N. 117 ORDINANZA 24 marzo - 2 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  civile  -  Spese  di  lite  a  favore  dell'amministrazione
 resistente costituitasi a mezzo di propri funzionari -  Condanna  del
 ricorrente  in  caso  di soccombenza - Preclusione - Discrezionalita'
 legislativa - Riferimento alle sentenze  della  Corte  nn.  295/1995,
 196/1982, 53/1998 e 79/1997 - Manifesta infondatezza.
 
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689; c.p.c., art. 91).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 97).
 
(GU n.15 del 14-4-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della Legge  24  novembre
 1981,  n. 689 (Modifiche al sistema penale) e dell'art. 91 del codice
 di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 2 gennaio  1998
 dal  pretore di Avellino nel procedimento civile vertente tra Maietta
 Roberto e l'Ispettorato provinciale del lavoro di Avellino,  iscritta
 al  n.  214  del  registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 14,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  10  marzo 1999 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
   Ritenuto che nel corso di un procedimento  di  opposizione  avverso
 un'ordinanza  ingiunzione  emessa  dal locale Ispettorato provinciale
 del lavoro, il pretore di Avellino, con ordinanza emessa il 2 gennaio
 1998,  ha  sollevato   questione   di   legittimita'   costituzionale
 (dell'art.    23)  della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
 sistema penale) e dell'art. 91 cod. proc. civ., nella  parte  in  cui
 (secondo   la   costante   interpretazione   giurisprudenziale)   non
 consentono al pretore  di  condannare  il  ricorrente,  nel  caso  di
 soccombenza, e salva l'applicazione dell'art.  92 cod. proc. civ., al
 pagamento   delle   spese  di  lite  in  favore  dell'amministrazione
 resistente costituitasi a mezzo di propri funzionari;
     che, secondo il rimettente, le  norme  impugnate  si  pongono  in
 contrasto:  a)  con  l'art. 24 Cost., in quanto, non essendo prevista
 alcuna  sanzione  nel  caso  di  infondatezza  dell'opposizione,   il
 ricorrente  non subisce alcuna conseguenza pregiudizievole, ricevendo
 viceversa solo  vantaggi  dalla  proposizione  dell'azione,  che  gli
 consente  comunque,  nel peggiore dei casi, di pagare dopo molti anni
 la stessa somma dovuta nel suo ammontare iniziale, senza neppure  gli
 interessi;  b) con l'art. 97 Cost., poiche' la gratuita' del processo
 in questione,  la  previsione  di  tutti  gli  adempimenti  a  carico
 dell'ufficio,  l'assenza  di  sanzioni,  l'inoperativita'  dell'onere
 delle spese processuali, da un lato, e la complessita' del  giudizio,
 dall'altro,  comportano  per  l'amministrazione  della  giustizia  un
 aggravio sia  quantitativo  che  qualitativo,  spesso  sproporzionato
 rispetto  all'entita' degli interessi coinvolti, cio' comportando uno
 sviamento della sua funzione ed un intralcio alla  medesima;  c)  con
 l'art.  3  Cost.,  per  l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 rispetto  a  quanto  disciplinato,  nel  nuovo  processo  tributario,
 dall'art. 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in cui
 si  prevede  che  il  Ministero delle finanze, ove stia in giudizio a
 mezzo di propri  funzionari,  ha  diritto  al  rimborso  delle  spese
 processuali  in  base  alle  tariffe  degli  avvocati, per diritti ed
 onorari, ridotti questi ultimi del 20 per cento.
   Considerato che questa Corte ha piu' volte riconosciuto, in termini
 generali,  l'ampia  discrezionalita'  spettante  al  legislatore  nel
 dettare le norme processuali, col solo limite della  non  irrazionale
 predisposizione  degli  strumenti di tutela (cfr. sentenza n. 295 del
 1995);
     che, piu' in particolare, essa ha precisato come l'istituto della
 condanna del soccombente al pagamento delle spese  di  giudizio,  pur
 avendo  carattere  generale, non ha portata assoluta ed inderogabile,
 potendosene profilare la derogabilita' sia su iniziativa del  giudice
 del  singolo  processo,  quando  ricorrano  giusti motivi ex art. 92,
 secondo comma, cod. proc. civ., sia per previsione  di  legge  -  con
 riguardo  al  tipo  di  procedimento  -  in  presenza di elementi che
 giustifichino la diversificazione dalla regola generale (sentenza  n.
 196 del 1982);
     che, inoltre, il regolamento delle spese processuali comunque non
 incide  sulla  tutela  giurisdizionale del diritto di chi agisce o si
 difende  in  giudizio,  non  potendosi  affatto  sostenere   che   la
 possibilita'  di  conseguire  la  ripetizione delle spese processuali
 (ovvero, dei diritti e degli onorari di avvocato) consenta alla parte
 di meglio difendere la sua posizione e di apprestare  meglio  le  sue
 difese (v., per tutte, sentenza n. 119 del 1969);
     che,   d'altra   parte,   il   richiamo  all'altrettanto  univoca
 giurisprudenza di questa Corte - secondo cui un  modello  processuale
 non  necessariamente  deve  costituire parametro per un rito diverso,
 essendo  giustificata  la  non  simmetrica  costruzione  delle  norme
 processuali  in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino
 in strumenti procedimentali ricollegati a differenti sistemi  in  se'
 compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee
 (sentenze  n.  53  del  1998  e  n.  79 del 1997) - rende palesemente
 inidoneo il particolare meccanismo  di  liquidazione  di  diritti  ed
 onorari,  introdotto  nel  nuovo  processo  tributario  (art.  15 del
 decreto  legislativo  n.  546  del  1992),  a  fungere   da   tertium
 comparationis  onde  verificare  il denunciato vulnus al principio di
 uguaglianza;
     che, infine, rimane estraneo  alle  denunciate  norme,  regolanti
 l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale, il parametro dell'art.
 97 Cost., che attiene unicamente alle leggi concernenti l'ordinamento
 degli uffici giudiziari ed  il  loro  funzionamento  sotto  l'aspetto
 amministrativo (cfr. sentenza n. 385 del 1997);
     che,  pertanto,  la  sollevata  questione  risulta manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale della legge 24 novembre 1981,  n.  689  (Modifiche  al
 sistema  penale)  e  dell'art.  91  del  codice  di procedura civile,
 sollevata - in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione -
 dal pretore di Avellino, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0356