N. 9 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 17 febbraio 1999

                                 N. 9
  Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in  cancelleria  il
 17 febbraio 1999 (della regione Lombardia)
 Stupefacenti  e  sostenze  psicotrope - Fondo nazionale di intervento
    per la lotta alla droga -  Criteri  e  modalita'  di  ripartizione
    delle  risorse per gli esercizi finanziari 1997-98 - Fissazione di
    percentuali di ripartizione degli  stanziamenti  per  "settori"  -
    Determinazione,  con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei
    Ministri, della ripartizione, per regione, della quota  del  Fondo
    da  assegnare  ai  comuni - Indicazione delle priorita' cui devono
    attenersi le amministazioni statali, le regioni e i  comuni  nella
    predisposizione  dei progetti da presentare per il finanziamento -
    Prevista  istruzione  di  tali  progetti  a   cura   di   apposita
    Commissione,  istituita  presso  la  Presidenza  del Consiglio dei
    Ministri,  previa  valutazione da parte delle regioni dei progetti
    dei comuni  -  Approvazione,  con  decreto  del  Ministro  per  la
    solidarieta'  sociale,  dei progetti stessi, sentita la Conferenza
    unificata -  Lamentata,  mancata  acquisizione  del  parere  della
    Conferenza  Stato-regioni  nella  procedura  per  l'emanazione del
    decreto  impugnato  e  nella  procedura  per  l'approvazione   dei
    progetti   -   Asserita   irragionevolezza   nella  fissazione  di
    percentuali di riparto delle risorse disponibili - Violazione  del
    principio  di  leale  collaborazione tra Stato e regioni - Lesione
    delle  competenze  regionali  della  Lombardia   in   materia   di
    beneficenza  pubblica,  assistenza  sanitaria  e  ospedaliera,  di
    assistenza socio-sanitaria,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione
    degli   stati  di  tossicodipendenza  -  Incidenza  sull'autonomia
    amministrativa e finanziaria  della  medesima  regione,  anche  in
    relazione all'avvalimento di uffici regionali da parte dello Stato
    - Violazione del principio di buon andamento della p.a.
 (D.P.C.M. 19 ottobre 1998, artt. 7, 6, 4, 2 e 1).
 (D.Lgs.  28  agosto 1997, n. 281; 31 marzo 1998, n. 112; Cost., artt.
    3, 5, 32, 97, 117, 118 e 119; d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,  art.
    127, comma 3).
(GU n.17 del 28-4-1999 )
   Ricorso  per conflitto di attribuzione  della regione Lombardia, in
 persona del Presidente pro-tempore della giunta regionale, on.  dott.
 Roberto Formigoni, rappresentata e difesa come da mandato  a  margine
 del  presente atto, ed in virtu' di deliberazione di autorizzazione a
 stare in giudizio di G.R. del 29 gennaio 1999 di cui all'allegato  1,
 dagli  avv.  proff.  Giuseppe  Franco  Ferrari  e Massimo Luciani, ed
 elettivamente domiciliata presso  lo  studio  del  secondo  in  Roma,
 Lungotevere delle Navi n. 30;
   Contro  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri a seguito e per
 l'effetto del decreto del Presidente del Consiglio  dei  Ministri  19
 ottobre  1998,  pubblicato  in Gazzetta Ufficiale 4 dicembre 1998, n.
 284,  Serie  generale,  recante  "Definizione  dei  criteri  e  delle
 modalita'  di  ripartizione  delle  risorse  del  Fondo  nazionale di
 intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e
 1998" (all.  2).
   1. - La materia "beneficenza pubblica  e  assistenza  sanitaria  ed
 ospedaliera",  come organicamente definita dal decreto del Presidente
 della Repubblica n. 616/1977, e' assegnata -  come  e'  noto  -  alle
 regioni ordinarie dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.
   Essa  rientra nel settore organico dei cosiddetti "servizi sociali"
 su cui si imperniava il trasferimento di  funzioni  disciplinato  dal
 citato d.P.R. n. 616.
   La   nozione   di  "servizi  sociali"  e'  stata  poi  recentemente
 ridefinita dal d.lgs. n. 112/1998: pertanto oggi essa non indica piu'
 una mera categoria sistematica, comprensiva di una serie di  materie,
 bensi'  una  vera  e  propria  materia, comprensiva dei "servizi alla
 persona e  alla  comunita'".  In  questa  prospettiva,  l'espressione
 "servizi  sociali" include oggi normativamente cio' che in passato si
 indicava tanto con le espressioni "assistenza sociale" e  "assistenza
 privata", quanto con l'espressione "beneficenza pubblica".
   La  programmazione  e  la  gestione dei servizi socio-assistenziali
 sono  state  sempre   affidate   alle   competenze   legislative   ed
 amministrative delle Regioni, gia' per effetto dei dd.P.R. 14 gennaio
 1972,  n.  4  e 15 gennaio 1972, n. 9, ribaditi prima dal titolo III,
 capi  III  e  IV, del d.P.R. n. 616/1977 e dalla legge n. 833/1978 di
 riforma sanitaria (art. 11) e poi, da ultimo, dal d.lgs. n. 502/1992.
 Quest'ultimo decreto, in  particolare,  all'art.  2  ha  testualmente
 affermato  che  "spettano  ...  alle  Regioni  la  determinazione dei
 principi sull'organizzazione dei servizi e  sull'attivita'  destinata
 alla  tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Unita'
 sanitarie  locali  e  delle  aziende  ospedaliere,  le  attivita'  di
 indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette
 Unita'  sanitarie  locali ed aziende, anche in relazione al controllo
 di gestione e  alla  valutazione  della  qualita'  delle  prestazioni
 sanitarie",  ed  all'art.  3,  comma  3,  ha  aggiunto  che "l'Unita'
 sanitaria locale puo' assumere la gestione  di  attivita'  o  servizi
 socio-assistenziali su delega dei singoli enti locali...".
   Per  quanto  attiene specificamente alle funzioni di prevenzione ed
 intervento contro l'uso di sostanze stupefacenti e  psicotrope,  gia'
 la legge n. 685/1975 e la legge n. 162/1990, poi coordinate nel testo
 unico  approvato con d.P.R. n. 309/1990, confermavano e ribadivano la
 competenza  delle  Regioni,  con   il   solo   limite   rappresentato
 dall'applicazione   dei   criteri   di   indirizzo   e  coordinamento
 provenienti dall'Amministrazione dello Stato, ovviamente adottati nel
 rispetto dei principi elaborati da codesta Ecc.ma Corte.  L'art.  113
 del  testo  unico,  segnatamente,  affidava  ai  servizi pubblici per
 l'assistenza sanitaria  ai  tossicodipendenti,  istituiti  presso  le
 unita'  sanitarie  locali, compiti di diagnosi, cura e riabilitazione
 dei  tossicodipendenti,  nonche'   funzioni   di   progettazione   ed
 esecuzione in forma diretta o indiretta di interventi di informazione
 e prevenzione.
   L'art.   127   dello   stesso   d.P.R.   n.  309/1990  ha  previsto
 l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri  di  un
 fondo,  denominato  "Fondo  nazionale di intervento per la lotta alla
 droga", per il finanziamento di progetti finalizzati  agli  obiettivi
 enunciati   dal   testo   unico  e  presentati  tanto  dai  Ministeri
 dell'interno, di grazia e giustizia,  della  difesa,  della  pubblica
 istruzione e della sanita', quanto da comuni e regioni.
   Con  la  legge n. 449/1997, collegata alla finanziaria per il 1998,
 le risorse costituenti il suddetto fondo sono state  fatte  confluire
 nel Fondo per le politiche sociali (poi rinominato dal d.lgs. n.
  112/1998  "Fondo  nazionale  per  le politiche sociali"), tra le cui
 finalita' si indicavano anche quella della "promozione di  interventi
 per   la   realizzazione   di  standard  essenziali  ed  uniformi  di
 prestazioni sociali su tutto il territorio dello Stato concernenti la
 prevenzione  ed  il  trattamento  delle  tossicodipendenze",  nonche'
 quella del "sostegno a progetti sperimentali attivati dalle regioni e
 dagli   enti  locali".    Alla  ripartizione  annuale  delle  risorse
 confluite nel Fondo, ai  sensi  dell'art.  59,  comma  46,  1egge  n.
 449/1997,  come  modificato  dal  d.lgs.    n.  112/1998,  si sarebbe
 provveduto con apposito decreto  del  Ministro  per  la  solidarieta'
 sociale,  da  emanarsi sentiti i Ministri interessati e la conferenza
 unificata di cui al d.lgs. n. 281/1997.
   In attuazione delle norme contenute  nel  capo  I  della  legge  n.
 59/1997,  infine,  il  legislatore delegato, al fine di completare il
 quadro dei conferimenti nella materia dei servizi sociali, ha emanato
 una serie di disposizioni, contenute nel  d.lgs.  n.  112/1998,  agli
 artt.    128-134,  incidenti  in  modo  sostanziale sul riparto delle
 competenze tra lo Stato e le regioni ed  enti  locali.  Proprio  alle
 regioni ed agli enti locali l'art. 131, comma 1 ha conferito tutte le
 funzioni  relative  ai  servizi  sociali,  facendo eccezione solo per
 quanto previsto dagli artt. 129 e 130. E' stato, quindi, ribadito  il
 potere  regionale  -  ne'  poteva  essere  altrimenti - di disciplina
 dell'esercizio delle predette funzioni, secondo il principio per  cui
 i  compiti  di  erogazione  dei servizi e di realizzazione della rete
 spettano ai comuni. Alla regione, ex art. 132, comma 1, e' stato  poi
 demandato l'obbligo di individuare puntualmente con legge i compiti e
 le  funzioni  amministrative  da  conferire  ai  comuni  nei  singoli
 settori. Infine, l'art. 132, comma 2, ha trasferito  alle  regioni  -
 che  poi  provvederanno al successivo conferimento agli enti locali -
 funzioni e compiti di  promozione  e  coordinamento  operativo  degli
 "attori dei servizi sociali".
   2.   -   Nell'ambito   del  quadro  normativo  cosi'  sommariamente
 descritto, ed in pretesa applicazione degli artt. 129, comma 1, lett.
 e), d.lgs.   n. 112/1998, e 59, comma  46,  legge  n.  449/1997,  che
 riservano  allo  Stato,  e  per  esso al Ministro per la solidarieta'
 sociale, la determinazione dei criteri per la ripartizione del  Fondo
 nazionale  per  le  politiche  sociali,  si  inserisce il decreto del
 Presidente del Consiglio dei Ministri del 19  ottobre  1998,  recante
 "Definizione  dei  criteri  e  delle  modalita' di ripartizione delle
 risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per
 gli esercizi 1997 e 1998".
   Tale decreto si  richiama  in  premessa  praticamente  a  tutte  le
 disposizioni  citate  nella  ricostruzione normativa che precede, per
 tentare di fondarvi un improbabile quadro normativo a supporto  delle
 proprie  prescrizioni.  In  realta'  esso,  operando  una illegittima
 invasione delle  competenze  regionali  in  materia  di  "beneficenza
 pubblica  e  assistenza  sanitaria e ospedaliera", risulta gravemente
 violativo delle prerogative costituzionali della  ricorrente  regione
 Lombardia, e si configura conseguentemente illegittimo per i seguenti
 motivi di
                             D i r i t t o
   1.  -  Quanto al decreto nella sua interezza: Violazione del d.lgs.
 28 agosto 1997, n.  281  e  del  d.lgs.  31  marzo  1998  n.  112  in
 riferimento  agli  artt.  5,  97,  117, 118 e 119 della Costituzione.
 Difetto di consultazione.
   La lesione delle prerogative costituzionali che le regioni  vantano
 nella  materia  oggetto del d.P.C.M. 19.10.1998 si e' concretata gia'
 nella fase di elaborazione del decreto stesso. Come  si  legge  nelle
 premesse  del testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale,
 n. 284 del 4.12.1998, risulta che sia stato acquisito il parere della
 Conferenza Stato-citta' ed autonomie  locali,  espresso  in  data  30
 luglio 1998.
   Ai  sensi  dell'art.  8,  d.lgs.  n.  281/1997,  detta  Conferenza,
 presieduta dal Presidente del Consiglio dei  Ministri,  conta  tra  i
 suoi   membri:    il  Ministro  del  tesoro,  del  bilancio  e  della
 programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro  dei
 lavori  pubblici, il Ministro della Sanita', il Presidente dell'ANCI,
 il Presidente dell'UPI, il Presidente  dell'UNCEM,  14  sindaci  e  6
 presidenti di provincia.
   Nessun  rappresentante  delle  regioni  partecipa  di  diritto alla
 Conferenza Stato-citta' ed  autonomie  locali.  Come  codesta  ecc.ma
 Corte  ha  chiarito  con  la  sent.  14 dicembre 1998, n. 408, tra la
 Conferenza Stato-regioni e la Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
 locali  non  vi  e'  ne'  coincidenza  ne'  fungibilita',  e  anzi le
 rappresentanze  delle  regioni  e  degli  enti  locali  restano   ben
 differenziate  anche  in  seno  alla  Conferenza unificata. Il parere
 della Conferenza Stato-citta' non soddisfa  in  alcun  modo,  dunque,
 quella  esigenza  di  consultazione  con le regioni che anche in tale
 ultima pronuncia codesta ecc.ma Corte costituzionale ha avuto modo di
 valorizzare.
   Nella fase preparatoria del d.P.C.M. che qui si  contesta,  dunque,
 non  risulta  siano  state  coinvolte  nelle debite forme le regioni.
 Cio' nonostante che la materia - rientrante nel settore  "beneficenza
 pubblica  ed  assistenza sanitaria ed ospedaliera" -sia espressamente
 riservata dagli artt. 117 e 118 della  Costituzione  alle  competenze
 legislative ed amministrative regionali; che, successivamente, l'art.
 131,  d.lgs.  n. 112/1998 abbia ribadito il conferimento alle regioni
 delle funzioni e dei compiti nella materia dei servizi sociali;  che,
 ai  sensi  dell'art.  132  del  medesimo  decreto  delegato, si debba
 attendere l'emanazione di una legge regionale per il conferimento  ai
 comuni   ed   agli   altri  enti  locali  delle  funzioni  e  compiti
 amministrativi   concernenti   i   servizi   sociali    relativi    a
 tossicodipendenti  ed  alcooldipendenti; che l'art. 133 del d.lgs. n.
 112/1998 prescriva di sentire la  Conferenza  unificata  in  sede  di
 ripartizione  delle  risorse  disponibili  sul Fondo nazionale per le
 politiche sociali; e che,  infine,  l'art.  2,  comma  3,  d.lgs.  n.
 281/1997    stabilisca    che   "la   Conferenza   Stato-regioni   e'
 obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e
 di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie  di
 competenza  delle  regioni  o  delle province autonome di Trento e di
 Bolzano".
   Delle due, invero, l'una: o il decreto impugnato si configura quale
 atto  di  indirizzo  e  coordinamento,   nel   qual   caso   la   sua
 illegittimita' deriverebbe dall'essere stato adottato con decreto del
 Presidente  del  Consiglio dei Ministri, senza che peraltro sia stata
 consultata la Conferenza  Stato-Regioni,  come  prescrive  l'art.  2,
 comma  3, d.lgs.  n. 281/1997; ovvero esso non e' atto di indirizzo e
 coordinamento, nel qual caso e' comunque  illegittimo  per  i  motivi
 esposti piu' oltre, sub 4.
   Il  livello di notevole analiticita' delle prescrizioni contestate,
 di gran lunga esorbitante i  ridotti  compiti  mantenuti  allo  Stato
 dall'art.  129,  d.lgs.  n.  112/1998,  violando il principio di buon
 andamento di cui all'art. 97 Cost., ridonda del pari in lesione delle
 competenze costituzionalmente riservate alle regioni.
   Se e' vero che la determinazione dei criteri  di  ripartizione  del
 Fondo  appartiene  allo  Stato,  in  ogni caso, in considerazione del
 fatto che ne e' coinvolta la programmazione regionale,  tali  criteri
 avrebbero  dovuto  essere  stabiliti  soltanto dopo avere formalmente
 acquisito il parere delle regioni e delle province autonome, espresso
 nella sede appropriata (cfr., in  tal  senso,  Corte  costituzionale,
 sent. 10 dicembre 1998, n. 398; cfr. anche sent. 28 dicembre 1995, n.
 520, in "Giur. cost.", 1995, 4361).
    Codesta  ecc.ma  Corte,  inoltre,  ha  gia'  da tempo illustrato e
 reiterato l'insegnamento per cui un regolamento, pur  configurato  in
 pretesa  esecuzione  di  leggi statali, non puo' porre norme intese a
 limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie  ad  esse
 attribuite;   e  cio'  sia  in  omaggio  alle  regole  costituzionali
 sull'ordine delle fonti, sia per espressa disposizione dell'art.  17,
 comma  1,  lett.    b)  e c), e comma 3 della legge n. 400/1988 (cfr.
 Corte cost., sent.  6 febbraio 991, n. 49, in "regioni",  1992,  231;
 sent.  13 maggio 1991, n. 204, in "Giur. cost.", 1991, 1853; sent. 31
 ottobre 1991, n. 391, in  "Cons.  St.",  1991,  II,  1654;  sent.  19
 novembre 1992, n. 461, in "Giur. cost.", 1992, 4152).
   Anche  sotto  questo profilo, dunque, si conferma l'esorbitanza del
 decreto impugnato dalla sfera di attribuzioni riservate allo Stato.
   2. - Quanto al  decreto  nella  sua  interezza  ed  in  particolare
 all'art.    1: Violazione degli artt.  5, 117, 118 e 119 Cost., anche
 in riferimento all'art. 127 comma 3, d.P.R. n.  309/1990;  violazione
 dell'art.  32 della Costituzione in correlazione con gli artt. 3 e 97
 Cost. Violazione del principio  di  leale  collaborazione.  Manifesta
 irragionevolezza del riparto delle risorse.
   L'art.  1  dell'impugnato  decreto  fissa  una serie di percentuali
 assai rigide di ripartizione per "settori" delle risorse  disponibili
 sugli  stanziamenti  per  la  lotta  alla  droga  confluiti nel Fondo
 nazionale per le politiche  sociali:  25%  per  il  finanziamento  di
 progetti  presentati  dai  Ministeri,  68%  per  il  finanziamento di
 progetti presentati dai comuni, singoli o  associati,  e  7%  per  il
 finanziamento di progetti regionali.
   L'  irragionevolezza di tale aprioristico riparto e' manifesta, ove
 solo si consideri che esso non tiene neppure conto di  criteri  quali
 la  qualita'  e  l'effettiva  rilevanza  dei progetti elaborati nelle
 diverse sedi.
   La disposizione in esame non contempla tra l'altro in  nessun  modo
 eventuali   progetti   elaborati   dalle   aziende  sanitarie  locali
 nell'ambito delle loro  competenze,  cosi'  come  riconosciute  anche
 dalla legislazione in materia di assistenza socio-sanitaria.
   E'   chiaro   che  esorbita  dalle  competenze  mantenute  in  capo
 all'Amministrazione statale la fissazione di  percentuali  rigide  di
 ripartizione  delle  risorse  come  quelle  indicate nell'articolo in
 esame, determinate peraltro in misura  del  tutto  arbitraria,  senza
 l'esplicitazione  dei criteri adottati e senza il coinvolgimento e la
 consultazione delle regioni. L'astrattezza della fissazione a  priori
 di  percentuali  di  riparto  fra  le  categorie di enti territoriali
 interessati  delle  risorse   disponibili,   invero,   impedisce   il
 necessario  apprezzamento dell'effettiva utilita' e meritevolezza dei
 progetti presentati, che  ovviamente  puo'  essere  compiuto  solo  a
 posteriori   in   sede  di  raffronto  tra  le  varie  iniziative  di
 intervento.
   Non si puo' ritenere che  un  elemento  di  flessibilizzazione  del
 sistema  sia  dato  dall'art.  3,  a  tenore  del quale "Le somme che
 eventualmente residuino all'interno di ciascuno dei  settori  di  cui
 all'  art.  1  del presente decreto sono nuovamente ripartite tra gli
 altri settori".   La possibilita'  che  si  determinino  residui  non
 deriva,   infatti,  da  un  raffronto  "incrociato"  tra  i  progetti
 presentati nei  vari  settori  (che  non  e'  affatto  previsto),  ma
 soltanto  dall'ipotesi  che tutti o alcuni dei progetti di un settore
 non osservino le priorita' indicate dall'art. 4.  Se  tali  priorita'
 sono  rispettate,  infatti, all'interno di ciascun settore i progetti
 vanno necessariamente finanziati, anche se sono comparativamente meno
 utili ed efficaci di quelli presentati in settori diversi.
   Conseguentemente, e'  evidente,  le  risorse  ai  progetti  vengono
 assegnate  secondo  la  rispettiva  meritevolezza solo all'interno di
 ciascun settore, ma non vi e' alcun raffronto tra progetti di settori
 diversi. Nonostante l'art. 3,  l'ammontare  delle  risorse  destinate
 all'uno    o    all'altro    settore   resta   dunque   astrattamente
 predeterminato,  con  il  risultato  di  ridurre  la  protezione  del
 fondamentale  diritto  alla  salute dei cittadini e di violare il non
 meno  fondamentale  principio  del  buon   andamento   dell'attivita'
 amministrativa   (sul   quale,   da   ultimo,  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale e' tornata con la sent. n. 1 del 1999).  La violazione
 di quel diritto e di quel principio determina un diretto  pregiudizio
 delle  attribuzioni  costituzionalmente  riservate  alle  regioni  (e
 quindi alla ricorrente), poiche' su di esse grava - come si e'  visto
 -  il  dovere  costituzionale  di provvedere (nel modo piu' efficace)
 all'assistenza sanitaria dei cittadini.
   A tutto questo non varrebbe replicare che la rigidita' delle  quote
 deriverebbe  dall'art.  127,  comma  3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
 309, a tenor del quale "una quota almeno pari al 7  per  cento  degli
 stanziamenti  di  cui  al  comma li' e' destinata al finanziamento di
 progetti di iniziativa delle regioni volti alla formazione  integrata
 degli  operatori  dei  servizi  pubblici  e privati convenzionati per
 l'assistenza  socio-sanitaria  alle  tossicodipendenze,   anche   con
 riguardo    alle   problematiche   derivanti   dal   trattamento   di
 tossicodipendenti sieropositivi". Infatti: a)  la  citata  previsione
 legislativa  fa  riferimento solo a detta percentuale, e non menziona
 affatto le altre arbitrariamente previste dall'atto impugnato; b)  il
 7% identifica una soglia minima ("almeno ..".), e non una percentuale
 rigida;  c)  quella  percentuale riguarda solo i progetti, fra quelli
 presentati dalle regioni, che hanno le finalita' ivi indicate, ma non
 fa alcun riferimento ai progetti regionali con finalita' diverse, che
 vanno  dunque  finanziati  oltre  quella  percentuale.  Ne'  potrebbe
 ritenersi  che  le  finalita'  indicate  dall'art.  127, comma 3, del
 d.P.R. n. 309 del 1990 siano le sole che i progetti regionali possano
 perseguire: e' evidente che le regioni hanno, in materia,  competenza
 (costituzionalmente  garantita)  generale,  che  non  potrebbe essere
 circoscritta dalle leggi ordinarie dello Stato. Ove fosse altrimenti,
 la  disposizione  menzionata  dovrebbe  ritenersi  costituzionalmente
 illegittima,   ma   il   principio  dell'interpretazione  conforme  a
 Costituzione impone di interpretarla nel senso qui prospettato.
   Stando cosi' le cose, pero',  l'atto  impugnato  risulta  violativo
 degli artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione anche in riferimento
 all'art.  127, comma 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che - come
 dimostrato - impone al Governo di  provvedere  al  finanziamento  dei
 progetti   regionali  nella  percentuale  (minima|)  del  7%  per  le
 finalita' ivi previste, salva la necessita'  di  finanziamento  oltre
 tale soglia dei progetti aventi finalita' diversa.
   3.  -  Quanto  al  decreto  nella  sua interezza, ed in particolare
 all'art.  2: Violazione degli artt. 3, 5, 32, 97,  117  e  118  della
 Costituzione  sotto  ulteriori  profili;  difetto  di  consultazione:
 violazione del principio di leale collaborazione.
   L'art.  2  del  d.P.C.M. 19 ottobre 1998 stabilisce che con decreto
 del Presidente  del  Consiglio  si  provveda  alla  ripartizione  per
 regioni  della  quota  del fondo da assegnare ai comuni, e cio' sulla
 base  dei  seguenti  dati:   la   popolazione   giovanile   residente
 individuata  in  base  ai  dati ISTAT; il livello di diffusione delle
 tossicodipendenze; il numero delle strutture pubbliche e del  privato
 sociale; il rapporto fra rete di servizi pubblici e privati esistente
 e livello dei bisogni.
   La  ripartizione per regioni avviene, quindi, ai sensi della citata
 norma, esclusivamente  sulla  base  di  dati  disponibili  a  livello
 nazionale,   senza  tenere  conto  di  dati  sulle  tossicodipendenze
 raccolti a livello locale e regionale, ne' di indicazioni provenienti
 dalle regioni medesime.
   Oltre alla manifesta irragionevolezza ed illogicita'  del  riparto,
 dunque, si deve rilevare come esso sia viziato anche sotto il profilo
 del  difetto  di  consultazione  e  della  lesione  delle  competenze
 programmatorie (e gestionali) regionali, ove solo  si  consideri  che
 non  e'  prevista  alcuna  forma di coinvolgimento delle regioni, ne'
 nella raccolta dei dati sulla base dei quali operare il riparto,  ne'
 tantomeno in sede di ripartizione delle risorse. E' parimenti violato
 il  principio  di leale collaborazione tra Stato e Regioni, elaborato
 negli anni da codesta ecc.ma Corte (sent. 14 dicembre 1998,  n.  408;
 sent.  10  dicembre  1998,  n. 398; sent. 10 febbraio 1997, n. 19, in
 "Giur. cost.", 1997, 142; sent. 18 luglio 1997, n.   242,  in  "Cons.
 St.",  1997,  II,  1099;  sent.  23  dicembre 1994, n. 444, in "Giur.
 cost.", 1994, 3876; sent. 10 novembre 1992, n. 427, in "Giur. cost.",
 1992, 3980).
   4. - Quanto al decreto  nella  sua  interezza,  ed  in  particolare
 all'art.  4: Violazione degli artt. 3, 32, 97, 117 e 118 Cost., sotto
 ulteriori profili.
   L'art.  4  del  d.P.C.M.  19 ottobre 1998 indica le priorita' a cui
 devono attenersi le Amministrazioni statali, le regioni ed  i  comuni
 nella   predisposizione   dei   progetti   da   presentare   per   il
 finanziamento.
   Con cio', di fatto, si e' esercitata una funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento in materia riservata alla competenza regionale, che non
 puo'  tuttavia,  come  in  piu'  occasioni ribadito da codesta ecc.ma
 Corte (cfr., ad es., sent. 14 dicembre 1998, n. 408; sent. 18  luglio
 1991,  n. 359, in "Cons. St.", 1991, II, 1306; sent. 7 aprile 994, n.
 124, in "Giur. cost.", 1994, 1038; sent. 29 luglio 1992, n.  384,  in
 "Cons. St.", 1992, II, 1165), legittimamente esplicarsi nell'adozione
 di  un  regolamento  quale  quello  che  ne  occupa,  mancando  nella
 fattispecie tanto  il  prescritto  requisito  formale,  rappresentato
 dalla   deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri,  quanto  quello
 sostanziale,  rappresentato  da  un'idonea   base   legislativa   che
 definisca principi e criteri normativi tali da orientare e delimitare
 la discrezionalita' del Governo.
   Si  pretende,  poi,  con  la disposizione in esame, di determinare,
 attraverso l'indicazione delle finalita'  prioritarie  a  cui  devono
 tendere  i  progetti,  anche  le  funzioni  ed  i compiti in concreto
 spettanti ai comuni nella materia de  qua,  mentre  -  come  indicato
 anche  dall'art.    132,  d.lgs.  n.  112/1998 - e' prerogativa delle
 regioni individuare nello specifico tali compiti con legge.
   Nel  merito,  inoltre,  l'art. 4 del contestato decreto, per quanto
 attiene ai progetti regionali,  fa  riferimento  esclusivamente  alla
 "formazione  integrata degli operatori dei servizi pubblici e privati
 convenzionati     per     l'assistenza      socio-sanitaria      alle
 tossicodipendenze"  ed alla "formazione per il trasferimento dei dati
 fra  amministrazioni   pubbliche   regionali,   fra   amministrazioni
 regionali e centrali, fra amministrazioni regionali ed altri soggetti
 che operano nel settore delle tossicodipendenze a livello regionale".
   Non  si  considerano, viceversa, ulteriori finalita' fondamentali a
 cui dovrebbero essere tesi i progetti  elaborati  dalle  regioni,  in
 rapporto  con  le competenze che costituzionalmente ad esse spettano.
 Si pensi,  esemplificativamente,  alle  funzioni  di  prevenzione  ed
 informazione  che  anche  il  testo  unico  del 1990 riconosceva alle
 Regioni, e che invece il d.P.C.M. 19.  ottobre  1998  indica  tra  le
 finalita'  prioritarie  dei  progetti elaborati dalle Amministrazioni
 dello Stato.
   Sono dunque violati gli artt. 117 e 118 Cost., con riferimento alle
 norme interposte rappresentate dalle disposizioni dettate in  materia
 di assistenza socio-sanitaria e di prevenzione, cura e riabilitazione
 degli  stati  di  tossicodipendenza dai dd.P.R. nn. 4/1972 (artt. 1 e
 2), 616/1977 (artt. 22, 27 e 32) e 309/1990 (artt. 113 e 127)  e  dal
 d.lgs.n. 112/1998 (artt. 131 e 132).
   5.  -  Quanto  al  decreto  nella  sua  interezza ed in particolare
 all'art.  6: Violazione degli artt. 3, 5, 32,  97,  117,  118  e  119
 Cost., sotto ulteriori profili.
   Ai  sensi  dell'art.  6,  d.P.C.M.  19  ottobre  1998,  i  progetti
 presentati  per  il  finanziamento  sono  istruiti   da   un'apposita
 commissione   istituita   presso  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri. In ordine ai progetti elaborati dai comuni, si prevede  che
 le  regioni  effettuino  una  valutazione preliminare di essi, le cui
 risultanze devono essere quindi sottoposte all'esame  della  predetta
 commissione  istruttoria.  In questo modo, poiche' l'assegnazione dei
 fondi e' mantenuta alla esclusiva competenza dello Stato, si ha  -  a
 prescindere  dalle etichette - un fenomeno di sostanziale avvalimento
 degli uffici regionali da parte dello Stato medesimo, che si serve di
 essi allo scopo di gestire  la  fase  di  istruzione  (e  preliminare
 valutazione)  dei  progetti.  E'  noto,  pero',  che l'avvalimento e'
 legittimo solo se si assicura "il rispetto necessario  dell'autonomia
 delle  regioni,  anche  sotto  il  profilo  della provvista dei mezzi
 finanziari necessari per fronteggiare nuovi oneri" (cosi', da ultimo,
 sent. n. 408 del 1998, punto 10 del Considerato  in  diritto).  Nella
 specie,  invece,  nessuna  provvista di ulteriori mezzi finanziari e'
 prevista. In tal  modo,  aggravando  gli  oneri  sulle  spalle  delle
 regioni,  si  compromette  irragionevolmente  il raggiungimento degli
 obiettivi perseguiti (in violazione degli artt. 32  e  97  Cost.,  in
 riferimento  agli  artt.  3,  5,  117,  118 e 119 Cost.), e si incide
 direttamente (e  illegittimamente)  sull'autonomia  amministrativa  e
 finanziaria delle regioni stesse.
   6.  -  Quanto  al  decreto  nella  sua  interezza ed in particolare
 all'art.   7: Violazione  del  d.lgs.  28  agosto  1997,  n.  281  in
 riferimento agli artt. 5, 97, 117 e 118 Cost..
   L'art.  7  del  contestato decreto prescrive che l'approvazione dei
 progetti sia disposta con decreto ministeriale, sentiti  il  Comitato
 nazionale di coordinamento per l'azione antidroga di cui all'art.  1,
 d.P.R.  n.  309/1990,  e  la Conferenza unificata di cui all'art.  8,
 comma 1, d.lgs. n. 281/1997.
    Ai  sensi  della  disposizione  da  ultimo  citata,  la Conferenza
 Statocitta' ed autonomie locali e' unificata, per  le  materie  ed  i
 compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni
 e delle comunita' montane, con la Conferenza Stato-regioni.
   Orbene,  non e' dato comprendere la ragione che giustificherebbe la
 necessita' di sentire sempre la Conferenza unificata, in  particolare
 quando  si  tratti  di  approvare  progetti presentati dalle regioni.
 Risponderebbe a logica, oltre che ai principi di buon andamento,  che
 in  tale  ipotesi  venisse  sentita  la Conferenza Stato-regioni, non
 sussistendo alcun interesse in merito in capo a comuni e province.
                               P. Q. M.
   Chiede che codesta ecc.ma Corte  costituzionale  voglia  dichiarare
 che non spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  di  disciplinare  i criteri e le modalita' di ripartizione
 delle risorse del Fondo nazionale di intervento  per  la  lotta  alla
 droga  per i profili illustrati nel presente ricorso, e per l'effetto
 annullare l'atto qui impugnato nella sua interezza,  e  comunque  per
 quanto concerne gli artt. 1, 2, 4, 6 e 7.
     Milano-Roma, addi' 29 gennaio 1999.
  Avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari - avv. prof. Massimo Luciani
 99C0156