N. 420 SENTENZA 14 - 23 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro  -  Obblighi  risarcitori  a  carico  del  datore  di  lavoro
 incolpevole - Eccepibilita' della situazione  in  giudizio  -  Omessa
 previsione  -  Presunta  responsabilita' oggettiva - Riferimento alla
 giurisprudenza della Corte in materia (vedi sentenza n.  178/1975)  -
 Legittimita' dell'esercizio di discrezionalita' politica da parte del
 legislatore - Non fondatezza.
 
 (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.52 del 30-12-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 18 della legge
 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e  dignita'
 dei  lavoratori,  della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale
 nei  luoghi  di  lavoro  e  norme  sul  collocamento),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il 20 febbraio 1998 dal pretore di Modica, Sezione
 distaccata di Scicli, nel procedimento civile  vertente  tra  Trovato
 Giuseppe e la Plasticontenitor s.r.l. iscritta al n. 264 del registro
 ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 30 settembre  1998  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso di una controversia individuale di lavoro, sorta in
 conseguenza  dell'impugnazione  di  un  licenziamento  per   presunta
 inidoneita'  alle  mansioni, il pretore di Modica, Sezione distaccata
 di Scicli, ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  18  della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
 della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale  e
 dell'attivita'   sindacale   nei   luoghi   di  lavoro  e  norme  sul
 collocamento), in riferimento agli artt. 3 e  27  (recte:  24)  della
 Costituzione.
   Rileva  il  giudice  a  quo  che nel procedimento sottoposto al suo
 giudizio la domanda principale proposta dal lavoratore e' gia'  stata
 accolta, con conseguente ordine di reintegrazione dello stesso, e che
 deve ora decidersi la sola domanda conseguenziale di risarcimento dei
 danni.  Tale  risarcimento,  che  tendenzialmente e' commisurato alle
 retribuzioni che il  lavoratore  avrebbe  percepito  dal  giorno  del
 licenziamento  a  quello  della  effettiva  reintegrazione,  non puo'
 essere inferiore a  cinque  mensilita'  di  retribuzione  globale  di
 fatto,  potendo  pero'  il  lavoratore  optare,  in  alternativa alla
 reintegrazione,  per  un'indennita'  sostitutiva  pari   a   quindici
 mensilita' di retribuzione.
   Questi  principi,  ad avviso del Pretore, non sembrano poter valere
 nel caso di specie, nel quale il datore  di  lavoro  ha  disposto  il
 licenziamento  "per  effetto  di  verifica  d'inidoneita'  al  lavoro
 accertata in esito alla procedura di cui all'art. 5  dello  Statuto",
 situazione che dovrebbe legittimare l'applicazione degli artt. 1256 e
 1463  del  codice  civile. Ad avviso del rimettente, in altre parole,
 l'avvenuto espletamento  della  procedura  di  controllo  di  cui  al
 menzionato  art.    5, portando ad una pronuncia di carattere tecnico
 che il datore di lavoro non puo' contestare ed alla quale,  anzi,  ha
 il    dovere   di   attenersi,   dovrebbe   implicare   che   nessuna
 responsabilita' possa essere posta a suo carico in caso di successiva
 verifica  dell'erroneita'  dell'accertamento  medico  in   precedenza
 compiuto.  E' pacifico, infatti, che il giudizio espresso dall'organo
 medico  di   controllo   rimane   soggetto   a   verifica   in   sede
 giurisdizionale,  come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza della
 Cassazione;  cio'  non  toglie,  peraltro,  che  dovrebbe   ritenersi
 sussistente,  quanto  meno  sotto l'aspetto putativo, il giustificato
 motivo di licenziamento di cui all'art. 3 della legge 15 luglio 1966,
 n. 604, con conseguente inesistenza di ogni pretesa risarcitoria.
   La norma impugnata, invece,  pare  riconoscere  automaticamente  al
 lavoratore  la  misura minima risarcitoria delle cinque mensilita' di
 retribuzione. Ne consegue che, ad avviso del rimettente, a  meno  che
 questa    Corte    "non    ritenga   praticabile   un'interpretazione
 costituzionale della norma", l'art. 18 in esame viola l'art. 3  della
 Costituzione  perche',  senz'alcuna ragionevolezza, pone a carico del
 datore di lavoro una sorta di  responsabilita'  oggettiva  del  tutto
 ingiustificata,   nonche'   l'art.  27  della  Costituzione,  perche'
 impedisce  al  medesimo  "di  far  valere  in  giudizio,  in  via  di
 eccezione,  l'insussistenza  dell'obbligo  risarcitorio  posto  a suo
 carico".
   In punto di rilevanza il pretore nota che l'eventuale  accoglimento
 della  presente  questione  potrebbe portare al rigetto della domanda
 risarcitoria nel giudizio a quo,  domanda  che  sarebbe  comunque  da
 accogliere in caso contrario.
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
 dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
   Rileva  innanzitutto  la   difesa   erariale   che,   pur   essendo
 predominante    l'orientamento    della    Cassazione   secondo   cui
 l'obbligazione risarcitoria  in  caso  di  licenziamento  illegittimo
 prescinde  dalla  sussistenza  di un comportamento "colposo" da parte
 del  datore  di  lavoro,  alcune  pronunce vanno di contrario avviso,
 sicche' al rimettente non sarebbe totalmente preclusa la possibilita'
 di una diversa interpretazione della norma impugnata.
   Nel merito, poi, la questione non e' fondata, poiche' questa  Corte
 ha  gia'  riconosciuto  che  la  predeterminazione di un danno minimo
 risarcibile in  ogni  caso  rientra  nel  legittimo  esercizio  della
 discrezionalita'   legislativa,   sicche'  non  c'e'  violazione  del
 principio di  ragionevolezza.    L'alternativa,  del  resto,  sarebbe
 ancora  peggiore, perche' negare il diritto al risarcimento del danno
 in un caso del genere equivarrebbe a porre a carico del lavoratore il
 rischio di un errato accertamento dell'inabilita' da parte di un ente
 pubblico, il che certamente non e' ammissibile.
                         Considerato in diritto
   1. - Il  pretore  di  Modica,  Sezione  distaccata  di  Scicli,  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18 della
 legge  20 maggio 1970, n. 300, in riferimento agli artt. 3 e 27 della
 Costituzione.
   Il giudice a quo ritiene che la norma impugnata  appare  in  palese
 contrasto:  a)  con  l'art.  3  della Costituzione, laddove essa, "in
 violazione  di   ogni   elementare   principio   di   uguaglianza   e
 ragionevolezza, addossa la responsabilita' risarcitoria a un soggetto
 al  quale  non  e'  addebitabile l'evento da cui tale responsabilita'
 trae origine, in forza di  una  sorta  di  responsabilita'  oggettiva
 ingiustificata e incompatibile con i principi del nostro ordinamento;
 b)  con  l'art.    27  (recte:  24) della Costituzione, laddove nella
 sostanza impedisce al datore di lavoro incolpevole di far  valere  in
 giudizio,   in   via   di   eccezione,  l'insussistenza  dell'obbligo
 risarcitorio posto a suo carico".
   2. - Occorre innanzitutto rilevare che l'Avvocatura dello Stato  ha
 eccepito   l'inammissibilita'  della  questione,  sostenendo  che  in
 qualche recente sentenza la Corte di cassazione avrebbe  diversamente
 interpretato  la  norma  impugnata,  nel senso che la responsabilita'
 risarcitoria del datore di lavoro debba  essere  esclusa  qualora  il
 rifiuto   della   sua  prestazione  sia  giustificato  da  un  motivo
 legittimo;  sicche'  il  presente  giudizio  si  risolverebbe   nella
 decisione  di  una  questione  di  mera  interpretazione,  potendo il
 pretore seguire quella ritenuta conforme a  Costituzione.
   L'eccezione e'  infondata.  Dal  testo  dell'art.  18,  cosi'  come
 interpretato  dalla  costante  giurisprudenza,  emerge con chiarezza,
 infatti,  che  la  misura  risarcitoria   costituita   dalle   cinque
 mensilita'  di  retribuzione globale di fatto costituisce un minimum,
 predeterminato ex lege e connesso  alla  riconosciuta  illegittimita'
 del  licenziamento, da corrispondersi "in ogni caso". Il pretore, pur
 esprimendo  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  non  ha  inteso
 discostarsi da un tale orientamento.
   3. - Nel merito, la questione e' infondata.
   Questa  Corte,  in una non recente sentenza (n. 178 del 1975), ebbe
 gia' occasione di affermare che i due parametri  costituzionali  oggi
 invocati  non  risultano  violati  per il fatto che la norma in esame
 prevede  una  misura  di  risarcimento  del  danno  che  va  comunque
 riconosciuta    al    lavoratore    ingiustamente    licenziato.   In
 quell'occasione si osservo', scrutinando il testo dell'art. 18  dello
 Statuto  dei lavoratori nella versione precedente a quella introdotta
 dall'art.   1   della   legge   11   maggio  1990,  n.  108,  che  la
 predeterminazione di un risarcimento minimo, spettante in ogni  caso,
 "risponde  ad  una  presunzione legale che, per essere configurata in
 una misura  realistica  (...),  non  contrasta  con  l'art.  3  della
 Costituzione,  ma costituisce legittimo esercizio di discrezionalita'
 politica  da  parte  del  legislatore".  Tale  conclusione   va   qui
 riaffermata per le seguenti ulteriori considerazioni.
   E'  pacifico  in giurisprudenza che la dichiarazione di inidoneita'
 fisica in esito alle procedure di cui all'art. 5 dello Statuto non ha
 carattere di definitivita', potendo  il  giudice  della  controversia
 pervenire  a  diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica
 d'ufficio disposta nel giudizio di merito. Da cio'  consegue  che  il
 datore   di   lavoro,   nel  momento  in  cui  opta  per  l'immediato
 licenziamento del dipendente anziche' chiedere,  secondo  le  normali
 regole  contrattuali,  la  risoluzione  giudiziaria  del  rapporto di
 lavoro per  sopravvenuta  impossibilita'  della  prestazione,  agisce
 evidentemente  a  suo  rischio, perche' non puo' ignorare che l'esito
 della procedura di cui al citato art.  5  non  e'  incontrovertibile.
 D'altra  parte  questa  Corte  ha  gia'  riconosciuto,  sia  pure  in
 fattispecie  diverse,  la  generica  sussistenza  del  principio  del
 "rischio  d'impresa"  (sentenze  n. 30 del 1996 e n. 7 del 1993), che
 viene  oggettivamente  a  gravare  su  chi  intraprende  una   simile
 attivita';  e  la  stessa  Corte di cassazione (sentenza n.  9464 del
 1998),  in  un  caso  simile  a  quello  attuale,   ha   recentemente
 sottolineato  che  il  risarcimento  nella misura minima delle cinque
 mensilita' costituisce un'indennita' "quasi a titolo di penale avente
 la sua radice nel rischio d'impresa". E' indubbio, del resto, che gli
 effetti economici della situazione di  incertezza  -  necessariamente
 conseguente  alla  possibilita'  che  l'inabilita'  accertata  con la
 procedura di cui  all'art.  5  dello  Statuto  venga  successivamente
 ritenuta  dal  giudice insussistente - devono gravare o sul datore di
 lavoro o sul  lavoratore;  la  scelta  del  legislatore,  chiaramente
 rivolta  a  tutela del soggetto piu' debole, si presenta immune dalle
 lamentate censure.
   4. - Puo' solo aggiungersi che la responsabilita' risarcitoria  del
 datore  di  lavoro per l'illegittimo licenziamento intimato in regime
 di tutela c.d. reale  non  si  discosta  dalla  disciplina  ordinaria
 perche'  implica  comunque, per il danno eccedente la suddetta misura
 minima, la sussistenza della colpa dello stesso,  in  mancanza  della
 quale  non  c'e' danno ulteriore risarcibile. Per altro verso, quanto
 alla presunzione assoluta di danno minimo pari a cinque mensilita' di
 retribuzione,  il  legislatore  ha  operato  un   non   irragionevole
 bilanciamento  complessivo  per  il  fatto  di  aver  simmetricamente
 riconosciuto al  datore  di  lavoro  l'esercizio  della  facolta'  di
 recesso,  idonea  ad incidere unilateralmente ed immediatamente nella
 sfera degli interessi del lavoratore.
   La previsione (di carattere eccezionale) di una  presunzione  iuris
 et  de  iure di danno in caso di esercizio oggettivamente illegittimo
 di tale facolta' non fa che riequilibrare siffatto potere privato,  a
 fronte del quale il lavoratore versa in una situazione di soggezione.
   5.  -  Per le esposte considerazioni, dunque, la denunziata norma -
 che con l'accertata illegittimita' del licenziamento presume  che  il
 lavoratore  abbia  subi'to un danno predeterminato in una misura base
 aumentabile quando si dia prova di un  ulteriore  pregiudizio  -  non
 viola  il  principio  costituzionale  di ragionevolezza; e, quanto al
 parametro  di  cui  all'art.  24  della  Costituzione   (erroneamente
 indicato   nell'art.  27),  nessuna  lesione  sussiste,  perche'  "la
 garanzia costituzionale della difesa opera entro i limiti del diritto
 sostanziale" (sentenza n. 178 del 1975).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  18  della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
 della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale  e
 dell'attivita'   sindacale   nei   luoghi   di  lavoro  e  norme  sul
 collocamento), sollevata, in riferimento agli artt. 3  e  27  (recte:
 24)  della Costituzione, dal pretore di Modica, Sezione distaccata di
 Scicli, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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