N. 79 ORDINANZA 11 - 18 marzo 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nel corso
 delle indagini preliminari da imputati in procedimento  connesso  che
 si  avvalgano  in  dibattimento  della  facolta'  di non rispondere -
 Analoghe questioni gia' decise con sentenza n. 361/1998 -  Disciplina
 transitoria  delle regole di acquisizione e valutazione della prova -
 Analoga questione gia' dichiarata inammissibile dalla Corte in quanto
 l'art. 514 c.p.p. non ha autonomo contenuto normativo  rispetto  alle
 regole  di  utilizzazione  probatoria  delle  dichiarazioni  rese  in
 precedenza - Esigenza di nuova valutazione della questione  da  parte
 del  giudice  a  quo  a  seguito  della citata sentenza della Corte -
 Manifesta inammissibilita'  -  Restituzione  degli  atti  al  giudice
 rimettente.
 
 (C.P.P.,  artt.  514 e 513, commi 1 e 2; legge 7 agosto 1997, n. 267,
 art. 6, comma 5).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 24, 101, secondo comma, 102, 111, primo comma,  e
 112).
 
(GU n.12 del 24-3-1999 )
 e 112).
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
 Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 513, commi 1
 e 2, e 514 del codice di  procedura  penale,  come  modificati  dalla
 legge  7  agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice
 di procedura penale in tema di valutazione delle prove)  e  dell'art.
 6,  comma  5, della stessa legge, promosso con ordinanza emessa il 27
 novembre 1997 dal Tribunale  di  Torino  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  D.A.  ed  altri, iscritta al n. 76 del registro ordinanze
 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  27  gennaio  1999  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che il Tribunale di Torino ha sollevato, su eccezione del
 pubblico ministero, questione di  legittimita'  costituzionale  degli
 artt.  513,  commi  1 e 2, e 514 del codice di procedura penale, come
 modificati  dalla  legge  7  agosto  1997,  n.  267  (Modifica  delle
 disposizioni  del  codice  di procedura penale in tema di valutazione
 delle prove), nonche' dell'art. 6, comma  5,  della  legge  7  agosto
 1997, n. 267, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, secondo comma,
 102, 111, primo comma, e 112 della Costituzione;
     che,  in ordine alla rilevanza della questione, nell'ordinanza si
 precisa che alcuni imputati in procedimenti connessi, citati  per  la
 prima  volta dopo l'entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, si
 sono avvalsi in dibattimento della facolta' di non rispondere;
     che il Tribunale  motiva  la  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  richiamando  l'ordinanza  del  Tribunale  di Milano del 24
 ottobre 1997 (iscritta al n. 341 del  r.o.  del  1998),  allegata  in
 copia  all'ordinanza  di  rimessione  "come  parte  integrante  della
 stessa";
     che, secondo il rimettente, l'art. 513, comma 2, cod. proc.  pen.
 si  pone  in  contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la
 irragionevole   diversita'   della    disciplina    riservata    alle
 dichiarazioni  rese  in  precedenza sul fatto altrui dall'imputato in
 procedimento connesso che in dibattimento si avvale della facolta' di
 non  rispondere  rispetto  alla  disciplina  dettata  per  "identiche
 situazioni  di  imprevedibile  irripetibilita'  di  atti dello stesso
 tipo" quali quelle: dell'imputato in procedimento connesso di cui non
 e'  possibile  ottenere  la  presenza   per   fatti   o   circostanze
 imprevedibili  (art.  513,  comma  2,  prima parte, cod. proc. pen.);
 dell'imputato in procedimento connesso che decide  di  sottoporsi  ad
 esame  ma  rifiuti  di  rispondere  a singole domande, rendendo cosi'
 possibile il ricorso al meccanismo delle contestazioni  ex  art.  500
 cod. proc. pen; del prossimo congiunto dell'imputato che si avvale in
 dibattimento della facolta' di astensione;
     che, ad avviso del giudice a quo, l'art. 513, comma 2, cod. proc.
 pen. viola, sotto altro profilo, l'art.3, nonche' gli artt. 101, 102,
 primo  comma,  111  e 112 della Costituzione perche', rimettendo alla
 volonta'  delle  parti  l'utilizzabilita'  delle   dichiarazioni   in
 precedenza   rese   da  imputati  in  procedimenti  connessi  che  in
 dibattimento si avvalgano della facolta' di non rispondere, introduce
 un "irragionevole ostacolo al razionale esercizio dell'azione penale"
 e consente alle  parti  di  sottrarre  la  prova  alla  "razionale  e
 motivata  valutazione  del  giudice,  in  tal  modo  impedendogli  di
 formarsi un convincimento che si  avvicini  il  piu'  possibile  alla
 reale  verificazione dei fatti e quindi impedendo la pronuncia di una
 giusta decisione" con  conseguente  violazione  anche  del  principio
 della soggezione del giudice solo alla legge;
     che  il rimettente denuncia ancora violazione dell'art. 24, primo
 e  secondo  comma,  della   Costituzione   sotto   due   diversi   ma
 complementari  profili:  a)  per  lesione del diritto di difesa della
 parte civile, poiche' la devoluzione agli imputati della facolta'  di
 impedire  l'utilizzo  di elementi di prova divenuti imprevedibilmente
 irripetibili  danneggia  il  diritto  di  veder  tutelati  i   propri
 interessi  privatistici;  b)  per lesione del diritto di difesa degli
 imputati, nell'ipotesi inversa in cui sia la parte civile ad  opporsi
 alla  lettura  delle  dichiarazioni  rese da imputati in procedimenti
 connessi che si avvalgano  in  dibattimento  della  facolta'  di  non
 rispondere;
     che  nell'ordinanza  si  censurano  inoltre,  in  riferimento  ai
 medesimi parametri, il comma 1  dell'art.  513  cod.  proc.  pen.  e,
 unitamente  al  comma  2 della medesima disposizione, l'art. 514 cod.
 proc. pen., nonche' l'art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997,  n.
 267,   recante  la  disciplina  transitoria  delle  nuove  regole  di
 acquisizione e valutazione della prova introdotte dalla novella;
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  infondata   e
 riportandosi  integralmente,  stante  l'analogia  delle questioni, al
 contenuto  dell'atto   di   intervento   relativo   ai   giudizi   di
 costituzionalita' promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
 del r.o. del 1997, gia' decisi con sentenza n. 361 del 1998.
   Considerato  che  il  rimettente,  muovendo  dal  quadro  normativo
 risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto  1997,  n.
 267,  sottopone  a censura il regime di utilizzabilita' ai fini della
 decisione, in mancanza dell'accordo delle parti, delle  dichiarazioni
 rese   nella   fase   delle  indagini  preliminari  dall'imputato  in
 procedimento connesso che si avvalga in dibattimento  della  facolta'
 di non rispondere;
     che  successivamente  alla emissione dell'ordinanza questa Corte,
 con sentenza  n.  361  del  1998,  ha  inciso  sul  quadro  normativo
 risultante  dalle  modifiche  introdotte dalla legge n. 267 del 1997,
 dichiarando la illegittimita' costituzionale, tra l'altro,  dell'art.
 513,  comma  2, ultimo periodo, del codice di procedura penale "nella
 parte in cui non  prevede  che,  qualora  il  dichiarante  rifiuti  o
 comunque   ometta  in  tutto  o  in  parte  di  rispondere  su  fatti
 concernenti la  responsabilita'  di  altri  gia'  oggetto  delle  sue
 precedenti  dichiarazioni,  in mancanza dell'accordo delle parti alla
 lettura si applica l'art.  500,  commi  2-bis  e  4,  del  codice  di
 procedura penale";
     che  pertanto  occorre  restituire gli atti al giudice rimettente
 affinche' verifichi se, alla luce della nuova disciplina  applicabile
 a  seguito della sentenza n. 361 del 1998, la questione sollevata sia
 tuttora rilevante;
     che,   con   riferimento   alla   questione    di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  514  cod.  proc.  pen.,  con  la  sentenza
 richiamata questa Corte ha dichiarato l'inammissibilita'  di  analoga
 questione  sul  presupposto che "l'art. 514 non ha autonomo contenuto
 normativo rispetto alle  regole  di  utilizzazione  probatoria  delle
 dichiarazioni rese in precedenza";
     che   pertanto   la   questione   va   dichiarata  manifestamente
 inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 514  del  codice  di  procedura
 penale  sollevata,  in  riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, secondo
 comma, 102, 111, primo comma, e 112 della Costituzione, dal Tribunale
 di Torino con l'ordinanza in epigrafe;
   Ordina la  restituzione  degli  atti  al  Tribunale  di  Torino  in
 relazione  alle  questioni di legittimita' costituzionale degli artt.
 513, commi 1 e 2, del codice di procedura penale e 6, comma 5,  della
 legge  7  agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice
 di procedura penale in tema di valutazione delle prove).
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1999.
 Il Presidente: Granata
 Il redattore: Neppi Modona
 Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
 Il direttore della cancelleria: Di Paola
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