N. 290 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 marzo 1999
N. 290 Ordinanza emessa il 2 marzo 1999 dalla Corte di assise di Cosenza nel procedimento penale a carico di Cirigliano Vincenzo ed altro Processo penale - Dibattimento - Istanza di parte per l'utilizzabilita' dei verbali di prove acquisite in precedente fase dibattimentale, svoltasi dinanzi a diverso giudice - Obbligo per il giudice di disporre la lettura dei verbali, previo esame del dichiarante - Possibilita' per il giudice stesso di valutare la irrilevanza, la manifesta superfluita' o l'assoluta necessita' del mezzo istruttorio richiesto - Mancata previsione - Irragionevolezza - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa - Incidenza sul principio secondo il quale la giustizia e' amministrata in nome del popolo - Lesione dei principi di indefettibilita' della funzione giurisdizionale e di obbligatorieta' dell'azione penale. (C.P.P. 1988, art. 511, c.p.v.). (Cost., artt. 3, 24, 101, primo comma, 111 e 112).(GU n.21 del 26-5-1999 )
LA CORTE DI ASSISE Rilevato che nel processo de quo parte dell'istruttoria dibattimentale e' stata svolta dinanzi ad un giudice diversamente composto: che quella composizione collegiale non e' piu' ricostituibile; che, all'esito dell'istruttoria, la difesa ha chiesto, apoditticamente, la nuova audizione dei testi gia' escussi in diversa composizione; che si e' nella fase relativa alla declaratoria di utilizzabilita' degli atti ex art. 511 del c.p.p., sicche' la Corte e' chiamata a valutare se possa farsi luogo tout court a siffatta declaratoria, ovvero se l'istanza di parte imponga l'esame o, ancora, se il giudice possa delibare l'istanza medesima secondo le regole generali che sovrintendono all'ammissione della prova nel processo penale. Rileva il mutamento, nel corso del dibattimento, delle persone fisiche dei giudici componenti la Corte, non importa, in se', la violazione del principio di immutabilita' del giudice posto dall'art. 525 del c.p.p. "alla deliberazione concorrono gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento". Ed invero per come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 17 del 24 gennaio/3 febbraio 1994, pres. Casavola, Colabella ed altro; ord. n. 99 del 25 marzo/3 aprile 1996, pres. Ferri, Bau' ed altri) e recentissimamente ribadito dalle sezioni unite penali della Cassazione (sent. n. 1/99 pres. Zucconi Galli Fonseca, Iannasso + 1) il suddetto principio e' rispettato quando il dibattimento "sia integralmente rinnovato con la ripetizione della sequenza procedimentale costituita dalla dichiarazione di apertura del dibattimento, dall'esposizione introduttiva, dalla richieta di ammissione delle prove, dai provvedimenti relativi all'ammissione, dall'assunzione delle prove secondo le regole stabilite dagli artt. 496 e seguenti del c.p.p." (Cass. ss.uu. citata). Nel caso in esame al mutamento di composizione del giudice e' seguita la rinnovazione secondo il suddetto ordine (v. ord. del 26 febbraio 1998). Nessuna nullita' si e' quindi verificata; La questione di cui deve occuparsi la Corte e' dunque quella relativa all'individuazione degli atti che possono essere posti a base della decisione. Le pronunce sopra richiamate ribadiscono il principio secondo cui, a norma dell'art. 511 del c.p.p. e' legittima l'utilizzabilita' dei verbali di prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale svoltasi dinanzi al giudice poi sostituito. L'art. 511, primo comma del c.p.p. prescrive infatti che "il giudice anche d'ufficio dispone che sia data lettura, integrale o parziale degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento". Nell'ambito di tali atti rientrano, secondo l'ormai pacifica interpretazione della Corte costituzionale e delle sezioni unite i verbali di prove assunti nel dibattimento svoltosi dinanzi al diverso giudice. E' stato invero chiarito come il fascicolo del dibattimento non abbia un contenuto statico, cristallizzato dall'inserimento degli atti di cui all'art. 431 del c.p.p., ma si arricchisca di nuovi atti nel corso del dibattimento stesso. Cosicche' l'attivita' in precedenza compiuta e acquisita al fascicolo del dibattimento legittimamente viene posta a base della decisione, attraverso il duplice meccanismo della rinnovazione e delle letture: i giudici che emettono la sentenza partecipano al dibattimento attraverso la lettura degli atti di tale fascicolo (gia' trib. Cosenza 14 novembre 1991, pres. Garbati in Cass. pen. marzo 1992, pag. 778, n. 445). Sennonche' tale disciplina va coordinata con il secondo comma dell'art. 511 del c.p.p. "la lettura di verbali di dichiarazioni e' disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non abbia luogo". La norma in questione, anche alla luce dell'insegnamento recentissimo delle sezioni unite penali (v. sent. n. 1/99 citata), non puo' che essere interpretata nel senso che quando, come nel caso che occupa, l'ammissione della prova sia nuovamente richiesta il giudice non abbia il potere di disporre la lettura delle dichiarazioni precedenti senza previo esame del dichiarante. In sostanza il primo comma dell'art. 511 del c.p.p. incontra il duplice limite della richiesta di parte e della possibilita' di ripetizione. Cosi' le sezioni unite: "Nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non e' utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l'esame del dichiarante quando questo possa aver luogo e sia stato richiesto da una delle parti". A fronte dunque di una richiesta di parte l'esame non puo' non aver luogo, a meno di non essere naturalisticamente impossibile (v. per esempio morte del dichiarante). Ne' il tenore letterale della norma che non richiama le regole generali in tema di ammissione della prova nel corso del dibattimento (v. artt. 190, 190-bis, 495 e 507 del c.p.p.) consente una interpretazione diversa. Si pongono a questo punto seri dubbi di costituzionalita'. Ritiene la Corte che l'art. 511 del c.p.p. sia in contrasto con gli artt. 3, 24, 111, 112 e 101, primo comma, della Costituzione. Ed invero, si ravvisa una evidente disparita' di trattamento di casi analoghi. L'indefettibilita' dell'esame, a seguito di mera richiesta di persona gia' sentita nel medesimo procedimento, stride con la disciplina relativa alle ipotesi di acquisizione di verbali di prove di altro procedimento (v. art. 238 del c.p.p.). In questo caso il legislatore, pur riconoscendo il diritto delle parti a richiedere l'esame, lo subordina alle norme generali in tema di prova "salvo quanto previsto dall'art. 190-bis, resta fermo il diritto delle parti di ottenere, a norma dell'art. 190 del c.p.p., l'esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 2, 2-bis e ter del presente articolo". E' in realta' irragionevole ritenere che il "diritto alla prova" si atteggi in maniera diversa nelle due ipotesi delineate ed, anzi, appaia meno espanso nel caso di dichiarazioni acquisite in altro processo, fuori dal controllo dell'imputato e del suo difensore (vedi art. 238 del c.p.p.). Una corretta applicazione dell'art. 3 della Costituzione imporrebbe, invece, che anche nelle ipotesi di cui all'art. 511 del c.p.p. fosse garantito il controllo del giudice terzo, in funzione di impedire defatiganti ed inutili duplicazioni merce' il ricorso ai criteri di cui agli artt. 190, 190-bis e 507 del c.p.p., modulati in ragione della fase processuale e della natura dei reati. Ma la norma in questione si pone in contrasto pure con i principi di indefettibilita' della giurisdizione del libero convincimento del giudice e della sua soggezione soltanto alla legge, nonche' di non dispersione della prova (vedi principio enucleato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 254 e 255 del 1992 e ribadito nella sentenza n. 361 del 1998). Lasciare all'iniziativa arbitraria ed incontrollabile di una parte il diritto di decidere circa la ripetibilita' di una prova gia' assunta significa espropriare il giudice di ogni potere in materia di acquisizione ed ammissione della prova, il che e' evidentemente in contrasto con le regole del giusto processo e della indefettibile ricerca della verita'. A tali regole deve conformarsi, merce' l'individuazione di acconci correttivi, il principio di oralita' del processo penale che deve cedere di fronte all'imprescindibile necessita' di economia processuale ed all'esigenza di celebrazione di un processo giusto. Del resto, l'oralita' non e' dato ottusamente irrinunciabile, ma si combina, nel sistema della vigente procedura, con meccanismi opportuni di preservazione di atti (vedi appunto la disciplina di acquisizione della prova documentale ex artt. 234 e seguenti del c.p.p., dei verbali di prova assunti in altro procedimento ex art. 238 del c.p.p., dell'incidente probatorio, quella dettata dagli artt. 512, 210 e 513 del c.p.p.). Per non dire come l'inutile ripetizione di esami gia' assunti prolunghi la durata dei dibattimenti senza che cio' sia funzionale ad esigenze di giustizia, anzi, spesso col rischio di dispersione della prova gia' acquisita per l'incidenza negativa che il decorso del tempo puo' avere sulla lucidita' del ricordo dei dichiaranti. Evidente, a fronte della richiesta di esame avanzata dalla difesa, la rilevanza della questione.
P. Q. M. Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 511 c.p.v. c.p.p. nella parte in cui non prevede che, a fronte di un'istanza di parte il giudice non possa valutare la irrilevanza, la manifesta superfluita' o l'assoluta necessita' del mezzo istruttoria richiesto; Sospende il giudizio in corso; Dispone che a cura della cancelleria, l'ordinanza venga trasmessa alla Corte costituzionale, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e che venga dal cancelliere comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosenza, addi' 2 marzo 1999 Il presidente: (firma illeggibile) 99C0480