N. 77 ORDINANZA 11 - 18 marzo 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte  in  genere  -  Condanna della p.a. al pagamento delle spese
 processuali per il caso di cessazione della materia  del  contendere,
 revoca o annullamento dell'atto impositivo impugnato - Questione gia'
 dichiarata  manifestamente infondata con sentenze nn. 368 e 53/1998 -
 Ragionevolezza - Disomogeneita' della rinuncia  al  ricorso  e  della
 cessazione della materia del contendere - Manifesta infondatezza.
 
 (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46, comma 3).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 113).
 
(GU n.12 del 24-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
 Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del
 decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni sul
 processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
 nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con n. 2
 ordinanze  emesse  il  27  marzo  1998  dalla  Commissione tributaria
 provinciale di Firenze sui ricorsi proposti  dall'Agricola  Barbialla
 S.r.l. contro l'Ufficio del Registro di Empoli, iscritte ai nn. 665 e
 666 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 24  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
   Ritenuto  che  nel  corso  di  due  procedimenti,  promossi  da una
 societa' avverso altrettanti avvisi di accertamento e liquidazione di
 imposta INVIM straordinaria notificati  dal  competente  Ufficio  del
 Registro,  la  Commissione tributaria provinciale di Firenze, con due
 ordinanze di identico contenuto emesse il 27 marzo 1998, ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma  3,  del
 decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni sul
 processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
 nell'art.  30  della  legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in
 cui  non  prevede  che  "la  pubblica  amministrazione  possa  essere
 condannata  al  pagamento  delle  spese  processuali,  per il caso di
 dichiarazione di cessazione della materia del contendere per revoca o
 annullamento,  da  parte  della  pubblica   amministrazione   stessa,
 dell'atto impositivo impugnato, dopo la proposizione del ricorso";
     che,  a  parere della rimettente, la denunciata norma, disponendo
 in modo diverso  dall'art.  44  -  il  quale,  nel  disciplinare  una
 situazione  equivalente, pone a carico del ricorrente che rinuncia al
 ricorso l'obbligo di rimborsare le spese di lite  alle  altre  parti,
 salvo  diverso  accordo  - contrasta: a) con l'art. 3 Cost., sancendo
 un'ingiustificata disparita' di trattamento  tra  il  cittadino,  che
 rinunciando  al  ricorso deve rimborsare le spese alle altre parti, e
 l'amministrazione  finanziaria  che,  in  ipotesi  di  rinuncia  alla
 pretesa  tributaria, e' invece esonerata dal pagamento delle spese di
 giudizio; b) con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto l'impossibilita'
 di  conseguire  la  ripetizione  delle  spese   processuali,   spesso
 rilevanti,  "costituisce elemento lesivo del diritto" di difesa e del
 principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
 amministrazione, con particolare riguardo ai soggetti meno  abbienti;
 c)  con  l'art.  97  Cost.,  poiche'  il criterio della soccombenza -
 esteso in via generale al  processo  tributario  dall'art.  15  dello
 stesso  decreto  legislativo  n. 546 del 1992 - costituisce anche per
 l'amministrazione finanziaria un  elemento  volto  ad  assicurare  il
 rispetto   dei   principi   di   buon   andamento,   correttezza   ed
 imparzialita', ponendosi come  limite  positivo  alla  sua  attivita'
 discrezionale;
     che  in  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle sollevate
 questioni.
   Considerato  che  i giudizi, concernenti la medesima norma, possono
 essere riuniti e congiuntamente decisi;
     che anteriormente alla proposizione degli  odierni  incidenti  di
 costituzionalita'  questa  Corte,  chiamata  al  vaglio  di identiche
 questioni, ne  ha  gia'  dichiarato  la  manifesta  infondatezza  con
 ordinanza n.  368 del 1998;
     che,  nella motivazione di tale ordinanza e della sentenza n.  53
 del 1998, riguardante analoghe questioni ed  anch'essa  ignorata,  la
 Corte   ha   dato  esaurienti  risposte  alle  argomentazioni  svolte
 dall'attuale rimettente onde  giustificare  i  prospettati  dubbi  in
 ordine  all'asserita  violazione  del  principio  di uguaglianza, del
 diritto di difesa  e  di  tutela  giurisdizionale  del  contribuente,
 nonche'    del   principio   di   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione;
     che, in particolare, questa Corte ha  ivi  sottolineato  come  il
 legislatore  -  nell'opera,  affidata  alla  sua discrezionalita', di
 conformazione degli istituti del processo  tributario  a  quelli  del
 rito civile - non abbia travalicato il limite della razionalita'; nel
 contempo  affermando  l'inidoneita'  del  richiamo,  quale parametro,
 all'art. 97 Cost., che riguarda infatti le sole leggi concernenti  in
 senso  proprio  l'ordinamento  ed  il  funzionamento  sotto l'aspetto
 amministrativo degli uffici giudiziari (v., da  ultimo,  sentenze  n.
 182 e n. 225 del 1996);
     che,   relativamente   a   quanto  ulteriormente  prospettato  in
 riferimento all'asserita violazione  del  principio  di  uguaglianza,
 basta   solo   ribadire   la  disomogeneita',  sia  con  riguardo  ai
 presupposti sia con riguardo agli effetti processuali e  sostanziali,
 fra  la  rinuncia  al  ricorso  e  la  cessazione  della  materia del
 contendere,  donde  la  palese  inconfigurabilita'  della   paventata
 disparita' di trattamento risultante dalla comparazione tra gli artt.
 44 e 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992;
     che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  la  manifesta  infondatezza   delle
 questioni  di  legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del
 decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
 processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
 nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),  sollevate  -  in
 riferimento  agli  artt.  3, 24, 97 e 113, della Costituzione - dalla
 Commissione tributaria  provinciale  di  Firenze,  con  le  ordinanze
 indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1999.
 Il Presidente: Granata
 Il redattore: Ruperto
 Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
 Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0274