n.  110/1998  -
 Annullamento della richiesta di rinvio a giudizio del 5 maggio 1998.
 
(GU n.51 del 23-12-1998 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
 Giudici: prof. Giuliano VASSALLI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,    prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,
  dott.  Riccardo CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Piero
 Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con ricorso del Presidente del Consiglio dei
 Ministri notificato il 20 luglio 1998, depositato in  Cancelleria  il
 25  successivo  per  conflitto  di  attribuzione  nei  confronti  del
 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, sorto  a
 seguito  della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio avanzata in data 5
 maggio 1998 nei confronti di funzionari del SISDE e di funzionari  di
 polizia  che con essi avevano collaborato, e basata su fonti di prova
 incise dal segreto di Stato opposto dal Presidente del Consiglio  dei
 Ministri  ex art. 12 legge 24 ottobre 1977, n. 801, ed iscritto al n.
 21 del registro conflitti 1998.
   Visto l'atto  di  costituzione  del  Procuratore  della  Repubblica
 presso il Tribunale di Bologna;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1998 il giudice relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi   l'Avvocato   dello   Stato  Ignazio  F.  Caramazza  per  il
 ricorrente,  e  i  dott.ri  Ennio   Fortuna   e   Paolo   Giovagnoli,
 rispettivamente  Procuratore e Sostituto Procuratore della Repubblica
 presso il Tribunale di Bologna.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso del 10 luglio 1998, depositato il 14 luglio  1998,
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri ha sollevato, previa la
 necessaria deliberazione del Consiglio dei ministri assunta  in  data
 26  giugno 1998, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei
 confronti del pubblico ministero, in persona  del  Procuratore  della
 Repubblica   presso  il  Tribunale  di  Bologna,  in  relazione  alla
 richiesta di rinvio a giudizio formulata in data 5  maggio  1998  nei
 confronti  di funzionari del SISDE e di funzionari di polizia che con
 i primi avevano collaborato, e che si assume basata su fonti di prova
 incise  dal segreto di Stato opposto dal Presidente del Consiglio dei
 Ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801  (Istituzione
 e  ordinamento  dei  servizi  per  le  informazioni  e la sicurezza e
 disciplina del segreto di Stato).
   Il ricorrente premette di aver gia' sollevato, con ricorso  del  25
 novembre   1997,   depositato  il  26  novembre  1997,  conflitto  di
 attribuzione tra  poteri  dello  Stato  nei  confronti  del  pubblico
 ministero,  in  persona  del  Procuratore  della Repubblica presso il
 Tribunale di Bologna, in relazione ad  attivita'  istruttoria  svolta
 nei  confronti  di  funzionari  del  SISDE e di polizia, e diretta ad
 acquisire elementi di conoscenza su circostanze incise dal segreto di
 Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio dei  Ministri,
 ex art. 12 della legge n.  801 del 1977.
   La  Corte, con ordinanza n. 426 del 1997, dichiarava ammissibile il
 conflitto proposto e, successivamente, con sentenza n. 110 del  1998,
 dichiarava  non  spettare  al  pubblico  ministero,  in  persona  del
 Procuratore della Repubblica presso  il  Tribunale  di  Bologna,  ne'
 acquisire,  ne'  utilizzare,  sotto  alcun  profilo,  direttamente  o
 indirettamente, atti o  documenti  sui  quali  era  stato  legalmente
 opposto  e  confermato  dal  Presidente del Consiglio dei Ministri il
 segreto di Stato, ne' trarne comunque occasione di indagine  ai  fini
 del  promovimento dell'azione penale, annullando conseguentemente gli
 atti di indagine compiuti sulla base di fonti di  prova  coperte  dal
 segreto  di  Stato,  nonche'  la  sopravvenuta  richiesta di rinvio a
 giudizio.
   Il ricorrente  sostiene  che,  a  se'guito  di  tale  sentenza,  il
 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, al quale
 gli   atti  erano  stati  restituiti  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari, nel reiterare la richiesta di rinvio a  giudizio  si  e'
 limitato  ad eliminare da questa i riferimenti ai documenti trasmessi
 dalla Questura di Bologna.
   Ad  avviso  del  ricorrente,  tale  nuova  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio,   non  ottemperando  alla  sentenza  della  Corte  ed  anzi
 eludendone il disposto, riproporrebbe l'esorbitanza dai poteri propri
 del Procuratore della Repubblica  gia'  in  precedenza  censurata,  e
 pertanto   il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  previa  la
 prescritta deliberazione assunta il 26 giugno 1998 dal Consiglio  dei
 ministri,  ha sollevato un nuovo conflitto di attribuzione, deducendo
 la violazione  degli  artt.  1,  5,  52,  87,  94,  95  e  126  della
 Costituzione, con riguardo agli artt.  12 e 16 della legge 24 ottobre
 1977,  n.  801,  nonche'  agli  artt.  202,  256  e 362 del codice di
 procedura penale, per sentire dichiarare che non spetta  al  pubblico
 ministero di avvalersi per una richiesta di rinvio a giudizio di atti
 di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal segreto
 di  Stato  e  comunque  gia' annullati dalla Corte, e per chiedere il
 conseguente annullamento della richiesta di rinvio a giudizio  del  5
 maggio 1998.
   2.  - Con provvedimento in data 14 luglio 1998, il Presidente della
 Corte ha accolto la formale istanza del ricorrente volta ad  ottenere
 la segretazione dei documenti indicati nel ricorso, che il ricorrente
 medesimo si riservava di produrre.
   3.  -  Con  l'ordinanza n. 266 del 1998, la Corte costituzionale ha
 dichiarato l'ammissibilita' del conflitto  sollevato  dal  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  nei  confronti  del  Procuratore della
 Repubblica presso il Tribunale di Bologna.
   4. - Quest'ultimo si e' costituito nel presente giudizio  con  atto
 depositato  il  5  agosto 1998, nel quale ha chiesto che questa Corte
 dichiari il ricorso  presentato  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  inammissibile  - in quanto gli atti compiuti dalla Procura,
 rientrando  nelle  attribuzioni   dell'autorita'   giudiziaria,   non
 sarebbero  "idonei  a  ledere  in alcun modo la sfera di attribuzioni
 costituzionalmente determinata per il Governo dello Stato"  -  ovvero
 infondato,  avendo  la  Procura  di  Bologna agito "nell'ambito delle
 attribuzioni appartenenti all'Autorita' giudiziaria".
   A sostegno di tali richieste il Procuratore della Repubblica presso
 il Tribunale di Bologna sottolinea, innanzi tutto, in relazione  alla
 prosecuzione  del  processo,  come  la  Corte, nella sentenza n. 110,
 abbia affermato  i  seguenti  princi'pi:  a)  che  l'improcedibilita'
 dell'azione  penale  sussiste  solo  quando l'opposizione del segreto
 preclude la conoscenza di elementi essenziali per  la  decisione;  b)
 che  non  sussiste  alcuna ipotesi di immunita' sostanziale collegata
 all'attivita' dei  servizi  informativi;  c)  che  l'opposizione  del
 segreto  di  Stato  non  ha  l'effetto  di  impedire  che il pubblico
 ministero indaghi sui fatti di reato  cui  si  riferisce  la  notitia
 criminis in suo possesso ed eserciti se del caso l'azione penale.
   Ad  avviso del resistente, l'unica attivita' del pubblico ministero
 che  la  Corte  ha  ritenuto  non  spettare  al   medesimo   consiste
 nell'ordine  di  esibizione  di  atti  al  Questore  di Bologna, onde
 l'inutilizzabilita' degli atti trasmessi dallo stesso Questore  e  di
 quelli,  eventuali, acquisiti in base alle conoscenze tratte da essi.
 Sostiene il resistente che la nuova richiesta di rinvio  a  giudizio,
 contrariamente  a quanto asserito dal ricorrente, si basa su elementi
 probatori del tutto sufficienti a giustificare la richiesta stessa ed
 inoltre del tutto autonomi rispetto alle fonti di prova  coperte  dal
 segreto  di Stato.   Tali elementi consisterebbero, in definitiva: a)
 nella nota del dirigente  della  Direzione  centrale  di  polizia  di
 prevenzione  del  13 dicembre 1996; b) nel materiale sequestrato (due
 scatoloni contenenti fascicoli e documentazione  varia,  relativi  ad
 indagini  effettuate  nel  1991  su  attentati  commessi in Italia, e
 bobine  di  intercettazioni  di  conversazioni  con  traduzione);  c)
 nell'esame,  quali  persone informate dei fatti, del vice direttore e
 del primo portiere dell'albergo ove si erano svolte le investigazioni
 illegali, come risultava dagli atti costituenti la notizia di  reato;
 d) nella copia dei registri del detto albergo, dai quali e' risultata
 la presenza dei due funzionari del SISDE, poi imputati.
   In  conclusione,  il resistente afferma che i documenti sequestrati
 senza opposizione di segreto - costituenti la notizia di reato - sono
 di per se' elementi di prova sufficienti per richiedere il  rinvio  a
 giudizio  dei  primi  tre  imputati  e che le autonome indagini della
 Procura, fondate su tale notizia  di  reato,  costituiscono  elementi
 sufficienti per il rinvio a giudizio del quarto imputato.
   5. - In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura generale dello Stato
 ha  depositato  una  memoria  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri nella quale vengono reiterati  rilievi  gia'  contenuti  nel
 ricorso e presentate ulteriori deduzioni.
   In    particolare,    la   difesa   del   ricorrente   rileva   che
 l'individuazione, con successiva escussione  come  persone  informate
 dei  fatti,  di  due  dipendenti  dell'albergo nel quale l'operazione
 oggetto di indagine  da  parte  della  Procura  bolognese  era  stata
 eseguita,  "e' avvenuta attraverso la lettura dei documenti segreti".
 A  questo  riguardo,  il   ricorrente   contesta   l'asserzione   del
 Procuratore  della  Repubblica  secondo  la  quale  i  due nominativi
 sarebbero stati individuati attraverso parallele indagini,  ritenendo
 tali indagini successive e indicando, a conforto di tale convinzione,
 una  successione  di date. Precisamente, l'Avvocatura osserva che "la
 lettura delle carte della Questura di Bologna, pervenute  in  Procura
 il  16  luglio  1997  e'  stata  la prima e fondamentale attivita' di
 indagine: anteriore addirittura  alla  lettura  della  documentazione
 contenuta  negli  'scatoloni ministeriali' trasmessi dalla Procura di
 Roma" e aperti solo il 2 agosto 1997.
   Le ulteriori indagini, lamenta il  ricorrente,  non  sono  pertanto
 autonome,  "ma  conseguenziali  e  di  approfondimento  rispetto alle
 notizie  apprese  attraverso  la  lettura  dei  documenti   segreti".
 L'impiego  delle  notizie in essi contenute, contestate ed utilizzate
 negli interrogatori successivi alla loro acquisizione, ad avviso  del
 Presidente  del  Consiglio  dei Ministri vizierebbe irrimediabilmente
 gli interrogatori  medesimi,  che  rientrerebbero  tra  gli  atti  di
 indagine  gia'  annullati  da questa Corte con la sentenza n. 110 del
 1998, e che pertanto non possono giustificare una nuova richiesta  di
 rinvio a giudizio.
   La  difesa  del  ricorrente  esclude  poi  che  si  possa  "sic  et
 simpliciter  salvare  tutta  la  parte  di  indagine  anteriore  alla
 illegittima  acquisizione  di documenti dalla Questura", argomentando
 che  l'opposizione  del  segreto  in  relazione  alla  documentazione
 relativa   alle   operazioni  svolte  a  Bologna  dal  SISDE  con  la
 collaborazione della polizia sin dall'inizio risultava preordinata al
 fine di assicurare riserbo alle modalita' operative ed ai  nominativi
 degli  agenti  del  SISDE,  cosicche'  anche la documentazione romana
 dovrebbe ritenersi coperta da segreto  "perche'  violativa  di  detto
 riserbo".  Secondo  l'Avvocatura  cio'  risulterebbe confermato dalla
 circostanza che il segreto di Stato era stato inizialmente opposto, e
 successivamente  confermato,  anche  dal  primo  agente   del   SISDE
 "imputato  proprio  in  relazione  a  documenti  ministeriali  romani
 diversi da quelli della Questura bolognese".
   La memoria depositata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei
 Ministri contiene  l'elenco  dei  documenti  trasmessi  alla  Procura
 resistente nel presente giudizio dalla Questura di Bologna e l'elenco
 dei   documenti   precedentemente   acquisiti   dalla  Procura  della
 Repubblica presso il Tribunale di  Roma  (documentazione  UCIGOS  poi
 trasmessa  alla Procura bolognese), con evidenziazione delle relative
 coincidenze.
   Il Presidente del Consiglio dei Ministri conclude che  se  il  p.m.
 bolognese  avesse  voluto attenersi al disposto della sentenza n. 110
 del 1998,  "invece  di  limitarsi  ad  una  burocratica,  formale  ed
 incompleta eliminazione del mero richiamo ai documenti della Questura
 di Bologna dalla nuova richiesta di rinvio a giudizio, avrebbe dovuto
 riesaminare  tutti  gli  atti  per  conservare  solo quelli del tutto
 autonomi rispetto alle fonti segretate e sulla base di  quelli  -  se
 esistenti  e  se sufficienti a fondare ulteriori indagini - procedere
 oltre".
   6.  -  Nell'imminenza  della  data  fissata per l'udienza, anche il
 Procuratore della Repubblica di Bologna ha depositato  una  ulteriore
 memoria  per  argomentare  piu'  diffusamente  l'inammissibilita'  e,
 subordinatamente, l'infondatezza del ricorso, gia' dedotte con l'atto
 di costituzione nel presente giudizio.
   Nella memoria viene premesso innanzi tutto che dal confronto tra le
 fonti di prova elencate nella richiesta di rinvio a  giudizio  del  5
 maggio  1998  e  la sentenza n. 110 del 1998 risulta che "le prove in
 questione o sono del tutto indipendenti o estranee alla  materia  del
 segreto  di  Stato,  ovvero  sono  state offerte spontaneamente, e di
 propria iniziativa, alla valutazione dell'autorita' giudiziaria dagli
 stessi organi investigativi della Polizia  di  Stato  senza  riserve,
 limiti o condizioni".
   Alle  deduzioni  gia' svolte con l'atto di costituzione, la Procura
 aggiunge poi alcune precisazioni. In particolare, precisa che tre dei
 quattro imputati sono stati iscritti nel registro  degli  indagati  a
 cura  della  Procura  di Roma, prima che "venisse opposto il segreto,
 mentre il quarto e' stato individuato e inquisito in  base  all'esame
 dei  registri  dell'albergo,  condotto da questo ufficio, in modo del
 tutto autonomo e indipendente dai documenti ottenuti con l'ordine  di
 esibizione".  Nella  memoria  si  ribadisce che "le prove a carico di
 tutti gli imputati ... sono state invece  acquisite  ...  soprattutto
 attraverso   l'ispezione   del   corpo   del   reato   ...  trasmesso
 spontaneamente al p.m. di Roma ...  dalla  Direzione  Generale  della
 Polizia  di  Prevenzione  (prima e indipendentemente dall'opposizione
 del segreto)".
   Il Procuratore resistente -  dopo  aver  premesso  che  l'eventuale
 annullamento  della  richiesta  del  5 maggio 1998 da parte di questa
 Corte  "verosimilmente"  non  esimerebbe  l'ufficio  dal   concludere
 l'indagine preliminare con una nuova richiesta di rinvio a giudizio -
 osserva  che  "lo  stesso  ricorso  non pone affatto una questione di
 illegittimo sconfinamento del p.m. dai limiti delle sue  attribuzioni
 ...  bensi'  censura  le  modalita'  e  il merito di tale esercizio".
 Senonche',  deduce  l'organo  resistente   nel   presente   conflitto
 richiamando  l'art. 202, comma 3, cod. proc. pen., "il codice di rito
 ... rimette al giudice, e solo al giudice, nel  quadro  del  processo
 penale  (e  quindi non alla Corte, o non anche alla Corte, in sede di
 risoluzione  di  un  conflitto)  il   potere-dovere   di   dichiarare
 l'improcedibilita'".
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con  il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri   ha   sollevato,   previa   la   necessaria
 deliberazione  del  Consiglio  dei ministri assunta in data 26 giugno
 1998, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei  confronti
 del  pubblico  ministero, in persona del Procuratore della Repubblica
 presso il Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta di rinvio
 a  giudizio  formulata  in  data  5  maggio  1998  nei  confronti  di
 funzionari  del  SISDE  e  di  funzionari  di polizia che con i primi
 avevano collaborato, e che si assume basata su fonti di prova  incise
 dal  segreto  di  Stato  opposto  dal  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801  (Istituzione
 e  ordinamento  dei  servizi  per  le  informazioni  e la sicurezza e
 disciplina del segreto di Stato).
   Il ricorrente lamenta - in seguito alla reiterazione della predetta
 richiesta  di  rinvio  a giudizio - la lesione della propria sfera di
 attribuzioni, come delimitata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95 e  126
 della  Costituzione, dagli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977,
 n. 801, e dagli artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura  penale,
 e  chiede  che  questa  Corte  dichiari  che  non  spetta al pubblico
 ministero avvalersi, per formulare la richiesta di rinvio a giudizio,
 di atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal
 segreto di Stato e  comunque  gia'  annullati  dalla  Corte.  Con  il
 ricorso  in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei Ministri chiede
 altresi' l'annullamento della richiesta di rinvio a  giudizio  del  5
 maggio 1998.
   2.   -   Occorre,  innanzitutto,  confermare  l'ammissibilita'  del
 conflitto di attribuzione in questione,  che  questa  Corte  ha  gia'
 dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con l'ordinanza
 n. 266 del 1998.
   Sotto  il  profilo  soggettivo,  il  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri e' legittimato a sollevare il conflitto,  in  quanto  organo
 competente  a  dichiarare  definitivamente la volonta' del potere cui
 appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma
 del segreto di Stato, non solo in base alla legge n.  801  del  1977,
 ma, come questa Corte ha gia' avuto occasione di chiarire, anche alla
 stregua  delle  disposizioni  costituzionali - invocate nel ricorso -
 che ne delimitano le attribuzioni (sentenze n. 110 del 1998, e n.  86
 del 1977; ord.  n. 426 del 1997).
   Sotto  il medesimo profilo, anche la legittimazione del Procuratore
 della Repubblica presso il  Tribunale  di  Bologna  a  resistere  nel
 conflitto deve essere affermata in conformita' alla giurisprudenza di
 questa  Corte,  che riconosce al pubblico ministero la legittimazione
 ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri dello  Stato,
 in  quanto, ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, e' il titolare
 diretto ed esclusivo dell'azione penale obbligatoria e dell'attivita'
 di indagine a questa finalizzata (sentenze n. 110 del  1998,  n.  420
 del 1995, e nn. 464, 463 e 462 del 1993; ordinanze nn. 426 del 1997 e
 269 del 1996).
   Quanto  al  profilo  oggettivo,  il conflitto riguarda attribuzioni
 costituzionalmente  garantite  inerenti   all'esercizio   dell'azione
 penale  da  parte  del  pubblico ministero ed alla salvaguardia della
 sicurezza dello Stato anche attraverso lo strumento del  segreto,  la
 cui opposizione e' attribuita alla responsabilita' del Presidente del
 Consiglio ed al controllo del Parlamento.
   3. - Nel merito, il ricorso deve essere accolto.
   4.  -  Con la sentenza n. 110 del 1998 questa Corte ha chiarito che
 l'opposizione del segreto  di  Stato  da  parte  del  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  ha  non  gia'  l'effetto di impedire in via
 assoluta al pubblico ministero di compiere  atti  di  indagine  e  di
 esercitare  l'azione  penale  rispetto a fatti oggetto di una notitia
 criminis bensi' l'effetto di  inibire  all'autorita'  giudiziaria  di
 acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza
 e di prova coperti dal segreto.
   La  Corte,  nella medesima pronuncia, ha precisato che tale divieto
 riguarda l'utilizzazione degli atti e documenti coperti da segreto di
 Stato sia  in  via  diretta,  per  fondare  su  di  essi  l'esercizio
 dell'azione  penale,  sia in via indiretta, per trarne spunto ai fini
 di ulteriori atti di indagine,  in  quanto  le  eventuali  risultanze
 sarebbero   a  loro  volta  viziate  dall'illegittimita'  della  loro
 origine.
   Questa Corte ha altresi' specificato che i doveri di correttezza  e
 lealta'  ai  quali  i  rapporti  tra Governo ed autorita' giudiziaria
 devono   ispirarsi,   nel   senso   dell'effettivo   rispetto   delle
 attribuzioni  a  ciascuno  spettanti,  escludono, in particolare, che
 l'autorita' giudiziaria possa aggirare  surrettiziamente  il  segreto
 opposto  dal  Presidente  del  Consiglio,  inoltrando ad altri organi
 richieste  di  esibizione  di  documenti  dei  quali  sia   nota   la
 segretezza.
   Sulla  base  delle  richiamate  premesse, la Corte accolse il primo
 ricorso del Presidente del Consiglio ed annullo' gli atti di indagine
 compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal segreto  di  Stato,
 unitamente alla prima richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla
 Procura di Bologna, in data 19 novembre 1997.
   Dall'esame  della seconda richiesta di rinvio a giudizio, in data 5
 maggio 1998, impugnata dal ricorrente,  risulta  che  la  Procura  di
 Bologna  ha  nuovamente  esercitato  l'azione  penale  senza indicare
 differenti elementi indizianti, indipendenti dagli atti  e  documenti
 coperti  da segreto gia' in suo possesso, e senza che essa si basi su
 altri  ed  autonomi  atti  di  indagine,  legittimamente  diretti  ad
 acquisire tali nuovi elementi.
   L'unica  differenza  che  e'  possibile  riscontrare  attraverso un
 raffronto tra le due richieste di rinvio a giudizio (la  prima  delle
 quali annullata da questa Corte) consiste nell'omessa menzione, nella
 seconda,   dei   documenti   acquisiti  dalla  Questura  di  Bologna.
 Senonche',  con  la  sentenza  n.  110  del  1998,  questa  Corte  ha
 riconosciuto  l'illegittimita' non solo della richiesta di esibizione
 rivolta al Questore di Bologna  -  in  quanto  diretta  ad  acquisire
 documentazione,  riguardante  le  indagini  svolte  a suo tempo dalla
 polizia e dai servizi, della quale era nota la segretezza formalmente
 opposta gia' agli  inquirenti  della  Procura  di  Roma  -  ma  anche
 dell'attivita'  di  indagine  susseguentemente  svolta avvalendosi di
 quelle conoscenze, gia' poste a base della prima richiesta di  rinvio
 a giudizio.
   Da  quanto  precede  -  al  di la' della parziale, ma indubbiamente
 significativa, coincidenza  riscontrata  tra  i  documenti  acquisiti
 dalla  Questura  di  Bologna e quelli trasmessi dal Procuratore della
 Repubblica di Roma - consegue che l'utilizzo, da parte  del  pubblico
 ministero  resistente,  della  documentazione  gia' in possesso della
 Procura romana,  al  fine  di  motivare  la  nuova,  quasi  identica,
 richiesta di rinvio a giudizio, si appalesa illegittimo. La rinnovata
 richiesta  del  pubblico  ministero  risulta  infatti inficiata dalla
 utilizzazione dei documenti - provenienti dalla Questura di Bologna -
 che  questa  Corte  ha  ritenuto  illegittimamente  acquisiti.   Tale
 illegittima  utilizzazione  documentale  rende  la nuova richiesta di
 rinvio  a  giudizio  lesiva  delle  attribuzioni   costituzionalmente
 riconosciute  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri in tema di
 tutela del segreto  di  Stato.    Il  ricorso  deve  pertanto  essere
 accolto.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  che  non  spetta  al  pubblico  ministero, in persona del
 Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale   di   Bologna,
 rinnovare  la  richiesta  di  rinvio  a giudizio utilizzando fonti di
 prova acquisite in violazione del segreto di Stato gia' accertata con
 sentenza della Corte costituzionale  e  conseguentemente  annulla  la
 richiesta di rinvio a giudizio in data 5 maggio 1998.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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