N. 298 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 1998

                                N. 298
  Ordinanza  emessa  il  16 dicembre 1998 dal tribunale amministrativo
 regionale per la Sicilia, sezione staccata  di  Catania  sul  ricorso
 proposto  da  Legambiente  -  Comitato  regionale  siciliano ed altri
 contro l'assessorato per l'agricoltura e  le  foreste  della  regione
 Sicilia.
 Caccia  -  Regione  siciliana  - Esercizio della caccia nelle aziende
    agri-turistico-venatorie - Omessa previsione di  limiti  temporali
    all'attivita'  di  abbattimento - Esonero dall'obbligo di rispetto
    dei limiti di  abbattimento  giornalieri  e  stagionali  stabiliti
    dalla    legge   quadro   n.   157/1992   -   Attribuzione   della
    regolamentazione     della      caccia      alle      ripartizioni
    faunistiche-venatorie  competenti  per territorio - Ammissione del
    furetto, quale mezzo per l'esercizio  della  caccia  non  previsto
    nell'elenco  tassativo  di cui alla legge quadro - Inclusione, tra
    le specie cacciabili, della lepre  appenninica  -  Violazione  dei
    principi  di  riforma economico-sociale - Indebita interferenza in
    materia penale.
 (Legge regione siciliana 1 settembre 1997, n. 33, art. 19,  comma  1,
    modificato  dalla  l.r.  31  agosto 1998, n. 15, art. 6, combinato
    disposto; l.r. 1 settembre 1997, n. 33, artt.  18,  comma  1,  22,
    modificato  dalla  l.r. 31 agosto 1998, n. 15, 8, 19, commi 1 e 2,
    modificato dalla l.r. 31 agosto 1998, n. 15, 6, 17, comma  6,  26,
    comma  4,  modificato  dalla  l.r. 31 agosto 1998, n. 15, 11 e 18,
    comma 3).
 (Cost., art. 25, secondo comma; statuto regione siciliana,  art.  14;
    legge  11  febbraio  1992, n. 157, artt. 18, comma 4, 10, 14, 13 e
    30).
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n.  5067/98  r.g.,
 proposto  da: Legambiente - Comitato regionale siciliano, corrente in
 Parlamento, via Genova, 7; W.W.F., Associazione italiana per il World
 Wildlife Fund - Delegazione Sicilia, corrente in Palermo, via  Enrico
 Albanese,  98,  L.A.V.  - Lega antivivisezione, corrente in Roma, via
 Sommacampagna, 29, in persona dei  rispettivi  legali  rappresentanti
 pro-tempore,  rappresentati  e  difesi  dagli avv. Antonella Bonanno,
 Lidia La Rocca e Pierfrancesco La Spina, ed elettivamente domiciliati
 in Catania, via V. Giuffrida, 37, presso l'avv. Edoardo Nigra;
   Contro l'Assessorato per l'agricoltura e le foreste  della  regione
 Sicilia,  in  persona  dell'assessore  pro-tempore,  rappresentato  e
 difeso ex-lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato  di  Catania,
 domiciliataria, per l'annullamento, previa sospensione:
     1)   del   d.a.  15  giugno  1998  dell'Assessore  regionale  per
 l'agricoltura e le foreste (e relativo  allegato  "A"  facente  parte
 integrante  del  decreto  medesimo),  avente  ad  oggetto "Calendario
 Venatorio 1998-99", nonche' del d.a. 7 agosto 1998, recante modifiche
 al predetto calendario, entrambi pubblicati nella Gazzetta  ufficiale
 della regione Sicilia n. 41 del 25 agosto 1998;
     2)  ove  occorra, del d.a. 30 aprile 1998 del medesimo assessore,
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della regione Sicilia n. 37 del 1
 agosto 1998, con il quale  si  sono  stabiliti  l'indice  massimo  di
 densita'  venatoria ed il numero di cacciatori ammissibili in ciascun
 ambito territoriale di caccia per la stagione venatoria 1998-99;
     3)  di  ogni  altro  atto  comunque  connesso,  presupposto   e/o
 conseguenziale ai provvedimenti impugnati;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 intimata;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore la dott. Rosalia Messina;
   Udili in camera di consiglio, il  giorno  14  dicemabre  1998,  gli
 avvocati  Antonella  Bonanno  e  Lidia  La  Rocca per le associazioni
 ricorrenti, e l'avv. Raffaela Barone (Avvocatura dello Stato);
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con il ricorso in epigrafe, le associazioni denominate Legambiente,
 W.W.F. (Associazione italiana per il World Wildlife  Fund)  e  L.A.V.
 (Lega  antivivisezione)  - le prime due individuate come associazioni
 di protezione ambientale, ex art. 13 della legge n. 349/1986,  ed  ai
 fini  e  per  gli  effetti  di  cui  all'art.  18, commi 4 e 5, della
 medesima  legge,  con  decreto  del  Ministero  per l'ambiente del 20
 febbraio 1987 - impugnano il  decreto  dell'assessore  regionale  per
 l'agricoltura e le foreste, piu' specificamente indicato in epigrafe,
 con  il  quale  si  e'  provveduto  a  regolamentare  l'esercizio del
 prelievo venatorio nella regione Sicilia per la stagione 1998-99.
   Le    associazioni    predette    deducono    esclusivamente     la
 incostituzionalita'  di  alcune disposizioni della legge regionale n.
 33/1997  -  gia'  denunciata  con  ordinanza  di  questa  sezione  n.
 312/1997, pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana,
 1 serie speciale, n. 18 del 6 maggio 1998, su ricorso, proposto dalle
 medesime  associazioni  oggi  ricorrenti,  n.  5292/1997 - modificata
 dalla l.r. n. 15/1998, poste a fondamento del decreto impugnato,  per
 contrasto  con  l'art.  14 dello statuto della regione Sicilia, e con
 gli artt. 10 e 11 della Costituzione, disposizioni sulla  base  delle
 quali e' stato emanato il provvedimento assessoriale impugnato.
   L'Assessorato  regionale  intimato  si e' costituito in resistenza,
 sollevando numerose eccezioni  di  inammissibilita'  del  gravame,  e
 contestandone  altresi'  la  fondatezza;  pertanto,  ne  chiedeva  la
 dichiarazione di inammissibilita' o la reiezione.
   Con ordinanza n. 3141/1998, disattese  le  predette  eccezioni,  e'
 stata  accolta  provvisoriamente  e  temporaneamente  la  domanda  di
 sospensione  dell'esecuzione  del  provvedimento  impugnato  con   il
 ricorso  in  epigrafe,  ed e' stata rinviata l'ulteriore e definitiva
 trattazione della questione cautelare alla prirna camera di consiglio
 utile dopo la restituzione degli atti del  giudizto  da  parte  della
 Corte  costituzionale,  a  seguito della decisione della questione di
 costituzionalita' sollevata.
                             D i r i t t o
   1. - Come gia' esposto in narrativa, con il ricorso in epigrafe  le
 associazioni  denominate  Legambiente,  W.W.F. (Associazione italiana
 per il World Wildlife Fund) e  L.A.V.  (Lega  antivivisezione)  -  le
 prime  due individuate come associazioni di protezione ambientale, ex
 art. 13, della legge n. 349/1986, ed ai fini e per gli effetti di cui
 all'art. 18, commi 4 e 5,  della  medesima  legge,  con  decreto  del
 Ministero  per l'ambiente del 20 febbraio 1987 - impugnano il decreto
 dell'Assessore  regionale  per  l'agricoltura  e  le  foreste,   piu'
 specificamente  indicato in epigrafe, con il quale si e' provveduto a
 regolamentare  l'esercizio  del  prelievo  venatorio  nella   regione
 Sicilia  per la stagione 1998-99.  Il gravame si fonda esclusivamente
 sulla asserita incostituzionalita' di alcune disposizioni della legge
 regionale n. 33/1997, modificata  dalla  l.r.  n.  15/1998,  poste  a
 fondamento  del  decreto impugnato, per contrasto con l'art. 14 dello
 statuto della regione  Sicilia,  e  con  gli  artt.  10  e  11  della
 Costituzione, disposizioni sulla base delle quali e' stato emanato il
 provvedimento  assessoriale  impugnato.    Le associazioni ricorrenti
 premettono   innanzitutto   che   le   questioni   di    legittimita'
 costituzionale    da   esse   sollevate   presentano,   come   comune
 denominatore, la violazione, da parte del legislatore  regionale,  di
 norme  interposte,  vale a dire di quelle disposizioni della legge n.
 157/1992 alla quale la regione siciliana avrebbe  dovuto  uniformarsi
 in  forza dei limiti alla potesta' esclusiva che possiede in materia,
 derivanti sia dalle norme fondamentali di  riforma  economico-sociale
 contenute  nella  legge  quadro,  sia  dagli  obblighi internazionali
 assunti dallo Stato italiano con  la  medesima  legge  quadro.  Detti
 limiti  sono  posti  dall'art.  14  dello statuto regionale siciliano
 (approvato con r.d. lgs. n. 455/1946) e dagli artt.  10  e  11  della
 Costituzione.    In  particolare,  le  violazioni  delle disposizioni
 appena ricordate, e, con riferimento ad alcune delle norme  regionali
 censurate,  dell'art.   25 della Costituzione, sono cosi' individuate
 in ricorso:
     1) illegittimita' costituzionale dell'art. 19/1, l.r. n. 33/1997,
 come modificato dall'art. 6, l.r. n. 15/1998, in  combinato  disposto
 con l'art. 18/1, l.r. n. 33/1997 ed in relazione all'art. 18/4, legge
 n. 157/1992.  Si lamenta la violazione di norme statali disciplinanti
 il  procedimento di adozione del calendario venatorio, in particolare
 si censura la parziale mancata acquisizione, da parte  dell'autorita'
 emanante  il  calendario  venatorio impugnato, del parere dell'organo
 tecnico-scientifico a carattere nazionale di  cui  all'art.  7  della
 legge  quadro  (I.n.f.s., Istituto nazionale per la fauna selvatica);
 detto organo sarebbe stato  consultato  soltanto  con  riferimento  a
 specifici  aspetti  del  provvedimento  (anticipazione al 2 settembre
 1998 del prelievo venatorio su talune specie animali), e  non  invece
 sul  contenuto complessivo del provvedimento stesso. Cio' e' avvenuto
 perche'  la  normativa  regionale  in  epigrafe  ha   arbitrariamente
 ristretto  l'obbligatorieta'  del  parere  di  cui trattasi alla sola
 ipotesi di modificazione dei termini di  apertura  e  chiusura  della
 caccia,  limitandosi  per  il resto ad acquisire il parere di diverso
 organo tecnico, a rilevanza meramente regionale  (Comitato  regionale
 faunistico  venatorio),  in violazione dell'art.  18/4 della legge n.
 157/1992;
     2) illegittimita' costituzionale dell'art. 22, l.r.  n.  33/1997,
 come  modificato,  dall'art.  8,  l.r.  n. 15/1998, in relazione agli
 artt. 10 e 14, della legge n. 157/1997.   Si  censura  la  disciplina
 regionale,  dettata  con  le  disposizioni  in epigrafe, degli ambiti
 territoriali di caccia, in quanto detta disciplina viola e vanifica i
 principi  ispiratori  della  corrispondente  normativa  della   legge
 quadro,  che  e' volta a regolamentare e limitare gli spostamenti dei
 cacciatori sul territorio, ancorandone l'attivita' al  territorio  di
 residenza  e  fissando  criteri  per la circolazione dei medesimi; in
 particolare, la regione, secondo  la  normativa  nazionale,  dovrebbe
 innanzitutto  preventivamente  pianificare  l'attivita' venatoria sul
 territorio      regionale,      adottando      l'apposito       piano
 faunistico-venatorio,  con  il  quale dovrebbero individuarsi le aree
 agro-silvo-pastorali destinate alla protezione della fauna  selvatica
 ed  alla  gestione  privata  della  caccia; in via residuale, poi, si
 determinerebbero gli ambiti territoriali di caccia, in cui la regione
 puo' promuovere forme  di  gestione  programmata  della  caccia,  che
 dovrebbero  inoltre  rispondere  ai  seguenti  criteri: a) dimensione
 sub-provinciale, omogeneita' e delimitazione rispettosa  dei  confini
 naturali;  b)  diritto  di  accesso  del cacciatore ad un solo ambito
 territoriale  di  caccia,  compreso  nella  regione   di   residenza;
 possibilita' di accesso ad altri ambiti territoriali - della stessa o
 di  diversa  regione  - subordinata a preventivo assenso degli organi
 competenti; c) previa fissazione dell'indice  di  densita'  venatoria
 minima  per  ogni  ambito territoriale di caccia; d) divieto, per gli
 organi direttivi dell'ambito territoriale di  caccia,  di  consentire
 l'accesso  di  cacciatori  in  numero  superiore a quello fissato con
 regolamento se non previo accertamento,  anche  mediante  censimenti,
 delle  modificazioni  in  aumento  della  popolazione  faunistica; e)
 definizione  con  legge  regionale  del  numero  dei  cacciatori  non
 residenti   ammissibili   nei   territori   compresi   negli   ambiti
 territoriali  di  caccia.     Orbene,  sostengono   le   associazioni
 ricorrenti,  in  Sicilia il modello fissato nella legge nazionale non
 e' stato seguito, sia sotto il profilo della concreta  individuazione
 degli   ambiti   territoriali  di  caccia,  sia  sotto  quello  della
 regolamentazione del diritto di accesso.   In particolare,  precisano
 le  associazioni  ricorrenti,  il  legislatore  regionale - omessa la
 preventiva pianificazione - ha, in violazione dei criteri su indicati
 sub-a), identificato, sic et simpliciter, gli ambiti territoriali  di
 caccia  con le province, ovvero con il territorio delle medesime.  La
 violazione,  poi,  dei  criteri  indicati  sub  b),  il   legislatore
 regionale (art. 22/5, l.r. n. 33/1997) ha consentito al cacciatore il
 diritto  di  accesso  non  soltanto all'ambito territoriale di caccia
 ricadente nella provincia di residenza, ma  anche  in  due  ulteriori
 ambiti   territoriali   secondo   il   criterio   cronologico   della
 presentazione delle domande, allorche' negli ambiti prescelti non  si
 sia  raggiunta  la  densita'  massima  di  cacciatori ammissibili, ed
 infine,  a  partire  dalla  prima  domenica  di  novembre  e  per  la
 selvaggina   migratoria,   oltre  che  nei  tre  ambiti  territoriali
 suddetti, in tutti gli altri ambiti territoriali della regione, viene
 altresi' consentito  (comma  6  del  citato  art.  22)  l'accesso  ai
 cacciatori  provenienti  da  altre regioni. Il comma 7 della ripetuta
 disposizione accorpa le isole minori siciliane ai  rispettivi  ambiti
 territoriali  della  provincia  cui  appartengono.    Ad avviso delle
 associazioni ricorrenti, tale  disciplina  -  di  cui  il  calendario
 venatorio  impugnato  costituisce  applicazione  -  viola  i principi
 restrittivi imposti dall'art. 14  della  legge-quadro,  che  consente
 l'accesso  ad  un  solo  fra  gli  ambiti  territoriali  a dimensione
 sub-provinciale, e subordina l'accesso ai  cacciatori  non  residenti
 nella  regione  al  consenso  degli  organi  di  gestione dell'ambito
 territoriale di caccia.
     3)  illegittimita'  costituzionale  -  sotto  altro   profilo   -
 dell'art.    19/1, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r.
 n. 15/1998 in relazione alla normativa  nazionale  e  comunitaria  in
 materia  di  specie cacciabili.  Le associazioni ricorrenti lamentano
 l'inclusione  fra  le  specie  cacciabili  della  lepre  comune,  del
 cinghiale,  della  coturnice  siciliana  e del fagiano, censurando la
 scelta in proposito operata  dal  legislatore  regionale  con  l'art.
 19/1,  legge  n.  33  piu' volte citato - in applicazione della quale
 disposizione il calendario impugnato, all'art. 1, individua anche  le
 specie  su  elencate  fra  quelle  oggetto  di  caccia.    Osservano,
 specificamente, le ricorrenti:
     a) che  la  coturnice  risulta  inserita  nell'allegato  l  della
 direttiva  CEE  n. 79/409 e successive modificazioni ed integrazioni,
 come specie meritevole di particolare protezione, cosicche', ai sensi
 dell'art.   7, n. 4, della medesima  direttiva,  la  caccia  di  tale
 specie  deve rispettare il principio della saggia utilizzazione delle
 specie, e deve essere compatibile con il contingente  numerico  delle
 stesse, come pure prescrive l'art. 7/3 Convenzione di Berna (recepita
 in  Italia  con  legge n. 503/1981); precisandosi, inoltre, che - pur
 non sussistendo un generale divieto di caccia rispetto alle specie di
 cui all'allegato  l  sopra  richiamato  -  tuttavia  l'art.  4  della
 medesima  direttiva sancisce l'obbligo di adottare misure speciali di
 conservazione per quanto riguarda l'habitat, al fine di garantire  la
 sopravvivenza  e  la  riproduzione di dette specie nella loro area di
 distribuzione; che;  pertanto,  la  incondizionata  inclusione  della
 coturnice fra le specie cacciabili, non essendo stata adottata alcuna
 misura di tutela, si pone in contrasto con la richiamata normativa di
 protezione  ed  altresi'  con  l'art.  2,  lettera b), Convenzione di
 Parigi, recepita in Italia con legge n. 812/1978, che  stabilisce  il
 divieto  di  caccia,  per  tutto  l'anno,  delle specie minacciate di
 estinzione oppure che presentino interesse scientifico;
     b) che il fagiano ed il cinghiale, non rientrando fra  le  specie
 appartenenti alla fauna regionale, non sono assoggettabili a prelievo
 venatorio ai sengi dell'art. 2, commi 1 e 5, l.r. n. 33 cit., sicche'
 non  e'  consentito  prevederne  la  cacciabilita'  senza al contempo
 disciplinare l'immissione di dette specie nel  territorio  regionale,
 ai  sensi dell'art.  11 direttiva CEE sopra citata, che prevede anche
 la consultazione preventiva della Commissione CEE  per  l'inserimento
 di  specie  alloctone  fra quelle cacciabili, dell'art. 11/2, lettera
 b), Convenzione di Berna, e dell'art. 22/1, lettera b), direttiva CEE
 n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992,  che  impone,  per  la
 detta  immissione  di specie alloctone, la salvaguardia della flora e
 della fauna esistenti,  e  la  previa  predisposizione  di  studi  da
 comunicarsi  al comitato istituito dalla medesima direttiva da ultimo
 cit., che risulta violato anche l'art. 10/7 della legge  n.  157/1992
 cit.,  che  subordina  l'immissione  di  specie alloctone a verifiche
 dell'I.N.F.S. ed al parere delle organizzazioni agricole;
    c)  che  in  Sicilia  esistono  soltanto  popolazioni   di   lepre
 appenninica,  specie  non inclusa fra quelle cacciabili dall'art. 18,
 legge n. 157/1992 cit., in quanto  implicitamente  riconosciuta  come
 specie  meritevole  di  protezione,  e  non anche di lepre comune, di
 talche' l'inserzione di detta ultima specie tra quelle cacciabili  si
 risolve  nel  consentire surrettiziamente l'abbattimento della specie
 protetta (lepre appenninica), con riflessi anche in  materia  penale,
 non  risultando nemmeno sanzionato - trattandosi di specie cacciabile
 - l'abbattimento della lepre comune.
     4) illegittimita' costituzionale dell'art. 17/6 e dell'art.  26/4
 (come  modificato dall'art. 11, l.r. n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, in
 relazione agli artt. 12, 16, 18  e  30  della  legge  n.  157/1992  -
 Interferenza in materia penale.
   Le  disposizioni regionali in epigrafe sono censurate per la omessa
 previsione di limiti temporali all'attivita'  di  abbattimento  nelle
 aziende  agro-venatorie  e per l'esonero, nei confronti di coloro che
 esercitano la caccia in dette aziende, dell'obbligo di  rispettare  i
 limiti  di  abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente
 valgono per il prelievo venatorio, in violazione  delle  norme  della
 legge  quadro, pure indicate in epigrafe, che chiaramente considerano
 l'attivita' venatoria svolta nelle aziende agro-venatorie alla stessa
 stregua dell'attivita' venatoria svolta  in  qualunque  altro  luogo,
 anche  ed  in  primo  luogo  sotto  il  profilo  dei limiti temporali
 stabiliti in generale per la caccia dall'art. 18 della legge  quadro;
 le   associazioni   ricorrenti   lamentano   inoltre   l'indebita  ed
 inammissibile interferenza in materia  penale  cosi'  ascrivibile  al
 legislatore  regionale, il quale non ha tenuto conto del fatto che il
 generale divieto di cacciare al di fuori dei  periodi  fissati  dalla
 legge  e'  penalmente  sanzionato,  e  ravvisano  pertanto  anche  la
 violazione (diretta) dell'art. 25/2 della Costituzione,  che  riserva
 alla  legge  statale  la  materia  penale;  infine,  le  associazioni
 ricorrenti  sottolineano  la  sussistenza  di  identici  profili   di
 contrasto fra norme regionali e norme statali (in particolare, con il
 combinato  disposto  degli  artt.  16  e 18/4 della legge quadro, che
 assoggetta  l'esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie  al
 limite  del  numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata
 di attivita' venatoria) sotto il profilo  della  indebita  delega  in
 bianco  attribuita  dall'art.  26/4,  della  l.r.  n.    33/1997 alle
 ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, le quali
 dovrebbero dettare in materia prescrizioni non meglio  precisate  per
 regolamentare  le  modalita'  di esercizio della caccia nelle aziende
 agro-venatorie e per fissare i limiti di abbattimento per ogni specie
 (precisando che cio' e' tanto piu' grave in  quanto  non  sono  stati
 previsti criteri omogenei ed uniformi valevoli in tutto il territorio
 regionale).
     5)  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  18/3 della l.r. n.
 33/1997 in relazione  agli  artt.  13  e  30,  legge  n.  157/1992  -
 Interferenza in materia penale.
   Si  censura  la disposizione regionale in epigrafe per il fatto che
 essa consente la caccia con  il  furetto,  che  non  risulta  incluso
 nell'elenco  tassativo  di  cui  all'art.  13, legge n. 157/1992 (che
 esprime un generale divieto per tutte le armi e  tutti  i  mezzi  per
 l'esercizio   venatorio  non  esplicitamente  ammessi  "dal  presente
 articolo");  pertanto,  secondo  le  associazioni   ricorrenti,   non
 soltanto  si  viola l'art. 14 dello statuto, ma si realizza anche una
 indebita interferenza in materia  penale,  consentendo  una  condotta
 sanzionata penalmente dalla legge statale (art. 30, lettera h), della
 legge n. 157/1992).
   2. - Cosi' esposte, in sintesi, le doglianze poste a fondamento del
 gravame,   il  collegio  deve  esaminare  le  predette  questioni  di
 costituzionalita' per vagliarne  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
 infondatezza,  ai  sensi  e  per gli effetti dell'art. 1, della legge
 costituzionale n. 1/1948, e dell'art. 23/2, della legge n. 87/1953.
   3. - Quanto alla rilevanza delle questioni  in  esame,  osserva  il
 collegio  che  il ricorso in epigrafe e' esclusivamente affidato alla
 dedotta incostituzionalita' di  alcune  disposizioni  della  l.r.  n.
 337/1997 (v. supra, le cinque censure sintetizzate sub 1).
   Orbene,   vale   la   pena   di   sottolineare  che,  per  costante
 giurisprudenza, la dedotta  incostituzionalita'  di  una  norma  puo'
 costituire   l'unico  motivo  sul  quale  puo'  validamente  fondarsi
 l'impugnazione  di  un  atto  amministrativo  e   la   richiesta   di
 un'eventuale   pronuncia   cautelare   (cfr.:  Corte  costituzionale,
 sentenze  numeri  444/1990  e  367/1991;  v.  anche  l'ordinanza   n.
 1552/1997 e l'ordinanza n. 3121/1997, di questa sezione del tribunale
 amministrativo  regionale  di  Catania,  nonche' l'ordinanza - con la
 quale il  collegio  ha  provvisoriamente  e  temporaneamente  sospeso
 l'efficacia  del  decreto assessoriale impugnato - n. 3141/1998).  In
 particolare, con la seconda delle  appena  richiamate  decisioni,  la
 Corte   costituzionale  ha  esaminato  il  caso  in  cui  il  giudice
 contemporaneamente all'ordinanza di rimessione,  aveva  disposto  con
 separato  provvedimento  la  sospensione degli atti impugnati, in via
 provvisoria e temporanea, fino alla ripresa  del  giudizio  cautelare
 dopo  l'incidente  di costituzionalita'.   La Corte ha nell'occasione
 affermato che permaneva il  requisito  della  rilevanza,  poiche'  la
 pronuncia,  per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non
 aveva determinato l'esaurimento del potere cautelare  del  giudice  a
 quo.  Inoltre,  nella  medesima  sentenza,  e' stato affermato che la
 sussistenza del requisito della  rilevanza  va  valutata  allo  stato
 degli  atti  al momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione,
 restando quindi ininfluenti gli eventuali provvedimenti  adottandi  o
 adottati successivamente.  Deve anche precisarsi che, nel caso che ci
 occupa,  in  verita',  si  assume  la  violazione  non (o meglio, non
 sempre) in via diretta di norme costituzionali (solo  alcuni  profili
 sono  ricostruiti  in  termini di violazione di questa o quella norma
 costituzionale), ma di norme di legge ordinaria statale al  contenuto
 delle  quali  la  regione  Sicilia avrebbe dovuto uniformarsi a mente
 della stessa Costituzione.   Tuttavia,  anche  in  questo  caso  puo'
 validamente  sollevarsi la questione di costituzionalita', versandosi
 nella tipica fattispecie di "violazione di norma  interposta"  (cfr.:
 ordinanza  n.  3121/1997  di  questa sezione).   Ed invero, la stessa
 Corte costituzionale ha affermato  che  il  contrasto  di  una  legge
 regionale con una norma dello statuto della regione stessa si risolve
 in  una  violazione "indiretta" della Costituzione (cfr.: sentenza n.
 993/1988, con la quale e' stata riconosciuta la denunciata violazione
 dell'art. 123  della  Costituzione  attraverso  la  norma  interposta
 dell'art.  55,  dello  statuto regionale del Veneto).  La risoluzione
 delle questioni in esame,  pertanto,  si  pone  assolutament    e  ed
 incontrovertibilmente,   a  norma  dell'art.  23/2,  della  legge  n.
 87/1953, quale necessaria  pregiudiziale  per  la  definizione  della
 controversia  portata alla cognizione del collegio, dato che, come si
 e' detto, soltanto la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale
 delle  disposizioni di legge denunciate (al limite, anche di una sola
 di esse) consentira' al collegio di  pronunciarsi  definitivamente  e
 positivamente   sulla  predetta  domanda  cautelare  (temporaneamente
 accolta, come piu' volte s'e' accennato, sino alla  prima  camera  di
 consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte
 della  Corte  costituzionale a seguito della decisione in ordine alle
 sollevate questioni di costituzionalita') e sul merito del ricorso.
   4. - Il collegio deve, pertanto, esaminare se le predette questioni
 siano o meno "non manifestamente infondate".
   Una premessa appare necessaria.
   In materia ambientale si intersecano e si sovrapongono disposizioni
 contenute in fonti di vario livello e di varia natura. Un rapido - ed
 inevitabilmente incompleto - excursus  delle  fonti  principali  puo'
 orientare  nella  ricerca  dei  principi  fondamentali  ai quali fare
 riferimento nell'interpretazione della disciplina oggi sospettata  di
 incostituzionalita'.
   L'ambiente  e'  stato collocato tra i valori giuridici fondamentali
 della Comunita' europea dall'Atto  unico  europeo  -  ratificato  con
 legge  n.  909/1986  ed  entrato  in vigore il 1 luglio 1987 - che ha
 inserito nella parte  del  Trattato  CEE  un  titolo  VII  intitolato
 all'"Ambiente"  (art. 25 della citata legge di ratifica). Al Trattato
 sono pertanto state aggiunte - per quel che qui rileva - le  seguenti
 disposizioni:  l'art. 130 R, che, fra l'altro: a) assegna all'"azione
 della Comunita' in materia ambientale" l'obiettivo di "salvaguardare,
 proteggere  e  migliorare  la  qualita'  dell'ambiente",  nonche'  di
 "garantire   un'utilizzazione   accorta  e  razionale  delle  risorse
 naturali" (par.  1);  b)  individua,  come  principi  ai  quali  deve
 ispirarsi  l'azione  della  Comunita'  in  materia ambientale, quello
 dell'"azione preventiva" e della "correzione, anzitutto  alla  fonte,
 dei danni causati all'ambiente" (par. 2); c) precisa che "le esigenze
 connesse   con   la   salvaguardia  dell'ambiente  costituiscono  una
 componente delle altre politiche della Comunita'" (par. 2, in  fine).
 Di  qualche  interesse  anche l'art. 100 A, pure introdotto con il su
 citato Atto unico (art. 18 legge di ratifica pure su citata), che  al
 par.  3  stabilisce  che  la commissione, nelle proposte sottoposte a
 deliberazione del Consiglio, si basa, in  alcune  materie  -  tra  le
 quali  "la  protezione  dell'ambiente",  su un "livello di protezione
 elevato".  Di rilievo, nella specifica materia della fauna  selvatica
 e  della  protezione  di  essa,  la convenzione internazionale per la
 protezione degli uccelli, adottata a Parigi il 18 ottobre 1950 (legge
 di adesione n. 812/1978), la convenzione per la  conservazione  della
 vita  selvatica  e dell'ambiente naturale in Europa, adottata a Berna
 il 19 settembre 1979  (ratificata  con  la  legge  n.  503/1981),  la
 convenzione  sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti
 alla fauna selvatica, adottata a Bonn il 23 giugno  1979  (ratificata
 con  la  legge  n.  42/1983);  Le  predette prime due convenzioni, di
 Parigi e di Berna, sono richiamate dalla legge quadro,  che  dichiara
 di  darvi  attuazione (art. 1/4), cosi' come avviene per le direttive
 n. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979,  n.  85/411/CEE  della
 commissione  del 25 luglio 1985 e n. 91/244/CEE della commissione del
 6 marzo 1991, concernenti la conservazione  degli  uccelli  selvatici
 (medesimo  articolo  da  ultimo  citato).    Quanto alla nostra Carta
 costituzionale, essa, all'art. 2, riconosce e  garantisce  i  diritti
 inviolabili  dell'uomo (trattasi di norma di carattere immediatamente
 precettivo, non subordinata alla emanazione di  una  legislazione  di
 attuazione,  di tal che l'eventuale assenza di detta legislazione non
 autorizza il giudice ad ignorare situazioni  soggettive  direttamente
 garantite  dalla Costituzione: cfr. T.a.r.  Lazio, III, n. 433/1992),
 tra  i  quali  va  annoverato  il  diritto  all'ambiente;   si   deve
 all'elaborazione   giurisprudenziale,  in  primo  luogo  della  Corte
 costituzionale, la ricostruzione in termini unitari del bene ambiente
 (art. 9 della Costituzione), e la qualificazione di  esso  come  bene
 giuridico  primario ed essenziale (sentenze numeri 121, 122 e 123 del
 1986, sentenze numeri 217 e 641 del 1987, ordinanza n. 186/1996).   A
 livello  di  legislazione ordinaria, una prima attuazione del diritto
 all'ambiente globalmente inteso  e'  stata  portata  dalla  legge  n.
 349/1986,  istitutiva  del  Ministero  dell'ambiente;  di particolare
 rilievo, gli artt. 13 e  18,.  sulle  associazioni  ambientaliste,  e
 l'art. 14/3, che riconosce a "qualsiasi cittadino", ancor prima della
 legge  sul  procedimento,  che  ha  dettato  la  disciplina  generale
 dell'accesso ai documenti amministrativi il "diritto di accesso  alle
 informazione  sullo  stato  dell'ambiente  disponibili...  presso gli
 uffici  della  p.a.".    In  materia  di  caccia,  la  piu'   recente
 regolamentazione  e'  costituita dalla piu' volte richiamata legge n.
 157/1992 (intitolata "norme per la protezione della  fauna  selvatica
 omeoterma  e per il prelievo venatorio"), che detta principi generali
 ed  e'  ispirata  ad  una  chiara  ratio  di  tutela  del  patrimonio
 faunistico  (v.  infra, piu' oltre in questo stesso paragrafo); detta
 legge ha abrogato la precedente legge quadro n. 968/1977.  E' utile a
 questo  punto  ricordare  che  la  regione  Sicilia ha, in materia di
 caccia e pesca, la potesta' legislativa esclusiva o primaria,  e  che
 detta  potesta'  deve  esercitare  nei  limiti derivanti dai principi
 dell'ordinamento giuridico statale, dalla riserva  di  legge  statale
 (in  campo  penale, processuale e nella regolamentazione dei rapporti
 interprivati), il rispetto delle c.d. grandi riforme  introdotte  con
 leggi  statali,  nonche'  il  rispetto degli obblighi internazionali.
 Per quanto in particolare riguarda le grandi riforme, che qui vengono
 specificamente  in  rilievo,  la  Corte  costituzionale   ha   spesso
 individuato  fonti statali alle quali attribuire siffatta natura (per
 alcuni esempi, cfr. le  sentenze  nn.  12/1980,  21971984,  151/1986,
 296/1986),  e,  come  si e' poc'anzi avuto modo di ricordare, cio' e'
 avvenuto anche con riferimento ad alcune disposizioni della legge  n.
 157/1992  (v.  sent.    n. 323/1998; v., in relazione alla precedente
 legge-quadro  n.  968/1977,  la  sent.  della   medesima   Corte   n.
 1002/1988).
   Il  collegio ritiene di confermare, in materia, l'orientamento gia'
 espresso nell'ordinanza n. 312/1997 - con la quale e' stata sollevata
 la questione di legittimita' costituzionale del calendario  venatorio
 dell'anno  precedente  -  e di ritenere quindi i principi posti dalla
 predetta fonte statale, da considerare alla stregua di grande riforma
 economico-sociale,  vincolanti  anche  per  le  regioni   a   statuto
 speciale.      Militano   in   tal   senso  l'esplicita  affermazione
 dell'appartenenza della fauna  selvatica  al  patrimonio  disponibile
 dello  Stato  (art.    1/1),  l'affievolimento del diritto di caccia,
 subordinato  all'interesse   prevalente   della   conservazione   del
 patrimonio  faunistico e della protezione dell'ambiente agrario (art.
 1/2),  e  pertanto  sottoposto  a  regime  concessorio   (art.   12);
 l'imposizione  di  un  regime  di  caccia  controllata  per  tutto il
 territorio nazionale (v. ord. da ultimo cit.; cfr.,  con  riferimento
 alla  precedente  legge-quadro  n.  968/1977, C.S., VI, n. 1070/1992,
 che, sulla base di enunciazioni simili a quelle contenute nella legge
 piu' recente, e che sono  state  appena  indicate,  ha  affermato  la
 capacita' di detta fonte statale di condizionare, attraverso le norme
 fondamentali  che  in  essa  e'  dato  identificare,  la legislazione
 esclusiva delle regioni e delle province a speciale autonomia).  Alla
 luce di  questa  premessa  generale,  occorre  adesso  verificare  in
 concreto  se le singole disposizioni della legge-quadro sospettate di
 incostituzionalita'  dalle  associazioni   ricorrenti   costituiscano
 principi  che  il  legislatore  regionale era tenuto ad osservare, se
 esse  abbiano  cioe'  detta  forza  vincolante,  o  se  invece   esse
 costituiscano  "disposizioni  di  dettaglio  che  la  medesima  legge
 nazionale pone esclusivamente per le regioni  a  statuto  ordinario",
 come vien detto nella memoria difensiva dell'Avvocatura dello Stato.
   Un  chiarimento  sembra  in  proposito necessario.   La stessa tesi
 adombrata dalla  difesa  erariale  e'  gia'  stata  espressa  in  una
 sentenza  del  t.a.r.  Palermo,  I, n. 602/1995, che sottolinea nelle
 premesse "la particolare rilevanza"  dell'art.  36,  u.c.,  legge  n.
 157/1992,  secondo  cui  le regioni a statuto speciale, entro un anno
 dalla data di entrata in vigore  della  stessa  legge,  "adeguano  la
 propria  legislazione  ai  principi  ed  alle  norme  stabiliti dalla
 presente  legge  nei  limiti  della  Costituzione  e  dei  rispettivi
 statuti", e introduce, in una sorta di obiter dictum, una distinzione
 fra  i  principi  fondamentali  dell'ordinamento  introdotti  con  la
 predetta  legge e norme di dettaglio.  Ad avviso del collegio, pero',
 il tenore dell'art. 36, u.c., appena ricordato, non  sembra  lasciare
 grande  spazio  a  simili  distinzioni,  posto  che  essa  impone  un
 adeguamento non soltanto ai "principi",  ma  altresi'  alle  "norme",
 adoperando  esattamente  la  stessa  terminologia adoperata nel comma
 precedente con riguardo alle regioni a statuto ordinario; sicche', se
 un esclusivo riferimento ai primi sarebbe  stato  da  intendere  come
 principi fondamentali dell'ordinamento, o, se si preferisce, principi
 di grande riforma economico-sociale, l'uso del termine congiuntamente
 all'altro  (norme),  suggerisce  una  esegesi  diversa,  che  assegna
 all'espressione   complessivamente   intesa   un   significato   piu'
 pregnante,  di  adeguamento  sia  alla ratio sostanziale, ai principi
 ispiratori, sia alle prescrizioni letterali. In altre  parole,  norme
 di  dettaglio potranno essere ritenute soltanto quelle che riguardano
 aspetti veramente marginali della disciplina  considerata,  non  gia'
 norme  che  caratterizzano  fortemente  l'impianto della stessa (tali
 considerazioni  saranno  richiamate  nel  corso  della  disamina   di
 specifiche  questioni  rispetto  alle  quali  la  natura  di  singole
 disposizioni della legge-quadro assume rilevanza).
   L'interpretazione  qui   prospettata   trova   ulteriore   conforto
 nell'art.   14/17 della legge n. 157/1992, che recita:  "Le regioni a
 statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, in  base
 alle  loro  competenze esclusive, nei limiti stabiliti dai rispettivi
 statuti ed ai sensi dell'art.  9,  della  legge  n.  86/1989,  e  nel
 rispetto   dei   principi   della  presente  legge,  provvedono  alla
 pianificazione faunistico-venatoria, alla  suddivisione  territorale,
 alla   determinazione   della   densita'   venatoria,   nonche'  alla
 regolamentazione  per  l'esercizio  di  caccia  nel   territorio   di
 competenza",  cioe'  a  quella  regolamentazione  minuta  di  aspetti
 concreti in cui le "norme di dettaglio", se cosi' si vuol  chiamarle,
 hanno  piu' spazio, ed in cui le particolarita' locali hanno maggiore
 possibilita'  di  trovare  adeguata  considerazione,  senza  tuttavia
 contrastare con i principi di fondo.
   4.1.  -  La  prima  censura  di  incostituzionalita'  dedotta dalle
 associazioni ricorrenti investe le disposizioni della legge regionale
 che  disciplinano  il  procedimento  di  formazione  del   calendario
 venatorio,  ed  in  particolare  la  mancata  acquisizione del parere
 dell'organo  tecnico-scientifico  a  carattere  nazionale  (I.n.f.s.)
 individuato  dall'art.  7/3 della piu' volte citata legge-quadro come
 consulente istituzionale dello Stato,  delle  regioni  (tutte,  senza
 limitazioni alle sole regioni a statuto ordinario), e delle province,
 e   che   l'art.   18/4  impone  alle  regioni  sentire  prima  della
 pubblicazione del calendario venatorio.  Orbene, il collegio  ritiene
 che le disposizioni della legge-quadro sul procedimento di formazione
 del  calendario  venatorio  pongono  limiti  ai  quali il legislatore
 ordinario deve adeguarsi. Se cosi' non fosse, il raggiungimento delle
 finalita' protettive della  legge-quadro,  cui  sopra  si  accennava,
 sarebbero vanificate, potendo la predisposizione normativa di un iter
 procedimentale  inteso  alla  salvaguardia  delle  specie faunistiche
 essere modificata dal legislatore regionale proprio  con  riferimento
 alle  previsioini  che  in  modo  piu'  spiccato  sono  state poste a
 garanzia del raggiungimento della finalita'  di  tutela  che  informa
 l'intera   disciplina   statale  in  esame.     E'  evidente  che  la
 partecipazione al procedimento dell'I.n.f.s.  - avuto anche  riguardo
 ai  compiti  generali  che  a detto organo sono affidati (art. 7), ed
 alla previsione (art.  7/2)  che  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, d'intesa con le regioni, provvede all'istituzione di unita'
 operative   decentrate   -  ha  una  funzione  di  supporto,  ausilio
 orientamento ed  anche  controllo  dell'attivita'  amministrativa  in
 materia,  funzione non a caso affidata ad un organo caratterizzato da
 alta specializzazione tecnica.   Del resto, cio'  non  puo'  stupire,
 essendo   quella   in   esame   una   materia  caratterizzatasi,  fin
 dall'istituzione del Ministero per l'ambiente,  e  dunque  fin  dalla
 emanazione  della  citata  legge  n.  349/1986,  per  l'ampio  spazio
 riconosciuto a formazioni (addirittura non inserite nella p.a., ma ad
 essa  esterne,  e  da  essa,  per  usare  il  linguaggio   normativo,
 "individuate"  -  v.  infra  -  con d.m.) che perseguono finalita' di
 tutela ambientale. Cio' ha consentito  l'affidamento  di  compiti  di
 garanzia   di  grande  rilievo  a  soggetti,  quali  le  associazioni
 ambientaliste, certamente estranei alla p.a., il cui ruolo  e'  stato
 istituzionalizzato   attraverso   il  detto  strumentale  della  c.d.
 individuazione con decreto ministeriale  (art.  13,  della  legge  n.
 349/1986;  art.  18,  commi 4 e 5, della medesima legge), che finisce
 per farne enti  ausiliari,  la  cui  partecipazione  ai  procedimenti
 amministrativi  che interferiscono con la materia ambientale risponde
 all'esigenza di superare le sacche  di  inerzia  ed  i  comportamenti
 omissivi  della p.a. in relazione ad un bene ritenuto dal legislatore
 fondamentale.   Alla stessa ratio  sostanziale,  pur  trattandosi  in
 questo  caso  di  un  soggetto  di natura pubblicistica, si ispira la
 sopra sintetizzata disciplina  delle  attribuzioni  dell'I.n.f.s.,  i
 pareri  del  quale  hanno  lo scopo di fornire alla p.a. attributaria
 delle funzioni  amministrative  in  materia  le  speciali  conoscenze
 tecniche   necessarie  ad  operare  scelte  conformi  alle  finalita'
 protettive cui si ispira tutta la produzione normativa statale e  non
 statale riferita all'ambiente.
   In  proposito, si sottolinea che non a caso il collegio richiama la
 nozione di funzione - cosi' per altro  si  esprime  la  legge-quadro,
 all'art.  9,  ove  si  parla  delle  "funzioni  amministrative" delle
 regioni - che,  come  e'  noto,  consiste  nel  potere  concepito  in
 relazione  alla  realizzazione  di  determinati interessi, ovviamente
 pubblici,    ed    ovviamente    intesi    non    come    l'interesse
 dell'amministrazione  concepita come apparato organizzativo autonomo;
 qui rileva il c.d. interesse pubblico  primario,  che  abbraccia  gli
 interessi individuali prevalenti in una data organizzazione giuridica
 della  collettivita', mentre l'interesse dell'apparato, ove si voglia
 concepire  un  interesse  dell'apparato  unitariamente   considerato,
 sarebbe  semplicemente  uno  degli interessi secondari che coesistono
 nell'ambito di quella collettivita', e  che,  come  tutti  gli  altri
 interessi  secondari,  possono  essere realizzati soltanto in caso di
 coincidenza, e nei  limiti  di  detta  coincidenza,  con  l'interesse
 collettivo primario e pubblico.
   Se  cosi'  si  concepisce  la  funzione  attribuita all'assessorato
 regionale  resistente  in  materia  di  caccia,  non   e'   difficile
 individuare   l'interesse   primario   nell'interesse   alla   tutela
 ambientale  in  senso  lato  (conservazione  delle  specie  protette,
 rispetto  all'agricoltura  e  dell'habitat  di  dette specie), mentre
 tutti gli altri interessi (ed in primo luogo quello  dei  cacciatori)
 appaiono  secondari, e realizzabili soltanto nei limiti su precisati.
 In   altre   parole,   nell'emanazione  degli  atti  impugnati  dalle
 associazioni  ambientaliste,  ed  adottati  in   applicazione   della
 normativa   della   cui  rispondeva  ai  principi  costituzionali  si
 sospetta,  la   p.a.   deve   innanzitutto   perseguire   la   tutela
 dell'interesse  pubblico primario di cui s'e' detto, mentre eventuali
 conflitti  di  detto  interesse  con  tutti   gli   altri   interessi
 compresenti  - che sono interessi secondari - vanno risolti in favore
 dell'interesse  primario,  che  deve  prevalere   (la   ricostruzione
 gerarchizzata  degli  interessi  pubblici  e  privati  coinvolti  nel
 procedimento di cui trattasi e' chiara nella  legge  statale,  che  -
 come  gia' si e' avuto modo di ricordare - consente, sottoponendolo a
 concessione - art. 12 l'esercizio dell'attivita' venatoria,  "purche'
 non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e
 non   arrechi   danno   effettivo  alle  produzioni  agricole",  come
 stabilisce l'art. 1/2).  In conclusione, se si tengono presenti,  nel
 ricostruire  il  sistema  normativo  statale in materia di caccia, le
 finalita'  di  tutela   ambientale   espressamente   richiamate   dal
 legislatore,  risulta evidente che anche ed in primo luogo alle norme
 che regolano i procedimenti  amministrativi  interferenti  con  detta
 materia deve essere riconosciuta la natura di norme di grande riforma
 economico-sociale,    che   pertanto   pongono   un   vincolo   anche
 sull'esercizio della potesta' normativa primaria  o  esclusiva.    Il
 collegio  non  ignora  che  analoga  questione, prospettatta da altra
 associazione ambientalista nei confronti del calendario venatorio del
 1994/1995, e' stata risolta in senso opposto dal  t.a.r.  di  Palermo
 con la citata sentenza della sezione I, n. 602/1995, nella quale, pur
 senza  farsi espresso richiamo alla premessa fondamentale dalla quale
 il tribunale prende le mosse, si conclude -  con  specifico  riguardo
 alla  omessa  acquisizione  del parere dell'I.n.f.s. (con riferimento
 alla previgente  legge  regionale  n.  37/1981)  -  nel  senso  della
 legittimita',   sotto   questo   profilo,  del  calendario  venatorio
 1994/1995,  sul  semplice  rilievo  della  circostanza   che,   nella
 fattispecie  da  esso t.a.r. esaminata, era stato acquisito il parere
 del   comitato   regionale    faunistico-venatorio,    implicitamente
 affermandosi  la  natura  di  "norma di dettaglio" della disposizione
 nazionale, e la piena e totale fungibilita' dei due  organi  tecnici.
 Muovendo invece dalle diverse premesse dalle quali muove il collegio,
 e gia' ampiamente illustrate, secondo cui norme di dettaglio potranno
 essere  ritenute  soltanto  quelle  che  riguardano aspetti veramente
 marginali  della  disciplina  considerata,   non   gia'   norme   che
 caratterizzano  fortemente  l'impianto della stessa, quali, ad avviso
 del collegio, le norme  che  regolano  i  procedimenti  rilevanti  in
 materia,  la  soluzione  non  puo'  essere  opposta rispetto a quella
 offerta nella sentenza  del  t.a.r.  di  Palermo.    In  conclusione,
 poiche'  risulta  testualmente che l'emanazione del d.a. impugnato e'
 avvenuta dietro "preventivo parere sulla determinazione di consentire
 l'esercizio venatorio per determinare specie  ...  a  partire  dal  2
 settembre", mentre sulla proposta di calendario venatorio (in tutti i
 suoi  aspetti)  e'  stato acquisito (soltanto) il parere del comitato
 regionale faunistico-venatorio,  conformemente  alla  previsione  del
 combinato  disposto dell'art. 19/1, della legge regionale n. 33/1997,
 come modificato dall'art. 6, della  legge  n.  15/1998,  e  dell'art.
 18/1,  della  legge  regionale  n. 33/1997, appare non manifestamente
 infondata   la   questione   di   legittimita'   costituzione   delle
 disposizioni  appena  richiamate,  per  violazione dell'art. 14 dello
 statuto regionale siciliano (approvato con r.d. l.gs n. 455/1946), in
 quanto le disposizioni stesse si pongono in contrasto con le norme di
 riforma economico-sociale contenute nella  legge-quadro  (art.  18/4,
 della legge n. 157/1992).
   4.2.  -  Le  associazioni  ambientaliste hanno espresso sospetti di
 incostituzionalita' - secondo motivo di gravame - anche nei confronti
 della disciplina regionale degli ambiti territoriali di caccia  (art.
 22,  della  legge  regionale n. 33/1997, come modificato dall'art. 8,
 della legge regionale n. 15/1998), sostenendo  che  detta  disciplina
 viola e vanifica i principi ispiratori della corrispondente normativa
 della  legge-quadro (artt. 10 e 14, della legge n. 157/1997), volta a
 regolamentare  e  limitare  gli  spostamenti   dei   cacciatori   sul
 territorio,  ancorandone  l'attivita'  al  territorio  di residenza e
 fissando criteri per la circolazione dei medesimi.
   In  particolare,  la  regione,  secondo  la  normativa   nazionale,
 dovrebbe   innanzituttto   preventivamente   pianificare  l'attivita'
 venatoria  sul  territorio  regionale,  adottando  l'apposito   piano
 faunistico-venatorio,  con  il quale dovrebbero essere individuate le
 aree  agro-silvo-pastorali  destinate  alla  protezione  della  fauna
 selvatica  ed  alla  gestione privata della caccia; in via residuale,
 poi, si determinerebbero gli ambiti territoriali di caccia, in cui la
 regione puo' promuovere forme di gestione programmata  della  caccia.
 Detta  gestione  programmata,  poi,  dovrebbero ispirarsi ai seguenti
 criteri: a) dimensione sub-provinciale, omogeneita'  e  delimitazione
 rispettosa dei confini naturali; b) diritto di accesso del cacciatore
 ad  un  solo ambito territoriale di caccia, compreso nella regione di
 residenza; possibilita' di accesso ad  altri  ambiti  territoriali  -
 della  stessa  o  diversa regione - subordinata al preventivo assenso
 degli organi di gestione competenti; c) previa fissazione dell'indice
 di densita' venatoria minima per ogni ambito territoriale di  caccia;
 d)  divieto,  per  gli  organi  direttivi dell'ambito territoriale di
 caccia, di consentire l'accesso di cacciatori in numero  superiore  a
 quello  fissato  con  regolamento  se  non previo accertamento, anche
 mediante censimenti, delle modificazioni in aumento della popolazione
 faunistica;  e)  definizione  con  legge  regionale  del  numero  dei
 cacciatori  non  residenti  ammissibili  nei territori compresi negli
 ambiti territoriali di caccia.
   Orbene,  sostengono  le  associazioni  ricorrenti,  in  Sicilia  il
 modello fissato nella legge nazionale non e' stato seguito, sia sotto
 il profilo della concreta individuazione degli ambiti territoriali di
 caccia,  sia  sotto  quello  della  regolamentazione  del  diritto di
 accesso.
   In  particolare,   precisano   le   associazioni   ricorrenti,   il
 legislatore regionale - omessa la preventiva pianificazione -, ha, in
 violazione  dei  criteri  su  indicati  sub  a), indentificato, sic e
 simpliciter, gli ambiti  territoriali  di  caccia  con  le  province;
 ovvero con il territorio delle medesime.
   In  violazione,  poi,  dei  criteri indicati sub b), il legislatore
 regionale (art. 22/5, della legge regionale n. 33/1997) ha consentito
 al  cacciatore  il  diritto  di  accesso  non   soltanto   all'ambito
 territoriale  di  caccia  ricadente  nella provincia di residenza, ma
 anche in  due  ulteriori  ambiti  territoriali  secondo  il  criterio
 cronologico della presentazione delle domande, allorche' negli ambiti
 prescelti  non  si  sia  raggiunta  la densita' massima di cacciatori
 ammissibili, ed infine, a partire dalla prima domenica di novembre  e
 per  la  selvaggina migratoria, oltre che nei tre ambiti territoriali
 suddetti, in tutti gli altri ambiti territoriali della regione; viene
 altresi' consentito  (comma  6  del  citato  art.  22)  l'accesso  ai
 cacciatori  provenienti  da  altre regioni. Il comma 7 della ripetuta
 disposizione accorpa le isole minori siciliane ai  rispettivi  ambiti
 territoriali della provincia cui appartengono.
   Ad  avviso  delle associazioni ricorrenti, tale disciplina - di cui
 il calendario venatorio impugnato costituisce applicazione - viola  i
 principi  restrittivi  imposti  dall'art.  14 della legge-quadro, che
 consente l'accesso ad uno solo fra ambiti territoriali  a  dimensione
 sub-provinciale,  e  subordina  l'accesso ai cacciatori non residenti
 nella regione  al  consenso  degli  organi  di  gestione  dell'ambito
 territoriale di caccia.
   In  effetti  la stessa Corte costituzionale (sent. n. 448/1997), ha
 chiarito che "la disciplina faunistico-venatoria  ha  il  suo  tratto
 caratterizzante   nella   pianificazione   di   tutto  il  territorio
 agro-silvo-pastorale", sicche' detto  territorio,  in  ogni  regione,
 viene destinato (art.  10, legge n. 157/1992) per una quota dal 20 al
 30  per cento alla protezione della fauna selvatica, e, per una quota
 non superiore al 15 per cento, alla istituzione di centri privati per
 la  riproduzione  della  fauna  selvatica  allo  stato  naturale   ed
 all'esercizio della caccia riservata a gestione privata, mentre sulla
 quota  residuale  le regioni promuovono forme di gestione programmata
 della caccia, attraverso la ripartizione in  ambiti  territoriali  di
 dimensioni  sub-provinciali,  sentite le province interessate nonche'
 le     organizzazioni     professionali     agricole;     i     piani
 faunistico-ventatori   "costituiscono   la  sede  procedimentale  per
 l'individuazione  ...   di   spazi   a   destinazione   differenziata
 nell'ambito  di  un  complessivo bilanciamento di interessi nel quale
 trovano considerazione, accanto alle  esigenze  di  protezione  della
 fauna,  quelle  venatorie  e  quelle,  altresi',  degli  agricoltori,
 interessati non solo al contenimento della  fauna  selvatica  che  si
 riproduce  spontaneamente,  ma anche all'impedimento di una attivita'
 venatoria indiscriminata".
   In  sostanza,  le  argomentazioni  della  Corte  appena  richiamate
 confermano  l'esattezza dell'orientamento espresso gia' nel paragrafo
 precedente, che, nella materia in esame, ravvisa l'interesse pubblico
 primario  nell'interesse  alla  protezione  delle  specie  animali  e
 dell'ambiente  naturale  in  cui le stesse sono collocate, mentre gli
 altri interessi compresenti, in  quanto  secondari,  possono  trovare
 realizzazione e soddisfacimento soltanto ove coincidano, e nei limiti
 in cui coincidano, con detto interesse primario, tanto e' vero che la
 medesima  Corte  (sentenza  n. 63/1990) ha riconosciuto all'attivita'
 venatoria non soltanto  la  finalita'  dell'abbattimento  di  animali
 selvatici,   ma   anche,   congiuntamente,  quella  della  protezione
 dell'ambiente naturale e di ogni forma di vita (che e' addirittura di
 piu' di quello  che  richiede  la  legge-quadro,  che  stabilisce  il
 limite, palesemente meno intenso, del "non  contrasto").
   Tutto  cio'  premesso,  ne consegue che anche le disposizioni della
 legge-quadro richiamate dalle associazioni ricorrenti (artt. 10 e  14
 della  legge  n.  157/1997) presentano il carattere di grande riforma
 economico-sociale, il che comporta la necessita', per il  legislatore
 regionale,  ancorche'  si  tratti  di  regione a statuto speciale, di
 adeguarvisi.
   Orbene, appare evidente che le disposizioni  censurate  contrastano
 con la disciplina dettata in sede nazionale.
   La  mancata  adozione  dei  piani  faunistico-venatori (l'impugnato
 calendario venatorio, nel preambolo, accenna al  piano  "in  fase  di
 predisposizione"),  la  identificazione,  sic  et  simpliciter, degli
 ambiti territoriali di caccia con  il  territorio  provinciale  (art.
 22/2),  la  possibilita',  per  i  cacciatori,  di  avere accesso non
 soltanto all'ambito territoriale di caccia ricadente nella  provincia
 di  residenza,  ma anche in due ulteriori ambiti territoriali secondo
 il criterio cronologico della presentazione delle domande,  allorche'
 negli  ambiti  prescelti  non (co. 5 e 6 del medesimo art. 22) si sia
 raggiunta la densita' massima di cacciatori ammissibili, ed infine, a
 partire  dalla  prima  domenica  di  novembre  e  per  la  selvaggina
 migratoria,  oltre che nei tre ambiti territoriali suddetti, in tutti
 gli altri ambiti  territoriali  della  regione,  la  possibilita'  di
 accesso  per  i  cacciatori  provenienti da altre regioni, comportano
 violazione dei criteri di cui agli artt.  10  e  14  della  legge  n.
 157/1992,  il primo dei quali richiede una diversa, piu' complessa ed
 articolata   regolamentazione   della   caccia   sono   il    profilo
 territoriale,  incentrata  sulla  pianificazione,  mentre  il secondo
 consente  l'accesso  ad  uno  solo  fra  gli  ambiti  territoriali  a
 dimensione  sub-provinciale,  e subordina l'accesso ai cacciatori non
 residenti  nella  regione  al  consenso  degli  organi  di   gestione
 dell'ambito territoriale di caccia.
   Del  resto,  al  di  la'  ed al disopra degli sforzi interpretativi
 volti alla ricostruzione del  sistema  normativo,  dei  suoi  diversi
 livelli, e dei rapporti fra detti livelli intercorrenti, con assoluta
 chiarezza  come  gia'  si e' avuto modo di rilevare in premessa (par.
 4), l'art. 14/17 della  legge  n.  157/1992  recita:  "Le  regioni  a
 statuto  speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, in base
 alle loro competenze esclusive, nei limiti stabiliti  dai  rispettivi
 ed  ai  sensi dell'art. 9, della legge n.86/1989., e nel rispetto dei
 principi  della  presente  legge,  provvedono   alla   pianificazione
 faunistico-venatoria,    alla    suddivisione    territoriale,   alla
 determinazione    della    densita'    venatoria,    nonche'     alla
 regolamentazione   per   l'esercizio  di  caccia  nel  territorio  di
 competenza" mentre l'art. 36,  u.c.,  stabilisce  che  le  regioni  a
 statuto  speciale e le province autonome, entro un anno dalla entrata
 in  vigore  della  legge  medesima,  devono  adeguare   "la   propria
 legislazione  ai  principi  ed  alle  norme  stabiliti dalla presente
 legge"  (come  si  e'  gia'  sottolineato,  il  linguaggio   che   il
 legislatore  usa  per  definire  le  modalita'  dell'adeguamento,  e'
 uniforme per le regioni a statuto ordinario, contemplate al penultimo
 comma, e per quelle a statuto speciale, di cui al  comma  successivo,
 per  le  quali  si  aggiunge  soltanto  il  riferimento  ai  limiti -
 generalissimi - della Costituzione e dei rispettivi statuti).
   In conclusione, alla luce di tutte le precedenti  considerazioni  e
 del  raffronto  fra  i  principi  e  le norme della legge-quadro e le
 disposizioni regionali censurate appare non manifestamente  infondata
 la  questione di legittimita' costituzionale sollevata con il secondo
 motivo   di   gravame   ed   esaminata   nel    presente    paragrafo
 (incostituzionalita'  dell'art.  22  l.r. n. 33/1997, come modificato
 dall'art. 8 l.r. n.   15/1998, per violazione  dell'art.  14  statuto
 regionale,  in  quanto contrastante con gli artt. 10 e 14 della legge
 n. 157/1992).
   4.3. - Le associazioni ricorrenti sospettano di incostituzionalita'
 l'art. 19/1 l.r. n. 33/1997, come  modificato  dall'art.  6  l.r.  n.
 15/1998,  in  relazione  alla  normativa  nazionale  e comunitaria in
 materia di specie cacciabili, in particolare per la sottoposizione  a
 prelievo  venatorio della lepre comune, di cinghiale, della coturnice
 siciliana e del fagiano (terzo  motivo  di  gravame).  Il  calendario
 venatorio impugnato, infatti, all'art. 1 individua anche le specie su
 elencate   fra  quelle  oggetto  di  caccia,  in  applicazione  delle
 disposizioni regionali appena richiamate.
   In particolare, le associazioni ricorrenti sostengono:
     a) che  la  coturnice  risulta  inserita  nell'allegato  1  della
 Direttiva  CEE  n. 79/409 e successive modificazioni ed integrazioni,
 come specie meritevole di particolare protezione, cosicche', ai sensi
 dell'art.   7, n. 4, della medesima  Direttiva,  la  caccia  di  tale
 specie  deve rispettare il principio della saggia utilizzazione delle
 specie, e deve essere compatibile con il contingente  numerico  delle
 stesse, come pure prescrive l'art. 7/3 Convenzione di Berna (recepita
 in  Italia  con  legge n. 503/1981); precisandosi, inoltre, che - pur
 non sussistendo un generale divieto di caccia rispetto alle specie di
 cui all. 1 sopra  richiamato  -  tuttavia  l'art.  4  della  medesima
 Direttiva   sancisce   l'obbligo   di  adottare  misure  speciali  di
 conservazione per quanto riguarda l'habitat, al fine di garantire  la
 sopravvivenza  e  la  riproduzione di dette specie nella loro area di
 distribuzione; che,  pertanto,  la  incondizionata  inclusione  della
 coturnice fra le specie cacciabili, non essendo stata adottata alcuna
 misura di tutela, si pone in contrasto con la richiamata normativa di
 protezione ed altresi' con l'art. 2, lett. b), Convenzione di Parigi,
 recepita  in  Italia  con  la  legge  n.  812/1978, che stabilisce il
 divieto di caccia, per  tutto  l'anno,  delle  specie  minacciate  di
 estinzione oppure che presentino interesse scientifico;
     b)  che  il fagiano ed il cinghiale, non rientrando fra le specie
 appartenenti alla fauna regionale, non sono assoggettabili a prelievo
 venatorio ai sensi dell'art. 2, comma 1 e 5 l.r. n. 33 cit.,  sicche'
 non  e'  consentito  prevederne  la  cacciabilita'  senza al contempo
 disciplinare l'immissione di dette specie nel  territorio  regionale,
 ai  sensi dell'art.  11 Direttiva CEE sopra citata, che prevede anche
 la consultazione preventiva della Commissione CEE  per  l'inserimento
 di  specie alloctone fra quelle cacciabili, dell'art. 11/2, lett. b),
 Convenzione.di Berna, e dell'art. 22/1, lett.  b)  Direttiva  CEE  n.
 92/43/CEE  del Consiglio del 21 maggio 1992, che impone, per la detta
 immissione di specie alloctone, la salvaguardia della flora  e  della
 fauna  esistenti, e la previa predisposizione di studi da comunicarsi
 al comitato istituito dalla medesima Direttiva da  ultimo  cit.;  che
 risulta  violato anche l'art. 10/7, della legge n. 157/1992 cit., che
 subordina l'immissione di specie alloctone a verifiche  dell'INFS  ed
 al parere delle organizzazioni agricole.
     c)   che  in  Sicilia  esistono  soltanto  popolazioni  di  lepre
 appenninica, specie non inclusa fra quelle cacciabili  dall'art.  18,
 della  legge  n. 157/1992 cit., in quanto implicitamente riconosciuta
 come specie meritevole di protezione, e non anche di lepre comune, di
 talche'  l'inserzione di detta ultima specie tra quelle cacciabili si
 risolve nel consentire surrettiziamente l'abbattimento  della  specie
 protetta  (lepre  appenninica), con riflessi anche in materia penale,
 non risultando nemmeno sanzionato - trattandosi di specie  cacciabile
 - l'abbattimento della lepre comune.
   Osserva, in proposito, il collegio:
     con   riferimento   al   punto   a),   che  parte  resistente  ha
 sufficientemente  comprovato  l'adozione  di  misure  di  tutela  nei
 confronti  della  coturnice  (specie che, come le stesse associazioni
 ricorrenti  rilevano,  non  rientra,  fra  quelle  assolutamente  non
 cacciabili  ai  sensi  della  richiamata  normativa  comunitaria); in
 particolare, e' stata prodotta una nota dell'Assessorato  agricoltura
 (prot.  n.  3088  del  6  luglio  1996),  nella quale, rispondendo al
 Commissario dello Stato per la regione Sicilia,  l'Assessore  compila
 un  rendiconto  delle  "misure  atte  a  mantenere  gli habitat della
 coturnice siciliana seppure inserita tra le specie  cacciabili  nella
 l.r.  n.  37/1981", come la istituzione di zone di ripopolamento e di
 oasi di protezione, il finanziamento  di  progetti  di  miglioramento
 ambientale  in  aziende  faunistico-venatorie  e gestioni sociali del
 territorio  (la  eventuale  inadeguatezza  di  dette  misure  avrebbe
 richiesto  una  puntuale  ed argomentata dimostrazione da parte delle
 ricorrenti, che si limitano a negare, apoditticamente,  la  idoneita'
 del previsto censimento di consistenza della specie all'effettuazione
 del quale l'art. 19/2, l.r. n. 33 piu' volte cit. subordina la caccia
 alla coturnice);
     con  riferimento al punto b) che la presenza del cinghiale appare
 documentata (si vedano, nella produzione della  difesa  erariale:  il
 D.A.  n.  24/21  del  20  giugno  1989,  in  cui  si  lamentano danni
 all'agricoltura, all'equilibrio biologico ed al patrimonio faunistico
 "per la presenza del cinghiale"; la nota dell'ufficio  legislativo  e
 legale  presso la Presidenza della regione, prot. n. 16327/214.95.11,
 avente ad oggetto la "risarcibilita' dei danni causati da  cinghiali"
 con  la  quale si risponde alla richiesta - nota prot. n. 2757 del 19
 maggio 1995 - di parere sul tema  da  parte  dell'Assessorato  reg.le
 agricoltura) in epoca certamente anteriore ai provvedimenti normativi
 ed amministrativi regionali che il collegio ha esaminato, sicche' non
 puo'  ragionevolmente  sostenersi  che l'introduzione di detta specie
 nel territorio regionale e'  da  collegare  al  calendario  venatorio
 impugnato   ed   alla   normativa  di  cui  quest'ultimo  costituisce
 applicazione; quanto, poi, alla non  appartenenza  del  fagiano  alla
 fauna  selvatica  siciliana,  questa  avrebbe  dovuto  essere  meglio
 documentata);
     che, con riferimento al punto c), la difesa erariale ha  prodotto
 una  nota  dell'I.N.F.S. (n. prot. 5789/T-D2 del 21 ottobre 1998), in
 cui testualmente si afferma che "lo stato di avanzamento dello studio
 ormai consente di confermare l'ipotesi  di  collocazione  al  livello
 specifico della forma autoctona siciliana, ovvero della lepre italica
 (lepus  corsicanus,  De  Winton  1898),  erroneamente  considerata in
 precedenza una sottospecie della lepre europea  (lepus  europaeus)...
 tutti  i  campioni di lepre raccolti direttamente o indirettamente in
 Sicilia sono stati identificati come lepre italica,  pertanto  questa
 sembra  essere  l'unica  con  popolazioni  vitali  sull'isola"; e che
 sembra, pertanto, confermata la esattezza di quanto  sostenuto  dalle
 associazioni  ricorrenti,  e cioe' che - pag. 22 s. del ricorso - "la
 inclusione della lepre comune  tra  quelle  appartenenti  alla  fauna
 siciliana nella l.r. n. 33/1997 e nel calendario venatorio impugnato,
 non  esistendo  per  converso  detta  specie  "in  stato  di naturale
 liberta'  nel  territorio  regionale",   si   rivela   manifestamente
 incostituzionale, oltre che surrettizia ed idonea a fungere piuttosto
 da  copertura  per l'abbattimento indiscriminato di una specie invero
 protetta quale  la  lepre  appenninica  (lepus  corsicanus);  con  la
 ulteriore  conseguenza  che  la norma regionale in questione, finendo
 con l'ingenerare una notevole confusione tra due specie di lepre  del
 tutto  diverse (di cui l'una meritevole di conservazione), si risolve
 altresi'  in  una  grave  interferenza  nella  materia  penale,   non
 risultando  nemmeno  sanzionato  (trattandosi  di  specie cacciabile)
 l'abbattimento della lepre  comune".    In  conclusione,  appare  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 in esame con esclusivo  riferimento  a  quanto  appena  osservato  in
 relazione alla cacciabilita' della lepre.
   4.4. - Gli artt. 17/6 e 26/4 (come modificato dall'art. 11 l.r.  n.
 15/1998)  l.r.  n.  33/1997,  sarebbero, ad avviso delle associazioni
 ricorrenti, in contrasto con gli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge n.
 157/1992 (quarto motivo di gravame).
   Il legislatore regionale ha omesso di  prevedere  limiti  temporali
 all'attivita'  di  abbattimento  nelle  aziende  agro-venatorie ed ha
 esonerato  coloro  che  esercitano  la  caccia   in   dette   aziende
 dall'obbligo  di  rispettare i limiti di abbattimento - giornalieri e
 stagionali - che normalmente valgono per il prelievo venatorio.
   Cio' urterebbe contro le norme della legge quadro su indicate,  che
 -   secondo  le  ricorrenti  -  chiaramente  considerano  l'attivita'
 venatoria svolta nelle aziende  agro-venatorie  alla  stessa  stregua
 dell'attivita' venatoria svolta in qualunque altro luogo, anche ed in
 primo  luogo  sotto  il  profilo  dei  limiti  temporali stabiliti in
 generale per la caccia dall'art. 18 della medesima legge.
   Sotto altro  profilo,  poi,  le  disposizioni  in  esame  sarebbero
 incostituzionali,  realizzandosi  attraverso  esse  una  indebita  ed
 inammissibile interferenza in materia penale da parte del legislatore
 regionale; il quale non ha tenuto conto del  fatto  che  il  generale
 divieto  di  cacciare  al di fuori dei periodi fissati dalla legge e'
 penalmente  sanzionato;  sicche'  si  configura   nella   fattispecie
 violazione  (diretta)  dell'art.   25/2 Cost., che riserva alla legge
 statale la materia penale.
   Infine,  le  medesime  norme  regionali  contrasterebbero  con   il
 combinato  disposto  degli  artt.  16  e 18/4 della legge-quadro, che
 assoggetta l'esercizio della caccia nelle aziende  agro-venatorie  al
 limite  del  numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata
 di attivita' venatoria, sotto il profilo  della  indebita  delega  in
 bianco  attribuita  dall'art. 26/4, l.r. n. 33/1997 alle ripartizioni
 faunistico-venatorie competenti per territorio, le  quali  dovrebbero
 dettare   in   materia   prescrizioni   non   meglio   precisate  per
 regolamentare le modalita' di esercizio della  caccia  nelle  aziende
 agro-venatorie  e  per  fissare  i  limiti  di  abbattimento per ogni
 specie, con l'ulteriore ed aggravante circostanza della  mancanza  di
 criteri   omogenei  ed  uniformi  valevoli  in  tutto  il  territorio
 regionale.  Il collegio ritiene, alla luce di tutte le considerazioni
 gia' svolte in diversi punti della trattazione che precede in  ordine
 alla  necessita'  di adeguamento della legislazione regionale - anche
 nelle regioni a statuto speciale - alle norme ed ai principi statali,
 per tutto cio' che non rientra fra gli aspetti marginali dalla stessa
 difesa erariale definiti "di dettaglio", che  anche  l'aspetto  della
 disciplina    regionale    qui    censurato   sia   sospettabile   di
 incostituzionalita',  non  potendosi,   ad   avviso   del   collegio,
 considerare  le  disposizioni  di  cui  si  assume la violazione come
 disposizioni "di dettaglio".  Per altro,  l'esercizio  dell'attivita'
 venatoria  nella  aziende  agri-turistico-venatorie  e'  delineato in
 maniera  precisa  dalla  legge-quadro,  che  vincola  tale  attivita'
 all'osservanza  degli  stessi  limiti  che  valgono  in  generale per
 l'attivita' venatoria (art. 16/4), espressamente eccettuati quelli di
 cui all'art. 12/5.  Appare, pertanto, non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale  degli  artt.  17/6  e  26/4
 (come  modificato dall'art. 11, l.r. n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, in
 quanto contrastanti con gli artt. 12, 16, 18 e  30,  della  legge  n.
 157/1992,  per avere il legislatore regionale: a) omesso di prevedere
 limiti  temporali  all'attivita'  di   abbattimento   nelle   aziende
 agro-venatorie; b) esonerato coloro che esercitano la caccia in dette
 aziende  dall'obbligo  di  rispettare  i  limiti  di  abbattimento  -
 giornalieri e stagionali - che normalmente valgono  per  il  prelievo
 venatorio,  e  cio'  in  violazione,  particolarmente,  del combinato
 disposto degli artt. 16 e 18/4  della  legge-quadro,  che  assoggetta
 l'esercizio  della  caccia nelle aziende agro-venatorie al limite del
 numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attivita'
 venatoria, e  sotto  l'ulteriore  profilo  della  attribuzione  della
 regolamentazione  di  tali  aspetti,  in  base all'art. 26/4, l.r. n.
 33/1997,  alle  ripartizioni  faunistico-venatorie   competenti   per
 territorio;  infine,  e' stata realizzata una interferenza in materia
 penale, non essendosi tenuto conto del fatto che il generale  divieto
 di cacciare al di fuori dei periodi fissati dalla legge e' penalmente
 sanzionato,  con  violazione  (diretta)  dell'art.  25/2  Cost.,  che
 riserva alla legge statale la materia penale.
   4.5.  -   Con   l'ultimo   motivo   di   gravame   si   deduce   la
 incostituzionalita' dell'art. 18/3, l.r. n. 33/1997 in relazione agli
 artt.  13  e  30, della legge n. 157/1992.  La disposizione regionale
 consente  la  caccia  con  il  furetto,  che  non   risulta   incluso
 nell'elenco tassativo di cui all'art. 13 della legge n. 157/1992 (che
 esprime  -  comma 5 - un generale divieto per tutte le armi e tutti i
 mezzi per  l'esercizio  venatorio  non  esplicitamente  ammessi  "dal
 presente  articolo");  pertanto,  secondo le associazioni ricorrenti,
 non soltanto si viola l'art. 14 dello statuto, ma si  realizza  anche
 una indebita interferenza in materia penale, consentendo una condotta
 sanzionata  penalmente  dalla legge statale (art. 30, lett. h), della
 legge n. 157/1992).  Il collegio ritiene che la disciplina dei "mezzi
 per  l'esercizio  dell'attivita'  venatoria"  non  possa  che  essere
 generale  ed  uniforme  in  tutto  il  territorio  nazionale,  e che,
 pertanto,  i  divieti  stabiliti  dalla  legge-quadro  -  che  si  e'
 preoccupata,  come  si  e'  appena visto, di sancire espressamente la
 tassativita' dell'elenco dei mezzi consentiti,  proprio  per  evitare
 fenomeni  locali e regionali di abbassamento della soglia di tutela -
 vadano annoverati fra i principi vincolanti anche per il  legislatore
 delle  regioni  a  speciale  autonomia,  e  non  -  per riprendere la
 terminologia adoperata dalla difesa erariale - fra  le  "disposizioni
 di  dettaglio che la medesima legge nazionale pone esclusivamente per
 le regioni a statuto ordinario",  potendo  eventualmente  le  regioni
 disporre  in  difformita'  dalla  legge  nazionale  per rafforzare le
 misure di protezione, e non per diminuirle.   La conclusione  cui  si
 perviene,  che  comporta  la  non  manifesta  infondate    zza  della
 questione di costituzionalita' dell'art. 18/3, nei termini di cui  si
 e'  detto,  e'  corroborata dal connesso profilo penalistico, essendo
 l'esercizio della caccia con mezzi vietati sanzionato dall'art.   30,
 lett.  h), della legge nazionale, alla quale soltanto e' riservata la
 materia dell'illecito e della sua repressione.
   5.5.  -  Conclusivamente,  atteso  che  le  dedotte  questioni   di
 costituzionalita' appaiono rilevanti per la decisione del ricorso, e,
 a  giudizio  del  collegio,  non  manifestamente  infondate, si rende
 necessario sospendere il presente giudizio (sia nella fase  cautelare
 che  in  quella  di  merito) in attesa che la Corte costituzionale si
 pronunci sulle eccezioni di incostituzionalita':
     a) dell'art. 19/1, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art,  6,
 l.r.  n.  15/1998,  e  dell'art.  18/1, l.r. n. 33/1997, in combinato
 disposto,  per  violazione  dell'art.  14  dello  statuto   regionale
 siciliano  (approvato  con  r.d.  lgs.  n.  455/1946),  in  quanto le
 disposizioni stesse si pongono in contrasto con le norme  di  riforma
 economico-sociale  contenute  nella legge quadro (art. 18/4, legge n.
 157/1992);
     b) dell'art. 22 l.r. n. 33/1997,  come  modificato  dall'art.  8,
 l.r.  n.  15/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in
 quanto contrastante con gli artt. 10 e 14, legge n. 157/1992;
     c) dell'art. 19, comma 1 e 2, l.r. n.  33/1997,  come  modificato
 dall'art.  6,  l.r. n. 157/1998, per violazione dell'art. 14, statuto
 regionale, in quanto contrastante con l'art. 18, legge  n.  157/1992,
 per  quanto  attiene alla cacciabilita' della lepre, e per violazione
 dell'art. 25/2 Cost., che  riserva  alla  legge  statale  la  materia
 penale;
     d)  degli  artt.  17/6 e 26/4 (come modificato dall'art. 11, l.r.
 n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, per violazione  dell'art.  14,  statuto
 regionale,  in  quanto  contrastanti  con  gli artt. 12, 16, 18 e 30,
 della legge n. 157/1992,  per  avere  il  legislatore  regionale;  a)
 omesso  di  prevedere  limiti  temporali all'attivita di abbattimento
 nelle aziende agro-venatorie; b) esonerato coloro che  esercitano  la
 caccia  in  dette  aziende  dall'obbligo  di  rispettare  i limiti di
 abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente valgono per
 il prelievo venatorio e  cio'  in  violazione,  particolarmente,  del
 combinato  disposto  degli  artt.  16  e 18/4 della legge-quadro, che
 assoggetta l'esercizio della caccia nelle aziende  agro-venatorie  al
 limite  del  numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata
 di  attivita'  venatoria,   e   sotto   l'ulteriore   profilo   della
 attribuzione della regolamentazione di tali aspetti, in base all'art.
 26/4,   l.r.   n.  33/1997,  alle  ripartizioni  faunistico-venatorie
 competenti  per  territorio;  infine,   e'   stata   realizzata   una
 interferenza  in materia penale, non essendosi tenuto conto del fatto
 che il generale divieto di cacciare al di fuori dei  periodi  fissati
 dalla  legge  e'  penalmente  sanzionato,  con  violazione  (diretta)
 dell'art. 25/2 Cost., che  riserva  alla  legge  statale  la  materia
 penale;
     e)  dell'art. 18/3, l.r. n. 33/1997, per violazione dell'art.  14
 statuto regionale,  in  relazione  agli  artt.  13  e  30,  legge  n.
 157/1992, e dell'art. 25/2 Cost.
                               P. Q. M.
   Ritenuta  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 19/1, l.r. n.  33/1997,  come
 modificato  dall'art.  6, l.r. n. 15/1998, e dell'art. 18/1, l.r.  n.
 33/1997, in combinato disposto, per  violazione  dell'art.  14  dello
 statuto regionale siciliano (approvato con r.d. lgs. n. 455/1946), in
 quanto le disposizioni stesse si pongono in contrasto con le norme di
 riforma  economico-sociale  contenute  nella legge-quadro (art. 18/4,
 legge n. 157/1992), 22, l.r. n. 33/1997,  come  modificato  dall'art.
 8,  l.r.  n. 15/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale,
 in quanto contrastante con gli artt. 10 e 14, l.r. n.  157/1992;  19,
 comma  1  e  2, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r. n.
 157/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale,  in  quanto
 contrastante  con  l'art.  18,  della  legge  n. 157/1992, per quanto
 attiene alla cacciabilita' della lepre, e  per  violazione  dell'art.
 25/2  Cost.;  17/6  e  26/4  (come  modificato  dall'art. 11, l.r. n.
 15/1998), l.r.   n. 33/1997, per  violazione  dell'art.  14,  statuto
 regionale, in quanto contrastanti con gli artt 12, 16, 18 e 30, della
 legge  n.  157/1992, e per violazione dell'art. 25/2 Cost.; 18/3 l.r.
 n.  33/1997,  per  violazione  dell'art.  14  statuto  regionale,  in
 relazione  agli  artt.   13 e 30, legge n. 157/1992, e dell'art. 25/2
 Cost.;
   Dispone, a norma dell'art.  23/2,  legge  n.  87/1953,  l'immediata
 trasmissione   degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  sospendendo
 conseguentemente il presente giudizio (sia nella fase  cautelare  sia
 in quella di merito);
   Manda  alla segreteria di notificare copia della presente ordinanza
 alle parti in causa, al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana
 ed al Presidente della regione Sicilia.
   Cosi' deciso in  Catania,  nella  camera  di  consiglio  del  14-16
 dicembre 1998.
                        Il presidente: Zingales
                                                  L'estensore: Messina
 99C0521