N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 5 marzo 1999

                                N.  10
  Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 5
 marzo 1999 (della regione Lazio)
 Edilizia  e  urbanistica  - Insediamenti produttivi - Semplificazione
    dei relativi procedimenti di autorizzazione - Norme  contenute  in
    regolamento   di   prima  attuazione  della  legge  n.  59/1997  -
    Variazione degli strumenti urbanistici generali  in  relazione  ai
    progetti   di   impianti   presentati  -  Poteri  attribuiti  alla
    conferenza di servizi  ed  al  Consiglio  comunale  -  Sostanziale
    estromissione   delle  regioni  dal  procedimento  di  variante  -
    Conflitto  di  attribuzione  sollevato  dalla  regione   Lazio   -
    Violazione  del  riparto di competenze tra Stato, regioni e comuni
    nella programmazione e pianificazione  urbanistico-territoriale  -
    Violazione di principi e norme in materia di conferenza di servizi
    e  di  accordi  di  programma  - Violazione della riserva di legge
    generale sull'organizzazione degli enti locali - Limitazione,  con
    regolamento  governativo,  della sfera di competenza delle regioni
    nelle materie ad esse attribuite (in contrasto con  la  regola  di
    separazione  delle competenze tra fonti secondarie statali e fonti
    regionali).
 (D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, art. 5).
 (Cost., artt. 3, 115, 117, 118 e 128; legge 23 agosto 1988,  n.  400,
    art. 17, commi 1, lett. b) e 3).
(GU n.21 del 26-5-1999 )
   Ricorso  per  regolamento  di competenza ex art. 39, legge 11 marzo
 1953, n. 87 della regione Lazio,  in  persona  del  Presidente  della
 Giunta  regionale,  dr.  Pietro  Badaloni,  giusti i poteri conferiti
 dalla Giunta regionale, rappresentato e difeso nel presente  giudizio
 dagli  avv.ti Riccardo Delli Santi e Giuseppe La Cute, giusto mandato
 speciale a rogito notaio De Facendis di Roma del  24  febbraio  1999,
 rep.  89136,  qui depositato e elettivamente domiciliato in Roma, via
 di Monserrato n. 25 presso lo studio dell'avv. Riccardo Delli Santi;
   Contro la Presidenza del Consiglio dei  Ministri,  in  persona  del
 presidente   pro-tempore  domiciliato  ex  lege  presso  l'Avvocatura
 Generale dello Stato in  Roma;  per  l'annullamento  del  regolamento
 recante   disposizioni   di   semplificazione   dei  procedimenti  di
 autorizzazione    per    la    realizzazione,    l'ampliamento,    la
 ristrutturazione  e  la  riconversione  di  impianti  produttivi, per
 l'esecuzione  di  opere  interne  ai  fabbricati,  nonche'   per   la
 determinazione  delle  aree destinate agli insediamenti produttivi, a
 norma dell'art. 20, comma 8,  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59,
 approvato  con  d.P.R. del 20 ottobre 1998, n. 447 e pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n.  301
 del  28  dicembre  1998,  nella  parte  in  cui  invadendo  sfere  di
 competenza   delegate   alle   regioni,  ha  imposto  la  sostanziale
 estromissione delle regioni stesse nel procedimento  di  variante  ai
 vigenti strumenti urbanistici generali.
   Nell'ambito  della  cd.  "Riforma Bassanini" ed al fine di snellire
 una serie  di  procedimenti  amministrativi  talvolta  complessi,  il
 Governo  ha  predisposto  -  ed  il  Presidente  della  Repubblica ha
 approvato - il Regolamento del quale oggi si  chiede  l'annullamento,
 almeno in parte qua.
   L'art.  20  della legge n. 59/1997 ha delegato il Governo, entro il
 31 gennaio di ogni anno, a presentare al   Parlamento un  disegno  di
 legge  per  la  delegificazione  di  norme  concernenti  procedimenti
 amministrativi, anche coinvolgenti amministrazioni centrali, locali o
 autonome,  indicando  i  criteri  per  l'esercizio   della   potesta'
 regolamentare.
   Lo  stesso  disegno  di  legge  annuale dovra' indicare, in base al
 comma 2 del citato art. 20, i  procedimenti  relativi  a  funzioni  e
 servizi  che,  per  le  loro caratteristiche e per la loro pertinenza
 alle comunita' territoriali, sono attribuiti alla potesta'  normativa
 delle  regioni  e degli enti locali e indicare i principi che restano
 regolati con legge della Repubblica ai sensi degli artt. 117, primo e
 secondo comma, e 128 della Costituzione.
   Detti regolamenti sono emanati con  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica,  previa  deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri, su
 proposta del Presidente del Consiglio  dei  Ministri  -  Dipartimento
 della  funzione  pubblica,  di  concerto  con il Ministro competente,
 previa  acquisizione  del   parere   delle   competenti   Commissioni
 parlamentari  e  del Consiglio di Stato. A tal fine la Presidenza del
 Consiglio dei  Ministri  puo'  promuovere,  anche  su  richiesta  del
 Ministro competente, riunioni tra le amministrazioni interessate.
   La  delega  legislativa  stabilisce espressamente che i regolamenti
 devono conformarsi ai seguenti criteri e principi:
     a) semplificazione dei procedimenti amministrativi  e  di  quelli
 che  agli  stessi  risultano  strettamente connessi o strumentali, in
 modo  da  ridurre  il  numero  delle  fasi  procedimentali  e   delle
 amministrazioni  intervenienti, anche riordinando le competenze degli
 uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, sopprimendo  gli
 organi che risultino superflui e costituendo centri interservizi dove
 raggruppare competenze diverse ma confluenti in una unica procedura;
     b)  riduzione  dei  termini per la conclusione dei procedimenti e
 uniformazione dei tempi di conclusione previsti per procedimenti  tra
 loro analoghi;
     c) regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si
 svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della
 medesima amministrazione;
     d)   riduzione   del  numero  di  procedimenti  amministrativi  e
 accorpamento  dei  procedimenti  che  si  riferiscono  alla  medesima
 attivita',  anche riunendo in una unica fonte regolamentare, ove cio'
 corrisponda  ad  esigenze   di   semplificazione   e   conoscibilita'
 normativa, disposizioni provenienti da fonti di rango diverso, ovvero
 che  pretendono  particolari  procedure,  fermo restando l'obbligo di
 porre in essere le procedure stesse;
     e) semplificazione e accelerazione delle  procedure  di  spesa  e
 contabili,  anche  mediante  adozione  ed  estensione  alle  fasi  di
 integrazione dell'efficacia degli atti, di  disposizioni  analoghe  a
 quelle  di  cui  all'art. 51, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.
 29, e successive modificazioni;
     f)  trasferimento  ad   organi   monocratici   o   ai   dirigenti
 amministrativi  di funzioni anche decisionali, che non richiedano, in
 ragione della loro specificita', l'esercizio in forma  collegiale,  e
 sostituzione  degli organi collegiali con conferenze di servizi o con
 interventi, nei relativi  procedimenti,  dei  soggetti  portatori  di
 interessi diffusi;
     g)  individuazione  delle  responsabilita'  e  delle procedure di
 verifica e controllo;
     g-bis) soppressione  dei  procedimenti  che  risultino  non  piu'
 rispondenti  alle  finalita'  e  agli obiettivi fondamentali definiti
 dalla legislazione di settore o che  risultino  in  contrasto  con  i
 principi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario;
     g-ter)   soppressione   dei   procedimenti  che  comportino,  per
 l'amministrazione e per i cittadini, costi piu' elevati dei  benefici
 conseguibili,   anche   attraverso   la  sostituzione  dell'attivita'
 amministrativa diretta con forme  di  autoregolamentazione  da  parte
 degli interessati;
     g-quater)    adeguamento    della    disciplina   sostanziale   e
 procedimentale dell'attivita' e degli atti amministrativi ai principi
 della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime  concessorio
 quello autorizzatorio;
     g-quinquies)  soppressione  dei  procedimenti  che  derogano alla
 normativa  procedimentale  di   carattere   generale,   qualora   non
 sussistano  piu' le ragioni che giustifichino una difforme disciplina
 settoriale.
   Alle regioni a statuto ordinario e' affidato il compito di regolare
 le materie disciplinate  dai  commi  da  1  a  6,  nel  rispetto  dei
 princi'pi  desumibili  dalle  disposizioni  in  essi  contenute,  che
 costituiscono  principi  generali  dell'ordinamento  giuridico.  Tali
 disposizioni  operano  direttamente nei riguardi delle regioni fino a
 quando esse non avranno legiferato in materia.
    In sede di prima attuazione della legge n. 59/1997 e nel  rispetto
 dei  principi,  criteri  e modalita' riportati, sono emanati appositi
 regolamenti ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, comma  2,  della
 legge  23 agosto 1988, n. 400, per disciplinare i procedimenti di cui
 all'allegato 1, stessa legge.
   Le  voci  dell'allegato  citate nel Regolamento impugnato prevedono
 testualmente:
     26. Procedimento di autorizzazione per la realizzazione di  nuovi
 impianti produttivi;
     42.  Procedure relative all'incentivazione, all'ampliamento, alla
 ristrutturazione e riconversione degli impianti industriali;
     43. Procedure per la localizzazione degli impianti industriali  e
 per   la   determinazione  delle  aree  destinate  agli  insediamenti
 produttivi;
     50. Procedimento per l'esecuzione di opere interne nei fabbricati
 ad uso impresa.
   Tra Regolamento (d.P.R. n. 447/1998) e legge "Bassanini" (legge  n.
 55/1997)  e' seguito il passaggio intermedio d.lgs. 31 marzo 1998, n.
 112.
   L'art. 25 di quest'ultimo cosi' recita:
     "1. Il procedimento amministrativo in materia  di  autorizzazione
 all'insediamento  di  attivita' produttive e' unico. L'istruttoria ha
 per oggetto in particolare i  profili  urbanistici,  sanitari,  della
 tutela ambientale e della  sicurezza.
     2.  Il  procedimento,  disciplinato con uno o piu' regolamenti ai
 sensi dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo  1997,  n.  59,  si
 ispira ai seguenti principi:
      a)  istituzione  di  uno  sportello  unico  presso  la struttura
 organizzativa e individuazione del responsabile del procedimento;
      b) trasparenza delle procedure e apertura del procedimento  alle
 osservazioni dei soggetti portatori di interessi diffusi;
      c)      facolta'      per     l'interessato     di     ricorrere
 all'autocertificazione   per   l'attestazione,   sotto   la   propria
 responsabilita',   della   conformita'   del  progetto  alle  singole
 prescrizioni delle norme vigenti;
      d) facolta' per l'interessato, inutilmente decorsi i termini per
 il rilascio degli atti di assenso previsti, di realizzare  l'impianto
 in  conformita'  alle autocertificazioni prodotte, previa valutazione
 favorevole di impatto ambientale, ove prevista dalle norme vigenti  e
 purche' abbia ottenuto la concessione edilizia;
      e)  previsione dell'obbligo della riduzione in pristino nel caso
 di falsita' di alcuna delle autocerficazioni, fatti salvi i  casi  di
 errori   od   omissioni   materiali   suscettibili  di  correzioni  o
 integrazioni;
      f) possibilita' del ricorso da parte del comune, nella  qualita'
 di  amministrazione procedente, ove non sia esercitata la facolta' di
 cui  alla  lettera  c),  alla   conferenza   di   servizi,   le   cui
 determinazioni  sostituiscono  il provvedimento ai sensi dell'art. 14
 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come  modificato  dalla  legge  15
 maggio 1997, n. 127;
      g) possibilita' del ricorso alla conferenza di servizi quando il
 progetto contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico, in
 tal  caso,  ove  la  conferenza  di servizi registri un accordo sulla
 variazione  dello   strumento   urbanistico,      la   determinazione
 costituisce   proposta   di   variante   sulla   quale  si  pronuncia
 definitivamente   il   consiglio   comunale,   tenuto   conto   delle
 osservazioni proposte e opposizioni avanzate in conferenza di servizi
 nonche'  delle  osservazioni  e  opposizioni  formulate  dagli aventi
 titolo ai sensi della legge 7 agosto 1942, n. 1150;
      h) effettuazione del collaudo, da parte  di  soggetti  abilitati
 non  collegati professionalmente ne' economicamente in modo diretto o
 indiretto  all'impresa,  con  la  presenza  dei  tecnici  dell'unita'
 organizzativa,  entro  i  termini  stabiliti;  l'autorizzazione  e il
 collaudo non esonerano le amministrazioni  competenti  dalle  proprie
 funzioni  di  vigilanza  e controllo e dalle connesse responsabilita'
 previste dalla legge".
   Infine il Regolamento recante disposizioni di  semplificazione  dei
 procedimenti  di  autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento,
 la ristrutturazione e la riconversione di  impianti  produttivi,  per
 l'esecuzione   di   opere  interne  ai  fabbricati,  nonche'  per  la
 determinazione delle aree destinate agli insediamenti  produttivi,  a
 norma  dell'art.    20,  comma  8,  della legge 15 marzo 1997, n. 59,
 approvato con d.P.R.  del 20 ottobre 1998, n. 447 e pubblicato  nella
 Gazzetta  Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n. 301
 del 28 dicembre 1998, ha previsto la sostanziale estromissione  delle
 regioni dal procedimento di variante ai vigenti strumenti urbanistici
 generali.
   La previsione di tale estromissione non era in alcun modo contenuta
 nella delega legislativa e limita la competenza (non solo legislativa
 ma   anche)   di   pianificazione  e  programmazione  del  territorio
 costituzionalmente (e  legislativamente)  affidata  alla  cura  delle
 regioni, per le seguenti ragioni in diritto.
   I.  -  Violazione  degli  artt.  115, 117 e 118 della Costituzione.
 Violazione dei principi e delle  norme  in  materia  di  ripartizione
 delle  competenze Stato/regioni/comuni nell'ambito delle attivita' di
 programmazione e pianificazione urbanistica-territoriale.
   L'art. 5 del d.P.R. n. 447/1998 cosi' dispone:
     "Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento
 urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il  sindaco  del
 comune interessato rigetta l'istanza. Tuttavia, allorche' il progetto
 sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di
 sicurezza  del  lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree
 destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano
 insufficienti in relazione al progetto presentato, il  sindaco  puo',
 motivatamente   convocare  una  conferenza  di  servizi  disciplinata
 dall'art. 14 della legge 7  agosto  1990,  n.  241,  come  modificato
 dall'art.   17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, per le conseguenti
 decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso.
   Alla conferenza puo' intervenire qualunque soggetto,  portatore  di
 interessi  pubblici  o  privati,  individuali  o collettivi nonche' i
 portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati,
 cui possa derivare un pregiudizio dalla  realizzazione  del  progetto
 dell'impianto industriale.
   Qualora  l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione
 dello strumento urbanistico, la determinazione  costituisce  proposta
 di  variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e
 opposizioni formulate dagli aventi titolo ai  sensi  della  legge  17
 agosto n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il
 consiglio comunale".
   La riportata disposizione esclude la regione da ogni valutazione in
 ordine  alla  variante  (o  alla  deroga) dello strumento urbanistico
 generale.
    Come ben noto all'ecc.ma Consulta,  il  potere  di  programmazione
 all'uso  del  territorio  e'  attivita' trasferita dalla Costituzione
 alle regioni, ex art. 117 della Costituzione.
   L'attivita'  di  pianificazione  deve  essere   invece   esercitata
 congiuntamente  agli  enti  locali  interessati;  il piano regolatore
 generale e' definito in tal senso come atto complesso, ove concorrono
 due volonta': quella dell'ente locale e quella della regione.
   Dal punto di vista dell'imputazione giuridica della fattispecie, il
 P.R.G. - e ogni atto che incide su questo - deve essere  imputato  ai
 due  soggetti.  L'atto di approvazione a livello regionale stabilizza
 gli effetti giuridici del Piano regolatore generale e non rappresenta
 un mero atto di controllo. La regione compie un completo esame  dello
 schema  del P.R.G., nell'ambito di un potere discrezionale che deriva
 dalla  titolarita'  delle  funzioni  urbanistiche.  Se  il   giudizio
 regionale si conclude positivamente, la regione volontariamente - con
 il  decreto di approvazione (o anche in sede di accordo di programma,
 ove e' parte/necessaria) - assume la coimputazione dell'atto.
   Non si tratta di una funzione di controllo, ma di normale  funzione
 attiva, scindibile in tre diverse sub-funzioni: conoscitiva (ad opera
 degli  organi  tecnici)  decisoria  (ad  opera  dell'organo  politico
 amministrativo competente), di attuazione, attraverso  il  potere  di
 indirizzo   programmatico   sugli   enti   locali  ed  il  potere  di
 amministrazione attiva ai sensi della legge urbanistica.
   Pertanto l'approvazione del piano (della variante, dell'accordo  di
 programma)   e'   sempre   attivita'  di  indirizzo  urbanistico  del
 territorio attraverso la quale la  regione  persegue  l'obiettivo  di
 assicurare  unitarieta' e omogeneita' delle scelte urbanistiche degli
 enti  locali,  verificando  nel  merito   la   compatibilita'   degli
 interventi   rispetto   alle      previsioni   indicate  in  sede  di
 programmazione generale (vv.   piani di sviluppo  regionale  e  piani
 territoriali di  coordinamento).
   Questa  ricostruzione  viene  stravolta  da  una  fonte  di livello
 regolamentare, invadendo ambiti di competenza delineati  dalla  legge
 urbanistica  e confermati dalla Costituzione e dalle norme di settore
 intervenute negli anni.
   L'art. 5 del Regolamento prevede espressamente la facolta'  per  il
 comune  di  procedere, in sede di conferenza di servizi, a modificare
 (o derogare) lo strumento urbanistico (anche)  regionale,  senza  per
 questo  ritenere necessaria la partecipazione dell'ente titolare - in
 base  alla  Costituzione   -   dei   poteri   di   pianificazione   e
 programmazione territoriale.
   Il  decreto  legislativo  che  ha  autorizzato  l'approvazione  del
 regolamento si limita, come ogni atto di delega  -  a  prevedere  gli
 obiettivi   che  la  disposizione  delegata  deve  ottenere,  non  le
 modalita'  attraverso  le  quali  detti  obiettivi   debbano   essere
 perseguiti.  In  tale ottica il Governo, nel rispetto dei principi di
 separazione delle competenze  costituzionalmente  garantiti,  avrebbe
 avuto  l'obbligo  di  verificare  se, da un mero travaso letterale di
 norme (la formulazione dell'art.  25 del  d.lgs. n. 112/1998 -  norma
 di obiettivo - e' pressoche' identica a quella dell'art. 5 del d.P.R.
 impugnato  -  norma  procedimentale) potesse derivare pregiudizio nei
 confronti delle competenze regionali.
   Potrebbe  del  resto  sostenersi  -  vista  la  sua  non  esemplare
 chiarezza del  d.P.R.  -  che  la  norma  in  commento  debba  essere
 interpretata  nel  senso  di far partecipare comunque la regione alla
 conferenza di servizi, quale parte necessaria; tuttavia - purtroppo -
 contro  tale  ricostruzione  si  scontrano   almeno   due   ulteriori
 circostanze:
     a) la regione non puo' e non deve essere qualificata alla stregua
 di  soggetti  portatori  di  interessi  collettivi e diffusi; essa e'
 cotitolare del potere di pianificazione e programmazione  urbanistica
 e,  insieme  al comune, e' istituzionalmente competente a modificare,
 derogare, variare, il piano regolatore generale. Accettando l'opposta
 ricostruzione  si  violerebbe  palesemente  la  parte   della   legge
 urbanistica  che  attribuisce  all'ente  la facolta' di modificare la
 stessa proposta di variante (o di deroga) al P.R.G.  (cfr.:  art.  10
 L.U.  e  la  giurisprudenza  amministrativa  formatasi  sulla  natura
 giuridica delle  conferenze  di  servizi/accordi  di  programma:  "la
 variante  al  piano  regolatore generale, contenuta nell'approvazione
 del progetto di opere pubbliche, ancorche' assunta  dalla  conferenza
 di  servizi,  si  qualifica  come  atto complesso, imputabile in modo
 uguale alla regione e al comune", T.A.R. Puglia   sez. II,  Bari,  14
 marzo 1994, n. 277, in Foro it.  1995, III, 163);
     b)  Il  Consiglio  di  Stato,  Adunanza  consultiva  per gli atti
 normativi, del 14 settembre 1998, (n. 164/98), esprimendo  il  parere
 necessario   sullo  schema  di  regolamento,  ha  ritenuto  di  dover
 accogliere l'osservazione della conferenza unificata,  circa  la  non
 necessita'  dell'approvazione  della  variante  al  Piano  regolatore
 generale, da parte della regione.  L'On.le Consesso ha osservato che,
 sotto il profilo sostanziale,  le  attribuzioni  della  regione  sono
 pienamente  fatte  salve  dal  procedimento di cui all'art. 14, comma
 3-bis della legge n. 41/1990; per quanto concerne l'ambito di materia
 attribuito alla normativa regolamentare, la modifica suggerita appare
 coerente con le previsioni di cui all'art.  25, comma 2, lett. g) del
 d.lgs. n. 112/1998, che prevede  che  la  determinazione  costituisce
 proposta  di  variante  sulla  quale  si pronuncia definitivamente il
 consiglio comunale; l'avverbio definitivamente appare  appunto  avere
 la funzione di escludere l'approvazione regionale (testualmente dalla
 p. 9 del parere cit.).
   La  volonta'  del Consiglio di Stato, prima, e del Governo, poi, e'
 stata proprio quella di escludere  la  regione  dal  procedimento  di
 variante (deroga) al piano regolatore generale.
   Secondo  il parere riportato, la sottrazione di competenze verrebbe
 autorizzata dal rinvio operato dell'art. 14, legge 7 agosto 1990,  n.
 241, nel testo modificato dall'art. 17, legge 15 maggio 1997, n. 127,
 che ha aggiunto il comma 3-bis ed ha cosi' sostituito il comma 4, nel
 testo integrato dall'art. 2, legge 16 giugno 1998, n.  191, che cosi'
 dispone:
     "Nel  caso  in  cui una amministrazione abbia espresso, anche nel
 corso   della   conferenza,    il    proprio    motivato    dissenso,
 l'amministrazione  procedente  puo'  assumere  la  determinazione  di
 conclusione  positiva  del  procedimento  dandone  comunicazione   al
 Presidente   del   Consiglio   dei  Ministri,  ove  l'amministrazione
 procedente o quella dissenziente  sia  una  amministrazione  statale;
 negli altri casi la comunicazione e' data al presidente della regione
 ed  ai  sindaci.  Il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, previa
 delibera  del  Consiglio  medesimo, o il presidente della regione o i
 sindaci, previa delibera del  consiglio  regionale  o  del  consiglio
 comunale,  entro  trenta  giorni dalla ricezione della comunicazione,
 possono  disporre  la  sospensione  della   determinazione   inviata;
 trascorso  tale termine, in assenza di sospensione, la determinazione
 e' esecutiva. In caso di sospensione la conferenza puo', entro trenta
 giorni, pervenire ad  una  nuova  decisione  che  tenga  conto  delle
 osservazioni  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri. Decorso
 inutilmente tale termine, la conferenza e' sciolta".
   E' certamente oscura la parte di questa norma che prevede, in  sede
 di   variante   agli   strumenti   urbanistici,   la   partecipazione
 obbligatoria della regione. L'articolo riportato, applicato  al  caso
 concreto, consente alla regione di esprimere motivato dissenso su una
 decisione gia' assunta. Non e' detto che tale motivato dissenso possa
 condizionare  le scelte dell'amministrazione locale (...decisione che
 tenga conto delle osservazioni... ), pur trattandosi,  lo  ripetiamo,
 di  incidere  su  un  atto  a formazione progressiva e complessa dove
 l'imputazione soggettiva e' sia del comune che della regione.
   Una  eventuale  legge  regionale   di   attuazione   non   potrebbe
 discostarsi  dagli indirizzi contenuti dal Regolamento citato. Da qui
 il danno per la ricorrente la quale,  pur  disponendo  di  competenza
 legislativa     concorrente     nell'ambito     dell'attivita'     di
 pianificazione/programmazione  urbanistica  territoriale,  non   puo'
 regolamentare diversamente la materia.
   Venendo  meno  la  funzione  di  coordinamento  e di raccordo delle
 regioni, il territorio dei singoli  comuni  verrebbe  ad  estranearsi
 dalla realta' circostante, sino a divenire entita' autonoma; potrebbe
 per  assurdo  capitare  che,  in  due comuni limitrofi, uno dotato di
 vaste aree inedificate destinate ad insediamenti produttivi e l'altro
 quasi completamente edificato senza disponibilita'  di  aree  per  la
 produzione  di beni e servizi, si decida di realizzare gli interventi
 proprio nel comune meno adatto (cioe' privo di destinazioni  di  zona
 conformi).  Posta l'autonomia  delle singole amministrazioni locali e
 posta  anche  l'estromissione  della  regione,  la   fattispecie   e'
 tutt'altro che improbabile.
   Il  Regolamento  avrebbe dovuto prevedere, anche per gli interventi
 di iniziativa  privata,  indicati  dall'art.  5,  la  facolta'  delle
 regioni di assumere atti di indirizzo a favore degli ee.ll., nonche',
 ovviamente,  la  partecipazione  necessaria - quale soggetti titolari
 dell'interesse  prevalente  -  delle  regioni  nei  procedimenti   di
 variante o di deroga agli strumenti urbanistici generali.
   L'ecc.ma  Consulta  ha  affermato  l'appartenenza  alle regioni del
 potere di individuare, nelle materie ad esse attribuite, il carattere
 unitario nei rispettivi territori delle relative funzioni (cfr,  dec.
 Corte  costituzionale 15 luglio 1991, n. 343) e l'assoluto divieto di
 derogare al principio di distinzione tra programmazione territoriale,
 come diretta a regolare la destinazione e  l'uso  del  territorio,  e
 legittimazione  all'esecuzione  dell'opera,  (in  quel  caso  come in
 questo) conferita al  soggetto  interessato  senza  il  controllo  di
 coerenza  dell'intervento  specifico  con gli indirizzi programmatici
 (dec. Corte costituzionale 19 ottobre 1991, n. 393).
   E' evidente che se gli insediamenti  produttivi  vengono  approvati
 senza  la  possibilita'  sostanziale  -  non  meramente  formale - di
 opporsi e di presentare proprie autonome valutazioni (condizionanti),
 viene meno il riesame regionale e il  contraddittorio.  Tale  operato
 non  e'  coerente  con  il  principio  secondo il quale gli strumenti
 urbanistici comunali e le relative varianti si formano attraverso  un
 procedimento  amministrativo  complesso, cui partecipa la regione, in
 posizione di supremazia - o almeno di parita' - rispetto al comune.
   La regola del "motivato dissenso  non  condizionante"  imposta  dal
 Regolamento,  giusto  il richiamo alla legge n. 241/1990, puo' valere
 per le attivita' amministrative in cui  si  debba  dar  luogo  ad  un
 accertamento   dei   presupposti  e  nelle  quali  sia  assente  ogni
 discrezionalita'.
   La  trasposizione  di  tale   modello   negli   atti   ad   elevata
 discrezionalita',   come   quello   di   formazione  degli  strumenti
 urbanistici generali,  finisce  con  l'incidere  sull'essenza  stessa
 delle competenze regionali.
   II.  - Violazione degli artt. 3, 115, 117 e 118 della Costituzione.
 Violazione dei principi e delle norme tutte in tema di conferenza  di
 servizi  e  di  accordi  di  programma.  Violazione  del principio di
 riserva di legge.
   L'istituto  della  conferenza  di  servizi   non   e'   in   grado,
 autonomamente,   di   incidere   sulle   scelte   di   pianificazione
 urbanistica. Semmai esso va considerato come  atto  di  avvio  di  un
 procedimento complesso che ha la (diversa) finalita' di giungere alla
 sottoscrizione di un accordo di programma.
   Il  capo  IV  della  legge  7 agosto 1990, n. 241 - semplificazione
 dell'azione  amministrativa  -  prevede  che  qualora  sia  opportuno
 effettuare  un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti
 in  un  procedimento  amministrativo,  l'amministrazione   procedente
 indice di regola una conferenza di servizi. La conferenza stessa puo'
 essere   indetta  anche  quando  l'amministrazione  procedente  debba
 acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi  comunque  denominati
 di  altre  amministrazioni  pubbliche. In tal caso, le determinazioni
 concordate nella conferenza  sostituiscono  a  tutti  gli  effetti  i
 concerti, le intese, i nullaosta e gli assensi richiesti. Nella prima
 riunione  della  conferenza  di  servizi  le  amministrazioni  che vi
 partecipano stabiliscono il termine entro cui e' possibile  pervenire
 ad una decisione.
   La  disposizione  richiamata non prevede la facolta' di modificare,
 variare, derogare, gli strumenti urbanistici vigenti.  Tale  facolta'
 e' invece prevista dalla stessa legge n. 241 (artt. 14-bis/ter) per i
 procedimenti relativi ad opere pubbliche.
   Il  Regolamento  avrebbe semmai dovuto prevedere la convocazione di
 una conferenza di servizi  propedeutica  alla  sottoscrizione  di  un
 accordo di programma.
   Ai  sensi dell'art. 27 della  legge n. 142/1990, per la definizione
 e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi  di  intervento
 che   richiedono,   per  la  loro  completa  realizzazione,  l'azione
 integrata  e  coordinata  di  comuni,  di  province  e  regioni,   di
 amministrazioni  statali  e di altri soggetti pubblici, o comunque di
 due o piu' tra i soggetti predetti, il presidente della regione o  il
 presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza
 primaria  o  prevalenti sull'opera o sugli interventi o sui programmi
 di intervento, puo'  promuovere  la  conclusione  di  un  accordo  di
 programma, anche su richiesta di uno o piu' dei soggetti interessati,
 per  assicurare  il    coordinamento delle azioni e per determinare i
 tempi,   le  modalita',  il  finanziamento  ed  ogni  altro  connesso
 adempimento.  La possibilita' di modificare lo strumento  urbanistico
 e'  espressamente  prevista  da  tale  norma  (Ove l'accordo comporti
 variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del  sindaco  allo
 stesso  deve  essere  ratificata  dal consiglio comunale entro trenta
 giorni a pena di decadenza).  Con questo strumento  si  riconduce  in
 unica  procedura convenzionale ogni profilo connesso alla valutazione
 discrezionale dell'interesse pubblico  da  parte  dei  singoli  enti.
 Proprio   la   valutazione  discrezionale  assurge  a  caratteristica
 peculiare di  dette  attivita',  poiche'  gli  accordi  di  programma
 costituiscono  sempre manifestazione di volonta'.  In tal senso viene
 rispettata  la  dicotomia  regione/comune;   gli   enti   manifestano
 liberamente  il  proprio  indirizzo.    Non  a  caso, le disposizioni
 nazionali in merito tendono sostanzialmente ad indicare le  finalita'
 ed  i  contenuti  dell'accordo  di  programma,  attribuendo  poi alla
 potesta' legislativa regionale la definizione circa  il  procedimento
 e,  piu'  in  particolare, circa la fase centrale di questo, relativa
 all'acquisizione del consenso, (cfr. la legge regione Puglia,  n.  24
 del  l983;  legge  regione  Emilia-Romagna  n. 36/1988; legge regione
 Veneto n. 40/1990; legge regione Sardegna n. 45/1989, etc.).
   Rispetto alla  variante  al  Piano  regolatore,  la  conferenza  di
 servizi  e'  rilevante nei limiti in cui si preveda la sottoscrizione
 di un accordo di programma. Il Regolamento  impugnato  prevede  -  al
 contrario - la mera convocazione di una conferenza di servizi.
   III. - Violazione degli artt. 3, 117, 118 e 128 della Costituzione.
   Con    il   Regolamento   impugnato   si   disciplina   l'attivita'
 pianificatoria  dei   comuni   in   materia   urbanistica,   con   un
 provvedimento amministrativo che non e' "legge generale" di principio
 sull'organizzazione degli enti locali e che invade campi propri delle
 leggi di settore e di quelle previste dal secondo comma dell'art. 118
 della Costituzione.
   L'art. 17  della legge n. 400/1988, al comma 2, dispone:
     "Con    decreto   del   Presidente   della   Repubblica,   previa
 deliberazione del Consiglio dei Ministri,  sentito  il  Consiglio  di
 Stato,  sono  emanati  i regolamenti per la disciplina delle materie,
 non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione,
 per le quali le  leggi  della  Repubblica,  autorizzando  l'esercizio
 della  potesta'  regolamentare  del  Governo,  determinano  le  norme
 generali regolatrici della materia e dispongono  l'abrogazione  delle
 norme  vigenti,  con  effetto  dall'entrata  in  vigore  delle  norme
 regolamentari".  La regola base nei rapporti tra normative secondarie
 statali  e  fonti  regionali  e'  quella  della   separazione   delle
 competenze,  dovendosi,  quindi, escludere che un regolamento statale
 (governativo o ministeriale)  possa  legittimamente  contenere,  alla
 stregua delle regole costituzionali sulle fonti e del divieto sancito
 dall'art.  17, comma 1,  lett. b) e comma 3, legge 23 agosto 1988, n.
 400, norme volte a limitare la  sfera  di  competenza  delle  regioni
 nelle  materie  loro attribuite (cfr.  Corte costituzionale 16 luglio
 1996, n. 250, in Consiglio di Stato 1996, II, 1202).  Un  regolamento
 di  esecuzione  e  di  attuazione di una legge statale non puo' porre
 norme dirette a limitare la sfera delle competenze delle  regioni  in
 materie ad esse attribuite (cfr. Corte costituzionale 31 ottobre 1991
 n.  391,  in Giur. Cost. 1991, fasc. 5.; Cons. Stato 1991, II, 1654),
 come al contrario e' stato fatto nel caso di specie.
                                P. Q. M.
   E  per  quant'altro  si  evince dagli atti di causa, voglia l'adita
 eccellentissima Consulta  provvedere  a  risolvere  il  conflitto  di
 attribuzioni  sottoposto  al  suo  esame dichiarando che il potere al
 quale  spettano  le  attribuzioni  in  materia  di  programmazione  e
 pianificazione  urbanistica-territoriale  e' attribuito alle regioni.
 Conseguentemente, accertato che il Regolamento approvato  con  d.P.R.
 n.  447/1998  e'  viziato  da  incompetenza, Voglia la Corte disporne
 l'annullamento, nella parte in cui,  invadendo  sfere  di  competenza
 delegate  alle regioni, ha imposto la sostanziale estromissione delle
 regioni stesse dal procedimento  di  variante  ai  vigenti  strumenti
 urbanistici generali;
   Con ogni conseguenza di legge;
   Alla presente si allegano:
     1)  procura  speciale  a  rogito notar De Facendis di Roma del 24
 febbraio 1999, rep. 89136;
     2)  deliberazione  di  Giunta  regionale  con  autorizzazione  al
 giudizio;
     3)   regolamento  recante  disposizioni  di  semplificazione  dei
 procedimenti di autorizzazione per la  realizzazione,  l'ampliamento,
 la  ristrutturazione  e  la riconversione di impianti produttivi, per
 l'esecuzione  di  opere  interne  ai  fabbricati,  nonche'   per   la
 determinazione  delle  aree destinate agli insediamenti produttivi, a
 norma dell'art. 20,   comma 8, della legge  15  marzo  1997,  n.  59,
 approvato  con  d.P.R.  del  20  ottobre 1998, n. 447 e pubblicato in
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n.  301
 del 28 dicembre 1998;
     4)  parere  del  Consiglio  di Stato, Adunanza consultiva per gli
 atti normativi, del 14 settembre 1998,  (n. 164/1998);
   Salvis Juribus.
     Roma, addi' 26 febbraio 1999.
           Avv. Riccardo Delli Santi - avv. Giuseppe La Cute
 99C0238