N. 96 ORDINANZA 22 - 26 marzo 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Udienza  preliminare  -  Giudice investito della
 richiesta di incidente probatorio -  Regime  di  utilizzazione  delle
 dichiarazioni  rese da coimputati o imputati in procedimento connesso
 -  Norme   applicabili   -   Difetto   di   rilevanza   -   Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 513; legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6).
 
 (Cost., art. 3 e 24).
 
(GU n.13 del 31-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 513 del codice
 di procedura penale, come modificato dalla legge 7  agosto  1997,  n.
 267  (Modifica  delle  disposizioni del codice di procedura penale in
 tema di valutazione delle prove) e dell'art. 6 stessa legge, promosso
 con ordinanza emessa il 13 novembre 1997 dal giudice per le  indagini
 preliminari del Tribunale di Imperia, nei procedimenti penali riuniti
 a carico di M. R. ed altri, iscritta al n. 329 del registro ordinanze
 1998  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale
 di  Imperia  ha  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  513
 del  codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto
 1997, n.  267 (Modifica delle disposizioni del  codice  di  procedura
 penale  in  tema  di  valutazione  delle  prove), e dell'art. 6 della
 stessa legge;
     che la questione e' stata sollevata dal rimettente, quale giudice
 dell'udienza preliminare, a  seguito  della  richiesta  di  incidente
 probatorio  formulata  dal  pubblico ministero ai sensi dell'art. 392
 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 267 del 1997, al fine
 di procedere  all'esame  di  alcuni  imputati,  uno  dei  quali  gia'
 giudicato  con  sentenza  di applicazione della pena ex art. 444 cod.
 proc. pen.;
     che il giudice a quo dubita, in riferimento agli  artt.  3  e  24
 Cost.,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 513 cod. proc.
 pen., in quanto la norma impugnata "limita fortemente il diritto alla
 difesa del chiamante in correita', diritto inteso  come  liberta'  di
 autonomamente  decidere  la  propria linea processuale", determinando
 una irragionevole disparita' di trattamento tra imputati;
     che,  a  giudizio  del  rimettente,  a  causa del nuovo regime di
 utilizzazione delle dichiarazioni rese da coimputati  o  imputati  in
 procedimento  connesso  introdotto  dalla  legge  n.  267  del  1997,
 l'organo della pubblica accusa e' indotto a porre in essere strategie
 processuali fortemente discriminatorie nei confronti  degli  imputati
 che   nel   corso   delle   indagini   abbiano   reso   dichiarazioni
 eteroaccusatorie, negando per alcuni di  essi  il  consenso  ai  riti
 alternativi,  e  cio'  al  fine di impedire che una volta definita la
 propria posizione processuale tali soggetti si sottraggano all'esame,
 cosi' vanificando l'attivita' di indagine;
     che, secondo quanto espone  il  rimettente,  tale  situazione  si
 sarebbe  appunto  verificata  nel  giudizio a quo, in cui il pubblico
 ministero ha negato il  consenso  al  "patteggiamento"  richiesto  da
 alcuni   imputati,  adducendo  il  rilevante  pericolo  che,  ove  la
 richiesta di applicazione della pena fosse accolta, tali soggetti  si
 sarebbero  sottratti all'incidente probatorio richiesto per procedere
 al loro esame, al pari di un imputato  giudicato  ex  art.  444  cod.
 proc.  pen.,  che  tramite il suo difensore aveva gia' manifestato la
 volonta' di non partecipare all'incidente probatorio;
     che tale conseguenza sarebbe "esasperata nel regime transitorio e
 con specifico riferimento all'udienza preliminare, posto  che  l'art.
 6,  comma  1,  legge  n. 267/1997 non tiene assolutamente conto delle
 possibili differenze di esito processuale per ciascun imputato";
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, riportandosi integralmente, stante l'analogia delle questioni,
 all'atto di  intervento  relativo  ai  giudizi  di  costituzionalita'
 promossi  con  le  ordinanze  iscritte  ai nn. 776 e 787 del r.o. del
 1997, gia' decisi con sentenza n. 361 del 1998.
   Considerato  che  il  giudice  per  le  indagini  preliminari   del
 Tribunale  di  Imperia  censura,  sotto  il profilo della lesione del
 diritto di difesa e della disparita' di trattamento, l'art. 513  cod.
 proc.  pen.,  come  modificato  dalla  legge 7 agosto 1997, n. 267, e
 l'art. 6 della stessa legge, per i riflessi  che  la  disciplina  ivi
 contenuta determina sulle scelte processuali della pubblica accusa e,
 in  particolare,  sulle  sue  determinazioni in ordine al consenso ai
 riti alternativi;
     che la questione difetta palesemente di rilevanza, atteso che  il
 rimettente,  quale giudice per l'udienza preliminare investito di una
 richiesta di incidente probatorio, non deve fare  applicazione  delle
 norme impugnate: ne' dell'art. 513 cod. proc. pen., che disciplina il
 nuovo  regime  di utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni in
 precedenza rese da coimputati o imputati in procedimenti connessi che
 si avvalgano della facolta' di non  rispondere  o  che  rifiutino  di
 sottoporsi  all'esame,  ne'  dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997,
 che estende la possibilita' di procedere all'incidente  probatorio  a
 norma  del  nuovo  art.  392 cod. proc. pen. ai procedimenti in corso
 alla data di entrata in vigore della legge per i quali sia gia' stato
 disposto  il  rinvio  a  giudizio,  mentre  nell'udienza  preliminare
 trovano  diretta applicazione l'art. 421, comma 2, cod. proc. pen. e,
 tenendo conto dell'integrazione introdotta dalla sentenza n.  77  del
 1994,  l'art. 392 cod. proc. pen., entrambi modificati dalla legge n.
 267 del 1997;
     che  del resto il rimettente non chiarisce neppure quale dovrebbe
 essere l'intervento della Corte atto a ricondurre la normativa -  del
 tutto genericamente impugnata - a legittimita' costituzionale;
     che,  quanto alla denunciata privazione per alcuni imputati della
 possibilita' di accedere al "patteggiamento", si  tratta  di  profilo
 estraneo   alla  cognizione  del  giudice  dell'udienza  preliminare,
 restando comunque fermo il potere del  giudice  del  dibattimento  di
 pronunciare  sentenza  ai  sensi  dell'art.  448, comma 1, cod. proc.
 pen.,  qualora  ritenga  ingiustificato  il  dissenso  del   pubblico
 ministero e congrua la pena richiesta dall'imputato;
     che  pertanto  la questione deve essere dichiarata manifestamente
 inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 513  del  codice  di  procedura
 penale  e  dell'art.    6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica
 delle  disposizioni  del  codice  di  procedura  penale  in  tema  di
 valutazione delle prove), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24
 della  Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini preliminari del
 Tribunale di Imperia con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.
                        Il Presidente: Granata
                      Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 26 marzo 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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