N. 907 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 ottobre 1998

                                N. 907
  Ordinanza emessa il 15  ottobre  1998  dal  pretore  di  Trento  nel
 procedimento  civile  vertente  tra Graziadei Paola e Ministero della
 sanita'
 Sanita' pubblica - Trattamenti sanitari obbligatori - Epatite cronica
    da HIV, conseguente a trasfusione di sangue o derivati,  anteriore
    alla  data di entrata in vigore della legge impugnata - Decorrenza
    dell'indennizzo  dal  primo  giorno  del  mese   successivo   alla
    presentazione   della   domanda,   anziche'  dalla  manifestazione
    dell'evento dannoso o  dalla  conoscenza  dello  stesso  da  parte
    dell'interessato  -  Irragionevolezza  e disparita' di trattamento
    rispetto    ai    soggetti     sottopostisi     a     vaccinazione
    antipoliomielitica   nel  periodo  di  non  obbligatorieta'  della
    vaccinazione stessa - Incidenza  sulla  garanzia  previdenziale  -
    Riferimenti  alle  sentenze  della  Corte costituzionale nn. 307 e
    455/1990, 118/1996 e 27/1998.
 (Legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 2, parte 1; d.-l.   23
    ottobre  1996,  n.  548,  artt. 7, comma 1, convertito in legge 20
    dicembre 1996, n. 641; legge 25 luglio 1997, n. 238, art. 1, comma
    2; legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 3, comma 7).
 (Cost., artt. 2, 3, secondo comma e 38, primo comma).
(GU n.2 del 13-1-1999 )
                              IL PRETORE
   A scioglimento della riserva che precede, osserva;
                           Rilevato in fatto
   Con ricorso, depositato in data 30  aprile  1998,  Graziadei  Paola
 esponeva  che  in  data  9  maggio  1986  si era dovuta sottoporre ad
 intervento chirurgico al cuore  presso  l'ospedale  Borgo  Trento  di
 Verona,  durante  il  quale  le erano state effettuate trasfusioni di
 sangue.
   Successivamente alcuni esami clinici avevano evidenziato una  forte
 alterazione dei parametri relativi alla funzionalita' epatica nonche'
 la positivita' alla presenza di anticorpi antivirus dell'epatite C.
   In  data 29 novembre 1994 la ricorrente aveva presentato domanda di
 corresponsione dell'indennizzo ex art. 1, comma 3, legge 25  febbraio
 1992, n. 210.
   In  data  26  settembre  1996  il  Ministero della sanita' le aveva
 comunicato il positivo accertamento del nesso di  causalita'  tra  le
 trasfusioni  effettuate  nel  corso del predetto ricovero e l'epatite
 cronica da HCV riscontrata in seguito.
   In   data   21   maggio  1997  il  Ministero  della  sanita'  aveva
 riconosciuto alla ricorrente il diritto all'indennizzo con decorrenza
 dal 1 dicembre 1994 ossia dal primo giorno  successivo  a  quello  di
 presentazione della domanda.
   In   data   21   maggio   1997   la  ricorrente  aveva  chiesto  la
 corresponsione dell'indennizzo anche per il periodo ricompreso tra il
 momento di manifestazione della malattia (9 maggio  1986)  ed  il  30
 novembre 1994.
   In  data  11 luglio 1997 il Ministero della sanita' aveva rigettato
 quest'ultima domanda in quanto "il comma secondo  dell'art.  2  della
 legge  in  oggetto  stabilisce  in modo esplicito che l'indennizzo ha
 decorrenza  dal  primo  giorno  del  mese  successivo  a  quello   di
 presentazione della domanda".
   Eccepiva  la  ricorrente l'illegittimita' costituzionale "dell'art.
 2, comma 2, legge n. 210/1992, come modificato dall'art. 1, comma  2,
 legge  n. 238/1997, con riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., nella
 parte in cui prevede, per coloro che presentino  danni  irreversibili
 da  epatiti  post-trasfusionali  verificatisi  prima  dell'entrata in
 vigore della legge n. 210/1992, che l'indennizzo  decorra  dal  primo
 giorno  successivo  a quello di presentazione della domanda anziche',
 come, invece, per coloro che risultano essere stati contagiati  prima
 dell'emanazione  della  predetta  legge,  dal  di'  del  manifestarsi
 dell'evento dannoso".
   In  relazione  all'art.  2  Cost.  risultava  violato  un   diritto
 fondamentale della persona.
   In  relazione  all'art.  3  Cost.  la  ricorrente  affermava che la
 disciplina ex legge n. 210/1992, limitando l'indennizzabilita'  degli
 eventi,  che  hanno  compromesso  l'integrita' psicofisica ante legem
 solo al  tempo  successivo  alla  domanda,  introdurrebbe  una  grave
 discriminazione tra coloro che hanno contratto la malattia post legem
 e  quelli, doppiamente sfortunati, che hanno subito il contagio prima
 dell'emanazione della legge, di cui trattasi; inoltre l'art. 7, d.-l.
 n. 548/1996 opererebbe "una ulteriore incomprensibile discriminazione
 tra vaccinati e trasfusi", riconoscendo soltanto ai primi il  diritto
 ad   un   assegno  una  tantum  per  il  periodo  ricompreso  tra  il
 manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo".
   Infine  la  mancata  previsione  dell'indennizzo  per  il   periodo
 intercorrente  tra  l'insorgere  dell'evento menomativo e la data, da
 cui e' riconosciuto l'indennizzo, costituirebbe un ostacolo di ordine
 economico e sociale, che perdura nel tempo e che l'art.  3,  comma  2
 Cost., impone di rimuovere.
   In  relazione  all'art.  32 Cost. rilevava che i danni sofferti dai
 trasfusi derivano direttamente da un  trattamento  sanitario  diretto
 alla  protezione della salute, trattamento, che nel caso in esame era
 necessario ed indispensabile poiche' la trasfusione era collegata  ad
 un'operazione  a  cuore  aperto  essenziale per la salvaguardia della
 salute della ricorrente.
   Richiamava la giurisprudenza costituzionale, secondo cui  qualunque
 evento,  che  produca  un danno alla persona determina il diritto del
 danneggiato al pieno risarcimento del  danno  all'integrita'  fisica,
 bene costituzionalmente garantito.
   Costituendosi  in  giudizio, il Ministero della sanita' instava per
 il rigetto delle domande.
   Negava l'applicabilita' in via analogica o estensiva  del  disposto
 ex art. 7, comma 2, d.-l. n. 548/1996, che aveva dato attuazione alla
 pronuncia  Corte  costituzionale n. 118/1996, la quale aveva ritenuto
 che la  retroattivita'  del  beneficio  dovesse  essere  riconosciuta
 soltanto   nel  caso  il  trattamento  sanitario  fosse  collegato  a
 provvedimenti imposti da legge o da ordinanza amministrativa e non  a
 necessita' terapeutiche individuali.
                          Ritenuto in diritto
   Viene    sollevata   d'ufficio   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, comma  2,  parte  prima  (come  novellato
 dall'art.  7,  comma  1,  d.-l. 23 ottobre 1996, n. 548 convertito in
 legge 20 dicembre 1996, n. 641 e  dell'art.  1,  comma  2,  legge  25
 luglio  1997, n. 238) e dell'art. 3, comma 7, legge 25 febbraio 1992,
 n. 210, per contrasto con l'art. 38, comma 1 Cost., in relazione agli
 artt. 2 e 3, comma 2 Cost., nella parte in cui non riconosce a favore
 di   coloro   che   presentino   danni   irreversibili   da   epatiti
 post-trasfusionali   contratte  nel  corso  di  trattamenti  sanitari
 necessari a salvaguardare la loro stessa esistenza, il diritto ad  un
 equo indennizzo a carico dello Stato per il periodo ricompreso tra il
 manifestarsi  dell'evento  dannoso  e l'ottenimento della prestazione
 prevista dall'art. 1, comma 3, legge n. 210/1992.
   Sulla rilevanza nel giudizio a quo.
   Il giudizio in corso non  puo'  essere  definito  indipendentemente
 dalla   risoluzione   delle   predette   questioni   di  legittimita'
 costituzionale.
   Infatti applicando la norma impugnata  la  domanda  proposta  dalla
 ricorrente dovrebbe essere rigettata.
   E'  documentalmente  provato  e  comunque  e'  incontestato  che la
 ricorrente:
     in data  9  maggio  1996  si  dovette  sottoporre  ad  intervento
 chirurgico al cuore presso l'ospedale Borgo Trento di Verona, durante
 il   quale   le  vennero  effettuate  delle  trasfusioni  di  sangue;
 successivamente  alcuni  esami  clinici   evidenziarono   una   forte
 alterazione dei parametri relativi alla funzionalita' epatica nonche'
 la positivita' alla presenza di anticorpi antivirus dell'epatite C;
     in  data  29  novembre  1994  la  ricorrente presento' domanda di
 corresponsione dell'indennizzo ex art. 1, comma 3, legge n. 210/1992;
     in data 26 settembre 1996 il Ministero  della  sanita'  comunico'
 alla  ricorrente  il  positivo accertamento di un nesso di causalita'
 tra le trasfusioni effettuate  nel  corso  del  predetto  ricovero  e
 l'epatite cronica da HCV riscontrata in seguito;
     in  data  9 maggio 1997 il Ministero della sanita' riconobbe alla
 ricorrente il diritto all'indennizzo con decorrenza  dal  1  dicembre
 1994  ossia  dal  primo  giorno  successivo a quello di presentazione
 della domanda;
     in data 21 maggio 1997 la  ricorrente  chiese  la  corresponsione
 dell'indennizzo  anche  per  il  periodo ricompreso tra il momento di
 manifestazione della malattia (9 maggio 1986) ed il 30 novembre 1994;
     in data 11  luglio  1997  il  Ministero  della  sanita'  rigetto'
 quest'ultima domanda in quanto "il comma 2 dell'art. 2 della legge in
 oggetto  stabilisce  in modo esplicito che l'indennizzo ha decorrenza
 dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione  della
 domanda".
   E'  evidente  la  ragione  per  cui soltanto nel caso di fondatezza
 della questione di illegittimita' costituzionale sollevata la pretesa
 della  ricorrente  potrebbe  trovare  accoglimento:   la   disciplina
 stabilita  dalla  norma  censurata, prevedendo che sia per gli eventi
 ante legem che per  quelli  post  legem  la  decorrenza  del  diritto
 all'indennizzo  e'  fissata dal primo giorno del mese successivo alla
 presentazione della domanda, esclude possano essere indennizzati  per
 il  periodo  ante  legem  coloro che abbiano subito la menomazione in
 epoca precedente l'entrata in vigore della legge n. 210/1992.
   Sulla non manifesta infondatezza.
   La ricorrente sostiene che l'esclusione degli  affetti  da  epatiti
 post-trasfusionali  dal  diritto  all'assegno  una  tantum ex art. 2,
 comma 2, legge n. 210/1992, come modificato  dall'art.  1,  comma  2,
 legge  n.  238/1997  (rectius  dall'art. 7, comma 1, d.-l. 23 ottobre
 1996, n. 548, convertito  in  legge  20  dicembre  1996,  n.  641,  e
 dell'art.    1,  comma  2, legge 25 luglio 1997, n. 238) violerebbe i
 precetti ex artt. 2, 3 e 32 Cost.
   Vi sarebbe una duplice discriminazione, da un lato "tra coloro  che
 hanno   contratto  la  malattia  post  legem  e  quelli,  doppiamente
 sfortunati, che hanno subito il contagio prima dell'emanazione  della
 legge",  dall'altro "tra vaccinati e trasfusi", riconoscendo soltanto
 ai primi  il  diritto  ad  un  assegno  una  tantum  per  il  periodo
 ricompreso  tra  il  manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento
 dell'indennizzo".
   Inoltre   la   mancata   previsione   in   favore   dei    trasfusi
 dell'indennizzo   per   il   periodo  intercorrente  tra  l'insorgere
 dell'evento  menomativo  e  la   data,   da   cui   e'   riconosciuto
 l'indennizzo,   costituirebbe  un  ostacolo  di  ordine  economico  e
 sociale, che perdura nel tempo e che l'art. 3, comma 2 Cost.,  impone
 di rimuovere.
   Infine,  rilevando  che  i  danni  sofferti  dai  trasfusi derivano
 direttamente da un  trattamento  sanitario  diretto  alla  protezione
 della  salute  (trattamento,  che nel caso in esame era necessario ed
 indispensabile poiche' la trasfusione era collegata ad  un'operazione
 a  cuore  aperto  essenziale  per  la salvaguardia della salute della
 ricorrente), richiama la giurisprudenza costituzionale,  secondo  cui
 qualunque  evento,  che  produca  un  danno alla persona determina il
 diritto   del   danneggiato   al   pieno   risarcimento   del   danno
 all'integrita' fisica, bene costituzionalmente garantito.
   Non si puo' convenire in ordine alla non manifesta infondatezza dei
 profili di incostituzionalita' sollevati dalla ricorrente.
   E'  indispensabile  prendere  le  mosse dagli insegnamenti di Corte
 costituzionale  18  aprile  1996,   n.   118,   che   ha   dichiarato
 "l'illegittimita'  costituzionale  degli artt. 2, comma 2, e 3, comma
 7, legge 25 febbraio 1992, n. 210 ... nella parte in  cui  escludono,
 per  il  periodo  ricompreso  tra  il  manifestarsi dell'evento prima
 dell'entrata in vigore della predetta  legge  e  l'ottenimento  della
 prestazione  determinata  a  norma  della  stessa legge, il diritto -
 fuori dell'ipotesi dell'art. 2043 cod. civ. - ad un equo indennizzo a
 carico  dello  Stato  per  le  menomazioni  riportate  a   causa   di
 vaccinazione  obbligatoria  antipoliomielitica  da quanti vi si siano
 sottoposti e da quanti abbiano prestato ai primi assistenza personale
 diretta".
   La  Corte,  dopo  aver  ribadito,  richiamandosi  alla pronuncia n.
 307/1990,   che   l'imposizione   obbligatoria   della   vaccinazione
 antipoliomielitica comporta in un ordinamento orientato a riconoscere
 valore  fondamentale  alla  persona come individuo (art. 2 Cost.) una
 condizione, da cui ne dipende la legittimita', ulteriore  rispetto  a
 quelle  prescritte  dall'art.  32,  comma 2, Cost. e costituita dalla
 previsione di un equo ristoro del danno  subito,  chiarisce  che  "il
 necessario    collegamento,    come    condizione   di   legittimita'
 costituzionale, che questa Corte ha affermato doverci essere  tra  la
 previsione    dell'obbligo    di    sottoporsi   a   vaccinazione   e
 l'indennizzabilita' del pregiudizio da essa derivante,  rende  palese
 la  differenza  tra  questa e tutte le altre evenienze in cui, a nome
 della solidarieta', la collettivita' assuma su di se',  totalmente  o
 parzialmente,  le  conseguenze  di eventi dannosi fortuiti o comunque
 indipendenti da decisioni che la  societa'  stessa  abbia  preso  nel
 proprio  interesse.  Nella  prima  ipotesi  ...  la  solidarieta' non
 implica soltanto, come invece nella seconda, un dovere  al  quale  il
 legislatore    possa   dare   seguito   secondo   quei   criteri   di
 discrezionalita' e quella  necessaria  ragionevole  ponderazione  con
 altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale che valgono per
 i  diritti  previsti da norme costituzionali e efficacia condizionata
 all'intervento del legislatore (sent. n. 455/1990),  ma  comporta  un
 vero   e  proprio  obbligo,  cui  corrisponde  una  pretesa  protetta
 direttamente dalla Costituzione.
   Si tratta percio' di un obbligo avente uno speciale carattere.  Per
 la collettivita' e' in questione non soltanto il  dovere  di  aiutare
 chi  si trova in difficolta' per una causa qualunque, ma l'obbligo di
 ripagare il sacrificio che taluno si trova a subire per un  beneficio
 atteso  dall'intera  collettivita'. Sarebbe contrario al principio di
 giustizia, come risultante dall'art. 32 Cost., alla luce  del  dovere
 di  solidarieta'  stabilito  dall'art.  2,  che  il  soggetto colpito
 venisse abbandonato alla sua sorte ed alle sue sole risorse o che  il
 danno  in  questione  venisse  considerato  come  in qualsiasi evento
 imprevisto al quale si sopperisce  con  i  generali  strumenti  della
 pubblica  assistenza,  ovvero ancora si subordinasse la soddisfazione
 delle  pretese  risarcitorie  del  danneggiato  all'esistenza  di  un
 comportamento negligente altrui, comportamento che potrebbe mancare.
   Riassumendo  con  ordine,  la menomazione della salute derivante da
 trattamenti sanitari puo' determinare una di queste conseguenze:
     a) il diritto  al  risarcimento  pieno  del  danno,  riconosciuto
 dall'art.  2043 cod. civ., in caso di comportamenti colpevoli;
     b)  il  diritto  ad  un equo indennizzo, discendente dall'art. 32
 Cost., in collegamento con l'art. 2, ove il danno  non  derivante  da
 fatto  illecito,  sia stato subito in conseguenza dell'adempimento di
 un obbligo legale;
     c) il diritto, a norma degli artt. 38 e  2  Cost.,  a  misure  di
 sostegno   assistenziale   disposte   dal   legislatore,  nell'ambito
 dell'esercizio   costituzionalmente   legittimo   dei   suoi   poteri
 discrezionali, in tutti gli altri casi.
   L'art.  1 dell'impugnata legge n. 210 del 1992 prevede - secondo il
 titolo della legge stessa - un  "indennizzo  a  favore  dei  soggetti
 danneggiati   da   complicanze  di  tipo  irreversibile  a  causa  di
 vaccinazioni  obbligatorie,   trasfusioni   o   somministrazione   di
 emoderivati".
   Le  ipotesi ivi previste sono assai varie, dal punto di vista tanto
 del tipo di danno, quanto dei soggetti indennizzabili.
   Circa il danno, si tratta di menomazioni permanenti,  di  qualsiasi
 tipo,   da   vaccinazioni   obbligatorie,   di   infezioni   Hiv,  da
 somministrazione  di  sangue   e   suoi   derivati   e   di   epatite
 post-trasfusionale.
   Quanto  ai  soggetti,  si  tratta,  a  seconda dei casi, di persone
 giuridicamente obbligate, semplicemente necessitate o  non  obbligate
 al  trattamento  medico,  di  persone  sottoposte al trattamento o di
 persone entrate  in  contatto  con  soggetti  infetti  per  qualsiasi
 motivo,  ovvero  per  ragioni  attinenti all'esercizio di professioni
 sanitarie.
   Questa  complessa  casistica  non  si  presta  ad  una  valutazione
 unitaria, alla stregua della anzidetta ricapitolazione tripartita.
   Per  questa  ragione,  le  conclusioni cui qui si deve pervenire in
 ordine al diritto all'indennizzo dei soggetti colpiti, senza colpa di
 altri,  da  menomazioni  conseguenti  a   vaccinazione   obbligatoria
 antipoliomielitica  non  possono  ritenersi  di per se' estensibili a
 tutte le altre ipotesi previste dall'art. 1 della legge in questione
  ...".
   E',  quindi,  evidente  che  la  dichiarazione  di   illegittimita'
 costituzionale  della  limitazione  del diritto all'indennizzo per il
 tempo anteriore all'entrata in vigore della  legge  n.  210/1992  non
 puo' giovare alla ricorrente, la cui menomazione non e' conseguente a
 vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica.
   Il  caso della ricorrente e' riconducibile all'ipotesi sub c) della
 tripartizione  proposta  da  Corte  costituzionale  n.  118/1996   in
 riferimento alle conseguenze della menomazione della salute derivante
 da trattamenti sanitari: infatti la ricorrente non adduce a carico di
 chicchessia   alcun   comportamento   colpevole,  di  talche'  appare
 inconferente il richiamo alla giurisprudenza costituzionale  in  tema
 di  risarcimento  del  danno alla salute; d'altro canto la ricorrente
 non ha subito la menomazione nel corso dell'adempimento di un obbligo
 legale,  di  talche'  appare  manifestamente  infondata  l'ipotizzata
 discriminazione   "tra  vaccinati  e  trasfusi",  che  sarebbe  stata
 introdotta dall'art.  7, comma 1, d.-l.  n.  548/1996  convertito  in
 legge n. 641/1996 e dall'art.  1, comma 2, legge n. 238/1997.
   Puo'  aggiungersi  che  non  integra  violazione  del  principio di
 eguaglianza formale ex art. 3, comma 1 Cost. il  diverso  trattamento
 riservato  a  coloro  che  hanno  contratto  la  malattia  post legem
 rispetto a quello previsto per coloro che hanno  subito  il  contagio
 prima  dell'emanazione  della legge in quanto la diversa epoca in cui
 la  menomazione  si  e'  verificata  rappresenta   un   elemento   di
 differenziazione idoneo a giustificare la diversa disciplina.
   Anzi,  a  ben  vedere, non e' conferente al caso in esame qualsiasi
 richiamo all'assegno una tantum  attribuito  dall'art.  7,  comma  1,
 d.-l.  23 ottobre 1996, n. 548, convertito in legge 20 dicembre 1996,
 n. 641 e dall'art. 1, comma 2, legge 25 luglio 1997, n. 238 a  coloro
 che abbiano riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge
 o  per  ordinanza  di  un'autorita'  sanitaria  italiana,  lesioni  o
 infermita', dalle  quali  sia  derivata  una  menomazione  permanente
 dell'integrita'  psico-fisica: infatti la Corte costituzionale (sent.
 26  febbraio  1998,  n.  27)  ha   individuato   il   fondamento   di
 quell'assegno  negli artt. 2 e 32 Cost. (che secondo la tripartizione
 proposta dalla Corte deve essere attribuito soltanto a chi ha  subito
 la menomazione in conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale),
 negando  a  quella prestazione una funzione assistenziale ex art. 38,
 comma 1, Cost.
   Occorre, invece, chiedersi se l'esclusione di coloro che sono stati
 colpiti da epatiti post-trasfusionali in epoca precedente all'entrata
 in vigore della legge n. 210/1992 dal diritto ad un  equo  indennizzo
 per  il  periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e
 l'ottenimento dell'indennizzo previsto dall'art. 1, comma 3, legge n.
 210/1992, sia conforme al precetto ex art. 38, comma 1, in  relazione
 agli  artt.  2  e  3,  comma  2,  Cost., che, alla luce del dovere di
 solidarieta' ed al fine di rimuovere gli ostacoli al  pieno  sviluppo
 della  personalita'  umana, impone al legislatore di prevedere misure
 di sostegno assistenziale in favore di coloro che  hanno  subito  una
 menomazione  della  salute  non  dipendente  da  condotte  colpose in
 occasione di trattamenti sanitari non obbligatori.
   Non si dimentica che la Corte costituzionale (sent. n.  118/1996  e
 n.  455/1990) ha gia' ritenuto che "il dovere di aiutare chi si trova
 in difficolta' per una causa qualunque"  puo'  essere  adempiuto  dal
 legislatore  secondo "criteri di discrezionalita'" e sulla base della
 "necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi  e  beni  di
 pari rilievo costituzionale".
   Tuttavia  non  sembra  manifestamente  infondato  il  dubbio  se il
 legislatore abbia correttamente adempiuto quel dovere allorquando  ha
 escluso,  per  il  periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento
 dannoso e l'ottenimento della prestazione prevista dall'art. 1, comma
 3, legge n. 210/1992, un equo indennizzo in favore di  coloro  -  tra
 cui  va  annoverata  la  ricorrente  - che hanno contratto un'epatite
 post-trasfusionale nel corso di un trattamento sanitario, al quale si
 siano dovuti necessariamente sottoporre per salvaguardare la  propria
 stessa esistenza.
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata la questine di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, parte  prima  (come
 novellato  dall'art.  7,  comma  1,  d.-l.  23  ottobre 1996, n. 548,
 convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 641 e dell'art. 1, comma  2,
 legge  25  luglio  1997,  n.  238)  e  dell'art. 3, comma 7, legge 25
 febbraio 1992, n. 210), per contrasto con l'art. 38, comma 1,  Cost.,
 in relazione agli artt. 2 e 3, comma 2, Cost., nella parte in cui non
 riconosce  a  favore  di coloro che presentino danni irreversibili da
 epatiti  post-trasfusionali  contratte  nel  corso   di   trattamenti
 sanitari  necessari  a  salvaguardare  la  loro  stessa esistenza, il
 diritto ad un equo indennizzo a carico dello  Stato  per  il  periodo
 ricompreso  tra  il  manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento
 della prestazione prevista dall'art.  1, comma 3, legge n. 210/1992;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale;
   Sospende il giudizio in corso;
   Dispone  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata  alle  parti  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
     Trento, addi' 15 ottobre 1998
                           Il pretore: Flaim
 98C1455