N. 11 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 31 marzo 1999

                                 N. 11
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 31 marzo 1999 (della regione Veneto)
 Imposte  e  tasse  in  genere  -  Ritenute  a  titolo d'imposta sugli
    interessi e sui redditi di capitale - Applicabilita' nei confronti
    dei  soggetti  esclusi  dall'imposta  sul  reddito  delle  persone
    giuridiche  -  Previsione con norma di interpretazione autentica -
    Conseguente retroattivo assoggettamento  delle  regioni  (e  degli
    altri enti territoriali) alle suddette ritenute - Contrasto con il
    principio  di equiparazione delle regioni allo Stato in materia di
    imposte sui redditi  -  Irrazionalita'  manifesta  ed  eccesso  di
    potere  legislativo  (applicandosi  le  ritenute  ad enti privi di
    soggettivita'  passiva  Irpeg)  -  Violazione  dei   principi   di
    eguaglianza,   di  capacita'  contributiva  e  di  buon  andamento
    amministrativo - Violazione  dell'autonomia  finanziaria  e  dello
    status costituzionale delle regioni.
 (Legge 18 febbraio 1999, n. 28, art. 14).
 (Cost.,  artt. 3, 53 e 76, in relazione alla legge 9 ottobre 1971, n.
    825, art. 10, n. 5; Cost., artt. 97, 117, 118 e 119).
(GU n.22 del 2-6-1999 )
   Ricorso per questione di legittimita' costituzionale proposto dalla
 regione Veneto, in persona del Presidente  pro-tempore  della  Giunta
 regionale,  giusta  deliberazione giuntale del 10 marzo 1999, n. 567,
 rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente  atto,
 dagli  avv.ti prof. Mario Bertolissi di Padova e Luigi Manzi di Roma,
 elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo  in  Roma,
 via F. Confalonieri, 5;
   Contro  la  Presidenza  del  Consiglio dei Ministri, in persona del
 Presidente pro-tempore del Consiglio dei  Ministri,  rappresentato  e
 difeso  ex  lege  dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  per  la
 declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14  della
 legge  18  febbraio 1999, n. 28 ("Disposizioni in materia tributaria,
 di  funzionamento  dell'Amministrazion  finanziaria  e  di  revisione
 generale  del  catasto"), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  del 22
 febbraio 1999, avente ad oggetto l'"Interpretazione  autentica  della
 disciplina  concernente  le ritenute sugli interessi e sui redditi di
 capitale".
                            Fatto e diritto
   1. - Per inquadrare in modo adeguato il  problema  di  legittimita'
 costituzionale  di  cui  qui si discute, vale la pena di riprendere -
 alla  lettera,  a  scanso  di  equivoci  -  una   recente,   misurata
 annotazione di Livio Paladin ("Il principio di eguaglianza tributaria
 nella   giurisprudenza  costituzionale  italiana",  relazione  svolta
 nell'ambito  del  "Confronto  tra  Italia,  Germania  e  Spagna  come
 contributo  per  l'armonizzazione  del diritto tributario in Europa",
 dedicato alla "tassazione del reddito", Padova, 5-6 maggio  1997,  11
 ss. del dattiloscritto), secondo cui, "malgrado il molteplice ricorso
 all'eguaglianza   tributaria,   riscontrabile   nella  giurisprudenza
 costituzionale, non si puo' dire che esso sia valso  a  sanare  -  in
 modo  sistematico ed approfondito - le troppe storture che affliggono
 il diritto tributario italiano.  Si pensi nuovamente - fra i tanti  -
 al   caso   delle   leggi  tributarie  retroattive  ....",  le  quali
 sicuramente concorrono a rendere - come rileva poco oltre  -  "quello
 tributario come un ''diritto di secondo grado''" (ivi, 13).
   Infatti,  "in  primissima linea, spicca in tal senso il lamentevole
 stato del diritto tributario italiano:  cioe'  la  frantumazione  che
 contraddistingue  l'intero quadro (se di quadro si vuole parlare); la
 tecnica  legislativa  casistica,  per  definizione  refrattaria  alla
 formulazione ed al rispetto di principi o criteri comuni, che De Mita
 denunciava pur dopo l'entrata in vigore del testo unico sulle imposte
 dirette,  sottolineando invece l'esigenza di una vera ''codificazione
 fiscale'' (De Mita, "Interesse fiscale e  tutela  del  contribuente",
 Milano,  1995,  XVI,  25 ss., 141); e dunque il carattere intimamente
 asistematico che in questo  campo  presenta  il  nostro  ordinamento,
 secondo  i  rilievi  piu' volte fatti propri dalla Corte. In effetti,
 nella  giurisprudenza  costituzionale  degli  ultimi   anni   ricorre
 l'assunto che quell'ordinamento sia retto da una sorta di ''principio
 della  plurisistematicita''';  che  dunque  sia  arduo  ricavarne  un
 ''modello  generale'',  in  vista  del  quale  applicare  il   canone
 dell'eguaglianza;  e  che  sia sovente impossibile - nelle piu' varie
 situazioni - ''invocare la comparazione  trasversale  di  istituti  e
 normative  di  altri  settori'',  in  quanto caratterizzati da regole
 diverse''" (come codesta Corte ha precisato,  rispettivamente,  nella
 sent.  n.  121/1985, nella ord.  n. 392/1993 e nelle sent. n. 14 e n.
 430/1995, secondo quanto riferisce l'autorevole costituzionalista).
   D'altra   parte,   di   questo   significativo   tenore   sono   le
 considerazioni prospettate da altri illustri studiosi, che tendono ad
 affermare  un'idea  di  Costituzione  piu'  prossima  a  un   sistema
 codificato  di  valori  che  - per parafrasare Mariano D'Antonio, "La
 Costituzione di carta", Milano, 1977  -  a  una  "carta  (straccia)",
 studiosi  i  quali hanno lamentato il pericolo che "la giurisprudenza
 della Corte in materia tributaria si appiattisca  sulla  legislazione
 in  vigore"  (cosi',  ad  es.,  sulla  scorta  di  talune, essenziali
 puntualizzazioni di De Mita, Elia, "Prefazione" a De Mita,  "Fisco  e
 Costituzione. II 1984-1992", Milano, 1993, XXIII).
   In   breve,   preliminarmente,   le  leggi  tributarie  retroattive
 complicano e disarticolano quello che forse neppure e' un sistema: il
 c.d. ordinamento tributario; a maggior ragione, cio' e' causato dalle
 leggi interpretative, spesso concepite - come nel caso -  al  puro  e
 semplice   scopo  di  aggirare  limiti  costituzionali  all'attivita'
 impositiva; e la dissoluzione  del  senso  e  della  struttura  degli
 istituti  (ad  es.:  della  esclusione  dall'imposta,  della ritenuta
 d'imposta ecc., in generale  della  soggettivita'  tributaria  e  dei
 connessi corollari) finisce per comprimere l'area di operativita' del
 sindacato  del giudice delle leggi, che qui tuttavia puo' dispiegarsi
 in ogni sua potenzialita', dal momento che la legge impugnata (l'art.
 14 della legge n. 28/1999), proprio  in  ragione  del  suo  carattere
 dichiaratamente interpretativo, non riesce a fare sistema: a) ne' con
 le  leggi  tributarie  vigenti  b)  ne'  -  loro  tramite  -  con  le
 proposizioni costituzionali di riferimento, ivi comprese  quelle  del
 Titolo V.
   2. - Il dato - fattuale e normativo, ad un tempo - cui si ricollega
 la presente vicenda e' rappresentato dalla circostanza che - stando a
 quanto  dispone  l'art.  26,  quarto  comma,  del  d.P.R. n. 600/1973
 ("Ritenute sugli  interessi  e  sui  redditi  di  capitale")  -  "nei
 confronti  dei soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone
 giuridiche e in ogni altro caso le ritenute sono applicate  a  titolo
 di  imposta";  mentre,  a  sua  volta  (ed  in forza dell'innovazione
 introdotta - con effetto dal 1 gennaio 1991 - dall'art. 4,  comma  3,
 del  decreto-legge  n.  310/1990,  convertito,  con modificazioni, in
 legge dalla legge n. 403/1990), l'art. 88, comma  1,  del  d.P.R.  n.
 917/1986  stabilisce,  sempre  in  tema  di imposta sul reddito delle
 persone giuridiche, che "gli organi e le amministrazioni dello Stato,
 compresi  quelli  ad  ordinamento  autonomo,  anche  se   dotati   di
 personalita' giuridica, i comuni, le comunita' montane, le province e
 le  regioni  non  sono  soggetti  all'imposta" (sul punto, per tutti,
 Falsitta, "Manuale di diritto tributario", II, Padova, 1997, 302).
   3. - E' appena il caso di osservare che il citato  art.  88,  nella
 sua  definitiva  formulazione,  si e' venuto ad iscrivere nell'ambito
 dell'annoso  ed  articolato  dibattito  dedicato  alla  soggettivita'
 tributaria  degli  enti  pubblici  ed  alle relative norme interne di
 attuazione della VI direttiva  CEE  del  17  maggio  1977,  la  quale
 prevede  che  gli Stati, le regioni, le province ed i comuni non sono
 considerati soggetti passivi  per  le  attivita'  od  operazioni  che
 pongono  in  essere  in  quanto  pubbliche  autorita'  (in argomento,
 Mancini, "Manuale IVA degli enti locali", Campobasso, 1986, 19).
   Volendo limitarsi ad una pura e semplice ripresa delle disposizioni
 legislative succedutesi nel tempo, rilevanti ai nostri fini, si  puo'
 ricordare  che, in tema di soggettivita' passiva, l'art. 2 del d.P.R.
 n. 598/1973 ("Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
 persone   giuridiche")   operava   una  netta  distinzione  tra  enti
 commerciali e non commerciali, e cio' ai  sensi  di  quanto  previsto
 dall'art.  51  del  d.P.R.  n.  597/1973  ("Istituzione  e disciplina
 dell'imposta sul reddito delle persone fisiche"),  secondo  il  quale
 "per  esercizio  di  imprese  commerciali  si intende l'esercizio per
 professione  abituale,  ancorche'  non  esclusiva,  delle   attivita'
 commerciali  di  cui  all'art.    2195 del codice civile anche se non
 organizzate in forma di impresa".
   Donde la conseguenza - confermata pure dal disposto dell'art. 4 del
 d.P.R. n. 633/1972, modificato, per coerenza con la VI direttiva CEE,
 con d.P.R. n. 24/1979 - che l'attivita' commerciale  degli  enti  non
 commerciali - tra i quali va annoverata, ovviamente, la regione - per
 assumere   significativita'  tributaria,  non  dovesse  presentare  i
 caratteri  dell'impresa  anche  ai  fini  civili,  e   cioe'   essere
 organizzata  in  forma di impresa ed essere svolta abitualmente (cio'
 gia' sulla  scorta  di  quanto  stabilito  dal  d.P.R.  n.  687/1974:
 Mancini,  op.  cit.,  20).  E' in questo contesto che ebbe a situarsi
 l'importante,    ancorche'    criticata,    presa    di     posizione
 dell'Amministrazione  finanziaria (si allude alla circolare 22 maggio
 1976, n. 18/360068: in Corr, trib., n. 24/1986, 1626 ss.),  la  quale
 ebbe  ad elencare, sia pure senza alcuna pretesa di tassativita', una
 serie di operazioni imponibili a fini IVA e, quindi, Irpeg ed Ilor.
   Senonche', sulla scorta degli enunciati normativi e degli indirizzi
 assunti dal fisco  -  stando  ai  quali,  relativamente  ai  soggetti
 pubblici,   doveva  ritenersi  essenziale  la  natura  dell'attivita'
 svolta: meglio ancora, la natura del singolo atto od operazione posti
 in  essere  -,  la  situazione  rimane  comunque  contraddistinta  da
 incertezza:  perche',  se  era  chiaro,  da  un  lato,  che  gli enti
 pubblici, in specie territoriali, nel momento  in  cui  intervenivano
 come  parti  di  rapporti economici in alternativa con i privati, non
 dovevano godere di un trattamento  privilegiato  che  avrebbe  potuto
 alterare  le  regole  del  mercato,  era  chiaro,  d'altro  lato, che
 molteplici perplessita' potevano insorgere circa  la  qualificazione,
 come  atto  di  commercio,  di  singole operazioni svolte da regioni,
 province,  comuni...  (al  riguardo,  ad   es.,   Mazzaro,   "Mancata
 applicazione   dell'IVA   sulle   cessioni   delle  aree  edificabili
 effettuate dai comuni a favore delle cooperative edilizie", in  Corr.
 trib.,   n.   18/1984,  795  ss.;  Avantaggiati,  "I  canoni  per  la
 concessione  di  un  pubblico  servizio  nei  riflessi   dell'IVA   e
 dell'Irpeg",  ivi,  n.  35/1986,  2405 ss.; ID., "Concessione di aree
 cimiteriali;  una  discutibile  risoluzione  ministeriale",  ivi,  n.
 17/1990,  1168  ss.;  Mancini,  "L'IVA e le unita' sanitarie locali",
 ivi, n. 40/1986, 2760 ss.; soprattutto, Tosi,  "L'assoggettamento  ad
 imposta  sul  valore  aggiunto  delle  operazioni  commerciali  delle
 amministrazioni   comunali:      considerazioni   generali   e   casi
 particolari", in La fin. loc., n.  7-8/1988, 779 ss.). E perplessita'
 insorgevano,  tant'e'  che  si  era  andato  accumulando  un  nutrito
 contenzioso, variamente risolto dal giudice tributario (v.,  ad  es.,
 Corr. trib., n. 36/1986, 2444 ss.  e, ivi, n. 26/1990, 1838 ss.).
   Il   contenzioso   che   segui'  produsse,  oltretutto,  un  rinvio
 pregiudiziale alla Corte di giustizia CEE (Comm. trib. di I grado  di
 Piacenza,  sez.  III,  ord.  28 aprile 1988, n. 2, in Corr, trib., n.
 26/1988, 1917 ss.), risolto dalla Corte medesima con sent. 17 ottobre
 1989  (in  Corr. trib., n. 43/1989, 3007 ss., rettificata, a causa di
 un errore materiale, con ord. 15  novembre  1989,  ivi,  n.  50/1989,
 3547),  il  cui  assunto  e' stato ribadito dalla successiva sent. 15
 maggio 1990 (in Corr. trib., n. 23/1990, 1580 ss.).
   Tra le varie massime entrapolabili, vale la pena di  ricordare,  in
 questa  sede,  il  seguente,  conclusivo  passo  della prima sentenza
 citata, in ragione della sua significativita': "... l'art. 4, n.   5,
 secondo  comma,  della VI direttiva va interpretato nel senso che gli
 Stati membri sono tenuti a garantire l'assoggettamento degli enti  di
 diritto  pubblico per le attivita' che esercitano in quanto pubbliche
 autorita' allorche' tali attivita' possono essere del pari esercitate
 da  privati  in  concorrenza  con  essi  e  qualora   il   loro   non
 assoggettamento  sia  atto  a provocare distorsioni di concorrenza di
 una  certa  importanza,  ma   non   hanno   l'obbligo   di   recepire
 letteralmente  tale  criterio  nel  loro  diritto  nazionale,  ne' di
 precisare limiti  quantitativi  di  non  assoggettamento"  (in  Corr.
 trib.,  n.  43/1989,  3009.  A  proposito  di  tutto  cio' v. ad es.,
 Bertolissi,  "Gli  enti  pubblici  tra  Corte  di  giustizia  CEE   e
 legislatore  nazionale",  ivi,  n.  47/1989, 3274 ss.; Cerretelli "Il
 comune paghera' l'IVA solo se fa l'imprenditore", in Il Sole 24  Ore,
 18  ottobre  1989; Rizzardi, "IVA in Comune: la censura Cee spinge il
 Parlamento a decidere", ivi; M. Mas. "A questo punto un caos completo
 per la sanatoria degli enti locali", ivi;  Giacalone,  "Il  commento"
 alla sent. 17 ottobre 1989, in Corr. giur., n. 2/1990, 134 ss.).
   Rebus  sic  stantibus,  non  aveva  di certo contribuito a dipanare
 l'intricata matassa il testo originario dell'articolo 88  del  d.P.R.
 n.  917/1986 (antecedene quello risultante dalle modifiche introdotte
 nel 1990 con il decreto-legge n. 310, convertito dalla legge n. 403),
 perche'  cosi'  concepito  nel  suo  comma  1,  "Gli  organi   e   le
 amministrazioni  dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo
 anche se dotati di personalita' giuridica,  non  sono  soggetti  alla
 imposta": infatti, quale ruolo assegnare agli enti pubblici in genere
 e, in particolare, ai comuni, alle comunita' montane, alle province e
 alle  regioni  per  le operazioni poste in essere non quali pubbliche
 autorita'; Certo, sul punto era intervenuta la Corte di giustizia CEE
 (v., ancora, Avantaggiati "La normativa comunitaria per le  attivita'
 commerciali  degli  enti  pubblici", in Corr. trib., n. 32/1989, 2190
 ss., nonche' Tesauro, "Ancora sull'IVA degli enti  pubblici  e  sulla
 sentenza  della Corte di giustizia", in La fin. loc.", n. 2/1990, 159
 ss.), ma l'esperienza si era incaricata di dimostrare  le  gravissime
 inadempienze  degli  enti:  per  i  quali fu concepita una sanatoria,
 mediante la riapertura  dei  termini  di  legge,  entro  i  quali  si
 sarebbero  potute  sanare appunto le situazioni pregresse nell'ambito
 dell'imposizione sia indiretta che diretta (e' da dire, poi,  che  la
 disciplina  fu  posta con una serie impressionante di atti normativi:
 v. decreto-legge n. 70/1988,  convertito,  con  modificazioni,  nella
 legge   n.  154/1988;  decreto-legge  n.  511/1988,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge  n.  20/1989;  decreto-legge  n.  66/1989,
 convertito, con modificazioni, nella legge n. 144/1989; decreto-legge
 n.  69/1989,  convertito, con modificazioni, nella legge n. 154/1989;
 decreto-legge n. 202/1989, convertito, con modificazioni, nella legge
 n. 288/1989; legge n.  384/1989  ...  In  argomento,  Avantaggiati  -
 Lamedica  -  Mancini,  "L'esercizio della rivalsa nella sanatoria per
 gli  enti  locali",  in  "Le  circolari  del Corriere tributario", n.
 4/1989; Circolare ministeriale 19 ottobre 1989, n.  44/551269,  della
 Direzione  generale  tasse, in Corr. trib., n. 43/1989, 3033 ss.; Del
 Monaco, "Il comune affida alla sanatoria  la  regolarizzazione  delle
 ritenute",  in  Il  Sole  24 Ore, 8 settembre 1989; Massaro, "Per gli
 enti locali si profila un condono Irpeg oneroso", ivi,  18  settembre
 1991; Trimeloni, "Il condono tributario per gli enti locali. Quali le
 modalita'  di  applicazione?",  in "La fin. loc.", n. 9/1988, IV ss.;
 ID, "Ancora in tema di condono tributario a favore degli enti locali.
 Le dimenticanze del legislatore", ivi, n. 12/1988, V  ss.;  Lamedica,
 "La  sanatoria  degli enti locali e' entrata in zona calda", in Corr.
 trib., n. 27/1989, 1809; ID., "Enti  locali:  la  sanatoria  per  una
 rivalsa  difficile",  ivi, n. 28/1989, 1885); e fu concessa, inoltre,
 un'amnistia per  specifici  reati  commessi  dagli  amministratori  e
 dipendenti  degli  enti  non  commerciali  (ai  sensi  della legge n.
 73/1990 e del d.P.R. n. 75/1990: v. Corr.  trib.,  n.  18/1990,  1241
 ss.).
   Dunque, per troncare davvero un simile stato di cose - quantomeno a
 partire dal momento di entrata in vigore dei nuovi disposti: i citati
 decreto-legge  n.  310/1990  e  legge  n.  403/1990:  pertanto, dal 1
 gennaio 1991 - "i comuni, le comunita'  montane,  le  province  e  le
 regioni"  furono  equiparati  tout  court  allo  Stato: tant'e' che -
 commentando la innovazione, senza nutrire in proposito alcun dubbio -
 si  scrisse  che  tali  enti  "non  sono  piu'  considerati  soggetti
 d'imposta.  Quindi, anche se svolgono attivita' commerciali non sorge
 alcun obbligo impositivo" (Lamedica, "comuni: una sanatoria  per  una
 resa dei conti", in Corr.  trib., n. 39/1991, 2885).
   4.  - La fuoriuscita dall'ambito di applicazione delle disposizioni
 regolatrici dell'Irpeg (e dell'Ilor)  rappresenta  l'epilogo  di  una
 complessa  vicenda  - qui riassunta per sommi capi - e la risposta ad
 un'esigenza elementare: quella di non rendere oltremodo  complesso  e
 difficoltoso  l'operato  degli  enti  pubblici  territoriali,  le cui
 eventuali  omissioni  avrebbero  potuto  dar  luogo  ad   azioni   di
 responsabilita'  nei  confronti dei propri agenti (v., per l'appunto,
 la Relazione unita alla deliberazione n.  330/1989  della  Corte  dei
 conti   -   Sezione   enti   locali,  dedicata  ai  "Profili  fiscali
 dell'attivita' privatistica degli enti locali", pubblicata in La fin.
 loc., n. 1/1990, 123 ss.).
   D'altra parte, la soluzione infine accolta dal legislatore - quella
 codificata nel vigente art. 88, comma 1, del  d.P.R.  n.  917/1986  -
 risulta   sostenzialmente   omogena  a  tante  altre,  normativamente
 disposte, che hanno variamente escluso innanzi tutto le regioni dalla
 sfera di applicazione di molteplici tributi: cosi' e'  stabilito  per
 l'Ilor  (art. 116, comma 1, d.P.R. n. 917/1986 e, gia' in precedenza,
 art.   5, d.P.R. n.  601/1973),  per  l'Invim  (art.  25,  d.P.R.  n.
 643/1972),  per  l'imposta  di  registro (art. 1, tabella allegata al
 d.P.R. n.  131/1986), per l'imposta successioni e donazioni (art.  3,
 d.lgs.   n. 346/1990), per l'Isi (art. 7, decreto-legge n. 333/1992),
 per l'Ici (art. 7, lettera a),  legge  n.  505/1992),  per  le  tasse
 pubbliche affissioni (art. 21, lettera c), legge n. 504/1992), per la
 tassa  occupazione  aree  pubbliche  (art.  49,  lettera  a) legge n.
 504/1992).
   Si   puo'   affermare,   pertanto,   che  esiste  un  principio  di
 equiparazione della regione allo Stato,  secondo  il  quale  entrambi
 sono  esclusi dall'applicazione delle imposte, dirette e indirette, e
 da ulteriori forme di prelievo patrimoniale imposto, quando cio'  non
 risulti  contrario  al  mercato  e  alla  libera  concorrenza  che lo
 caratterizza (in questa circostanza la soggettivita' passiva discende
 dalle norme comunitarie).
   5. - Nessuna meraviglia,  allora,  se  -  in  un  primo  momento  -
 l'Amministrazione finanziaria, richiesta di esprimere un parere circa
 la  portata  del  nuovo  testo  dell'art.  88, comma 1, del d.P.R. n.
 917/1986, ha ritenuto -  con  risoluzione  ministeriale  11  novembre
 1991,  n.  11/733,  e  8  gennaio  1993, n. 8/645/92, della Direzione
 generale imposte dirette - "di  poter  confermare  che,  per  effetto
 delle  modifiche apportate all'art.  88 del testo unico delle imposte
 sui redditi aprovato con d.P.R.  n. 917/86, dall'art. 4 del d.-l.  31
 ottobre  1990,  n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
 dicembre 1990, n. 403, i comuni, le province, le comunita' montane  e
 le  regioni,  non  essendo  piu'  soggetti all'Irpeg ed all'Ilor, non
 debbono subire ritenute per tali imposte,  fermo  restando  l'obbligo
 per  essi  di  operare  le  ritenute,  sui  contributi  corrisposti a
 soggetti diversi, ai sensi dell'art.   28  del  d.P.R.  29  settembre
 1973,  n.  600".  Ed  ha aggiunto che, "nel caso in cui, tuttavia, il
 sostituto d'imposta abbia comunque effettuato a monte la ritenuta nei
 confronti degli enti locali, gli stessi dovranno attivare l'ordinaria
 procedura per il rimborso ex art. 370 art. 38 del d.P.R. 29 settembre
 1973, n. 602".
   6. - Il significato di questa nuova disciplina - che si  e'  inteso
 rendere  esplicito  illustrando le relative cause di giustificazione,
 ignorando le quali si potrebbe finire col risolvere  il  problema  di
 legittimita'    costituzionale   considerando   dati   di   carattere
 eminentemente testuale, ai quali va tuttavia riconosciuta, oggi,  una
 rilevanza  ermeneutica  assai scarsa (v., sul punto, l'annotazione di
 Tosi, "Assoggettamento a ritenuta degli interessi bancari corrisposti
 ai comuni", in Giur.   trib.,  n.  4/1995,  384,  a  proposito  della
 equivoca  dizione  dell'art.    3,  comma  3, del d.P.R. n. 917/1986,
 stando al quale "sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile:  a)
 i  redditi esenti dall'imposta ...") - e' stato ben delineato innanzi
 tutto dalla giurisprudenza tributaria, la  quale  ha  affermato,  tra
 l'altro:
     a)  dopo  aver precisato che "gli interessi su somme di spettanza
 degli enti non soggetti all'Irpeg ... non debbono subire la  ritenuta
 di  cui  all'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973" - in sede in valutazione
 critica degli orientamenti ministeriali -, che "a tale conclusione  -
 legata  alla  chiara  lettura  della  legge - era giunta d'acchito lo
 stesso  Ministero  delle  finanze,  il   quale,   nella   risoluzione
 ministeriale  n.  8/645  dell'8  gennaio 1993 ..., stabili' che ''per
 effetto delle modifiche apportate dall'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986
 i comuni, le province, le comunita' montane e le regioni, non essendo
 piu' soggetti all'Irpeg e Ilor, non debbono subire ritenute per  tali
 imposte''.    Che,  poi,  il  Ministero  delle  finanze,  pressato da
 esigenze di cassa, abbia prontamente  fatto  proprio  un  parere  del
 Ministero  del  tesoro  a  sua  volta  diramato  agli enti locali dal
 Ministero dell'interno (circolare ministeriale dell'interno 19  marzo
 1993,  n.  11),  non  meraviglia,  mentre  meraviglia che nella nuova
 risoluzione (risoluzione ministeriale 8 dicembre 1993, n.  III-5-846)
 si  affermi  -  senza  che  la  carta  si colori di rosso - che ''non
 sussiste alcun contratto fra quanto  affermato  nella  risoluzione  e
 nella circolare sopra richiamate''.
   Il  riferimento  e',  ovviamente, alla risoluzione n. 8/645 ed alla
 circolare   ministeriale   dell'interno.   Secondo   l'autore   della
 risoluzione  ministeriale  n. III-5-846, dunque, nella risoluzione n.
 8/645 si era fatto ''generico riferimento ai redditi di  capitale  ed
 ai  dividendi,  senza fornire alcun particolare chiarimento in ordine
 al regime applicabile agli interessi derivanti da  depositi  e  conti
 correnti bancari e postali intestati agli enti in oggetto''. Trattasi
 di  un travisamento cosi' palese e sfrontato che soltanto l'anominato
 delle risoluzioni puo' spiegare. Nella risoluzione de qua, invero, si
 partiva dalla richiesta di conoscere ''se possano essere operate  nei
 confronti  del  comune  ritenute  sugli  interessi  e  sui redditi di
 capitale, nonche' sui dividenti percepiti  per  la  partecipazione  a
 societa'  e,  infine, sui contributi dal comune stesso ricevuti, e si
 concludeva come sopra riportato.   Ne' puo' parlarsi,  nella  specie,
 come   pure   fa   per   primo   il  Ministero  del  tesoro  e,  poi,
 pappagallescamente,   il   Ministero   dell'interno,    di    imposta
 sostitutiva,  dato  che  l'istituzione di questa con riferimento agli
 interessi su somme depositate non e' prevista dalla legge di delega e
 sarebbe, dunque, palesemente incostituzionale.
   Comunque, le conclusioni alle quali e'  pervenuto  questo  Collegio
 sono  condivise  ormai dalla stessa Commissione tributaria di 1 grado
 che  inizialmente  era  di  contrario  avviso  e   trovano   puntuale
 riscossione 30 settembre 1994, n. 661 della Commissione tributaria di
 1 grado di Roma e nella dottrina" (Comm. trib. di 2 grado di Bolzano,
 sez.    I,  dec,  26 settembre 1995, n. 586, in il fisco, n. 44/1995,
 10623-10624, nonche' in Corr. trib., n. 17/1996, 1367);
     b) dopo aver  ribadito  che  "gli  interessi  su  conti  correnti
 bancari  e postali di spettanza degli enti non soggetti all'Irpeg, ai
 sensi dell'art. 88  del  d.  P.R.  917/1986,  non  devono  subire  la
 ritenuta  di  cui  all'art.  26  del  d.P.R.  600/1973"  - in sede di
 definizione dei capisaldi del sistema e delle incongruenze  causative
 di   illegittimita'   che   ne   deriverebbero   ove  si  accogliesse
 l'orientamento infine puntualizzato dall'Amministrazione  finanziaria
 -,  che  "il  vigente  (nuovo)  sistema  tributario per gli organi ed
 Amministrazioni dello Stato e' basato:   -  sul  non  assoggettamento
 all'Iperg  (non  si  parla di esenzione); - sulla non presentabilita'
 della dichiarazione annuale dei redditi.
   Il  non  assoggettamento  all'imposta  vuol  dire  che:  a)  questi
 soggetti  debbono  rimanere estranei al tributo; b) l'estraneita' non
 si riferisce esclusivamente alla fase di dichiarazione dei redditi ma
 ad ogni momento in cui  ci  sono  manifestazioni  di  imponibiita'  a
 carico di questi soggetti; c) se l'estraneita' dovesse riferirsi solo
 in   sede  di  dichiarazione  il  legislatore  avrebbe  dovuto  usare
 l'espressione di esonero dalla presentazione e non invece  quella  di
 ''non assoggettamento all'Irpeg''.
   Opinando  diversamente,  in caso di assoggettamento all'imposta nel
 corso della formazione singoli  redditi,  si  avrebbero  le  seguenti
 incongruenze:  -  non  potendo  riportare alla fine dell'esercizio le
 ritenute subite, in quanto non e'  prevista  la  presentazione  della
 dichiarazione  annuale,  si viene a creare una evidente disparita' di
 trattamento con i soggetti  privati  che  in  sede  di  dichiarazione
 riportano  in detrazione le ritenute subite nel corso dell'esercizio;
 - si aggraverebbe la situazione fiscale degli  enti  locali  rispetto
 alla  situazione  previgente  laddove per una parte erano tenuti alla
 presentazione della dichiarazione ed al recupero  delle  ritenute  ad
 aliquota  ridotta  (cioe'  18,5% a fronte dell'aliquota ordinaria del
 30%)" (Comm. trib. reg, Emilia-Romagna,  sez.  V,  sent.  18  marzo-5
 maggio  1997,  n.  5, in Guida normativa, 14 ottobre 1997, 36-37, con
 nota adesiva di De Simoni - Guidi, "Esenzione estensibile a  consorzi
 e  aziende  speciali",  ivi,  38-39.  La  stessa  sentenza la si puo'
 leggere in Corr. tribu., n. 27/1997, con commento favorevole di Ielo,
 2001 ss.).
   In  breve   ,   dopo   qualche   esordio   perplesso,   l'indirizzo
 consolidatosi  e' nel senso poc'anzi esposto, senz'altro favorevole a
 regioni, province, comuni e comunita' montane, in  evidente  aderenza
 con  la  soluzione  data  al  problema della soggettivita' tributaria
 degli enti pubblici territoriali dal legislatore del 1990: si vedano,
 infatti, quanto al primo grado, Comm. trib. Roma, sez.  XV,  dec.  12
 settembre  1994,  n.  478 e n. 479; sez. XL, dec. 5 novembre 1994, n.
 661; Comm. trib.  Belluno, sez. I, dec. 5 agosto 1994, n.  22;  Comm.
 trib.  Firenze,  dec.  17 dicembre 1994, n. 585; Comm. trib. Bolzano,
 sez. IV, dec.  14 aprile 1994, n. 278, e dec.  7  novembre  1994,  n.
 509;  Comm. trib.   Venezia, sez. VII, dec. 23 luglio 1994, n. 882, e
 dec. 23 agosto 1994, n. 867; sez. I, dec. 21 settembre 1995, n. 123 e
 n. 124; sez.  VII, sent. 29 ottobre 1996, n. 267, n. 268, e  n.  269;
 sez.  VI, sent.  15 settembre 1997, n. 97; Comm. trib. Ferrara, sent.
 4 luglio 1997, n. 267; Comm. trib. Udine, sez. VII,  sent.  8  giugno
 1998,  n.  193; quanto al secondo grado, Comm. trib. Bolzano, sez. I,
 dec. 20 febbraio 1995, n. 19; sez. I, dec. settembre  1995,  n.  586;
 sez.  I,  sent.  6  novembre  1995, n. 297 e n. 298; Comm. trib. reg.
 Emilia-Romagna, sez. V, sent. 8 maggio 1997, n. 4 e n. 5; Comm. trib.
 reg. Veneto, sez. XXXII, sent. 2 luglio-17 settembre 1998, n.  140  e
 n. 141.
   7.  -  Per  parte sua, la dottrina e' stata ancor piu' drastica nel
 recensire criticamente le pretese dell'Amministrazione finanziaria.
   Per limitarsi ad una rapida rassegna di questioni - che  qui  vanno
 riprese  per  quel  tanto  che  serva  ad  evidenziare  la denunciata
 aberratio -, vale la pena di ricordare  che  non  si  e'  mancato  di
 indicare,  con estrema chiarezza, la ratio del vigente art. 88, comma
 primo del d.P.R. n. 917/1986 ("E' opportuno oltrettutto  sottolineare
 come   un'esclusione   da   imposizione  per  detti  enti  comportava
 l'eliminazione di una  serie  di  adempimenti  burocratici,  come  ad
 esempio l'obbligo di presentazione dalla dichiarazione dei redditi ex
 art.  13,  primo  comma,  lett.  b),  del d.P.R. n. 600/1973, nonche'
 l'obbligo della tenuta di una contabilita' come prevista dall'art. 14
 del citato d.P.R. n. 600/1973 ...": Terzani, "I  proventi  finanziari
 degli  enti  locali  esenti  da  ritenute  fiscali?", in il fisco, n.
 23/1996, 5767), il quale comporta - al di  la'  di  ogni  ragionevole
 dubbio  -  l'esclusione  della  soggettivita' (anche) delle regioni a
 fini Irpeg ("Non e' superfluo in proposito ricordare che il  concetto
 di  esenzione soggettiva si distingue nettamente e si oppone a quello
 di non soggettivita'.
   Infatti, l'esenzione soggettiva ricorre nei soli  casi  in  cui  la
 legge  dichiara  non  obbligata al pagamento dell'imposta una persona
 che secondo  le  disposizioni  piu'  generali  della  medesima  legge
 rientrerebbe fra i soggetti passivi del tributo.
   In altri termini, si puo' dire che il soggetto esente presuppone il
 soggetto  passivo".  Cio'  che  conta,  poi,  e'  che  "il richiamato
 principio generale ci porta a concludere che, poiche'  la  norma  del
 quarto  comma, art. 26 preesisteva alla modifica introdotta dal T.U.,
 non poteva prevedere ipotesi di non soggettivita' allora  inesistenti
 completamente,   ma   solo  ipotesi  di  esenzione  dall'Irpeg  tutte
 disciplinate dal d.P.R. n.  601/1973":  Napoli,  "Gli  interessi  sui
 depositi  degli  enti  pubblici  sono  soggetti a ritenuta", in Corr.
 trib., n. 11/1995, 707, cui adde Tosi, "Assoggettamento a  ritenuta",
 cit., 383 ss.; Pettinato-Pugliese, "Sugli interessi maturati a favore
 delle  municipalizzate non si applicano le ritenute", in Corr. trib.,
 39/1994, 2585 ss.; Cipolla, in Rass. trib., n. 4/1996,  869,  nonche'
 Viotto,  "Ritenuta  d'imposta  sugli  interessi  bancari  dei comuni.
 Problemi interpretativi e  conseguenze  derivanti  dall'inadempimento
 del  sostituto",  in Riv.  dir. trib., 1995, I, 1045 ss.), esclusione
 che determina, ove  si  operi  comunque  un  prelievo  a  carico  del
 soggetto  escluso,  una  violazione  dei  principi  costituzionali di
 eguaglianza e di capacita'  contributiva  (Tosi,  "Assoggettamento  a
 ritenuta", cit., 385).
   D'altra   parte,   e'   solo   equivocando   circa  il  significato
 dell'espressione "in ogni altro caso" (di  cui  all'art.  26,  quarto
 comma,  del  d.P.R.    n. 600/1973, peraltro antecedente - come si e'
 sottolineato - al testo introdotto nel 1990) che si  puo'  pretendere
 di   annoverare   i  soggetti  esclusi  dall'ambito  di  operativita'
 dell'Irpeg tra quelli tenuti  a  subire  la  ritenuta  d'imposta  (in
 realta',  come ha ben spiegato Tiengo, "illegittimita' della ritenuta
 alla fonte sui proventi finanziari di soggetti esclusi da Irpeg",  in
 Riv. dir. trib., 1995, II, 145 ss., tale locuzione vale ad integrare,
 in  via  residuale, l'elencazione di cui all'art. 26, primo e secondo
 comma, del  d.P.R.  n.  600/1973:    "Non  sono  ricompresi  in  tale
 elencazione  gli  enti  non  residenti  che non abbiano in Italia una
 stabile organizzazione, nonche' gli enti non commerciali di cui  alla
 lett.  c)  dell'art.  2,  d.P.R  1973, n.   598. E proprio per questi
 soggetti il  legislatore  ha  previsto,  mediante  la  previsione  di
 chiusura ''in ogni altro caso'', una ritenuta a titolo, d'imposta", a
 proposito  della  quale  v.  De  Mita,  "Ritenuta  d'imposta:  l'asso
 pigliatutto del diritto tributario" in Fisco  e  Costituzione,  cit.,
 902  ss.  V.,  altresi',  De  Simoni-Guidi,  op.  cit.,  39,  i quali
 sottolineano, appunto, il fatto che "tale  dizione  e'  riferibile  a
 tutte quelle ipotesi riconducibili nell'ambito di soggetti unicamente
 esenti  da  imposta  e  non  esclusi dalla stessa", nonche' Ielo, op.
 cit., 2003); e tale equivoco produce - come evidenziato  dal  giudice
 tributario  (Comm.  trib.  II  grado  di  Bolzano,  sez.  I,  dec. n.
 586/1995, cit. sub 6) - una violazione della  "legge  delega  per  la
 riforma  tributaria  (legge  1971,  n. 825), la quale per i ''redditi
 derivanti da depositi  e  conti  correnti  bancari  e  postali  e  da
 obbligazioni  e  titoli similari'' corrisposti ai soli soggetti Irpeg
 volle prevedere all'art. 10, n. 5, una ritenuta a  titolo  d'acconto.
 Cosi'  come,  ancora,  per i soggetti esenti da Irpeg e da Ilor venne
 prevista una ritenuta a titolo  d'imposta"  (Tiengo,  "Illegittimita'
 della  ritenuta  alla  fonte",  cit.,  147, e Pettinato-Pugliese, op.
 cit., 2587).
   Ma  v'e'  di  piu'  e di ancor piu' rilevante ai nostri fini. Si e'
 giustamente osservato, infatti, che "i fondi di  tesoreria  non  sono
 depositi bancari per mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi e,
 pertanto,  anche  per questo verso non devono subire la ritenuta alla
 fonte a titolo d'imposta prevista dal comma quarto, dell'art.    26":
 il  tesoriere  non  e'  da  considerare  un'azienda  di  credito  (v.
 telegramma del Ministero delle finanze  del  14  settembre  1992,  in
 Corr.  trib.,  n.  38/1993,  2744)  e  "le  giacenze di tesoreria non
 possono essere oggettivamente qualificate depositi bancari"  (Napoli,
 "Gli  interessi  sui  depositi",  cit., 708), atteso il meccanismo di
 finanziamento delle regioni ed il sistema di tesoreria unica  di  cui
 alla  legge  n.  720/1984  (se  ne parlera' sub. 12 e in un'eventuale
 successiva memoria).
   8. - Quanto esposto consente di precisare, in modo  assai  lineare,
 quali  sono  gli  elementi  essenziali  di un settore prevalentemente
 esposto e problematico della fiscalita' - quello riguardante gli enti
 pubblici, in  specie  territoriali  -,  le  cui  soluzioni  risultano
 condizionate  da  una serie molteplice di fattori: tra l'altro, dalla
 normativa comunitaria; dalle complicazioni di  carattere  gestionale;
 dal modo di essere di taluni istituti del diritto tributario, i quali
 vanno tra loro coordinati sul versante sia sostanziale (ad es.: della
 soggettivita' passiva) sia procedurale (ad es.: delle ritenute).
   Ad ogni buon conto, il quadro normativo di riferimento, colto nella
 descritta  evoluzione,  all'interno  del quale e' stato calato l'art.
 14 della legge n. 28/1999, e' il seguente:
     a) nella vigenza degli originari disposti dell'art. 51 del d.P.R.
 n. 597/1973, dell'art. 2 del d.P.R. n. 598/1973 (e  dell'art.  4  del
 d.P.R.  n.  633/1972)  e  dell'art.  88,  comma  primo, del d.P.R. n.
 917/1986,  regioni,  province,  comuni  e  comunita'  montane   erano
 soggetti  passivi a fini Irpeg ed Ilor: in quanto tali, relativamente
 alle operazioni imponibili, erano tenuti a compilare una contabilita'
 separata,  a  presentare  annualmente  la   relativa   dichiarazione,
 esponendo  - e, con cio', recuperando - le somme per le quali avevano
 subito le ritenute;
     b)  perdurando  notevoli  incertezze  circa   la   natura   delle
 operazioni  poste  in essere da detti enti rilevanti ai fini Irpeg ed
 Ilor  -  incertezze  accentuate,   piuttosto   che   risolte,   dalla
 giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  CEE -, il legislatore ha
 assunto due differenti determinazioni:  da un lato, ha  inteso  porre
 la  parola  fine  sul  pregresso,  prevedendo  una sanatoria fiscale,
 accompagnata da amnistia (per le ovvie implicazioni penali dipendenti
 dalle omesse dichiarazioni e versamenti); d'altro lato, ha equiparato
 -, quindi, escluso dalla  soggettivita'  Irpeg  ed  Ilor  -  regioni,
 province,  comuni e comunita' montane allo Stato:  con le conseguenze
 espressamente sottolineate dalla giurisprudenza (v. sub 6, lett. b);
     c) cio' ha determinato un rapporto di assoluta  indifferenza  tra
 attivita'  delle  regioni e Irpeg, della quale si occupano sia l'art.
 26,  quarto  comma,  del  d.P.R.  n.  600/1973  (decreto  concernente
 "Disposizioni  comuni  in  materia  di accertamento delle imposte sui
 redditi") sia l'art. 88, comma primo,  del  d.P.R.  n.  917/1986  (il
 quale detta le regole sostanziali in tema di "imposte sui redditi").
   9. - Senonche', il legislatore ha di recente stabilito - con l'art.
 14  della  legge  n. 28/1999, qui impugnato - che "la disposizione di
 cui all'articolo 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. 29  settembre
 1973,  n.  600,  riguardante  l'applicazione  della ritenuta a titolo
 d'imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e
 titoli  similari  e  sui conti correnti deve intendersi nel senso che
 tale ritenuta si applica anche nei confronti  dei  soggetti,  esclusi
 dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche".
   Come  appare  evidente  dalla pura e semplice lettura della rubrica
 dell'articolo, si tratta di una disposizione che pretende  di  essere
 meramente  interpretativa  e,  quindi,  dotata,  per  cio'  solo,  di
 efficacia retroattiva. Ma, piu' radicalmente ancora, simile  disposto
 pretende  di  inserirsi  nell'ordinamento  fiscale naturaliter - piu'
 esattamente:  senza colpo ferire -, disinteressandosi delle  storture
 che  ne conseguono:  non trascurabili, ne' sul piano quantitativo ne'
 sul piano qualitativo.
   Gia' ha osservato taluno -  in  sede  di  primo  commento  e  nella
 prospettiva del quivis de populo - che dovra' "essere chiarita ... la
 portata della disposizione contenuta nell'art. 14 del decreto omnibus
 che,  non  censurabile  tecnica  giuridica, interviene, con effetto -
 pare - retroattivo, a definire l'ambito di applicazione di una  norma
 che  dovrebbe limitarsi a definire le modalita' di applicazione delle
 imposte, una volta definiti aliunde i soggetti a  cui  le  stesse  si
 applicano";  ed il chiarimento e' tanto piu' necessario in quanto "la
 soluzione  dell'interpretazione  autentica,  retroattiva,   dopo   le
 sconfitte  ripetute  in  contenzioso", e' "un regalo poco corretto in
 favore del fisco" (Buscaroli-Saccapo, "Interessi: la ritenuta finisce
 in Cassazione in Il Sole 24 Ore, 15 febbraio 1999).
   Quest'ultima annotazione - piaccia o non piaccia - e' indubbiamente
 grave e ripropone questioni essenziali (destinate  a  rimanere  sullo
 sfondo di questo giudizio, perche' si infrangono contro luoghi comuni
 consolidati in tema di leggi interpretative e di retroattivita'), che
 attengono  alla  separazione  dei  poteri,  per un verso (e' il piano
 proprio della forma di Governo),  e  al  senso  piu'  generale  della
 liberta',  per  altro  verso (e' il profilo che attiene alla forma di
 Stato).  Ma, anche prescindendo da cio', rimane comunque il fatto che
 l'art.  14 della legge n. 28/1999 - come si e' gia' rilevato  sub  1,
 in  fine - non riesce a fare sistema: a)  ne' con le leggi tributarie
 vigenti b) ne', loro tramite, con le proposizioni  costituzionali  di
 riferimento, ivi comprese quelle del Titolo V.
   10.  -  Sotto  il  primo  profilo,  l'esito  cui il citato disposto
 conduce e' scontato, risolvendosi in puntuali violazioni di  legge  e
 in  fenomeni di manifesta irrazionalita', ulteriormente devastante il
 c.d. ordinamento tributario (v. sub 1, la'  dove  si  e'  ripresa  la
 significativa opinione di Livio Paladin).
   Quanto  alla  asserita  violazione  di  legge,  l'art. 14 dell'atto
 impugnato collide con l'art. 10, n.  5,  della  legge  di  delega  n.
 825/1971, nel senso indicato sub 6, lett. a) (da Comm. trib. II grado
 di   Bolzano,   sez.  I,  dec.  26  settembre  1995,  n.  586,  cit.,
 10623-10624) e sub 7 (come sottolineato  da  Tiengo,  "Illegittimita'
 della   ritenuta  alla  fonte",  cit.,  147):  il  che  configura  la
 violazione dell'art. 76 Cost.
   Quanto ai  denunciati  fenomeni  di  manifesta  irrazionalita',  e'
 sufficiente  riprendere,  ancora  una  volta,  gli  spunti offerti da
 dottrina e giurisprudenza, che qui si possono brevemente  riassumere.
 Stando  ad  essi - come si e' visto - e' contaddittorio prevedere, ad
 un tempo, la non assoggettabilita' a tributo di un  dato  soggetto  e
 l'obbligo,  per  questo,  di  sottoporsi  ad  una ritenuta d'imposta.
 Infatti, la soggettivita' passiva implica adeguamenti coerenti con la
 struttura del tributo e adempimenti specifici (di  cui  si  e'  detto
 passim),  i  quali  hanno  la  funzione di regolare ed equilibrare il
 rapporto giuridico d'imposta: tant'e' che le ritenute sono recuperate
 - ove si guardi al regime del prelievo di cui trattasi - in  sede  di
 dichiarazione annuale del soggetto passivo; non, invece, del soggetto
 escluso  e,  dunque, della Regione, paradossalmente colpita - innanzi
 tutto dal punto  di  vista  del  diritto  tributario  -  dal  dettato
 dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973.
   Oltretutto,  cio'  determina  -  quale  naturale  conseguenza  - la
 reviviscenza di una soggettivita' tributaria  passiva  (che  ci  deve
 essere,  ove  si  ritenga  conforme  a  sistema la ritenuta in esame)
 letteralmente negata dal dettato (oltre che  dalla  ratio)  dell'art.
 88,   comma  primo,  del  d.P.R.  n.  917/1986:  il  che  comporta  -
 contraddittoriamene ancora  -  che  la  regione  sia  colpita  da  un
 prelievo  relativamente ad un'imposta - l'Irpeg - alla quale e' stata
 sottratta, avendo lo stesso legislatore ritenuto insussistente (o, se
 si preferisce, irrilevante) una capacita' contributiva.
   A tale riguardo, si deve aggiungere che l'art.  26  del  d.P.R.  n.
 600/1973   non   puo'   che  riferirsi  a  fattispecie  riconducibili
 all'Irpeg:    pertanto,  le  somme  depositate  in  conto   corrente,
 generatrici  di  interessi  sui quali operare la ritenuta, dovrebbero
 derivare da operazioni svolte nell'esercizio di "imprese commerciali"
 (ex art. 51, d.P.R.  n. 917/1986), comunque non ricollegabili ai fini
 istituzionali dell'ente  inteso  (anche  dal  punto  di  vista  della
 normativa  comunitaria)  come  "pubblica  autorita'".  Tutto cio' non
 accadeva quando la regione, soggetto passivo Irpeg, era tenuta - come
 si  e'  accennato  -  a  differenziare  le  proprie   operazioni,   a
 contabilizzare  a parte quelle fiscalmente rilevanti, a corrispondere
 il relativo  tributo,  a  subire  la  ritenuta  a  titolo  d'imposta,
 accompagnata dalla facolta' di recupero.
   11.  -  Proiettate  sul  piano  del  diritto  costituzionale,  tali
 manifeste irrazionalita' rendono l'eccesso di potere in cui e' caduto
 il legislatore, quando ha  -  volutamente  o  meno,  poco  importa  -
 concorso a disarticolare, una volta di piu', il sistema.
   Infatti, le denunciate incongruenze comportano tout court:
     a) la violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), dal
 momento  che la regione non puo' - diversamente da qualunque soggetto
 passivo Irpeg - recuperare in sede di dichiarazione annuale (che  non
 solo  non  e'  tenuta,  ma  non  puo'  presentare, in forza di quanto
 dispone l'art. 88, comma primo, del d.P.R. n. 917/1986)  le  ritenute
 operate  a suo carico sugli interessi relativi alle somme giacenti in
 conto corrente;
     b) la violazione del principio di  capacita'  contributiva  (art.
 53  Cost.),  poiche',  la  ritenuta  a titolo d'imposta cade su somme
 depositate in conto corrente che non sono correlate al presupposto in
 base al quale un soggetto e' colpito dall'Irpeg: infatti, la  regione
 non compie - per definizione, ex art. 88, comma primo, del d.P.R.  n.
 917/1986  -  le  attivita'  di  cui  all'art. 51 del medesimo decreto
 presidenziale e, nondimeno, e' tenuta a subire  un  prelievo  che  si
 traduce in un esborso sine titulo;
     c)  la  violazione del principio costituzionale di buon andamento
 (art. 97 Cost.), in  quanto  -  senza  spendere  molte  parole  -  e'
 intuitivo  che  simili  aberrazioni finiscono per rendere sempre meno
 attendibile e credibile la funzione legislativa: con quel che  segue,
 sul piano dell'azione amministrativa e finanziaria.
   Ancorche'  questa  difesa gia' dell'opinione che il legislatore non
 puo' mai interferire, con disposizioni  retroattive  e,  soprattutto,
 con   atti   (falsamente)   interpretativi,   sulle   pronunce   rese
 dall'autorita' giurisdizionale (le ragioni condivise sono  illustrate
 -  a  prescindere  dall'opinione espressa dall'autore - da Quadri R.,
 "Applicazione della legge in generale", Bologna-Roma, 1974, cui  adde
 Verde  G.,  "L'interpretazione  autentica della legge", Torino, 1997,
 nonche' Bin, "La Corte costituzionale tra potere e  retorica:  spunti
 per la costruzione di un modello ermeneutico dei rapporti tra Corte e
 giudici  di  merito"  in  "La Corte costituzionale e gli altri poteri
 dello Stato"; Torino, 1993, 8 ss.,  e  Guastini,  "Il  giudice  e  la
 legge", Torino, 1995), tuttavia, nella circostanza, non e' necessario
 dire  alcunche'  circa  il  contrario avviso di codesta ecc.ma Corte,
 visto che sono sufficienti - a fondare  l'impugnativa  -  le  massime
 formulate  in tema di ragionevolezza, che rappresenta il profilo alla
 stregua del quale va operato il sindacato sulla  fattispecie  dedotta
 (alla luce di cio' che si dira', fra un istante, sub 12).
   Dunque, "il giudizio di eguaglianza" - secondo le relazioni esposte
 nella seguenza: artt. 3, 53 e 97 Cost., come precisato poc'anzi - "e'
 in se' un giudizio di ragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di
 conformita'  tra la regola introdotta e la ''causa'' normativa che la
 deve assistere: ove la disciplina positiva si discosti dalla funzione
 che la stessa e' chiamata a svolgere nel sistema e ometta, quindi, di
 operare  il  doveroso  bilanciamento  dei  valori  che  in   concreto
 risultano  coinvolti, sara' la stessa ''ragione'' della norma a venir
 meno, introducendo una slezione di regime giuridico  priva  di  causa
 giustificativa   e,   dunque,   fondata   su  scelte  arbitrarie  che
 ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza. Ogni  tessuto
 normativo   presenta,   quindi,   e   deve   anzi   presentare,   una
 ''motivazione''  obiettivata  nel  sistema,  che  si  manifesta  come
 entita'  tipizzante  del  tutto  avulsa  dai ''motivi'', storicamente
 contingenti, che possono avere indotto il legislatore a formulare una
 specifica opzione: se dall'analisi di tale motivazione scaturira'  la
 verifica  di  una carenza di ''causa'' o ''ragione'' della disciplina
 introdotta, allora e soltanto allora potra' dirsi realizzato un vizio
 di legittimita' costituzionale della norma, proprio  perche'  fondato
 sulla  ''irragionevole''  e  per  cio'  stesso  arbitraria  scelta di
 introdurre un regime che necessariamente finisce  per  omologare  fra
 loro  situazioni  diverse  o,  al  contrario,  per  differenziare  il
 trattamento di situazioni analoghe"  (Corte  cost.,  sent.  28  marzo
 1996, n. 89, in Giur. cost., 1996, 82. 4. V., altresi', tra le tante,
 sent.  n.  432/1997, ivi, 1997, 3858 ss., nonche', soprattutto, sent.
 n. 6/1994, ivi, 1994, spec. 69 ss.).
   Nel caso in questione, la preoccupazione di  acquisire  allo  Stato
 disponibilita'  finanziarie,  accompagnata  dal  metodo concretamente
 prescelto - ricorso alla legge interpretativa,  perche'  retroattiva,
 incidente  non  sulla  soggettivita' tributaria sostanziale, ma su un
 meccanismo procedurale, qual e' lo strumento  della  ritenuta  -,  ha
 portato  alla manipolazione artificiosa del sistema creato con l'art.
 88, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 ed alle conseguenti -  denunciate
 - inevitabili ed obiettive distorsioni.
   12.  -  Tali distorsioni (di cui si dira' amplius in una successiva
 memoria, dopo aver  preso  visione  dell'eventuale  contrario  avviso
 della  Avvocatura  generale  dello  Stato)  rifluiscono  sullo status
 costituzionale della regione, come definito  dall'art.  119  e  dalle
 connesse   disposizioni   riguardanti   le  funzioni  legislative  ed
 amministrative, di  cui  agli  artt.  117  e  118  Cost.,  ovviamente
 condizionate dalla finanza.
   E'   evidente,   infatti,   che   la'   dove   il   legislatore  ha
 surrettiziamente assoggettato ad Irpeg,  attraverso  una  ritenuta  a
 titolo  d'imposta,  la  regione,  dopo  averla  esclusa  dall'area di
 operativita' del tributo, in violazione tra l'altro degli artt. 3, 53
 e 97 Cost. (nei limiti precisati sub 11),  ha  disposto  un  prelievo
 coatto    a    carico   di   disponibilita'   regionali   costitutive
 dell'autonomia finanziaria dell'ente, garantita dall'art. 119 Cost. A
 cio' si aggiunga che le somme  generatrici  degli  interessi  colpiti
 dalla  ritenuta  concernono  risorse  che  affluiscono  alla  regione
 nell'ambito del sistema di tesoreria unica, previsto dalla  legge  n.
 720/1984,  risorse  che  sono  della  regione e che nulla hanno a che
 vedere con il  presupposto  dell'Irpeg:  tant'e'  che,  anche  se  la
 regione  fosse inclusa - com'era prima della riforma del 1990 - tra i
 soggetti passivi di detta  imposta,  comunque  i  cespiti  de  quibus
 risulterebbero sottratti al prelievo tributario in questione, essendo
 i  medesimi  riferibili  alle  voci  di cui si compone - ex art.  119
 Cost. - il sistema delle entrate della regione (in proposito, v.,  ad
 es.,   Paladin,   "Diritto  regionale",  Padova,  1997,  245  ss.,  e
 Pescatore-Felicetti-Marziale-Sgroi,   "Costituzione   e   leggi   sul
 processo costituzionale e sui referendum", Milano, 1992, 1359 ss.).
   13. - E poi si parla di "federalismo fiscale"|
                               P. Q. M.
   La  regione  ricorrente  chiede  che  l'ecc.ma Corte costituzionale
 dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge  18
 febbraio 1999, n. 28.
     Padova-Roma, addi' 20 marzo 1999
 Avv.  prof.  Mario  Bertolissi  - avv. Franca Caprioglio - avv. Luigi
 Manzi
 99C0362