N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 5 marzo 1999
N. 10 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 5 marzo 1999 (della regione Lazio) Edilizia e urbanistica - Insediamenti produttivi - Semplificazione dei relativi procedimenti di autorizzazione - Norme contenute in regolamento di prima attuazione della legge n. 59/1997 - Variazione degli strumenti urbanistici generali in relazione ai progetti di impianti presentati - Poteri attribuiti alla conferenza di servizi ed al Consiglio comunale - Sostanziale estromissione delle regioni dal procedimento di variante - Conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Lazio - Violazione del riparto di competenze tra Stato, regioni e comuni nella programmazione e pianificazione urbanistico-territoriale - Violazione di principi e norme in materia di conferenza di servizi e di accordi di programma - Violazione della riserva di legge generale sull'organizzazione degli enti locali - Limitazione, con regolamento governativo, della sfera di competenza delle regioni nelle materie ad esse attribuite (in contrasto con la regola di separazione delle competenze tra fonti secondarie statali e fonti regionali). (D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, art. 5). (Cost., artt. 3, 115, 117, 118 e 128; legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, commi 1, lett. b) e 3).(GU n.21 del 26-5-1999 )
Ricorso per regolamento di competenza ex art. 39, legge 11 marzo 1953, n. 87 della regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta regionale, dr. Pietro Badaloni, giusti i poteri conferiti dalla Giunta regionale, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli avv.ti Riccardo Delli Santi e Giuseppe La Cute, giusto mandato speciale a rogito notaio De Facendis di Roma del 24 febbraio 1999, rep. 89136, qui depositato e elettivamente domiciliato in Roma, via di Monserrato n. 25 presso lo studio dell'avv. Riccardo Delli Santi; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del presidente pro-tempore domiciliato ex lege presso l'Avvocatura Generale dello Stato in Roma; per l'annullamento del regolamento recante disposizioni di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l'esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonche' per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, approvato con d.P.R. del 20 ottobre 1998, n. 447 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n. 301 del 28 dicembre 1998, nella parte in cui invadendo sfere di competenza delegate alle regioni, ha imposto la sostanziale estromissione delle regioni stesse nel procedimento di variante ai vigenti strumenti urbanistici generali. Nell'ambito della cd. "Riforma Bassanini" ed al fine di snellire una serie di procedimenti amministrativi talvolta complessi, il Governo ha predisposto - ed il Presidente della Repubblica ha approvato - il Regolamento del quale oggi si chiede l'annullamento, almeno in parte qua. L'art. 20 della legge n. 59/1997 ha delegato il Governo, entro il 31 gennaio di ogni anno, a presentare al Parlamento un disegno di legge per la delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi, anche coinvolgenti amministrazioni centrali, locali o autonome, indicando i criteri per l'esercizio della potesta' regolamentare. Lo stesso disegno di legge annuale dovra' indicare, in base al comma 2 del citato art. 20, i procedimenti relativi a funzioni e servizi che, per le loro caratteristiche e per la loro pertinenza alle comunita' territoriali, sono attribuiti alla potesta' normativa delle regioni e degli enti locali e indicare i principi che restano regolati con legge della Repubblica ai sensi degli artt. 117, primo e secondo comma, e 128 della Costituzione. Detti regolamenti sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministro competente, previa acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato. A tal fine la Presidenza del Consiglio dei Ministri puo' promuovere, anche su richiesta del Ministro competente, riunioni tra le amministrazioni interessate. La delega legislativa stabilisce espressamente che i regolamenti devono conformarsi ai seguenti criteri e principi: a) semplificazione dei procedimenti amministrativi e di quelli che agli stessi risultano strettamente connessi o strumentali, in modo da ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche riordinando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, sopprimendo gli organi che risultino superflui e costituendo centri interservizi dove raggruppare competenze diverse ma confluenti in una unica procedura; b) riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti e uniformazione dei tempi di conclusione previsti per procedimenti tra loro analoghi; c) regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione; d) riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attivita', anche riunendo in una unica fonte regolamentare, ove cio' corrisponda ad esigenze di semplificazione e conoscibilita' normativa, disposizioni provenienti da fonti di rango diverso, ovvero che pretendono particolari procedure, fermo restando l'obbligo di porre in essere le procedure stesse; e) semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, anche mediante adozione ed estensione alle fasi di integrazione dell'efficacia degli atti, di disposizioni analoghe a quelle di cui all'art. 51, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni; f) trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti amministrativi di funzioni anche decisionali, che non richiedano, in ragione della loro specificita', l'esercizio in forma collegiale, e sostituzione degli organi collegiali con conferenze di servizi o con interventi, nei relativi procedimenti, dei soggetti portatori di interessi diffusi; g) individuazione delle responsabilita' e delle procedure di verifica e controllo; g-bis) soppressione dei procedimenti che risultino non piu' rispondenti alle finalita' e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che risultino in contrasto con i principi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario; g-ter) soppressione dei procedimenti che comportino, per l'amministrazione e per i cittadini, costi piu' elevati dei benefici conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell'attivita' amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli interessati; g-quater) adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attivita' e degli atti amministrativi ai principi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio; g-quinquies) soppressione dei procedimenti che derogano alla normativa procedimentale di carattere generale, qualora non sussistano piu' le ragioni che giustifichino una difforme disciplina settoriale. Alle regioni a statuto ordinario e' affidato il compito di regolare le materie disciplinate dai commi da 1 a 6, nel rispetto dei princi'pi desumibili dalle disposizioni in essi contenute, che costituiscono principi generali dell'ordinamento giuridico. Tali disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia. In sede di prima attuazione della legge n. 59/1997 e nel rispetto dei principi, criteri e modalita' riportati, sono emanati appositi regolamenti ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per disciplinare i procedimenti di cui all'allegato 1, stessa legge. Le voci dell'allegato citate nel Regolamento impugnato prevedono testualmente: 26. Procedimento di autorizzazione per la realizzazione di nuovi impianti produttivi; 42. Procedure relative all'incentivazione, all'ampliamento, alla ristrutturazione e riconversione degli impianti industriali; 43. Procedure per la localizzazione degli impianti industriali e per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi; 50. Procedimento per l'esecuzione di opere interne nei fabbricati ad uso impresa. Tra Regolamento (d.P.R. n. 447/1998) e legge "Bassanini" (legge n. 55/1997) e' seguito il passaggio intermedio d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. L'art. 25 di quest'ultimo cosi' recita: "1. Il procedimento amministrativo in materia di autorizzazione all'insediamento di attivita' produttive e' unico. L'istruttoria ha per oggetto in particolare i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza. 2. Il procedimento, disciplinato con uno o piu' regolamenti ai sensi dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, si ispira ai seguenti principi: a) istituzione di uno sportello unico presso la struttura organizzativa e individuazione del responsabile del procedimento; b) trasparenza delle procedure e apertura del procedimento alle osservazioni dei soggetti portatori di interessi diffusi; c) facolta' per l'interessato di ricorrere all'autocertificazione per l'attestazione, sotto la propria responsabilita', della conformita' del progetto alle singole prescrizioni delle norme vigenti; d) facolta' per l'interessato, inutilmente decorsi i termini per il rilascio degli atti di assenso previsti, di realizzare l'impianto in conformita' alle autocertificazioni prodotte, previa valutazione favorevole di impatto ambientale, ove prevista dalle norme vigenti e purche' abbia ottenuto la concessione edilizia; e) previsione dell'obbligo della riduzione in pristino nel caso di falsita' di alcuna delle autocerficazioni, fatti salvi i casi di errori od omissioni materiali suscettibili di correzioni o integrazioni; f) possibilita' del ricorso da parte del comune, nella qualita' di amministrazione procedente, ove non sia esercitata la facolta' di cui alla lettera c), alla conferenza di servizi, le cui determinazioni sostituiscono il provvedimento ai sensi dell'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127; g) possibilita' del ricorso alla conferenza di servizi quando il progetto contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico, in tal caso, ove la conferenza di servizi registri un accordo sulla variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale, tenuto conto delle osservazioni proposte e opposizioni avanzate in conferenza di servizi nonche' delle osservazioni e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 7 agosto 1942, n. 1150; h) effettuazione del collaudo, da parte di soggetti abilitati non collegati professionalmente ne' economicamente in modo diretto o indiretto all'impresa, con la presenza dei tecnici dell'unita' organizzativa, entro i termini stabiliti; l'autorizzazione e il collaudo non esonerano le amministrazioni competenti dalle proprie funzioni di vigilanza e controllo e dalle connesse responsabilita' previste dalla legge". Infine il Regolamento recante disposizioni di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l'esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonche' per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, approvato con d.P.R. del 20 ottobre 1998, n. 447 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n. 301 del 28 dicembre 1998, ha previsto la sostanziale estromissione delle regioni dal procedimento di variante ai vigenti strumenti urbanistici generali. La previsione di tale estromissione non era in alcun modo contenuta nella delega legislativa e limita la competenza (non solo legislativa ma anche) di pianificazione e programmazione del territorio costituzionalmente (e legislativamente) affidata alla cura delle regioni, per le seguenti ragioni in diritto. I. - Violazione degli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione. Violazione dei principi e delle norme in materia di ripartizione delle competenze Stato/regioni/comuni nell'ambito delle attivita' di programmazione e pianificazione urbanistica-territoriale. L'art. 5 del d.P.R. n. 447/1998 cosi' dispone: "Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il sindaco del comune interessato rigetta l'istanza. Tuttavia, allorche' il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il sindaco puo', motivatamente convocare una conferenza di servizi disciplinata dall'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza puo' intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonche' i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale. Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale". La riportata disposizione esclude la regione da ogni valutazione in ordine alla variante (o alla deroga) dello strumento urbanistico generale. Come ben noto all'ecc.ma Consulta, il potere di programmazione all'uso del territorio e' attivita' trasferita dalla Costituzione alle regioni, ex art. 117 della Costituzione. L'attivita' di pianificazione deve essere invece esercitata congiuntamente agli enti locali interessati; il piano regolatore generale e' definito in tal senso come atto complesso, ove concorrono due volonta': quella dell'ente locale e quella della regione. Dal punto di vista dell'imputazione giuridica della fattispecie, il P.R.G. - e ogni atto che incide su questo - deve essere imputato ai due soggetti. L'atto di approvazione a livello regionale stabilizza gli effetti giuridici del Piano regolatore generale e non rappresenta un mero atto di controllo. La regione compie un completo esame dello schema del P.R.G., nell'ambito di un potere discrezionale che deriva dalla titolarita' delle funzioni urbanistiche. Se il giudizio regionale si conclude positivamente, la regione volontariamente - con il decreto di approvazione (o anche in sede di accordo di programma, ove e' parte/necessaria) - assume la coimputazione dell'atto. Non si tratta di una funzione di controllo, ma di normale funzione attiva, scindibile in tre diverse sub-funzioni: conoscitiva (ad opera degli organi tecnici) decisoria (ad opera dell'organo politico amministrativo competente), di attuazione, attraverso il potere di indirizzo programmatico sugli enti locali ed il potere di amministrazione attiva ai sensi della legge urbanistica. Pertanto l'approvazione del piano (della variante, dell'accordo di programma) e' sempre attivita' di indirizzo urbanistico del territorio attraverso la quale la regione persegue l'obiettivo di assicurare unitarieta' e omogeneita' delle scelte urbanistiche degli enti locali, verificando nel merito la compatibilita' degli interventi rispetto alle previsioni indicate in sede di programmazione generale (vv. piani di sviluppo regionale e piani territoriali di coordinamento). Questa ricostruzione viene stravolta da una fonte di livello regolamentare, invadendo ambiti di competenza delineati dalla legge urbanistica e confermati dalla Costituzione e dalle norme di settore intervenute negli anni. L'art. 5 del Regolamento prevede espressamente la facolta' per il comune di procedere, in sede di conferenza di servizi, a modificare (o derogare) lo strumento urbanistico (anche) regionale, senza per questo ritenere necessaria la partecipazione dell'ente titolare - in base alla Costituzione - dei poteri di pianificazione e programmazione territoriale. Il decreto legislativo che ha autorizzato l'approvazione del regolamento si limita, come ogni atto di delega - a prevedere gli obiettivi che la disposizione delegata deve ottenere, non le modalita' attraverso le quali detti obiettivi debbano essere perseguiti. In tale ottica il Governo, nel rispetto dei principi di separazione delle competenze costituzionalmente garantiti, avrebbe avuto l'obbligo di verificare se, da un mero travaso letterale di norme (la formulazione dell'art. 25 del d.lgs. n. 112/1998 - norma di obiettivo - e' pressoche' identica a quella dell'art. 5 del d.P.R. impugnato - norma procedimentale) potesse derivare pregiudizio nei confronti delle competenze regionali. Potrebbe del resto sostenersi - vista la sua non esemplare chiarezza del d.P.R. - che la norma in commento debba essere interpretata nel senso di far partecipare comunque la regione alla conferenza di servizi, quale parte necessaria; tuttavia - purtroppo - contro tale ricostruzione si scontrano almeno due ulteriori circostanze: a) la regione non puo' e non deve essere qualificata alla stregua di soggetti portatori di interessi collettivi e diffusi; essa e' cotitolare del potere di pianificazione e programmazione urbanistica e, insieme al comune, e' istituzionalmente competente a modificare, derogare, variare, il piano regolatore generale. Accettando l'opposta ricostruzione si violerebbe palesemente la parte della legge urbanistica che attribuisce all'ente la facolta' di modificare la stessa proposta di variante (o di deroga) al P.R.G. (cfr.: art. 10 L.U. e la giurisprudenza amministrativa formatasi sulla natura giuridica delle conferenze di servizi/accordi di programma: "la variante al piano regolatore generale, contenuta nell'approvazione del progetto di opere pubbliche, ancorche' assunta dalla conferenza di servizi, si qualifica come atto complesso, imputabile in modo uguale alla regione e al comune", T.A.R. Puglia sez. II, Bari, 14 marzo 1994, n. 277, in Foro it. 1995, III, 163); b) Il Consiglio di Stato, Adunanza consultiva per gli atti normativi, del 14 settembre 1998, (n. 164/98), esprimendo il parere necessario sullo schema di regolamento, ha ritenuto di dover accogliere l'osservazione della conferenza unificata, circa la non necessita' dell'approvazione della variante al Piano regolatore generale, da parte della regione. L'On.le Consesso ha osservato che, sotto il profilo sostanziale, le attribuzioni della regione sono pienamente fatte salve dal procedimento di cui all'art. 14, comma 3-bis della legge n. 41/1990; per quanto concerne l'ambito di materia attribuito alla normativa regolamentare, la modifica suggerita appare coerente con le previsioni di cui all'art. 25, comma 2, lett. g) del d.lgs. n. 112/1998, che prevede che la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale; l'avverbio definitivamente appare appunto avere la funzione di escludere l'approvazione regionale (testualmente dalla p. 9 del parere cit.). La volonta' del Consiglio di Stato, prima, e del Governo, poi, e' stata proprio quella di escludere la regione dal procedimento di variante (deroga) al piano regolatore generale. Secondo il parere riportato, la sottrazione di competenze verrebbe autorizzata dal rinvio operato dell'art. 14, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo modificato dall'art. 17, legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha aggiunto il comma 3-bis ed ha cosi' sostituito il comma 4, nel testo integrato dall'art. 2, legge 16 giugno 1998, n. 191, che cosi' dispone: "Nel caso in cui una amministrazione abbia espresso, anche nel corso della conferenza, il proprio motivato dissenso, l'amministrazione procedente puo' assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento dandone comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, ove l'amministrazione procedente o quella dissenziente sia una amministrazione statale; negli altri casi la comunicazione e' data al presidente della regione ed ai sindaci. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Consiglio medesimo, o il presidente della regione o i sindaci, previa delibera del consiglio regionale o del consiglio comunale, entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione, possono disporre la sospensione della determinazione inviata; trascorso tale termine, in assenza di sospensione, la determinazione e' esecutiva. In caso di sospensione la conferenza puo', entro trenta giorni, pervenire ad una nuova decisione che tenga conto delle osservazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. Decorso inutilmente tale termine, la conferenza e' sciolta". E' certamente oscura la parte di questa norma che prevede, in sede di variante agli strumenti urbanistici, la partecipazione obbligatoria della regione. L'articolo riportato, applicato al caso concreto, consente alla regione di esprimere motivato dissenso su una decisione gia' assunta. Non e' detto che tale motivato dissenso possa condizionare le scelte dell'amministrazione locale (...decisione che tenga conto delle osservazioni... ), pur trattandosi, lo ripetiamo, di incidere su un atto a formazione progressiva e complessa dove l'imputazione soggettiva e' sia del comune che della regione. Una eventuale legge regionale di attuazione non potrebbe discostarsi dagli indirizzi contenuti dal Regolamento citato. Da qui il danno per la ricorrente la quale, pur disponendo di competenza legislativa concorrente nell'ambito dell'attivita' di pianificazione/programmazione urbanistica territoriale, non puo' regolamentare diversamente la materia. Venendo meno la funzione di coordinamento e di raccordo delle regioni, il territorio dei singoli comuni verrebbe ad estranearsi dalla realta' circostante, sino a divenire entita' autonoma; potrebbe per assurdo capitare che, in due comuni limitrofi, uno dotato di vaste aree inedificate destinate ad insediamenti produttivi e l'altro quasi completamente edificato senza disponibilita' di aree per la produzione di beni e servizi, si decida di realizzare gli interventi proprio nel comune meno adatto (cioe' privo di destinazioni di zona conformi). Posta l'autonomia delle singole amministrazioni locali e posta anche l'estromissione della regione, la fattispecie e' tutt'altro che improbabile. Il Regolamento avrebbe dovuto prevedere, anche per gli interventi di iniziativa privata, indicati dall'art. 5, la facolta' delle regioni di assumere atti di indirizzo a favore degli ee.ll., nonche', ovviamente, la partecipazione necessaria - quale soggetti titolari dell'interesse prevalente - delle regioni nei procedimenti di variante o di deroga agli strumenti urbanistici generali. L'ecc.ma Consulta ha affermato l'appartenenza alle regioni del potere di individuare, nelle materie ad esse attribuite, il carattere unitario nei rispettivi territori delle relative funzioni (cfr, dec. Corte costituzionale 15 luglio 1991, n. 343) e l'assoluto divieto di derogare al principio di distinzione tra programmazione territoriale, come diretta a regolare la destinazione e l'uso del territorio, e legittimazione all'esecuzione dell'opera, (in quel caso come in questo) conferita al soggetto interessato senza il controllo di coerenza dell'intervento specifico con gli indirizzi programmatici (dec. Corte costituzionale 19 ottobre 1991, n. 393). E' evidente che se gli insediamenti produttivi vengono approvati senza la possibilita' sostanziale - non meramente formale - di opporsi e di presentare proprie autonome valutazioni (condizionanti), viene meno il riesame regionale e il contraddittorio. Tale operato non e' coerente con il principio secondo il quale gli strumenti urbanistici comunali e le relative varianti si formano attraverso un procedimento amministrativo complesso, cui partecipa la regione, in posizione di supremazia - o almeno di parita' - rispetto al comune. La regola del "motivato dissenso non condizionante" imposta dal Regolamento, giusto il richiamo alla legge n. 241/1990, puo' valere per le attivita' amministrative in cui si debba dar luogo ad un accertamento dei presupposti e nelle quali sia assente ogni discrezionalita'. La trasposizione di tale modello negli atti ad elevata discrezionalita', come quello di formazione degli strumenti urbanistici generali, finisce con l'incidere sull'essenza stessa delle competenze regionali. II. - Violazione degli artt. 3, 115, 117 e 118 della Costituzione. Violazione dei principi e delle norme tutte in tema di conferenza di servizi e di accordi di programma. Violazione del principio di riserva di legge. L'istituto della conferenza di servizi non e' in grado, autonomamente, di incidere sulle scelte di pianificazione urbanistica. Semmai esso va considerato come atto di avvio di un procedimento complesso che ha la (diversa) finalita' di giungere alla sottoscrizione di un accordo di programma. Il capo IV della legge 7 agosto 1990, n. 241 - semplificazione dell'azione amministrativa - prevede che qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente indice di regola una conferenza di servizi. La conferenza stessa puo' essere indetta anche quando l'amministrazione procedente debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche. In tal caso, le determinazioni concordate nella conferenza sostituiscono a tutti gli effetti i concerti, le intese, i nullaosta e gli assensi richiesti. Nella prima riunione della conferenza di servizi le amministrazioni che vi partecipano stabiliscono il termine entro cui e' possibile pervenire ad una decisione. La disposizione richiamata non prevede la facolta' di modificare, variare, derogare, gli strumenti urbanistici vigenti. Tale facolta' e' invece prevista dalla stessa legge n. 241 (artt. 14-bis/ter) per i procedimenti relativi ad opere pubbliche. Il Regolamento avrebbe semmai dovuto prevedere la convocazione di una conferenza di servizi propedeutica alla sottoscrizione di un accordo di programma. Ai sensi dell'art. 27 della legge n. 142/1990, per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o piu' tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalenti sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, puo' promuovere la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o piu' dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinare i tempi, le modalita', il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. La possibilita' di modificare lo strumento urbanistico e' espressamente prevista da tale norma (Ove l'accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del sindaco allo stesso deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza). Con questo strumento si riconduce in unica procedura convenzionale ogni profilo connesso alla valutazione discrezionale dell'interesse pubblico da parte dei singoli enti. Proprio la valutazione discrezionale assurge a caratteristica peculiare di dette attivita', poiche' gli accordi di programma costituiscono sempre manifestazione di volonta'. In tal senso viene rispettata la dicotomia regione/comune; gli enti manifestano liberamente il proprio indirizzo. Non a caso, le disposizioni nazionali in merito tendono sostanzialmente ad indicare le finalita' ed i contenuti dell'accordo di programma, attribuendo poi alla potesta' legislativa regionale la definizione circa il procedimento e, piu' in particolare, circa la fase centrale di questo, relativa all'acquisizione del consenso, (cfr. la legge regione Puglia, n. 24 del l983; legge regione Emilia-Romagna n. 36/1988; legge regione Veneto n. 40/1990; legge regione Sardegna n. 45/1989, etc.). Rispetto alla variante al Piano regolatore, la conferenza di servizi e' rilevante nei limiti in cui si preveda la sottoscrizione di un accordo di programma. Il Regolamento impugnato prevede - al contrario - la mera convocazione di una conferenza di servizi. III. - Violazione degli artt. 3, 117, 118 e 128 della Costituzione. Con il Regolamento impugnato si disciplina l'attivita' pianificatoria dei comuni in materia urbanistica, con un provvedimento amministrativo che non e' "legge generale" di principio sull'organizzazione degli enti locali e che invade campi propri delle leggi di settore e di quelle previste dal secondo comma dell'art. 118 della Costituzione. L'art. 17 della legge n. 400/1988, al comma 2, dispone: "Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potesta' regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari". La regola base nei rapporti tra normative secondarie statali e fonti regionali e' quella della separazione delle competenze, dovendosi, quindi, escludere che un regolamento statale (governativo o ministeriale) possa legittimamente contenere, alla stregua delle regole costituzionali sulle fonti e del divieto sancito dall'art. 17, comma 1, lett. b) e comma 3, legge 23 agosto 1988, n. 400, norme volte a limitare la sfera di competenza delle regioni nelle materie loro attribuite (cfr. Corte costituzionale 16 luglio 1996, n. 250, in Consiglio di Stato 1996, II, 1202). Un regolamento di esecuzione e di attuazione di una legge statale non puo' porre norme dirette a limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie ad esse attribuite (cfr. Corte costituzionale 31 ottobre 1991 n. 391, in Giur. Cost. 1991, fasc. 5.; Cons. Stato 1991, II, 1654), come al contrario e' stato fatto nel caso di specie.
P. Q. M. E per quant'altro si evince dagli atti di causa, voglia l'adita eccellentissima Consulta provvedere a risolvere il conflitto di attribuzioni sottoposto al suo esame dichiarando che il potere al quale spettano le attribuzioni in materia di programmazione e pianificazione urbanistica-territoriale e' attribuito alle regioni. Conseguentemente, accertato che il Regolamento approvato con d.P.R. n. 447/1998 e' viziato da incompetenza, Voglia la Corte disporne l'annullamento, nella parte in cui, invadendo sfere di competenza delegate alle regioni, ha imposto la sostanziale estromissione delle regioni stesse dal procedimento di variante ai vigenti strumenti urbanistici generali; Con ogni conseguenza di legge; Alla presente si allegano: 1) procura speciale a rogito notar De Facendis di Roma del 24 febbraio 1999, rep. 89136; 2) deliberazione di Giunta regionale con autorizzazione al giudizio; 3) regolamento recante disposizioni di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l'esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonche' per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, approvato con d.P.R. del 20 ottobre 1998, n. 447 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n. 301 del 28 dicembre 1998; 4) parere del Consiglio di Stato, Adunanza consultiva per gli atti normativi, del 14 settembre 1998, (n. 164/1998); Salvis Juribus. Roma, addi' 26 febbraio 1999. Avv. Riccardo Delli Santi - avv. Giuseppe La Cute 99C0238