N. 179 SENTENZA 12 - 20 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Edilizia e urbanistica - Vincoli urbanistici scaduti  -  Possibilita'
 di  reiterazione  da parte dell'amministrazione di quelli preordinati
 alla espropriazione o comportanti inedificabilita'  -  Previsione  di
 indennizzo - Esclusione - Riferimento alla giurisprudenza della Corte
 (v. sentenze nn. 417/1995, 56/1968, 55/1968, 9/1973, 202/1974,
 245/1976,  648/1988,  391/1989 e 343/1990) - Violazione dei principi
 di  cui  all'art.  42,  terzo  comma,   Cost.   -      Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (Legge  17  agosto 1942, n. 1150, artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40; legge 19
 novembre 1968, n. 1187, art. 2, primo comma).
 
(GU n.21 del 26-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,
  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto CAPOTOSTI, prof.
 Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, numeri  2,
 3  e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica),
 e dell'art. 2, primo comma, della legge 19  novembre  1968,  n.  1187
 (Modifiche  ed integrazioni alla legge urbanistica 17 aprile 1942, n.
 1150), promosso con ordinanza emessa il 1 luglio 1996  dal  Consiglio
 di  Stato  sul  ricorso  proposto  dal comune di Roma contro Cestelli
 Guidi Riccardo ed altri, iscritta al n.  33  del  registro  ordinanze
 1997  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti  gli atti di costituzione di Cestelli Guidi Riccardo ed altri
 e del comune di Roma, nonche' l'atto di intervento del Presidente del
 Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  novembre  1998  il  giudice
 relatore Riccardo Chieppa;
   Uditi gli avvocati Giuseppe Lavitola per Cestelli Guidi Riccardo ed
 altri,  Mauro  Mertis per il comune di Roma, e l'Avvocato dello Stato
 Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso del giudizio di appello promosso avverso la sentenza
 14 aprile 1993, n. 600 del  Tribunale  amministrativo  regionale  del
 Lazio,  sezione  I,  che  aveva  definito il giudizio di impugnazione
 avverso delibera della Giunta municipale di Roma con la  quale  erano
 stati  reiterati vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza
 del quinquennio di legge, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato,
 a cui il ricorso era stato rimesso  dalla  IV  Sezione  dello  stesso
 Consiglio,  ha  sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale
 degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto  1942,  n.
 1150  (Legge  urbanistica), e 2, primo comma, della legge 19 novembre
 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla  legge  urbanistica  17
 aprile 1942, n. 1150), in riferimento agli artt. 42, terzo comma, 97,
 9, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione.
   Il  giudice  rimettente,  dopo  aver ricostruito l'iter processuale
 della vicenda, avente ad  oggetto  la  predetta  deliberazione  della
 giunta  municipale  di Roma, ha osservato, in via preliminare, che la
 cognizione della questione  e',  per  giurisprudenza  costante  della
 Corte di cassazione, devoluta al giudice amministrativo.
   In diritto, il giudice a quo richiama i vari interventi normativi e
 le sentenze della Corte costituzionale che, in sostanza, hanno creato
 la disciplina attuale dei vincoli inaedificandi.
   Conseguentemente,  la  legge 19 novembre 1968, n. 1187 ha previsto,
 all'art.  2,  primo  comma:  "Le  indicazioni  di  piano   regolatore
 generale,  nella  parte  in  cui  incidono  su  beni  determinati  ed
 assoggettano i beni stessi a vincoli  preordinati  all'espropriazione
 od   a   vincoli  che  comportino  l'inedificabilita',  perdono  ogni
 efficacia qualora entro cinque anni dalla data  di  approvazione  del
 piano   regolatore   non  siano  stati  approvati  i  relativi  piani
 particolareggiati   od   autorizzati   i   piani   di   lottizzazione
 convenzionati.  L'efficacia  dei  vincoli  predetti  non  puo' essere
 protratta oltre il termine di attuazione dei piani  particolareggiati
 e di lottizzazione".
   Il predetto termine di scadenza dell'efficacia delle indicazioni di
 piano  e'  stato successivamente prorogato fino all'entrata in vigore
 della legge sulla edificabilita' dei suoli  e  delle  relative  leggi
 regionali sull'implicito presupposto che la questione avrebbe trovato
 definitiva soluzione in quella sede.
   Cio',  in realta', non e' avvenuto, in quanto - come ritenuto dalla
 Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.  5  del  1980  -  lo  ius
 aedificandi  continua  ad  inerire  al  diritto di proprieta', con il
 conseguente obbligo di indennizzo anche nel caso di espropriazioni di
 valore.
   Sulla questione e' intervenuta la Corte costituzionale,  una  prima
 volta  con  la  sentenza  n.  82  del  1982,  la  quale ha ammesso la
 legittimita' costituzionale delle disposizioni degli artt. 1, 2  e  5
 della  legge  n. 1187 del 1968, ritenendo che il legislatore abbia la
 facolta'  di  scelta  tra  la  previsione  di  un  indennizzo  e   la
 predeterminazione di un termine di durata dell'efficacia del vincolo;
 successivamente, con la sentenza n. 575 del 1989, ha affermato che la
 temporaneita'  e  la  indennizzabilita'  dei  vincoli  urbanistici di
 natura   espropriativa   sono   tra   loro   alternative,   per   cui
 l'indeterminatezza temporale comporta il diritto all'indennizzo.
   Cio'  posto,  il  giudice  a  quo  si  pone il problema relativo al
 trattamento della reiterazione di  vincoli  temporanei:  reiterazione
 che sarebbe ammissibile senza indennizzo a condizione di non superare
 la soglia massima di temporaneita' del vincolo, al di la' della quale
 la   reiterazione   integrerebbe   gli   estremi   della  fattispecie
 espropriativa e determinerebbe la corresponsione dell'indennizzo.
   Tale problema non troverebbe soluzione nella normativa vigente,  la
 quale  non  contiene  la  previsione di una fattispecie espropriativa
 "tassativa"; il che, ad avviso del giudice a quo, puo' costituire  un
 primo  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  del  sistema,  in
 relazione alla riserva di legge di  cui  all'art.  42,  terzo  comma,
 della  Costituzione,  in  quanto  l'accertamento  degli estremi della
 fattispecie   espropriativa   sarebbe    rimesso    all'apprezzamento
 discrezionale  dell'amministrazione e del giudice, con compromissione
 della certezza del diritto in una materia che  esige  uniformita'  di
 soluzioni.
   Altro profilo di illegittimita' costituzionale, sempre in relazione
 all'art.  42,  terzo  comma,  della  Costituzione,  e'  ravvisato dal
 giudice  a  quo  nella  mancanza,  nella   legge,   di   criteri   di
 determinazione  dell'indennizzo  per  i  casi  di  espropriazione  di
 valore, determinazione che sarebbe necessaria  sia  per  la  concreta
 attuabilita'  del  diritto  all'indennizzo che per la copertura della
 spesa.
   Infine, la mancata determinazione con legge  dei  casi  in  cui  la
 reiterazione  dei  vincoli  costituisce  espropriazione e comporta la
 corresponsione dell'indennizzo, appare al giudice a quo in  contrasto
 con gli artt. 97 della Costituzione, in quanto deviazione dal modello
 di buon andamento della pianificazione urbanistica, 9, secondo comma,
 e  32,  primo  comma, della Costituzione in relazione alla tutela del
 paesaggio  e  del  diritto   alla   salute,   giacche'   la   mancata
 determinazione  sarebbe  di  ostacolo  al bilanciamento tra interessi
 costituzionalmente  rilevanti,  quali il diritto di proprieta', da un
 lato, e  gli  altri  interessi  costituzionalmente  protetti  cui  e'
 preordinata l'attivita' di pianificazione urbanistica, dall'altro.
   2. - Nel giudizio si sono costituiti il comune di Roma, il quale ha
 chiesto  la  reiezione  della  sollevata  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  e  alcune  parti  private  che  hanno   chiesto   la
 declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
 sottoposte all'esame della Corte.
   3. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura generale dello Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  comunque,
 infondata.
   Ha escluso, in particolare, che la questione proposta possa trovare
 soluzione   con  una  pronuncia  meramente  caducatoria  delle  norme
 denunciate.
   Peraltro, la stessa  ordinanza  di  rinvio  non  offrirebbe  alcuna
 indicazione  da  cui  si possa trarre la convinzione che nel giudizio
 principale si concretizzi quel "punto di rottura"  prefigurato  dalla
 sentenza  della  Corte  costituzionale n. 575 del 1989, nel senso che
 l'esercizio della potesta' di  reiterare  indefinitamente  i  vincoli
 determini  situazioni incompatibili con la garanzia della proprieta',
 secondo i principi affermati dalle sentenze nn. 6 del 1966  e 55  del
 1968  della  Corte,  giacche' sembrerebbe che nel giudizio principale
 siano in gioco vincoli  di  prima  reiterazione  e,  come  tali,  non
 collocabili oltre la soglia di tollerabilita'.
   4.  - Nell'imminenza della data stabilita per l'udienza pubblica il
 comune  di  Roma  ha  depositato  una  memoria,  con  cui  eccepisce,
 preliminarmente,  la inammissibilita', per difetto di rilevanza e per
 difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, delle  questioni
 sottoposte all'esame della Corte, e, nel merito, chiede che le stesse
 siano dichiarate manifestamente infondate.
   Rileva,   in   particolare   -  con  riferimento  all'eccezione  di
 inammissibilita' - che in relazione alle posizioni  fatte  valere  vi
 sarebbe  un difetto assoluto di giurisdizione, non sussistendo ne' la
 giurisdizione  del  giudice  ordinario,  ne'   quella   del   giudice
 amministrativo,  e  cio'  in  quanto  la  situazione fatta valere non
 sarebbe configurabile ne' come diritto soggettivo, ne' come interesse
 legittimo.
   Tutt'al piu', qualora si volesse ritenere la configurabilita' di un
 diritto  soggettivo,  la   giurisdizione   spetterebbe   al   giudice
 ordinario.
   In  relazione  al difetto di rilevanza, osserva che la questione di
 costituzionalita' e' stata sollevata  in  relazione  ad  ipotesi  che
 possono  dar luogo ad indeterminatezza temporale dei vincoli, mentre,
 nella specie, si tratta di prima reiterazione.  Nel merito,  conclude
 per  la  infondatezza della questione sollevata, sull'assunto che, in
 presenza dei principi nei quali si concreta la disciplina dei vincoli
 inaedificandi, dovrebbe escludersi che la reiterazione per  la  prima
 volta    ovvero   successive   reiterazioni   possano   concretizzare
 l'indeterminatezza temporale censurata.
   5. - E'  stata,  altresi',  depositata  memoria  nell'interesse  di
 alcune  parti  private,  con  cui,  da  un lato, viene evidenziata la
 rilevanza della questione di costituzionalita', a nulla  valendo  che
 si  tratti  di  reiterazione  plurime  di  vincoli  ovvero  di  prima
 reiterazione,  e  viene  confutata  l'eccezione  di  inammissibilita'
 sollevata dalla difesa dello Stato.
   Dall'altro,  passando  all'esame  del  merito,  viene   negata   la
 illegittimita'    costituzionale    delle   norme   denunciate,   con
 argomentazioni miranti a sostenere la legittimita' del  sistema  alla
 stregua della legislazione vigente in base ad una interpretazione del
 complesso   sistema   attuale   in   senso   conforme   ai   principi
 costituzionali, nel senso di ammettere, cioe', l'indennizzo nei  casi
 come   quello   di   specie,   anche   alla   luce   della  normativa
 internazionale, di diretta applicazione nel nostro  ordinamento,  con
 particolare  riferimento  alle norme della convenzione europea per la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
 del  protocollo  addizionale  alla convenzione stessa.  In subordine,
 qualora non si ritenga che  il  sistema,  nel  suo  complesso,  possa
 offrire  adeguata  tutela al diritto di proprieta', si insiste per la
 declaratoria di incostituzionalita' delle norme impugnate.
                         Considerato in diritto
   1. - Le  questioni  sottoposte  all'esame  della  Corte  hanno  per
 oggetto  gli  artt.  7,  numeri 2, 3, e 4, e 40 della legge 17 agosto
 1942, n.  1150 (come risultante rispettivamente a seguito degli artt.
 1 e 5 della legge 19 novembre 1968, n. 1187) e 2, primo comma,  della
 legge  19  novembre  1968, n. 1187, sotto il profilo della violazione
 dell'art.  42, terzo comma, della Costituzione, in quanto -  come  si
 evince     dalla     interpretazione     corrente     -    consentono
 all'Amministrazione di reiterare il vincolo  scaduto  indefinitamente
 nel   tempo,   ponendo  in  essere  una  fattispecie  sostanzialmente
 espropriativa senza la previsione di indennizzo e, comunque, senza la
 previsione di criteri  per  la  determinazione  dello  stesso;  viene
 altresi'  denunciata  la  violazione  dell'art.  97, sotto il profilo
 della deviazione dal modello del buon andamento della  pianificazione
 urbanistica,  dell'art.  9,  secondo  comma,  per il contrasto con la
 tutela del  paesaggio,  nonche'  dell'art.  32,  primo  comma,  della
 Costituzione in relazione al diritto alla salute.
   2.  -  Preliminarmente,  devono  essere  esaminate  le eccezioni di
 inammissibilita' proposte dal Presidente del Consiglio e  dal  comune
 di Roma.
   Le  eccezioni  di inammissibilita', per mancanza di rilevanza e per
 difetto  di  giurisdizione,  sono  prive  di  fondamento,  in  quanto
 l'ordinanza  di  rimessione  contiene  una motivazione tutt'altro che
 implausibile sia sulla rilevanza delle  questioni,  in  relazione  ai
 motivi  di  appello  ritenuti  prioritari,  sia  sulla  giurisdizione
 esercitata  in  materia  di  vincoli.  Il  ragionamento  del  giudice
 rimettente si svolge sulla base della duplice considerazione di dover
 fare   applicazione  delle  norme  denunciate  (di  cui  e'  evidente
 l'incidenza, in quanto il giudizio a quo riguarda  l'impugnazione  di
 una delibera comunale di reiterazione di vincoli urbanistici divenuti
 inefficaci  per  scadenza  del quinquennio di legge) e di ritenere le
 questioni medesime, rientranti nell'ambito  della  giurisdizione  del
 giudice  amministrativo  sulla  base  di  un indirizzo interpretativo
 della  Corte  di  cassazione  con  argomentazioni  anche   esse   non
 implausibili  e non palesemente arbitrarie (v. per tutte, le sentenze
 della Cassazione, sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11308, e  15  ottobre
 1992, n. 11257).
   Cio'  e'  sufficiente  per  respingere  le eccezioni formulate, non
 potendosi procedere, in questa sede, ad  un  sindacato  (diverso  dal
 controllo esterno) sul giudizio di rilevanza, espresso dall'ordinanza
 di  rimessione  in  modo  non implausibile (v. per tutte, sentenza n.
 286 del 1997) e con motivazione tutt'altro che carente (v.  ordinanza
 n. 62 del 1997).
   Allo stesso modo la inammissibilita' delle questioni incidentali di
 legittimita'  costituzionale,  sotto  il  profilo della carenza della
 giurisdizione del giudice a  quo  puo'  verificarsi  solo  quando  il
 difetto  di  giurisdizione  emerga  in modo macroscopico e manifesto,
 cioe' ictu oculi (sentenza n. 98  del  1997;  ordinanza  n.  167  del
 1997).
   3.   -   Passando  all'esame  delle  questioni  sollevate,  occorre
 premettere che il problema di un  indennizzo  a  seguito  di  vincoli
 urbanistici  -  come  alternativa  non  eludibile  tra  previsione di
 indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia  del
 vincolo  (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995) -
 si puo' porre sul piano costituzionale quando si  tratta  di  vincoli
 che:
     siano  preordinati  all'espropriazione,  ovvero abbiano carattere
 sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare  come  effetto
 pratico  uno  svuotamento,  di  rilevante entita' ed incisivita', del
 contenuto   della   proprieta'    stessa,    mediante    imposizione,
 immediatamente  operativa,  di  vincoli  a titolo particolare su beni
 determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella  successiva  n.
 55  del 1968, e, tra le piu' recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n.
 379 del 1994; n.    186  e  n.  185  del  1993;  n.  141  del  1992),
 comportanti   inedificabilita'  assoluta,  qualora  non  siano  stati
 discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato  o
 delle  Regioni  (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale,
 sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);
     superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come
 limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilita'  del
 vincolo  urbanistico  da parte del singolo soggetto titolare del bene
 determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga  l'espropriazione
 (sentenza  n.  186  del  1993),  ovvero  non  si  inizi  la procedura
 attuativa (preordinata all'esproprio)  attraverso  l'approvazione  di
 piani  particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini
 massimi di attuazione fissati dalla legge;
     superino sotto un profilo quantitativo ("per la maggiore o minore
 incidenza che il sacrificio imposto ha sul  contenuto  del  diritto":
 sentenza  n.  6  del  1966)  la  normale  tollerabilita'  secondo una
 concezione della proprieta', che resta regolata  dalla  legge  per  i
 modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art.
 42, secondo comma, della Costituzione).
   Nello  stesso  tempo,  occorre sottolineare l'indirizzo secondo cui
 "e'  propria  della  potesta'  pianificatoria  la   possibilita'   di
 rinnovare  nel  tempo  i  vincoli  su beni individuati, purche', come
 ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa,  risulti  adeguatamente
 motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche" (sentenza
 n. 575 del 1989). Essendo i due requisiti della temporaneita' e della
 indennizzabilita'  tra loro alternativi, l'indeterminatezza temporale
 dei vincoli, resa possibile dalla potesta' di  reiterarli  nel  tempo
 anche   con   diversa   destinazione   o   con   altri   mezzi,   "e'
 costituzionalmente  legittima  a  condizione che l'esercizio di detta
 potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della
 proprieta' secondo i principi affermati dalle sentenze n. 6 del  1966
 e n. 55 del 1968" (sentenza n. 575 del 1989).
    4.  -  La  giurisprudenza della Corte ha inoltre affermato che non
 sono  inquadrabili  negli  schemi  dell'espropriazione,  dei  vincoli
 indennizzabili  e dei termini di durata i beni immobili aventi valore
 paesistico-ambientale, "in virtu' della loro localizzazione  o  della
 loro  inserzione  in  un  complesso  che  ha  in modo coessenziale le
 qualita' indicate dalla legge" (sentenze n. 417 del 1995; n.  56  del
 1968,  da  interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza n.
 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n.  648
 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
   Piu'  in  generale  si  e'  ritenuto che la legge puo' non disporre
 indennizzi quando i modi ed i limiti imposti - previsti  dalla  legge
 direttamente   o  con  il  completamento  attraverso  un  particolare
 procedimento amministrativo - attengano, con carattere di generalita'
 per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo (sentenze n. 6  del
 1966  e  n.  55  del  1968),  ad intere categorie di beni, e per cio'
 interessino  la  generalita'  dei  soggetti  con  una  sottoposizione
 indifferenziata  di  essi  -  anche  per  zone  territoriali  - ad un
 particolare regime secondo le caratteristiche  intrinseche  del  bene
 stesso.  Non  si  puo' porre un problema di indennizzo se il vincolo,
 previsto in base a legge, abbia riguardo ai  modi  di  godimento  dei
 beni  in  generale  o  di  intere categorie di beni, ovvero quando la
 legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri
 beni o interessi pubblici preminenti.
   Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali
 alla proprieta', quale risulta dal  sistema  vigente,  i  limiti  non
 ablatori   posti   normalmente   nei   regolamenti  edilizi  o  nella
 pianificazione  e  programmazione  urbanistica   e   relative   norme
 tecniche,  quali  i  limiti  di  altezza, di cubatura o di superficie
 coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione  a
 talune  opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilita'
 ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee  e
 simili.
   5.  -  Inoltre  e' da precisare esplicitamente che sono al di fuori
 dello  schema  ablatorio-espropriativo  con  le   connesse   garanzie
 costituzionali  (e  quindi  non  necessariamente con l'alternativa di
 indennizzo o di durata  predefinita)  i  vincoli  che  importano  una
 destinazione   (anche   di   contenuto   specifico)  realizzabile  ad
 iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che  non  comportino
 necessariamente  espropriazione  o interventi ad esclusiva iniziativa
 pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e  senza
 necessita'  di  previa  ablazione  del  bene.  Cio'  puo'  essere  il
 risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che
 gli obiettivi di interesse  generale,  di  dotare  il  territorio  di
 attrezzature  e  servizi,  siano  ritenuti  realizzabili (e come tali
 specificatamente  compresi  nelle  previsioni  pianificatorie)  anche
 attraverso  l'iniziativa  economica  privata - pur se accompagnati da
 strumenti di convenzionamento. Si  fa  riferimento,  ad  esempio,  ai
 parcheggi,   impianti   sportivi,   mercati   e   complessi   per  la
 distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie
 o per altre utilizzazioni quali  zone  artigianali  o  industriali  o
 residenziali;  in  breve,  a  tutte quelle iniziative suscettibili di
 operare in libero regime di economia di mercato.
   6. - Sulla base delle anzidette premesse puo' essere confermato che
 la  reiterazione  in  via  amministrativa  degli  anzidetti   vincoli
 decaduti    (preordinati    all'espropriazione    o   con   carattere
 sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via  legislativa
 o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune regioni
 a statuto speciale (v., per quest'ultimo profilo, sentenze n. 344 del
 1995;  n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per se'
 inammissibili dal punto  di  vista  costituzionale.  Infatti  possono
 esistere  ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione
 procedimentale  (con   adeguata   motivazione)   dell'amministrazione
 preposta  alla  gestione  del territorio o rispettivamente apprezzate
 dalla  discrezionalita'  legislativa  entro  i   limiti   della   non
 irragionevolezza  e  non  arbitrarieta' (v. sentenze n. 344 del 1995;
 nn. 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988).
   Invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia  una
 indefinita  reiterazione  o  una  proroga  sine  die  o  all'infinito
 (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo  determinato  che  si
 ripetano  aggiungendosi  le  une  alle  altre),  o  quando  il limite
 temporale sia indeterminato, cioe' non sia certo, preciso e sicuro e,
 quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza (sentenza n.
 344 del 1995). Cio' ovviamente in assenza di  previsione  alternativa
 dell'indennizzo (sentenze n. 344 del 1995; n. 575 del 1989), e fermo,
 beninteso,  che l'obbligo dell'indennizzo opera una volta superato il
 periodo di durata  (tollerabile)  fissato  dalla  legge  (periodo  di
 franchigia).
   Del  resto  la  giurisprudenza  amministrativa,  a  proposito della
 reiterazione dei vincoli, ha delineato un diritto vivente  (che  deve
 essere  tenuto  presente  per  risolvere la questione di legittimita'
 costituzionale prospettata), secondo cui la reiterazione dei  vincoli
 urbanistici  decaduti  per  effetto  del  decorso  del  termine  puo'
 ritenersi legittima sul piano  amministrativo  se  corredata  da  una
 congrua  e  specifica  motivazione sulla attualita' della previsione,
 con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati
 coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di  piano,
 tanto piu' dettagliata e concreta quante piu' volte viene ripetuta la
 reiterazione del vincolo.
   Da quanto sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere
 separato  e  distinto  il profilo della ammissibilita' e legittimita'
 delle reiterazioni in via amministrativa dei vincoli urbanistici c.d.
 espropriativi, attuate in conformita' ai  principi  ricavabili  dalla
 giurisprudenza  succitata,  di  modo  che la reiterazione puo' essere
 ritenuta  giustificata  dalle  esigenze  appositamente   valutate   e
 motivate  come attuali e persistenti: cio' non di meno si realizza un
 obbligo indennitario.
   Infatti, per i  vincoli  derivanti  da  pianificazione  urbanistica
 (come  sopra  delimitati),  l'obbligo  specifico  di  indennizzo deve
 sorgere una volta superato  il  primo  periodo  di  ordinaria  durata
 temporanea  (a  sua  volta  preceduto  da  un  periodo  di  regime di
 salvaguardia)  del  vincolo  (o  di  proroga  per  legge  in   regime
 transitorio),  quale  determinata  dal  legislatore  entro limiti non
 irragionevoli, come indice della  normale  sopportabilita'  del  peso
 gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta
 l'espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi.
   In  altri  termini,  una  volta  oltrepassato  il periodo di durata
 temporanea (periodo di franchigia da  ogni  indennizzo),  il  vincolo
 urbanistico  (avente  le  anzidette  caratteristiche),  se  permane a
 seguito  di  reiterazione,  non  puo'  essere  dissociato,   in   via
 alternativa  all'espropriazione  (o  al  serio  inizio dell'attivita'
 preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani
 attuativi), dalla previsione di un indennizzo.
   Il  potere  della  pubblica   amministrazione   di   programmazione
 urbanistica  e  di  realizzazione dei progetti relativi alle esigenze
 generali  (richiamate  dalla  ordinanza  dell'Adunanza  plenaria  del
 Consiglio di Stato) non si puo' consumare per il semplice fatto della
 scadenza  dei  termini  di  durata  dei  vincoli  urbanistici innanzi
 delimitati,  ove  persistano  o  sopravvengano  situazioni   che   ne
 impongano la realizzazione anche se per differenti finalita', per cui
 deve essere esclusa in radice la denunciata violazione degli artt. 9,
 32 e 97 della Costituzione.
   Tuttavia,  negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi
 indennizzo  si  pone  in  contrasto  con  i  principi  costituzionali
 ricavabili  dall'art.  42,  terzo  comma,  della  Costituzione,  e di
 conseguenza    ne    deve    essere    dichiarata    l'illegittimita'
 costituzionale.  Tale dichiarazione non puo' tradursi in una sentenza
 caducatoria, posto che una simile pronuncia colpirebbe nel  complesso
 i  poteri  di  programmazione del territorio, che devono poter essere
 esercitati nonostante la intervenuta scadenza dei vincoli,  ferma  la
 necessita' di previsione di indennizzo.
   8.   -  Neppure  si  puo'  ottenere  in  questa  sede  un  completo
 adeguamento alla legalita' costituzionale mediante una pronuncia  che
 provveda a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum
 dell'indennizzo nei casi sopra specificati.
   Per la determinazione concreta dell'indennizzo in conseguenza della
 reiterazione  di  vincoli  urbanistici esistono molteplici variabili,
 che non possono essere definite in sede di verifica  di  legittimita'
 costituzionale  con una sentenza additiva, in quanto detto indennizzo
 non e', nella  quasi  totalita'  dei  casi  (in  cio'  sta  la  netta
 differenza  rispetto  alla diversa - anche per natura - indennita' di
 esproprio), rapportabile a perdita di  proprieta'.  Ne'  puo'  essere
 utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato esclusivamente al
 valore  dell'immobile, in quanto il sacrificio subito consiste, nella
 maggior parte dei casi, in una diminuzione di valore di scambio o  di
 utilizzabilita'.    Inoltre l'indennizzo per il protrarsi del vincolo
 e'  un  ristoro  (non  necessariamente  integrale  o  equivalente  al
 sacrificio, ma neppure simbolico) per una serie di pregiudizi, che si
 possono  verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, e
 deve essere commisurato o al mancato uso  normale  del  bene,  ovvero
 alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di
 mercato  (locativo  o  di scambio) rispetto alla situazione giuridica
 antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
   Alla  luce  delle  considerazioni  che   precedono,   deve   essere
 dichiarata la illegittimita' costituzionale non dell'intero complesso
 normativo che consente la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente
 della  mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza
 del vincolo urbanistico (preordinato all'espropriazione o comportante
 l'assoluta inedificabilita') oltre i limiti  di  durata  fissati  dal
 legislatore  (quali  indici di ordinaria sopportabilita' da parte dei
 singoli), ove non  risulti  in  modo  inequivocabile  l'inizio  della
 procedura  espropriativa.  Con la conseguenza che la reiterazione del
 vincolo  deve  comportare  la  previsione  di  indennizzo  nei  sensi
 suindicati,  restando al legislatore ogni possibilita' di intervento,
 anche attraverso procedure semplificate, per la concreta liquidazione
 dell'indennizzo stesso.
   Naturalmente - occorre di nuovo sottolineare  -  non  da  qualsiasi
 reiterazione  di  vincolo  urbanistico  discende  un  pregiudizio  al
 soggetto  titolare  del  bene  e  un  correlativo  obbligo  a  carico
 dell'amministrazione  di corrispondere un indennizzo. Nell'ambito del
 modello  indennitario  si  possono  presentare  una   pluralita'   di
 soluzioni  astrattamente  ipotizzabili, idonee ad assicurare un serio
 ristoro a favore del soggetto che subisce il vincolo, in armonia  con
 i  principi  costituzionali, tra le quali il legislatore puo' operare
 una scelta.
   Il necessario intervento legislativo dovra' precisare le  modalita'
 di  attuazione  del  principio  dell'indennizzabilita'  dei vincoli a
 contenuto espropriativo nei  sensi  sopra  indicati,  delimitando  le
 utilita'   economiche   suscettibili   di  ristoro  patrimoniale  nei
 confronti della pubblica amministrazione, e potra' esercitare  scelte
 tra  misure  risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra
 misure alternative riparatorie anche in forma specifica (v. ordinanza
 n. 165 del 1998), mediante offerta  ed  assegnazione  di  altre  aree
 idonee  alle  esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v.,
 come esempio di misura sostitutiva di indennita', art.  30,  primo  e
 secondo  comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante
 altri sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati
 dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati.
   9. - L'esigenza di un intervento legislativo sulla  quantificazione
 e  sulle  modalita' di liquidazione dell'indennizzo non esclude che -
 anche  in  caso  di  persistente  mancanza  di  specifico  intervento
 legislativo  determinativo di criteri e parametri per la liquidazione
 delle  indennita'  -  il  giudice  competente  sulla   richiesta   di
 indennizzo,  una  volta  accertato  che  i vincoli imposti in materia
 urbanistica abbiano carattere  espropriativo  nei  sensi  suindicati,
 possa  ricavare  dall'ordinamento  le  regole  per la liquidazione di
 obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di  ristoro
 del  pregiudizio  subito  dalla  rinnovazione  o  dal  protrarsi  del
 vincolo.
   10.  -   In   conclusione   restano   al   di   fuori   dell'ambito
 dell'indennizzabilita'   i   vincoli   incidenti   con  carattere  di
 generalita' e in modo obiettivo su intere categorie  di  beni  -  ivi
 compresi  i  vincoli  ambientali-paesistici -, i vincoli derivanti da
 limiti  non   ablatori   posti   normalmente   nella   pianificazione
 urbanistica,  i  vincoli  comunque  estesi  derivanti da destinazioni
 realizzabili anche  attraverso  l'iniziativa  privata  in  regime  di
 economia  di  mercato,  i  vincoli  che non superano sotto il profilo
 quantitativo la normale tollerabilita' e i vincoli non  eccedenti  la
 durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile.
   Pertanto deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale del
 combinato  disposto  degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge
 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo  comma,  della
 legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge
 urbanistica  17  agosto  1942,  n. 1150), nella parte in cui consente
 all'Amministrazione  di  reiterare  i  vincoli  urbanistici  scaduti,
 preordinati  all'espropriazione  o che comportino l'inedificabilita',
 senza la previsione di indennizzo secondo modalita'  legislativamente
 previste ed in conformita' ai principi sopra richiamati.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  del  combinato disposto
 degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto  1942,  n.
 1150  (Legge  urbanistica)  e 2, primo comma, della legge 19 novembre
 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla  legge  urbanistica  17
 agosto    1942,    n.    1150),   nella   parte   in   cui   consente
 all'Amministrazione  di  reiterare  i  vincoli  urbanistici  scaduti,
 preordinati  all'espropriazione  o che comportino l'inedificabilita',
 senza la previsione di indennizzo.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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