N. 211 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 1999

                                N.  211
  Ordinanza  emessa  il  5  febbraio 1999 dalla Commissione tributaria
 provinciale di Como sul ricorso proposto da Peverelli Orlando  contro
 l'ufficio imposte dirette di Como
 Contenzioso    tributario   -   Conciliazione   extra-processuale   -
    Possibilita' delle parti di proporre la relativa  istanza  in  via
    permanente  e  senza  limiti  -  Mancata  previsione  di parametri
    normativi di riferimento - Attribuzione al giudice del  potere  di
    verificarne  i  presupposti  e  le  condizioni di ammissibilita' -
    Incidenza  sul  dovere  di  concorrere  alle  spese  pubbliche  in
    adempimento  dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta' sociale -
    Violazione  dei  principi  della  riserva  di  legge  in   materia
    tributaria  -  Lesione  del  principio  di  imparzialita'  e  buon
    andamento della p.a. e di soggezione del giudice alla sola legge.
 Contenzioso   tributario   -   Conciliazione   extra-processuale    -
    Attribuzione al dirigente dell'ufficio del Ministero delle finanze
    del   potere   di   stabilire  le  condizioni  necessarie  per  la
    formulazione o l'accettazione della relativa proposta - Violazione
    del principio che impone la riserva di legge in materia tributaria
    - Lesione del principio di imparzialita' e  buon  andamento  della
    p.a.
 (D.Lgs.  31  dicembre  1992,  n.  546,  artt. 48, comma 5 e 37, comma
    4-bis).
 (Cost., artt. 2, 23, 53, 97 e 101).
(GU n.16 del 21-4-1999 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 502/97 depositato il
 4 febbraio 1997, avverso avviso di accertamento n. 4471009208 - IRPEF
 '88 contro imposte dirette di Como da Peverelli Orlando, residente  a
 Grandate  (Como)  in via Stazione, 2, difeso da Cairoli rag. Edoardo,
 residente a Como in piazza Duomo, 12.
   1.  -   Con   ricorso   ritualmente   proposto   il   contribuente,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv. Giuseppe Botta di Como, impugnava
 l'avviso  in  epigrafe  con  il  quale  era  stato  accertato  -   su
 segnalazione  della  D.R.E.  di  Milano, che richiamava provvedimenti
 della procura della Repubblica - l'omessa indicazione per l'esercizio
 1988 di redditi di lavoro autonomo  occasionale  per  l'ammontare  di
 lire 204 milioni, deducendo l'insussistenza della violazione, in ogni
 caso riconducibile all'esercizio 1987.
   All'udienza  del 6 novembre 1997 la commissione disponeva il rinvio
 a nuovo ruolo in pendenza del processo penale  per  i  fatti  di  cui
 all'avviso impugnato.
   Dopo  la  convocazione  per  l'udienza  odierna  - l'ufficio si era
 intanto    ritualmente    costituito    chiedendo    la     reiezione
 dell'impugnativa  - il 24 novembre 1998 veniva depositata proposta di
 conciliazione, accettata dal rag.  Edoardo  Cairoli  di  Como,  quale
 procuratore  speciale  del  Peverelli;  della  revoca  del precedente
 incarico all'avv. Botta e del conferimento del nuovo mandato al  rag.
 Cairoli   era   stata  data  comunicazione  con  atto  depositato  in
 segreteria il 24 ottobre 1998.
   Successivamente,  in  data 28 dicembre 1998 il precedente difensore
 depositava copia della sentenza del tribunale di Como.
   All'udienza di  discussione  le  parti  chiedevano  provvedersi  in
 ordine  al  raggiunto accordo conciliativo; al pagamento si procedeva
 il 2 febbraio 1999, nel termine di legge.
   2. - Nell'intento di evitare che l'uso dei mezzi  di  tutela  possa
 rinviare  nel  tempo  l'adempimento  dell'obbligo  contributivo, sono
 stati introdotti strumenti di diversa  natura  volti  a  prevenire  o
 ridurre l'insorgenza e/o pendenza di controversie tributarie (fra gli
 altri,  l'accertamento  con  adesione e la conciliazione giudiziale).
 La disciplina normativa non contempla criteri o indicazioni: da  piu'
 parti  pertanto,  e  sotto  articolati  profili, sono stati sollevati
 dubbi  -  in  dottrina  -  sulla  legittimita'  di  tali  previsioni,
 involgenti    l'esercizio   di   un'incondizionata   discrezionalita'
 amministrativa.
   In particolare, per quanto  concerne  la  conciliazione,  e'  stata
 denunziata la violazione:
     degli  artt.  23  e  97,  perche' le condizioni dell'accordo sono
 svincolate da qualsiasi parametro normativo;
     degli artt. 2 e 53, perche' il dovere di "concorrere  alle  spese
 pubbliche",    nell'adempimento    di    "doveri    inderogabili   di
 solidarieta'", si esplica attraverso l'incontrollata  mediazione  del
 funzionario tributario, cui compete determinarne la misura.
   I  dubbi  permarrebbero anche se fosse attribuito al giudice - cio'
 che viene concordemente escluso - un controllo di merito sull'accordo
 delle parti; non vengono meno,  d'altra  parte  neppure  ritenendo  -
 secondo  un'autorevole  interpretazione  -  che  la  riduzione  della
 pretesa non consegue ad uno  sconto  transattivo  sull'esercizio  del
 potere ma alla "rideterminazione del reddito".
   In  mancanza  di  "una  corretta  procedimentalizzazione di criteri
 legali  ed  amministrativi",  sussiste  possibilita'   di   abuso   o
 arbitrio":    e tanto e' sufficiente in uno stato di diritto - la cui
 azione  non  puo'  essere  informata  ai  criteri  di  conduzione  di
 un'impresa,  che  persegue  finalita'  di convenienza economica - per
 ritenere la questione non manifestamente infondata.
   3.   -   L'illegittimita'   della   disciplina   normativa    della
 conciliazione   extraprocessuale  si  coglie  anche  sotto  ulteriori
 profili.
   Con la sua introduzione, il legislatore del 1994 ha  abbandonato  i
 principi  della  riforma  del  1972, che aveva ricondotto il rapporto
 d'imposta  nell'ambito  del  diritto,  eliminato  ogni   margine   di
 discrezionalita'; fedele a tali principi, rimosso il segreto bancario
 - nel quale veniva individuato il maggior ostacolo ad un'utile azione
 accertatrice  - ritenendo essenziale il sindacato giurisdizionale per
 il funzionamento del sistema il legislatore del 1991  aveva  previsto
 la normale ricorribilita' in Cassazione della decisione tributaria di
 2  grado  (d.lgs. n. 546/1992).   Anche la Corte costituzionale aveva
 favorito il disegno di contrastare il fenomeno evasivo  nel  rispetto
 dei  principi  dello  stato di diritto, ritenendo consentito all'A.F.
 accertare induttivamente il reddito  utilizzando  elementi  di  fatto
 certi  per risalire alle componenti occultate (sent. n. 293/1987); in
 tale linea di recente e' stata poi riconosciuta efficacia retroattiva
 al c.d. redditometro, stante la sua natura procedimentale  (Cass.  n.
 12483/1995).
   Senza  attendere  l'effetto  deflattivo del nuovo processo - voluto
 dal  Parlamento  appena  da  qualche  anno  proprio  per  ridurre  il
 contenzioso  -  ne'  procedere  prima  alla revisione delle strutture
 dell'A.F., nonostante il diffuso clima d'illegalita' emerso in quegli
 anni, il successivo legislatore ha seguito altro percorso,  inserendo
 le (diverse) regole d'impresa nell'esercizio di una funzione statale.
   Prevista   inizialmente   nel  d.l.  17  settembre  1994,  n.  538,
 unitamente all'accertamento con adesione, la conciliazione  introduce
 il  principio  dell'imposizione  negoziata, anzi della determinazione
 concordata dell'obbligazione tributaria.
   Il radicale mutamento  d'indirizzo  dell'ordinamento  e'  evidente:
 all'esercizio  del potere impositivo, come disciplinato in attuazione
 della delega di cui alla legge n. 825/1971, e'  stato  sostituito  il
 diverso   principio  dell'imposizione  consensuale  (che  addirittura
 prescinde  -  nell'accertamento  con  adesione  -  da  un   qualsiasi
 precedente  atto  accertativo,  potendo  esplicarsi  sulla base di un
 semplice verbale di P.T.: art. 6 d.lgs. n. 218/1997).
   La "rideterminazione" concerne solo i redditi - d'impresa o  lavoro
 autonomo  -  per  i  quali  la  misura  della  base  imponibile  puo'
 presentare incertezze; non quelli di pensione  o  lavoro  dipendente,
 certi  nel  loro  ammontare,  oggetto  di  prelievo fin dall'origine,
 destinati a  subire  ora  -  nella  loro  documentata  entita'  -  le
 limitazioni  derivanti  dalle  modificazioni  dello stato sociale: il
 contenuto dell'obbligo e  la  ricorrenza  di  tali  limitazioni  sono
 dunque correlati - nei primi - ad una capacita' contributiva fittizia
 perche'  l'Amministrazione  non  e'  in  grado  di  misurare  la base
 imponibile secondo le regole giuridiche fissate sin dal 1972.
   Al conseguimento di un immediato  incremento  delle  entrate  viene
 dunque  sacrificata  l'esigenza  -  giuridica e morale - del concorso
 alle spese pubbliche secondo la capacita' effettiva; e  cio'  in  via
 permanente, e senza alcun limite, non essendo neppure prevista -
  quanto  meno  - un'applicazione temporanea del detto istituto per il
 tempo necessario alla riorganizzazione dell'A.F.
   E' innegabile, d'altra parte, la  sua  efficacia  diseducativa:  in
 vista  di un possibile accordo, contribuente ed ufficio sono indotti,
 rispettivamente, ad occultare elementi di reddito  e/o  ricchezza  ed
 omettere  la  ricerca  dei  dati  rivelatori dell'effettiva capacita'
 contributiva;  l'assoluta  liberta'  dell'Amministrazione   influenza
 dunque, in via generale, il corretto esercizio dell'(iniziale) azione
 accertatrice.
   Nel  tentativo  di  allontanare i dubbi d'incostituzionalita', il 2
 comma dell'art. 14 d.lgs.  n.  218  cit.,  integrativo  dell'art.  37
 d.lgs. n. 545/1992, ne conferma invece la fondatezza: l'imparzialita'
 dell'Amministrazione viene affidata alle diversificate iniziative dei
 dirigenti  circa  le  condizioni  della proposta e dell'accettazione,
 aventi efficacia nell'ambito del territorio  dei  rispettivi  uffici,
 neppure portate a conoscenza del giudice tributario.
   La  denunziata violazione degli artt. 2, 23 e 97 della Costituzione
 non e' quindi venuta meno.
   4. - L'art. 48 d.lgs. n. 546/1992 aveva attribuito alla C.T.P.    -
 nella  forma  di  un  normale  giudizio  la  definizione del rapporto
 tributario, in attuazione della delega di cui all'art. 30,  comma  1,
 lett. b), legge n. 413/1991; la sentenza era reclamabile alla C.T.R.
   Nel   mutato   quadro   normativo  -  demandata  la  determinazione
 all'obbligazione   al    riservato    ed    insindacabile    giudizio
 dell'Amministrazione  -  non  trova giustificazione un intervento del
 giudice circa i  presupposti  e  le  condizioni  della  conciliazione
 extraprocessuale.
   Escluse concordemente verifiche e/o valutazioni di merito in ordine
 ai  termini  dell'accordo  ed alla misura dell'imposta, estensiva e/o
 adeguatrice  del  suo  controllo  non   varrebbe   a   sottrarre   la
 conciliazione  ai  dubbi  di  incostituzionalita',  involgendo la sua
 disciplina un'inammissibile disponibilita' - in capo all'A.F.  -  del
 credito  d'imposta;  d'altra  parte,  venute  meno  le cause ostative
 inizialmente  previste  -  tutte  le   controversie   essendo   ormai
 conciliabili - il suo intervento e' palesemente ripetitivo dell'esame
 gia'  compiuto  in  via  preliminare  (art.  27  d.lgs. n. 546) circa
 l'ammissibilita'  del  ricorso  e  la   capacita'   processuale   del
 ricorrente;   aggrava   quindi   inutilmente  il  procedimento  della
 fattispecie conciliativa.
   Nel  nuovo  sistema  sembra  del  tutto  coerente  "l'assenza"  del
 giudice.
   Se   (il   sistema)   e'   conforme   ai   valori   costituzionali,
 un'"apparente" controllo vale solo a coinvolgerlo in un  procedimento
 di   esclusiva   competenza   dell'Amministrazione;   saranno  quindi
 riferibili anche a lui riserve e sospetti  per  eventuali  violazioni
 e/o   errori   delle  parti  nell'accordo  conciliativo,  perche'  il
 rinnovato,  inutile  controllo   lo   rende   formalmente   partecipe
 dell'esercizio  del  potere  di  disposizione del credito: il riparto
 delle competenze ed il principio della separazione dei poteri, che la
 Costituzione accoglie,  esigono  che  gli  siano  demandati  solo  il
 compito di dichiarare l'estinzione del giudizio.
   5.  -  Le  questioni  di  cui  sopra  rilevano  nel  caso di specie
 occorrendo  provvedere,  a  norma  dell'art.  48  cit.,   a   seguito
 dell'avvenuto pagamento dell'imposta, secondo l'accordo delle parti.
                               P. Q. M.
   Dichiara  non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale:
     dell'art. 48, d.lgs. n. 546/1992, con riferimento agli artt.   2,
 23  e 53 della Costituzione, nella parte in cui non prevede parametri
 normativi di riferimento;
     dell'art. 48, comma 5, d.lgs.  cit., in riferimento all'art.   23
 della  Costituzione,  nella parte in cui consente, senza limiti ed in
 via permanente, la conciliazione extraprocessuale della  controversia
 tributaria;
     dell'art.  37,  comma  4-bis, d.lgs. n. 545/1992, con riferimento
 agli artt. 23 e 97 della Costituzione, perche' demanda  al  dirigente
 dell'ufficio  la  determinazione  delle  condizioni  della proposta e
 dell'accettazione;
     dell'art. 48, comma 5, d.lgs. cit., in riferimento agli artt.  97
 e 101 segg. della Costituzione, nella parte  in  cui  attribuisce  al
 giudice  la  verifica  dei presupposti e condizioni di ammissibilita'
 della conciliazione.
   Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti    alla    Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso.
   Ordina  altresi'  che  a  cura  della  segreteria  l'ordinanza  sia
 notificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e comunicata alle due Camere del Parlamento.
     Como, addi' 5 febbraio 1999
                     Il presidente relatore: Sica
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