N. 172 SENTENZA 10 - 18 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Leva militare - Apolide residente legalmente  nel  territorio  della
 Repubblica  -  Soggezione alla leva fino al compimento del 45 anno di
 eta' - Esistenza di uno spazio vuoto di  diritto  costituzionale  nel
 quale  il legislatore discrezionalmente puo' estendere la cerchia dei
 soggetti  chiamati  alla  prestazione   del   servizio   militare   -
 Ragionevolezza - Non fondatezza.
 
 (D.P.R.  14  febbraio  1964,  n.  237, art. 1, primo comma, lett. e);
 legge 5 febbraio 1992, n. 91, art. 16, comma 1).
 
 (Cost., artt. 10 e 52).
 
(GU n.21 del 26-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 1, primo
 comma, lettera c), del d.P.R.  14  febbraio  1964,  n.  237  (Leva  e
 reclutamento    obbligatorio    nell'Esercito,    nella    Marina   e
 nell'Aeronautica) e 16, comma 1, della legge 5 febbraio 1992,  n.  91
 (Nuove  norme sulla cittadinanza), promosso con ordinanza emessa il 4
 giugno 1998 dal Tribunale militare di Torino nel procedimento  penale
 a  carico  di  Ciabak  Bobovicz,  iscritta  al  n.  735  del registro
 ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  10  marzo 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il Tribunale militare di Torino solleva, con ordinanza  del  4
 giugno  1998,  in  riferimento agli artt. 10 e 52 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, primo  comma,
 lettera  c), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento
 obbligatorio nell'Esercito, nella Marina e  nell'Aeronautica)  e  16,
 comma  1,  della  legge  5  febbraio  1992,  n. 91 (Nuove norme sulla
 cittadinanza), che stabiliscono che e' soggetto  alla  leva  militare
 l'apolide  residente legalmente nel territorio della Repubblica, fino
 al compimento del quarantacinquesimo anno di eta'.
   Il Tribunale militare ricorda che un problema analogo e' gia' stato
 affrontato - ma solo in riferimento all'art. 52 della Costituzione  -
 dalla  Corte  costituzionale,  che,  con  la sentenza n. 53 del 1967,
 rigetto' la questione allora proposta, sul rilievo della  distinzione
 tra  il  dovere  di  difesa della Patria (primo comma dell'art. 52) e
 l'obbligo di prestazione del servizio militare (secondo comma).
   Pur  condividendo  questa  impostazione  di   fondo,   il   giudice
 rimettente  ritiene  di  dover  nuovamente sottoporre la normativa al
 controllo  di   costituzionalita',   giacche',   alla   stregua   del
 riferimento  dell'art.  52 della Costituzione alla sola categoria dei
 "cittadini", deve ritenersi contrastante con la norma  costituzionale
 ogni  estensione  del  dovere di prestazione del servizio militare di
 leva a chi cittadino non sia. Nell'art. 52, infatti, sia il dovere di
 difesa della Patria sia il piu' specifico dovere di  prestazione  del
 servizio   militare  sono  riferiti  esplicitamente  ai  "cittadini":
 pertanto, non sembra al Tribunale conforme al dettato  costituzionale
 la determinazione legislativa che ricomprende gli apolidi nella sfera
 di soggezione al secondo dovere.
   L'uso  del termine "cittadino" nell'art. 52 - prosegue il giudice a
 quo - induce pertanto a ritenere l'esistenza di uno stretto legame di
 interdipendenza tra il possesso  della  cittadinanza  italiana  e  il
 dovere   di   difesa   della   Patria,   che  si  esplica  anche  con
 l'obbligatoria prestazione del servizio.
   Verso  l'anzidetta  conclusione   depone   altresi',   secondo   il
 Tribunale,  una interpretazione sistematica del testo costituzionale:
 quando in esso si vogliono tutelare diritti fondamentali  di  ciascun
 individuo,  si estende la garanzia a "tutti" (ad esempio, negli artt.
 2, 19, 21 e 24), mentre  si  riserva  ai  "cittadini"  la  tutela  di
 posizioni  soggettive che, pur se di notevole rilievo, il Costituente
 non ha ritenuto di pari valore (ad esempio, negli artt. 16, 17 e 18).
 E  ad  analogo  esito conduce il raffronto tra l'art. 52 e l'art. 53,
 che prescrive  che  "tutti"  sono  tenuti  a  concorrere  alle  spese
 pubbliche,  con formula che e' comunemente riconosciuta applicabile a
 chiunque, cittadino o  meno,  percepisca  redditi  in  Italia,  quale
 corrispettivo  delle  prestazioni  e  dei  servizi  di  cui  anche lo
 straniero (o il non cittadino) beneficia.
   La formulazione  testuale  della  norma  costituzionale,  dunque  -
 prosegue  il  Tribunale -, non e' casuale: essa ha voluto limitare ai
 soli cittadini il compito di  difesa  della  Patria,  trattandosi  di
 prestazione   a  carattere  personale  particolarmente  coercitiva  e
 pregnante, che si puo' giustificare solo in  presenza  dello  stretto
 legame  tra soggetto e Repubblica discendente dallo status civitatis.
 Se il dovere di difendere la Patria incombe solo  sul  cittadino,  e'
 solo sul cittadino che puo' cadere il dovere di prestazione militare,
 anche  in  funzione  del  mantenimento  dell'indipendenza dello Stato
 (art. 11 della Costituzione).
   Inoltre, l'esigenza  di  una  interpretazione  rigorosa  del  testo
 costituzionale  si  ricaverebbe  anche  dall'art. 51, che parifica ai
 cittadini gli "italiani non appartenenti  alla  Repubblica"  solo  in
 relazione  all'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive,
 e non ad altri effetti; segno, questo, della necessita' di delimitare
 l'equiparazione tra cittadini e non cittadini a quanto espressamente,
 ed eccezionalmente, previsto dalle disposizioni costituzionali, senza
 coinvolgere obblighi e posizioni  sfavorevoli,  come  e'  appunto  il
 dovere del servizio militare.
   Alla  stregua  di tali rilievi, le norme di legge in questione sono
 censurate  dal  Tribunale  per  contrasto   con   l'art.   52   della
 Costituzione.
   Per  un  secondo  profilo,  le  medesime disposizioni si porrebbero
 altresi' in contrasto con l'art. 10, primo comma, della Costituzione.
   Al  riguardo,  osserva  il  Tribunale,  la  prassi   internazionale
 dominante,  testimoniata  da  diversi  testi,  indurrebbe  a ritenere
 esistente una norma internazionale generale che vincola gli  Stati  a
 non  assoggettare  agli  obblighi  militari  i  non  cittadini e, per
 conseguenza,  gli  apolidi,  cio'  che  del   resto   sarebbe   stato
 riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 278
 del 1992.
   La   questione   sollevata,  conclude  il  giudice  rimettente,  e'
 rilevante,   perche'   se   accolta   determinerebbe    l'assoluzione
 dell'imputato,  apolide,  dal  reato  di  mancanza alla chiamata, non
 sussistendo piu' nei suoi confronti l'obbligo del servizio militare.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato.
   Ad avviso dell'Avvocatura,  la  questione  e'  infondata,  perche',
 contrariamente   a   quanto   sostenuto   dal   giudice   rimettente,
 l'equiparazione tra apolide residente in Italia  e  cittadino,  anche
 per  quanto  riguarda  la  sottoposizione  agli  obblighi di leva, e'
 ragionevole  ed  e'  coerente  con  la  piu'  generale  equiparazione
 stabilita,  a numerosi fini, dall'ordinamento, conformemente a quanto
 avviene anche in altri Paesi.
   Quanto  al  profilo  riferito  all'art.  52   della   Costituzione,
 varrebbero  i  motivi di rigetto della questione gia' enunciati nella
 sentenza n. 53 del 1967 della Corte costituzionale;  quanto  all'art.
 10,  non  e' dato rinvenire una prassi internazionale che vincoli gli
 Stati  a  non  considerare  equiparabili  ai  cittadini  gli  apolidi
 residenti stabilmente  nel  territorio  statale,  anche  quanto  agli
 obblighi militari.
   L'Avvocatura conclude pertanto per una declaratoria di infondatezza
 della questione.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale  militare  di Torino dubita della legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, primo comma, lettera c),  del  d.P.R.  14
 febbraio   1964,   n.   237   (Leva   e   reclutamento   obbligatorio
 nell'Esercito, nella Marina e nell'Aeronautica) e dell'art. 16, comma
 1,  della  legge  5  febbraio  1992,  n.  91   (Nuove   norme   sulla
 cittadinanza),  nella  parte  in cui prevedono l'assoggettamento alla
 leva  militare  degli  apolidi   residenti   nel   territorio   della
 Repubblica.  Le  norme  denunciate  violerebbero  gli  artt.  52, che
 riferisce ai cittadini il dovere di difesa della Patria e il connesso
 obbligo del servizio militare, e 10 della Costituzione, in  relazione
 alla  norma  di diritto internazionale generale che esenterebbe dagli
 obblighi militari coloro che non siano legati allo Stato dal rapporto
 di cittadinanza.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1. - L'art. 52 della Costituzione, proclamando il "sacro  dovere"
 di difesa della Patria e l'obbligatorieta' del servizio militare, nei
 limiti  e  nei  modi stabiliti dalla legge, si riferisce ai cittadini
 italiani.
   Tale riferimento e' esplicito, per quanto  riguarda  il  dovere  di
 difesa;  e'  implicito  per  quanto  riguarda  l'obbligo del servizio
 militare, essendo questo  -  pur  se  dotato  di  una  sua  autonomia
 concettuale  e  istituzionale  rispetto  al  dovere  anzidetto,  come
 precisato numerose volte e in relazione a diverse  fattispecie  dalla
 giurisprudenza  di questa Corte (ad esempio, sentenze nn. 53 del 1967
 e 164 del 1985) - un modo di rendere attuale il dovere di difesa. Del
 resto, specificando nel secondo comma dell'art. 52 che  l'adempimento
 dell'obbligo  di  prestazione del servizio militare non pregiudica la
 posizione  lavorativa  e  l'esercizio  dei   diritti   politici,   la
 Costituzione si riferisce espressamente ancora ai cittadini.
   Tuttavia,   l'anzidetta  determinazione  dell'ambito  personale  di
 validita' dell'obbligo costituzionale  di  prestazione  del  servizio
 militare  non  esclude  l'eventualita'  che  la legge, in determinati
 casi, ne stabilisca (come in effetti  gia'  ne  stabiliva,  al  tempo
 dell'entrata  in  vigore della Costituzione) l'estensione. La portata
 normativa della disposizione costituzionale e' infatti,  palesemente,
 quella  di  stabilire  in  positivo,  non  gia'  di  circoscrivere in
 negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale.
   In breve: il  silenzio  della  norma  costituzionale  non  comporta
 divieto.  Percio' deve ritenersi esistere uno spazio vuoto di diritto
 costituzionale  nel  quale  il  legislatore  puo' far uso del proprio
 potere discrezionale nell'apprezzare ragioni che inducano a estendere
 la cerchia  dei  soggetti  chiamati  alla  prestazione  del  servizio
 militare.
   Cosi',  gia'  nella  sentenza  n.  53  del  1967  di  questa Corte,
 dovendosi   giudicare   della   legittimita'   costituzionale   della
 perdurante  sottoposizione  all'obbligo  del  servizio militare di un
 soggetto che, col concorso  della  sua  volonta',  aveva  perduto  la
 cittadinanza  italiana,  si  rilevo' che l'art. 52 della Costituzione
 "non esclude, sempre che siano  osservati  i  precetti  dell'art.  10
 della Costituzione e non siano violati altri precetti costituzionali,
 che   una   legge  possa"  estendere  l'obbligo,  "quando  concorrano
 interessi che il legislatore consideri meritevoli di tutela, anche  a
 soggetti non in possesso della cittadinanza italiana".
   L'art.  52  della Costituzione non puo' dunque ritenersi di per se'
 violato dalle disposizioni censurate.
   2.2. - L'estensione dell'ambito soggettivo  al  di  la'  di  quanto
 prescritto  dall'art.  52  della  Costituzione  rappresenta  tuttavia
 un'eccezione alla normale riferibilita' ai cittadini dell'obbligo  di
 prestazione  del  servizio  militare  e,  come  tale, non e' priva di
 limiti e condizioni, secondo la stessa  indicazione  contenuta  nella
 ricordata sentenza n. 53 del 1967.
   Il  giudice  rimettente  dubita  che  tale estensione nei confronti
 dell'apolide possa comportare violazione dell'art. 10,  primo  comma,
 della  Costituzione,  per il tramite della violazione di una norma di
 diritto  internazionale  generalmente  riconosciuta:  una  norma  che
 escluderebbe  i non-cittadini dal novero di coloro che possono essere
 chiamati a prestare il servizio militare.
   Il dubbio non ha ragion d'essere.
   Tra i non-cittadini sono compresi  gli  stranieri  e  gli  apolidi.
 Solo  per  i primi, tuttavia, puo' affermarsi l'esistenza della norma
 internazionale anzidetta (sentenze nn. 974 del 1988 e 278 del  1992),
 nascente  dall'esigenza  di  impedire  il  sorgere  di  situazioni di
 conflitto  potenziale  tra  opposte  lealta'  (si  veda,  oltre  alle
 convenzioni  bilaterali  in  materia di servizio militare nei casi di
 doppia cittadinanza, come ad esempio quelle cui hanno dato esecuzione
 le leggi 12 marzo 1977, n. 168, 5 maggio 1976, n.  401  e  12  luglio
 1962, n. 1111, l'art.  5 della Convenzione di Strasburgo del 6 maggio
 1963,  cui  ha dato esecuzione la legge 4 ottobre 1966, n. 876, sulla
 riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi  militari
 in caso di cittadinanza plurima).
   Ma  per  coloro  che  si  trovano  in  posizione  di  apolidi'a, un
 conflitto di tal genere non e' ipotizzabile per definizione.  E'  per
 questo  che  le  norme internazionali, rimettendo la disciplina della
 condizione giuridica degli apolidi alle  legislazioni  nazionali  nel
 rispetto  di  una  serie  di diritti fondamentali (artt. 2 e 12 della
 Convenzione di New York del 28 settembre 1954, relativa  allo  status
 degli  apolidi, cui e' stata data esecuzione in Italia con la legge 1
 febbraio 1962, n. 306), non fanno menzione alcuna di una loro pretesa
 estraneita'  all'obbligo  di  prestazione  del   servizio   militare,
 cosicche'  nell'esperienza del diritto di altri Paesi, pur aderenti a
 tale Convenzione, e' possibile trovare norme similari  a  quelle  del
 nostro    ordinamento,    sottoposte    al   presente   giudizio   di
 costituzionalita'.
   Anche  sotto  il  profilo  della  violazione  dell'art.  10   della
 Costituzione, la questione di costituzionalita' sollevata dal giudice
 rimettente e' infondata.
   2.3.   -   D'altro   canto   deve   rilevarsi,  per  apprezzare  la
 non-irragionevolezza  della  scelta  del  legislatore  di   estendere
 l'obbligo  militare  agli apolidi residenti in Italia, la circostanza
 che essi godono di un'ampia tutela,  in  tutti  i  campi  diversi  da
 quello  della  partecipazione  politica, come prescritto dalla citata
 Convenzione di New York  del  28  settembre  1954  e  dall'abbondante
 legislazione nazionale in materia di rapporti civili e sociali che li
 riguarda,   alla   stessa   stregua   dei   cittadini  italiani:  una
 legislazione - culminata nell'affermazione di principio  della  piena
 parita'  di  trattamento  e  della  piena  uguaglianza di diritti tra
 apolidi e cittadini italiani (artt. 1, comma 1, e 2, commi  1-5,  del
 decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286) - che induce a ritenerli
 parti di una comunita' di diritti la partecipazione  alla  quale  ben
 puo'  giustificare  la  sottoposizione  a  doveri funzionali alla sua
 difesa.  Tale  comunita'  di  diritti  e  di  doveri,  piu'  ampia  e
 comprensiva  di  quella  fondata  sul  criterio della cittadinanza in
 senso stretto, accoglie e accomuna tutti coloro che,  quasi  come  in
 una  seconda  cittadinanza,  ricevono diritti e restituiscono doveri,
 secondo quanto risulta dall'art.   2  della  Costituzione  la'  dove,
 parlando di diritti inviolabili dell'uomo e richiedendo l'adempimento
 dei  corrispettivi  doveri  di solidarieta', prescinde del tutto, per
 l'appunto, dal legame stretto di cittadinanza.
   Una conclusione, questa, in relazione al dovere di difesa,  cui  e'
 possibile  pervenire perche' e in quanto la Costituzione (artt.  11 e
 52,  primo  comma)  impone  una  visione  degli   apparati   militari
 dell'Italia  e  del  servizio  militare  stesso  non piu' finalizzata
 all'idea della potenza dello Stato o, come si e' detto  in  relazione
 al passato, dello "Stato di potenza", ma legata invece all'idea della
 garanzia della liberta' dei popoli e dell'integrita' dell'ordinamento
 nazionale,  come risultante anche dall'art. 1 della legge 24 dicembre
 1986, n.  958 (Norme sul servizio militare di leva e sulla  ferma  di
 leva  prolungata)  e  dall'art.  1 della legge 11 luglio 1978, n. 382
 (Norme di principio sulla disciplina militare).
   Realizzandosi queste condizioni, non appare privo di ragionevolezza
 richiedere agli apolidi - i quali partecipano di quella comunita'  di
 diritti  di  cui  si e' detto in base a una scelta non giuridicamente
 imposta circa lo stabilimento della propria residenza - l'adempimento
 del dovere di prestazione del servizio militare, quale previsto dalle
 disposizioni  legislative  sottoposte   al   presente   giudizio   di
 costituzionalita'.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 1, primo comma, lettera c), del d.P.R.  14 febbraio 1964,
 n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell'Esercito, nella  Marina
 e  nell'Aeronautica)  e  16, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n.
 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) sollevata,  in  riferimento  agli
 artt.  10  e  52 della Costituzione, dal Tribunale militare di Torino
 con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0506