N. 124 ORDINANZA 12 - 16 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Procedimento per decreto - Inammissibilita' quando
 risulta la volonta' della persona offesa  dal  reato  di  costituirsi
 parte  civile  nel  processo penale - Omessa previsione - Riferimento
 alla giurisprudenza della Corte in materia (v. sentenza n. 192/1991 e
 sentenze n. 98/1996 e n. 353/1994) - Diritto per  il  danneggiato  di
 esperire  l'azione  civile  in sede penale non costituente oggetto di
 garanzia costituzionale come tale - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 459, comma 4).
 
 (Cost., art. 24, secondo comma).
 
(GU n.16 del 21-4-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI,   dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 4,
 del codice di procedura penale, promossi con  otto  ordinanze  emesse
 l'11  maggio  1998  dal giudice per le indagini preliminari presso la
 Pretura circondariale di Pistoia,  rispettivamente  iscritte  ai  nn.
 518, 519, 520, 521, 522, 523, 524 e 525 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 29, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto che il giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la
 pretura  circondariale di Pistoia ha sollevato, con ordinanza dell'11
 maggio  1998  (r.o.   n.   518/1998),   questione   di   legittimita'
 costituzionale   dell'art.   459,   comma  4,  cod.  proc.  pen.,  in
 riferimento all'art.  24, secondo comma, della Costituzione;
     che,  come  riferisce  l'ordinanza  di   rinvio,   nel   giudizio
 principale,  relativo  al reato di frode nell'esercizio del commercio
 (per consegna di un prodotto diverso da quello richiesto), la persona
 offesa dal reato - in persona del legale rappresentante del consorzio
 preposto, secondo la normativa  vigente,  alla  tutela  del  prodotto
 oggetto della richiesta - ha depositato un atto con il quale, oltre a
 chiedere   di   essere   informata  circa  l'eventuale  richiesta  di
 archiviazione a norma dell'art. 408 cod. proc. pen. e di ricevere gli
 avvisi  previsti  dalla  disciplina  processuale,  ha  dichiarato  la
 propria intenzione di costituirsi parte civile nel corso del processo
 penale,   e   successivamente  il  pubblico  ministero  ha  formulato
 richiesta di emissione di decreto penale di condanna, richiesta sulla
 quale si trova a dover decidere il rimettente;
     che  il giudice a quo osserva che l'accoglimento della domanda di
 emissione del decreto penale, nella specie possibile in  mancanza  di
 qualsiasi  ragione ostativa, comporterebbe, per la persona offesa, un
 pregiudizio, consistente appunto nell'impossibilita'  di  costituirsi
 parte  civile  nel  prosieguo del processo, senza d'altra parte che a
 tale preclusione faccia riscontro  la  possibilita',  per  la  stessa
 persona  offesa,  di giovarsi dell'efficacia di giudicato del decreto
 penale, giacche' l'art. 460, comma 5, cod. proc. pen., stabilisce che
 il decreto di condanna esecutivo non ha efficacia  di  giudicato  nel
 giudizio civile o amministrativo;
     che  l'anzidetta  disciplina,  se  da  un lato pone l'imputato al
 riparo dalle conseguenze extrapenali del provvedimento  di  condanna,
 derogando  alla  regola  generale dell'art. 651 del codice in tema di
 efficacia del giudicato penale, anche per disincentivare  l'interesse
 a  proporre  opposizione, dall'altro, ad avviso del rimettente, priva
 di tutela  la  persona  offesa  che  sia  intenzionata  a  esercitare
 l'azione  risarcitoria  in  sede  penale  e che tale intenzione abbia
 manifestato,  poiche'  a  questa  viene  sottratto  il  "diritto   di
 promuovere  l'azione  civile  nel  processo  penale",  restando  essa
 obbligata, per far valere le proprie ragioni, ad agire esclusivamente
 in sede civile;
     che  inoltre  la  norma  denunciata  inciderebbe   sull'attivita'
 decisoria  del giudice richiesto del decreto penale, poiche', essendo
 possibile a norma dell'art. 460, comma 2, cod. proc. pen.,  concedere
 con  il  decreto  la  sospensione condizionale della pena, ed essendo
 questa passibile, secondo l'art. 165  cod.  pen.,  di  subordinazione
 all'adempimento  dell'obbligo delle restituzioni e al pagamento della
 somma liquidata a titolo di risarcimento del danno,  l'impossibilita'
 di  una  qualsiasi  pronuncia sull'azione civile nel procedimento per
 decreto precluderebbe al giudice di fare ricorso a tale istituto,  in
 vista della tutela degli interessi del danneggiato;
     che,  per  le  ragioni  anzidette,  il giudice rimettente ravvisa
 nella disciplina impugnata la lesione della  garanzia  costituzionale
 della   difesa  della  persona  offesa  "costituenda"  parte  civile,
 prospettando pertanto l'illegittimita' costituzionale dell'art.  459,
 comma  4,  cod.  proc.  pen.,  nella  parte in cui non prevede che il
 procedimento per decreto non e' ammesso quando  risulta  la  volonta'
 della  persona  offesa  dal  reato  di  costituirsi  parte civile nel
 processo penale;
     che  la  medesima  questione  e'  stata  sollevata  dallo  stesso
 rimettente  con  altre  sette ordinanze, tutte in data 11 maggio 1998
 (r.o. nn.  da 519 a 525/1998),  emesse  in  altrettanti  procedimenti
 penali;
     che   e'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi  cosi'  promossi  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato, che, inquadrando la denunciata
 limitazione nell'ambito del piu' generale intento  di  incentivazione
 del  ricorso  ai  riti  alternativi,  e  rilevando  d'altra  parte la
 possibilita' per la persona offesa di agire  comunque  per  il  danno
 nella  sede  propria,  ha concluso per l'infondatezza della questione
 sollevata.
   Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano, con  identica
 motivazione,  la  medesima questione e che i relativi giudizi possono
 pertanto essere riuniti e definiti con un'unica decisione:
     che  il  giudice rimettente richiede a questa Corte una pronuncia
 che, per consentire alla persona  offesa  dal  reato  di  costituirsi
 parte  civile,  escluda  l'ammissibilita' del ricorso al procedimento
 speciale disciplinato dal titolo V del libro VI cod. proc. pen.,  per
 il  sol  fatto che l'anzidetta intenzione sia stata manifestata dalla
 persona  offesa  in  modo  esplicito,   anteriormente   all'esercizio
 dell'azione penale;
     che  in  senso contrario rispetto a questa prospettazione deve in
 primo luogo essere ribadito il rilievo, gia' altre volte sottolineato
 da questa Corte,  secondo  il  quale  l'assetto  generale  del  nuovo
 processo e' ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale e
 civile,  essendo  prevalente,  nel  disegno del codice, l'esigenza di
 speditezza e di sollecita definizione del  processo  penale  rispetto
 all'interesse  del soggetto danneggiato di esperire la propria azione
 nel processo medesimo (v. sentenze nn. 353 del 1994, 192 del 1991);
     che  piu'  in  particolare,  con   riferimento   alla   lamentata
 compressione  del  diritto di difesa - e di azione - del soggetto cui
 il reato ha recato danno, questa Corte ha gia'  piu'  volte  rilevato
 che  l'eventuale  impossibilita' per il danneggiato di partecipare al
 processo penale non incide in modo apprezzabile sul  suo  diritto  di
 difesa  e, ancor prima, sul suo diritto di agire in giudizio, poiche'
 resta intatta la possibilita' di esercitare l'azione di  risarcimento
 del  danno  nella  sede  civile,  traendone  la  conclusione che ogni
 "separazione dell'azione civile dall'ambito del processo  penale  non
 puo'  essere  considerata  come  una menomazione o una esclusione del
 diritto alla tutela giurisdizionale", essendo affidata al legislatore
 la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista  delle
 esigenze  proprie del processo penale (sentenze nn. 443 del 1990, 171
 del 1982, 166 del 1975);
     che la lamentata esclusione della "potenziale" parte civile dalla
 possibilita' di far valere le proprie ragioni nel giudizio penale, in
 conseguenza  dell'adozione  del  procedimento  per  decreto,  d'altra
 parte,  non  deriva da una disciplina relativa alla partecipazione di
 detto soggetto al processo  penale,  bensi'  consegue  alla  radicale
 impossibilita'  di  esercitare  l'azione di danno prima e al di fuori
 della fase processuale  in  senso  proprio,  non  potendosi  dare  la
 costituzione  di  "parte"  se  non  allorche'  sia  insorto un vero e
 proprio rapporto processuale (sentenza n. 192 del 1991 citata);
     che, per questo aspetto, non  puo'  darsi  seguito  all'idea  del
 rimettente  di  rovesciare i termini della disciplina, escludendo che
 possa  definirsi  il  procedimento  attraverso  un  determinato  rito
 alternativo   solo   perche'   sia   espressa  dalla  persona  offesa
 un'intenzione di costituirsi in una fase, quella del  giudizio,  che,
 nella   struttura  del  procedimento  per  decreto,  e'  eventuale  e
 successiva, conseguente all'opposizione;
     che risulterebbe improprio un sistema che consentisse di esperire
 un determinato rito alternativo, sussistendone i presupposti, solo in
 dipendenza di una sorta di determinazione meramente potestativa della
 persona offesa, che non riveste la qualita' di parte;
     che  l'anzidetto  rilievo  e'  ulteriormente   avvalorato   dalla
 constatazione  secondo  la  quale  il  diritto  per il danneggiato di
 esperire l'azione civile in sede penale non e'  oggetto  di  garanzia
 costituzionale, come tale (sentenza n. 98 del 1996);
     che,   alla   stregua   delle   osservazioni   che  precedono,  e
 dell'evidente possibilita'  per  il  danneggiato  di  far  valere  le
 pretese   risarcitorie  in  sede  propria,  non  puo'  ravvisarsi  la
 lamentata violazione del parametro costituzionale dedotto;
     che d'altra parte il profilo dell'"incidenza" della  mancanza  di
 un  soggetto-parte  civile  sulla  determinazione giudiziale relativa
 alla concessione della sospensione  condizionale  dell'esecuzione  di
 pena  non  e'  idoneo  a condurre a diversa conclusione, perche', una
 volta che non si dia luogo all'azione di danno, senza che cio'  ponga
 problemi  di  costituzionalita',  l'impossibilita'  di subordinare il
 beneficio  sospensivo  a  statuizioni  "civili"  della  sentenza  non
 produce   altro  effetto  se  non  quello  di  rendere  semplicemente
 inoperante, nella specie, la disposizione che regola  il  particolare
 istituto;
     che  la  questione  sollevata  deve  pertanto  essere  dichiarata
 manifestamente infondata, sotto ogni profilo.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i  giudizi,  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 4,  del
 codice  di  procedura  penale, sollevata, in riferimento all'art. 24,
 secondo comma,  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  Pretura  circondariale  di  Pistoia,  con le
 ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
                         Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
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