N. 298 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 1998
N. 298 Ordinanza emessa il 16 dicembre 1998 dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Legambiente - Comitato regionale siciliano ed altri contro l'assessorato per l'agricoltura e le foreste della regione Sicilia. Caccia - Regione siciliana - Esercizio della caccia nelle aziende agri-turistico-venatorie - Omessa previsione di limiti temporali all'attivita' di abbattimento - Esonero dall'obbligo di rispetto dei limiti di abbattimento giornalieri e stagionali stabiliti dalla legge quadro n. 157/1992 - Attribuzione della regolamentazione della caccia alle ripartizioni faunistiche-venatorie competenti per territorio - Ammissione del furetto, quale mezzo per l'esercizio della caccia non previsto nell'elenco tassativo di cui alla legge quadro - Inclusione, tra le specie cacciabili, della lepre appenninica - Violazione dei principi di riforma economico-sociale - Indebita interferenza in materia penale. (Legge regione siciliana 1 settembre 1997, n. 33, art. 19, comma 1, modificato dalla l.r. 31 agosto 1998, n. 15, art. 6, combinato disposto; l.r. 1 settembre 1997, n. 33, artt. 18, comma 1, 22, modificato dalla l.r. 31 agosto 1998, n. 15, 8, 19, commi 1 e 2, modificato dalla l.r. 31 agosto 1998, n. 15, 6, 17, comma 6, 26, comma 4, modificato dalla l.r. 31 agosto 1998, n. 15, 11 e 18, comma 3). (Cost., art. 25, secondo comma; statuto regione siciliana, art. 14; legge 11 febbraio 1992, n. 157, artt. 18, comma 4, 10, 14, 13 e 30).(GU n.22 del 2-6-1999 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 5067/98 r.g., proposto da: Legambiente - Comitato regionale siciliano, corrente in Parlamento, via Genova, 7; W.W.F., Associazione italiana per il World Wildlife Fund - Delegazione Sicilia, corrente in Palermo, via Enrico Albanese, 98, L.A.V. - Lega antivivisezione, corrente in Roma, via Sommacampagna, 29, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Antonella Bonanno, Lidia La Rocca e Pierfrancesco La Spina, ed elettivamente domiciliati in Catania, via V. Giuffrida, 37, presso l'avv. Edoardo Nigra; Contro l'Assessorato per l'agricoltura e le foreste della regione Sicilia, in persona dell'assessore pro-tempore, rappresentato e difeso ex-lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria, per l'annullamento, previa sospensione: 1) del d.a. 15 giugno 1998 dell'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste (e relativo allegato "A" facente parte integrante del decreto medesimo), avente ad oggetto "Calendario Venatorio 1998-99", nonche' del d.a. 7 agosto 1998, recante modifiche al predetto calendario, entrambi pubblicati nella Gazzetta ufficiale della regione Sicilia n. 41 del 25 agosto 1998; 2) ove occorra, del d.a. 30 aprile 1998 del medesimo assessore, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della regione Sicilia n. 37 del 1 agosto 1998, con il quale si sono stabiliti l'indice massimo di densita' venatoria ed il numero di cacciatori ammissibili in ciascun ambito territoriale di caccia per la stagione venatoria 1998-99; 3) di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguenziale ai provvedimenti impugnati; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Visti gli atti tutti della causa; Relatore la dott. Rosalia Messina; Udili in camera di consiglio, il giorno 14 dicemabre 1998, gli avvocati Antonella Bonanno e Lidia La Rocca per le associazioni ricorrenti, e l'avv. Raffaela Barone (Avvocatura dello Stato); Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con il ricorso in epigrafe, le associazioni denominate Legambiente, W.W.F. (Associazione italiana per il World Wildlife Fund) e L.A.V. (Lega antivivisezione) - le prime due individuate come associazioni di protezione ambientale, ex art. 13 della legge n. 349/1986, ed ai fini e per gli effetti di cui all'art. 18, commi 4 e 5, della medesima legge, con decreto del Ministero per l'ambiente del 20 febbraio 1987 - impugnano il decreto dell'assessore regionale per l'agricoltura e le foreste, piu' specificamente indicato in epigrafe, con il quale si e' provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo venatorio nella regione Sicilia per la stagione 1998-99. Le associazioni predette deducono esclusivamente la incostituzionalita' di alcune disposizioni della legge regionale n. 33/1997 - gia' denunciata con ordinanza di questa sezione n. 312/1997, pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, 1 serie speciale, n. 18 del 6 maggio 1998, su ricorso, proposto dalle medesime associazioni oggi ricorrenti, n. 5292/1997 - modificata dalla l.r. n. 15/1998, poste a fondamento del decreto impugnato, per contrasto con l'art. 14 dello statuto della regione Sicilia, e con gli artt. 10 e 11 della Costituzione, disposizioni sulla base delle quali e' stato emanato il provvedimento assessoriale impugnato. L'Assessorato regionale intimato si e' costituito in resistenza, sollevando numerose eccezioni di inammissibilita' del gravame, e contestandone altresi' la fondatezza; pertanto, ne chiedeva la dichiarazione di inammissibilita' o la reiezione. Con ordinanza n. 3141/1998, disattese le predette eccezioni, e' stata accolta provvisoriamente e temporaneamente la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe, ed e' stata rinviata l'ulteriore e definitiva trattazione della questione cautelare alla prirna camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizto da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione della questione di costituzionalita' sollevata. D i r i t t o 1. - Come gia' esposto in narrativa, con il ricorso in epigrafe le associazioni denominate Legambiente, W.W.F. (Associazione italiana per il World Wildlife Fund) e L.A.V. (Lega antivivisezione) - le prime due individuate come associazioni di protezione ambientale, ex art. 13, della legge n. 349/1986, ed ai fini e per gli effetti di cui all'art. 18, commi 4 e 5, della medesima legge, con decreto del Ministero per l'ambiente del 20 febbraio 1987 - impugnano il decreto dell'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste, piu' specificamente indicato in epigrafe, con il quale si e' provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo venatorio nella regione Sicilia per la stagione 1998-99. Il gravame si fonda esclusivamente sulla asserita incostituzionalita' di alcune disposizioni della legge regionale n. 33/1997, modificata dalla l.r. n. 15/1998, poste a fondamento del decreto impugnato, per contrasto con l'art. 14 dello statuto della regione Sicilia, e con gli artt. 10 e 11 della Costituzione, disposizioni sulla base delle quali e' stato emanato il provvedimento assessoriale impugnato. Le associazioni ricorrenti premettono innanzitutto che le questioni di legittimita' costituzionale da esse sollevate presentano, come comune denominatore, la violazione, da parte del legislatore regionale, di norme interposte, vale a dire di quelle disposizioni della legge n. 157/1992 alla quale la regione siciliana avrebbe dovuto uniformarsi in forza dei limiti alla potesta' esclusiva che possiede in materia, derivanti sia dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale contenute nella legge quadro, sia dagli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano con la medesima legge quadro. Detti limiti sono posti dall'art. 14 dello statuto regionale siciliano (approvato con r.d. lgs. n. 455/1946) e dagli artt. 10 e 11 della Costituzione. In particolare, le violazioni delle disposizioni appena ricordate, e, con riferimento ad alcune delle norme regionali censurate, dell'art. 25 della Costituzione, sono cosi' individuate in ricorso: 1) illegittimita' costituzionale dell'art. 19/1, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r. n. 15/1998, in combinato disposto con l'art. 18/1, l.r. n. 33/1997 ed in relazione all'art. 18/4, legge n. 157/1992. Si lamenta la violazione di norme statali disciplinanti il procedimento di adozione del calendario venatorio, in particolare si censura la parziale mancata acquisizione, da parte dell'autorita' emanante il calendario venatorio impugnato, del parere dell'organo tecnico-scientifico a carattere nazionale di cui all'art. 7 della legge quadro (I.n.f.s., Istituto nazionale per la fauna selvatica); detto organo sarebbe stato consultato soltanto con riferimento a specifici aspetti del provvedimento (anticipazione al 2 settembre 1998 del prelievo venatorio su talune specie animali), e non invece sul contenuto complessivo del provvedimento stesso. Cio' e' avvenuto perche' la normativa regionale in epigrafe ha arbitrariamente ristretto l'obbligatorieta' del parere di cui trattasi alla sola ipotesi di modificazione dei termini di apertura e chiusura della caccia, limitandosi per il resto ad acquisire il parere di diverso organo tecnico, a rilevanza meramente regionale (Comitato regionale faunistico venatorio), in violazione dell'art. 18/4 della legge n. 157/1992; 2) illegittimita' costituzionale dell'art. 22, l.r. n. 33/1997, come modificato, dall'art. 8, l.r. n. 15/1998, in relazione agli artt. 10 e 14, della legge n. 157/1997. Si censura la disciplina regionale, dettata con le disposizioni in epigrafe, degli ambiti territoriali di caccia, in quanto detta disciplina viola e vanifica i principi ispiratori della corrispondente normativa della legge quadro, che e' volta a regolamentare e limitare gli spostamenti dei cacciatori sul territorio, ancorandone l'attivita' al territorio di residenza e fissando criteri per la circolazione dei medesimi; in particolare, la regione, secondo la normativa nazionale, dovrebbe innanzitutto preventivamente pianificare l'attivita' venatoria sul territorio regionale, adottando l'apposito piano faunistico-venatorio, con il quale dovrebbero individuarsi le aree agro-silvo-pastorali destinate alla protezione della fauna selvatica ed alla gestione privata della caccia; in via residuale, poi, si determinerebbero gli ambiti territoriali di caccia, in cui la regione puo' promuovere forme di gestione programmata della caccia, che dovrebbero inoltre rispondere ai seguenti criteri: a) dimensione sub-provinciale, omogeneita' e delimitazione rispettosa dei confini naturali; b) diritto di accesso del cacciatore ad un solo ambito territoriale di caccia, compreso nella regione di residenza; possibilita' di accesso ad altri ambiti territoriali - della stessa o di diversa regione - subordinata a preventivo assenso degli organi competenti; c) previa fissazione dell'indice di densita' venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia; d) divieto, per gli organi direttivi dell'ambito territoriale di caccia, di consentire l'accesso di cacciatori in numero superiore a quello fissato con regolamento se non previo accertamento, anche mediante censimenti, delle modificazioni in aumento della popolazione faunistica; e) definizione con legge regionale del numero dei cacciatori non residenti ammissibili nei territori compresi negli ambiti territoriali di caccia. Orbene, sostengono le associazioni ricorrenti, in Sicilia il modello fissato nella legge nazionale non e' stato seguito, sia sotto il profilo della concreta individuazione degli ambiti territoriali di caccia, sia sotto quello della regolamentazione del diritto di accesso. In particolare, precisano le associazioni ricorrenti, il legislatore regionale - omessa la preventiva pianificazione - ha, in violazione dei criteri su indicati sub-a), identificato, sic et simpliciter, gli ambiti territoriali di caccia con le province, ovvero con il territorio delle medesime. La violazione, poi, dei criteri indicati sub b), il legislatore regionale (art. 22/5, l.r. n. 33/1997) ha consentito al cacciatore il diritto di accesso non soltanto all'ambito territoriale di caccia ricadente nella provincia di residenza, ma anche in due ulteriori ambiti territoriali secondo il criterio cronologico della presentazione delle domande, allorche' negli ambiti prescelti non si sia raggiunta la densita' massima di cacciatori ammissibili, ed infine, a partire dalla prima domenica di novembre e per la selvaggina migratoria, oltre che nei tre ambiti territoriali suddetti, in tutti gli altri ambiti territoriali della regione, viene altresi' consentito (comma 6 del citato art. 22) l'accesso ai cacciatori provenienti da altre regioni. Il comma 7 della ripetuta disposizione accorpa le isole minori siciliane ai rispettivi ambiti territoriali della provincia cui appartengono. Ad avviso delle associazioni ricorrenti, tale disciplina - di cui il calendario venatorio impugnato costituisce applicazione - viola i principi restrittivi imposti dall'art. 14 della legge-quadro, che consente l'accesso ad un solo fra gli ambiti territoriali a dimensione sub-provinciale, e subordina l'accesso ai cacciatori non residenti nella regione al consenso degli organi di gestione dell'ambito territoriale di caccia. 3) illegittimita' costituzionale - sotto altro profilo - dell'art. 19/1, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r. n. 15/1998 in relazione alla normativa nazionale e comunitaria in materia di specie cacciabili. Le associazioni ricorrenti lamentano l'inclusione fra le specie cacciabili della lepre comune, del cinghiale, della coturnice siciliana e del fagiano, censurando la scelta in proposito operata dal legislatore regionale con l'art. 19/1, legge n. 33 piu' volte citato - in applicazione della quale disposizione il calendario impugnato, all'art. 1, individua anche le specie su elencate fra quelle oggetto di caccia. Osservano, specificamente, le ricorrenti: a) che la coturnice risulta inserita nell'allegato l della direttiva CEE n. 79/409 e successive modificazioni ed integrazioni, come specie meritevole di particolare protezione, cosicche', ai sensi dell'art. 7, n. 4, della medesima direttiva, la caccia di tale specie deve rispettare il principio della saggia utilizzazione delle specie, e deve essere compatibile con il contingente numerico delle stesse, come pure prescrive l'art. 7/3 Convenzione di Berna (recepita in Italia con legge n. 503/1981); precisandosi, inoltre, che - pur non sussistendo un generale divieto di caccia rispetto alle specie di cui all'allegato l sopra richiamato - tuttavia l'art. 4 della medesima direttiva sancisce l'obbligo di adottare misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, al fine di garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione; che; pertanto, la incondizionata inclusione della coturnice fra le specie cacciabili, non essendo stata adottata alcuna misura di tutela, si pone in contrasto con la richiamata normativa di protezione ed altresi' con l'art. 2, lettera b), Convenzione di Parigi, recepita in Italia con legge n. 812/1978, che stabilisce il divieto di caccia, per tutto l'anno, delle specie minacciate di estinzione oppure che presentino interesse scientifico; b) che il fagiano ed il cinghiale, non rientrando fra le specie appartenenti alla fauna regionale, non sono assoggettabili a prelievo venatorio ai sengi dell'art. 2, commi 1 e 5, l.r. n. 33 cit., sicche' non e' consentito prevederne la cacciabilita' senza al contempo disciplinare l'immissione di dette specie nel territorio regionale, ai sensi dell'art. 11 direttiva CEE sopra citata, che prevede anche la consultazione preventiva della Commissione CEE per l'inserimento di specie alloctone fra quelle cacciabili, dell'art. 11/2, lettera b), Convenzione di Berna, e dell'art. 22/1, lettera b), direttiva CEE n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, che impone, per la detta immissione di specie alloctone, la salvaguardia della flora e della fauna esistenti, e la previa predisposizione di studi da comunicarsi al comitato istituito dalla medesima direttiva da ultimo cit., che risulta violato anche l'art. 10/7 della legge n. 157/1992 cit., che subordina l'immissione di specie alloctone a verifiche dell'I.N.F.S. ed al parere delle organizzazioni agricole; c) che in Sicilia esistono soltanto popolazioni di lepre appenninica, specie non inclusa fra quelle cacciabili dall'art. 18, legge n. 157/1992 cit., in quanto implicitamente riconosciuta come specie meritevole di protezione, e non anche di lepre comune, di talche' l'inserzione di detta ultima specie tra quelle cacciabili si risolve nel consentire surrettiziamente l'abbattimento della specie protetta (lepre appenninica), con riflessi anche in materia penale, non risultando nemmeno sanzionato - trattandosi di specie cacciabile - l'abbattimento della lepre comune. 4) illegittimita' costituzionale dell'art. 17/6 e dell'art. 26/4 (come modificato dall'art. 11, l.r. n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, in relazione agli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge n. 157/1992 - Interferenza in materia penale. Le disposizioni regionali in epigrafe sono censurate per la omessa previsione di limiti temporali all'attivita' di abbattimento nelle aziende agro-venatorie e per l'esonero, nei confronti di coloro che esercitano la caccia in dette aziende, dell'obbligo di rispettare i limiti di abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente valgono per il prelievo venatorio, in violazione delle norme della legge quadro, pure indicate in epigrafe, che chiaramente considerano l'attivita' venatoria svolta nelle aziende agro-venatorie alla stessa stregua dell'attivita' venatoria svolta in qualunque altro luogo, anche ed in primo luogo sotto il profilo dei limiti temporali stabiliti in generale per la caccia dall'art. 18 della legge quadro; le associazioni ricorrenti lamentano inoltre l'indebita ed inammissibile interferenza in materia penale cosi' ascrivibile al legislatore regionale, il quale non ha tenuto conto del fatto che il generale divieto di cacciare al di fuori dei periodi fissati dalla legge e' penalmente sanzionato, e ravvisano pertanto anche la violazione (diretta) dell'art. 25/2 della Costituzione, che riserva alla legge statale la materia penale; infine, le associazioni ricorrenti sottolineano la sussistenza di identici profili di contrasto fra norme regionali e norme statali (in particolare, con il combinato disposto degli artt. 16 e 18/4 della legge quadro, che assoggetta l'esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie al limite del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attivita' venatoria) sotto il profilo della indebita delega in bianco attribuita dall'art. 26/4, della l.r. n. 33/1997 alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, le quali dovrebbero dettare in materia prescrizioni non meglio precisate per regolamentare le modalita' di esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie e per fissare i limiti di abbattimento per ogni specie (precisando che cio' e' tanto piu' grave in quanto non sono stati previsti criteri omogenei ed uniformi valevoli in tutto il territorio regionale). 5) illegittimita' costituzionale dell'art. 18/3 della l.r. n. 33/1997 in relazione agli artt. 13 e 30, legge n. 157/1992 - Interferenza in materia penale. Si censura la disposizione regionale in epigrafe per il fatto che essa consente la caccia con il furetto, che non risulta incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 13, legge n. 157/1992 (che esprime un generale divieto per tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio non esplicitamente ammessi "dal presente articolo"); pertanto, secondo le associazioni ricorrenti, non soltanto si viola l'art. 14 dello statuto, ma si realizza anche una indebita interferenza in materia penale, consentendo una condotta sanzionata penalmente dalla legge statale (art. 30, lettera h), della legge n. 157/1992). 2. - Cosi' esposte, in sintesi, le doglianze poste a fondamento del gravame, il collegio deve esaminare le predette questioni di costituzionalita' per vagliarne la rilevanza e la non manifesta infondatezza, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, della legge costituzionale n. 1/1948, e dell'art. 23/2, della legge n. 87/1953. 3. - Quanto alla rilevanza delle questioni in esame, osserva il collegio che il ricorso in epigrafe e' esclusivamente affidato alla dedotta incostituzionalita' di alcune disposizioni della l.r. n. 337/1997 (v. supra, le cinque censure sintetizzate sub 1). Orbene, vale la pena di sottolineare che, per costante giurisprudenza, la dedotta incostituzionalita' di una norma puo' costituire l'unico motivo sul quale puo' validamente fondarsi l'impugnazione di un atto amministrativo e la richiesta di un'eventuale pronuncia cautelare (cfr.: Corte costituzionale, sentenze numeri 444/1990 e 367/1991; v. anche l'ordinanza n. 1552/1997 e l'ordinanza n. 3121/1997, di questa sezione del tribunale amministrativo regionale di Catania, nonche' l'ordinanza - con la quale il collegio ha provvisoriamente e temporaneamente sospeso l'efficacia del decreto assessoriale impugnato - n. 3141/1998). In particolare, con la seconda delle appena richiamate decisioni, la Corte costituzionale ha esaminato il caso in cui il giudice contemporaneamente all'ordinanza di rimessione, aveva disposto con separato provvedimento la sospensione degli atti impugnati, in via provvisoria e temporanea, fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalita'. La Corte ha nell'occasione affermato che permaneva il requisito della rilevanza, poiche' la pronuncia, per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non aveva determinato l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo. Inoltre, nella medesima sentenza, e' stato affermato che la sussistenza del requisito della rilevanza va valutata allo stato degli atti al momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione, restando quindi ininfluenti gli eventuali provvedimenti adottandi o adottati successivamente. Deve anche precisarsi che, nel caso che ci occupa, in verita', si assume la violazione non (o meglio, non sempre) in via diretta di norme costituzionali (solo alcuni profili sono ricostruiti in termini di violazione di questa o quella norma costituzionale), ma di norme di legge ordinaria statale al contenuto delle quali la regione Sicilia avrebbe dovuto uniformarsi a mente della stessa Costituzione. Tuttavia, anche in questo caso puo' validamente sollevarsi la questione di costituzionalita', versandosi nella tipica fattispecie di "violazione di norma interposta" (cfr.: ordinanza n. 3121/1997 di questa sezione). Ed invero, la stessa Corte costituzionale ha affermato che il contrasto di una legge regionale con una norma dello statuto della regione stessa si risolve in una violazione "indiretta" della Costituzione (cfr.: sentenza n. 993/1988, con la quale e' stata riconosciuta la denunciata violazione dell'art. 123 della Costituzione attraverso la norma interposta dell'art. 55, dello statuto regionale del Veneto). La risoluzione delle questioni in esame, pertanto, si pone assolutament e ed incontrovertibilmente, a norma dell'art. 23/2, della legge n. 87/1953, quale necessaria pregiudiziale per la definizione della controversia portata alla cognizione del collegio, dato che, come si e' detto, soltanto la declaratoria di illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge denunciate (al limite, anche di una sola di esse) consentira' al collegio di pronunciarsi definitivamente e positivamente sulla predetta domanda cautelare (temporaneamente accolta, come piu' volte s'e' accennato, sino alla prima camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione in ordine alle sollevate questioni di costituzionalita') e sul merito del ricorso. 4. - Il collegio deve, pertanto, esaminare se le predette questioni siano o meno "non manifestamente infondate". Una premessa appare necessaria. In materia ambientale si intersecano e si sovrapongono disposizioni contenute in fonti di vario livello e di varia natura. Un rapido - ed inevitabilmente incompleto - excursus delle fonti principali puo' orientare nella ricerca dei principi fondamentali ai quali fare riferimento nell'interpretazione della disciplina oggi sospettata di incostituzionalita'. L'ambiente e' stato collocato tra i valori giuridici fondamentali della Comunita' europea dall'Atto unico europeo - ratificato con legge n. 909/1986 ed entrato in vigore il 1 luglio 1987 - che ha inserito nella parte del Trattato CEE un titolo VII intitolato all'"Ambiente" (art. 25 della citata legge di ratifica). Al Trattato sono pertanto state aggiunte - per quel che qui rileva - le seguenti disposizioni: l'art. 130 R, che, fra l'altro: a) assegna all'"azione della Comunita' in materia ambientale" l'obiettivo di "salvaguardare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente", nonche' di "garantire un'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali" (par. 1); b) individua, come principi ai quali deve ispirarsi l'azione della Comunita' in materia ambientale, quello dell'"azione preventiva" e della "correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente" (par. 2); c) precisa che "le esigenze connesse con la salvaguardia dell'ambiente costituiscono una componente delle altre politiche della Comunita'" (par. 2, in fine). Di qualche interesse anche l'art. 100 A, pure introdotto con il su citato Atto unico (art. 18 legge di ratifica pure su citata), che al par. 3 stabilisce che la commissione, nelle proposte sottoposte a deliberazione del Consiglio, si basa, in alcune materie - tra le quali "la protezione dell'ambiente", su un "livello di protezione elevato". Di rilievo, nella specifica materia della fauna selvatica e della protezione di essa, la convenzione internazionale per la protezione degli uccelli, adottata a Parigi il 18 ottobre 1950 (legge di adesione n. 812/1978), la convenzione per la conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa, adottata a Berna il 19 settembre 1979 (ratificata con la legge n. 503/1981), la convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica, adottata a Bonn il 23 giugno 1979 (ratificata con la legge n. 42/1983); Le predette prime due convenzioni, di Parigi e di Berna, sono richiamate dalla legge quadro, che dichiara di darvi attuazione (art. 1/4), cosi' come avviene per le direttive n. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, n. 85/411/CEE della commissione del 25 luglio 1985 e n. 91/244/CEE della commissione del 6 marzo 1991, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici (medesimo articolo da ultimo citato). Quanto alla nostra Carta costituzionale, essa, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (trattasi di norma di carattere immediatamente precettivo, non subordinata alla emanazione di una legislazione di attuazione, di tal che l'eventuale assenza di detta legislazione non autorizza il giudice ad ignorare situazioni soggettive direttamente garantite dalla Costituzione: cfr. T.a.r. Lazio, III, n. 433/1992), tra i quali va annoverato il diritto all'ambiente; si deve all'elaborazione giurisprudenziale, in primo luogo della Corte costituzionale, la ricostruzione in termini unitari del bene ambiente (art. 9 della Costituzione), e la qualificazione di esso come bene giuridico primario ed essenziale (sentenze numeri 121, 122 e 123 del 1986, sentenze numeri 217 e 641 del 1987, ordinanza n. 186/1996). A livello di legislazione ordinaria, una prima attuazione del diritto all'ambiente globalmente inteso e' stata portata dalla legge n. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'ambiente; di particolare rilievo, gli artt. 13 e 18,. sulle associazioni ambientaliste, e l'art. 14/3, che riconosce a "qualsiasi cittadino", ancor prima della legge sul procedimento, che ha dettato la disciplina generale dell'accesso ai documenti amministrativi il "diritto di accesso alle informazione sullo stato dell'ambiente disponibili... presso gli uffici della p.a.". In materia di caccia, la piu' recente regolamentazione e' costituita dalla piu' volte richiamata legge n. 157/1992 (intitolata "norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"), che detta principi generali ed e' ispirata ad una chiara ratio di tutela del patrimonio faunistico (v. infra, piu' oltre in questo stesso paragrafo); detta legge ha abrogato la precedente legge quadro n. 968/1977. E' utile a questo punto ricordare che la regione Sicilia ha, in materia di caccia e pesca, la potesta' legislativa esclusiva o primaria, e che detta potesta' deve esercitare nei limiti derivanti dai principi dell'ordinamento giuridico statale, dalla riserva di legge statale (in campo penale, processuale e nella regolamentazione dei rapporti interprivati), il rispetto delle c.d. grandi riforme introdotte con leggi statali, nonche' il rispetto degli obblighi internazionali. Per quanto in particolare riguarda le grandi riforme, che qui vengono specificamente in rilievo, la Corte costituzionale ha spesso individuato fonti statali alle quali attribuire siffatta natura (per alcuni esempi, cfr. le sentenze nn. 12/1980, 21971984, 151/1986, 296/1986), e, come si e' poc'anzi avuto modo di ricordare, cio' e' avvenuto anche con riferimento ad alcune disposizioni della legge n. 157/1992 (v. sent. n. 323/1998; v., in relazione alla precedente legge-quadro n. 968/1977, la sent. della medesima Corte n. 1002/1988). Il collegio ritiene di confermare, in materia, l'orientamento gia' espresso nell'ordinanza n. 312/1997 - con la quale e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale del calendario venatorio dell'anno precedente - e di ritenere quindi i principi posti dalla predetta fonte statale, da considerare alla stregua di grande riforma economico-sociale, vincolanti anche per le regioni a statuto speciale. Militano in tal senso l'esplicita affermazione dell'appartenenza della fauna selvatica al patrimonio disponibile dello Stato (art. 1/1), l'affievolimento del diritto di caccia, subordinato all'interesse prevalente della conservazione del patrimonio faunistico e della protezione dell'ambiente agrario (art. 1/2), e pertanto sottoposto a regime concessorio (art. 12); l'imposizione di un regime di caccia controllata per tutto il territorio nazionale (v. ord. da ultimo cit.; cfr., con riferimento alla precedente legge-quadro n. 968/1977, C.S., VI, n. 1070/1992, che, sulla base di enunciazioni simili a quelle contenute nella legge piu' recente, e che sono state appena indicate, ha affermato la capacita' di detta fonte statale di condizionare, attraverso le norme fondamentali che in essa e' dato identificare, la legislazione esclusiva delle regioni e delle province a speciale autonomia). Alla luce di questa premessa generale, occorre adesso verificare in concreto se le singole disposizioni della legge-quadro sospettate di incostituzionalita' dalle associazioni ricorrenti costituiscano principi che il legislatore regionale era tenuto ad osservare, se esse abbiano cioe' detta forza vincolante, o se invece esse costituiscano "disposizioni di dettaglio che la medesima legge nazionale pone esclusivamente per le regioni a statuto ordinario", come vien detto nella memoria difensiva dell'Avvocatura dello Stato. Un chiarimento sembra in proposito necessario. La stessa tesi adombrata dalla difesa erariale e' gia' stata espressa in una sentenza del t.a.r. Palermo, I, n. 602/1995, che sottolinea nelle premesse "la particolare rilevanza" dell'art. 36, u.c., legge n. 157/1992, secondo cui le regioni a statuto speciale, entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa legge, "adeguano la propria legislazione ai principi ed alle norme stabiliti dalla presente legge nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti", e introduce, in una sorta di obiter dictum, una distinzione fra i principi fondamentali dell'ordinamento introdotti con la predetta legge e norme di dettaglio. Ad avviso del collegio, pero', il tenore dell'art. 36, u.c., appena ricordato, non sembra lasciare grande spazio a simili distinzioni, posto che essa impone un adeguamento non soltanto ai "principi", ma altresi' alle "norme", adoperando esattamente la stessa terminologia adoperata nel comma precedente con riguardo alle regioni a statuto ordinario; sicche', se un esclusivo riferimento ai primi sarebbe stato da intendere come principi fondamentali dell'ordinamento, o, se si preferisce, principi di grande riforma economico-sociale, l'uso del termine congiuntamente all'altro (norme), suggerisce una esegesi diversa, che assegna all'espressione complessivamente intesa un significato piu' pregnante, di adeguamento sia alla ratio sostanziale, ai principi ispiratori, sia alle prescrizioni letterali. In altre parole, norme di dettaglio potranno essere ritenute soltanto quelle che riguardano aspetti veramente marginali della disciplina considerata, non gia' norme che caratterizzano fortemente l'impianto della stessa (tali considerazioni saranno richiamate nel corso della disamina di specifiche questioni rispetto alle quali la natura di singole disposizioni della legge-quadro assume rilevanza). L'interpretazione qui prospettata trova ulteriore conforto nell'art. 14/17 della legge n. 157/1992, che recita: "Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, in base alle loro competenze esclusive, nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti ed ai sensi dell'art. 9, della legge n. 86/1989, e nel rispetto dei principi della presente legge, provvedono alla pianificazione faunistico-venatoria, alla suddivisione territorale, alla determinazione della densita' venatoria, nonche' alla regolamentazione per l'esercizio di caccia nel territorio di competenza", cioe' a quella regolamentazione minuta di aspetti concreti in cui le "norme di dettaglio", se cosi' si vuol chiamarle, hanno piu' spazio, ed in cui le particolarita' locali hanno maggiore possibilita' di trovare adeguata considerazione, senza tuttavia contrastare con i principi di fondo. 4.1. - La prima censura di incostituzionalita' dedotta dalle associazioni ricorrenti investe le disposizioni della legge regionale che disciplinano il procedimento di formazione del calendario venatorio, ed in particolare la mancata acquisizione del parere dell'organo tecnico-scientifico a carattere nazionale (I.n.f.s.) individuato dall'art. 7/3 della piu' volte citata legge-quadro come consulente istituzionale dello Stato, delle regioni (tutte, senza limitazioni alle sole regioni a statuto ordinario), e delle province, e che l'art. 18/4 impone alle regioni sentire prima della pubblicazione del calendario venatorio. Orbene, il collegio ritiene che le disposizioni della legge-quadro sul procedimento di formazione del calendario venatorio pongono limiti ai quali il legislatore ordinario deve adeguarsi. Se cosi' non fosse, il raggiungimento delle finalita' protettive della legge-quadro, cui sopra si accennava, sarebbero vanificate, potendo la predisposizione normativa di un iter procedimentale inteso alla salvaguardia delle specie faunistiche essere modificata dal legislatore regionale proprio con riferimento alle previsioini che in modo piu' spiccato sono state poste a garanzia del raggiungimento della finalita' di tutela che informa l'intera disciplina statale in esame. E' evidente che la partecipazione al procedimento dell'I.n.f.s. - avuto anche riguardo ai compiti generali che a detto organo sono affidati (art. 7), ed alla previsione (art. 7/2) che il Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con le regioni, provvede all'istituzione di unita' operative decentrate - ha una funzione di supporto, ausilio orientamento ed anche controllo dell'attivita' amministrativa in materia, funzione non a caso affidata ad un organo caratterizzato da alta specializzazione tecnica. Del resto, cio' non puo' stupire, essendo quella in esame una materia caratterizzatasi, fin dall'istituzione del Ministero per l'ambiente, e dunque fin dalla emanazione della citata legge n. 349/1986, per l'ampio spazio riconosciuto a formazioni (addirittura non inserite nella p.a., ma ad essa esterne, e da essa, per usare il linguaggio normativo, "individuate" - v. infra - con d.m.) che perseguono finalita' di tutela ambientale. Cio' ha consentito l'affidamento di compiti di garanzia di grande rilievo a soggetti, quali le associazioni ambientaliste, certamente estranei alla p.a., il cui ruolo e' stato istituzionalizzato attraverso il detto strumentale della c.d. individuazione con decreto ministeriale (art. 13, della legge n. 349/1986; art. 18, commi 4 e 5, della medesima legge), che finisce per farne enti ausiliari, la cui partecipazione ai procedimenti amministrativi che interferiscono con la materia ambientale risponde all'esigenza di superare le sacche di inerzia ed i comportamenti omissivi della p.a. in relazione ad un bene ritenuto dal legislatore fondamentale. Alla stessa ratio sostanziale, pur trattandosi in questo caso di un soggetto di natura pubblicistica, si ispira la sopra sintetizzata disciplina delle attribuzioni dell'I.n.f.s., i pareri del quale hanno lo scopo di fornire alla p.a. attributaria delle funzioni amministrative in materia le speciali conoscenze tecniche necessarie ad operare scelte conformi alle finalita' protettive cui si ispira tutta la produzione normativa statale e non statale riferita all'ambiente. In proposito, si sottolinea che non a caso il collegio richiama la nozione di funzione - cosi' per altro si esprime la legge-quadro, all'art. 9, ove si parla delle "funzioni amministrative" delle regioni - che, come e' noto, consiste nel potere concepito in relazione alla realizzazione di determinati interessi, ovviamente pubblici, ed ovviamente intesi non come l'interesse dell'amministrazione concepita come apparato organizzativo autonomo; qui rileva il c.d. interesse pubblico primario, che abbraccia gli interessi individuali prevalenti in una data organizzazione giuridica della collettivita', mentre l'interesse dell'apparato, ove si voglia concepire un interesse dell'apparato unitariamente considerato, sarebbe semplicemente uno degli interessi secondari che coesistono nell'ambito di quella collettivita', e che, come tutti gli altri interessi secondari, possono essere realizzati soltanto in caso di coincidenza, e nei limiti di detta coincidenza, con l'interesse collettivo primario e pubblico. Se cosi' si concepisce la funzione attribuita all'assessorato regionale resistente in materia di caccia, non e' difficile individuare l'interesse primario nell'interesse alla tutela ambientale in senso lato (conservazione delle specie protette, rispetto all'agricoltura e dell'habitat di dette specie), mentre tutti gli altri interessi (ed in primo luogo quello dei cacciatori) appaiono secondari, e realizzabili soltanto nei limiti su precisati. In altre parole, nell'emanazione degli atti impugnati dalle associazioni ambientaliste, ed adottati in applicazione della normativa della cui rispondeva ai principi costituzionali si sospetta, la p.a. deve innanzitutto perseguire la tutela dell'interesse pubblico primario di cui s'e' detto, mentre eventuali conflitti di detto interesse con tutti gli altri interessi compresenti - che sono interessi secondari - vanno risolti in favore dell'interesse primario, che deve prevalere (la ricostruzione gerarchizzata degli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento di cui trattasi e' chiara nella legge statale, che - come gia' si e' avuto modo di ricordare - consente, sottoponendolo a concessione - art. 12 l'esercizio dell'attivita' venatoria, "purche' non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole", come stabilisce l'art. 1/2). In conclusione, se si tengono presenti, nel ricostruire il sistema normativo statale in materia di caccia, le finalita' di tutela ambientale espressamente richiamate dal legislatore, risulta evidente che anche ed in primo luogo alle norme che regolano i procedimenti amministrativi interferenti con detta materia deve essere riconosciuta la natura di norme di grande riforma economico-sociale, che pertanto pongono un vincolo anche sull'esercizio della potesta' normativa primaria o esclusiva. Il collegio non ignora che analoga questione, prospettatta da altra associazione ambientalista nei confronti del calendario venatorio del 1994/1995, e' stata risolta in senso opposto dal t.a.r. di Palermo con la citata sentenza della sezione I, n. 602/1995, nella quale, pur senza farsi espresso richiamo alla premessa fondamentale dalla quale il tribunale prende le mosse, si conclude - con specifico riguardo alla omessa acquisizione del parere dell'I.n.f.s. (con riferimento alla previgente legge regionale n. 37/1981) - nel senso della legittimita', sotto questo profilo, del calendario venatorio 1994/1995, sul semplice rilievo della circostanza che, nella fattispecie da esso t.a.r. esaminata, era stato acquisito il parere del comitato regionale faunistico-venatorio, implicitamente affermandosi la natura di "norma di dettaglio" della disposizione nazionale, e la piena e totale fungibilita' dei due organi tecnici. Muovendo invece dalle diverse premesse dalle quali muove il collegio, e gia' ampiamente illustrate, secondo cui norme di dettaglio potranno essere ritenute soltanto quelle che riguardano aspetti veramente marginali della disciplina considerata, non gia' norme che caratterizzano fortemente l'impianto della stessa, quali, ad avviso del collegio, le norme che regolano i procedimenti rilevanti in materia, la soluzione non puo' essere opposta rispetto a quella offerta nella sentenza del t.a.r. di Palermo. In conclusione, poiche' risulta testualmente che l'emanazione del d.a. impugnato e' avvenuta dietro "preventivo parere sulla determinazione di consentire l'esercizio venatorio per determinare specie ... a partire dal 2 settembre", mentre sulla proposta di calendario venatorio (in tutti i suoi aspetti) e' stato acquisito (soltanto) il parere del comitato regionale faunistico-venatorio, conformemente alla previsione del combinato disposto dell'art. 19/1, della legge regionale n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, della legge n. 15/1998, e dell'art. 18/1, della legge regionale n. 33/1997, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzione delle disposizioni appena richiamate, per violazione dell'art. 14 dello statuto regionale siciliano (approvato con r.d. l.gs n. 455/1946), in quanto le disposizioni stesse si pongono in contrasto con le norme di riforma economico-sociale contenute nella legge-quadro (art. 18/4, della legge n. 157/1992). 4.2. - Le associazioni ambientaliste hanno espresso sospetti di incostituzionalita' - secondo motivo di gravame - anche nei confronti della disciplina regionale degli ambiti territoriali di caccia (art. 22, della legge regionale n. 33/1997, come modificato dall'art. 8, della legge regionale n. 15/1998), sostenendo che detta disciplina viola e vanifica i principi ispiratori della corrispondente normativa della legge-quadro (artt. 10 e 14, della legge n. 157/1997), volta a regolamentare e limitare gli spostamenti dei cacciatori sul territorio, ancorandone l'attivita' al territorio di residenza e fissando criteri per la circolazione dei medesimi. In particolare, la regione, secondo la normativa nazionale, dovrebbe innanzituttto preventivamente pianificare l'attivita' venatoria sul territorio regionale, adottando l'apposito piano faunistico-venatorio, con il quale dovrebbero essere individuate le aree agro-silvo-pastorali destinate alla protezione della fauna selvatica ed alla gestione privata della caccia; in via residuale, poi, si determinerebbero gli ambiti territoriali di caccia, in cui la regione puo' promuovere forme di gestione programmata della caccia. Detta gestione programmata, poi, dovrebbero ispirarsi ai seguenti criteri: a) dimensione sub-provinciale, omogeneita' e delimitazione rispettosa dei confini naturali; b) diritto di accesso del cacciatore ad un solo ambito territoriale di caccia, compreso nella regione di residenza; possibilita' di accesso ad altri ambiti territoriali - della stessa o diversa regione - subordinata al preventivo assenso degli organi di gestione competenti; c) previa fissazione dell'indice di densita' venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia; d) divieto, per gli organi direttivi dell'ambito territoriale di caccia, di consentire l'accesso di cacciatori in numero superiore a quello fissato con regolamento se non previo accertamento, anche mediante censimenti, delle modificazioni in aumento della popolazione faunistica; e) definizione con legge regionale del numero dei cacciatori non residenti ammissibili nei territori compresi negli ambiti territoriali di caccia. Orbene, sostengono le associazioni ricorrenti, in Sicilia il modello fissato nella legge nazionale non e' stato seguito, sia sotto il profilo della concreta individuazione degli ambiti territoriali di caccia, sia sotto quello della regolamentazione del diritto di accesso. In particolare, precisano le associazioni ricorrenti, il legislatore regionale - omessa la preventiva pianificazione -, ha, in violazione dei criteri su indicati sub a), indentificato, sic e simpliciter, gli ambiti territoriali di caccia con le province; ovvero con il territorio delle medesime. In violazione, poi, dei criteri indicati sub b), il legislatore regionale (art. 22/5, della legge regionale n. 33/1997) ha consentito al cacciatore il diritto di accesso non soltanto all'ambito territoriale di caccia ricadente nella provincia di residenza, ma anche in due ulteriori ambiti territoriali secondo il criterio cronologico della presentazione delle domande, allorche' negli ambiti prescelti non si sia raggiunta la densita' massima di cacciatori ammissibili, ed infine, a partire dalla prima domenica di novembre e per la selvaggina migratoria, oltre che nei tre ambiti territoriali suddetti, in tutti gli altri ambiti territoriali della regione; viene altresi' consentito (comma 6 del citato art. 22) l'accesso ai cacciatori provenienti da altre regioni. Il comma 7 della ripetuta disposizione accorpa le isole minori siciliane ai rispettivi ambiti territoriali della provincia cui appartengono. Ad avviso delle associazioni ricorrenti, tale disciplina - di cui il calendario venatorio impugnato costituisce applicazione - viola i principi restrittivi imposti dall'art. 14 della legge-quadro, che consente l'accesso ad uno solo fra ambiti territoriali a dimensione sub-provinciale, e subordina l'accesso ai cacciatori non residenti nella regione al consenso degli organi di gestione dell'ambito territoriale di caccia. In effetti la stessa Corte costituzionale (sent. n. 448/1997), ha chiarito che "la disciplina faunistico-venatoria ha il suo tratto caratterizzante nella pianificazione di tutto il territorio agro-silvo-pastorale", sicche' detto territorio, in ogni regione, viene destinato (art. 10, legge n. 157/1992) per una quota dal 20 al 30 per cento alla protezione della fauna selvatica, e, per una quota non superiore al 15 per cento, alla istituzione di centri privati per la riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed all'esercizio della caccia riservata a gestione privata, mentre sulla quota residuale le regioni promuovono forme di gestione programmata della caccia, attraverso la ripartizione in ambiti territoriali di dimensioni sub-provinciali, sentite le province interessate nonche' le organizzazioni professionali agricole; i piani faunistico-ventatori "costituiscono la sede procedimentale per l'individuazione ... di spazi a destinazione differenziata nell'ambito di un complessivo bilanciamento di interessi nel quale trovano considerazione, accanto alle esigenze di protezione della fauna, quelle venatorie e quelle, altresi', degli agricoltori, interessati non solo al contenimento della fauna selvatica che si riproduce spontaneamente, ma anche all'impedimento di una attivita' venatoria indiscriminata". In sostanza, le argomentazioni della Corte appena richiamate confermano l'esattezza dell'orientamento espresso gia' nel paragrafo precedente, che, nella materia in esame, ravvisa l'interesse pubblico primario nell'interesse alla protezione delle specie animali e dell'ambiente naturale in cui le stesse sono collocate, mentre gli altri interessi compresenti, in quanto secondari, possono trovare realizzazione e soddisfacimento soltanto ove coincidano, e nei limiti in cui coincidano, con detto interesse primario, tanto e' vero che la medesima Corte (sentenza n. 63/1990) ha riconosciuto all'attivita' venatoria non soltanto la finalita' dell'abbattimento di animali selvatici, ma anche, congiuntamente, quella della protezione dell'ambiente naturale e di ogni forma di vita (che e' addirittura di piu' di quello che richiede la legge-quadro, che stabilisce il limite, palesemente meno intenso, del "non contrasto"). Tutto cio' premesso, ne consegue che anche le disposizioni della legge-quadro richiamate dalle associazioni ricorrenti (artt. 10 e 14 della legge n. 157/1997) presentano il carattere di grande riforma economico-sociale, il che comporta la necessita', per il legislatore regionale, ancorche' si tratti di regione a statuto speciale, di adeguarvisi. Orbene, appare evidente che le disposizioni censurate contrastano con la disciplina dettata in sede nazionale. La mancata adozione dei piani faunistico-venatori (l'impugnato calendario venatorio, nel preambolo, accenna al piano "in fase di predisposizione"), la identificazione, sic et simpliciter, degli ambiti territoriali di caccia con il territorio provinciale (art. 22/2), la possibilita', per i cacciatori, di avere accesso non soltanto all'ambito territoriale di caccia ricadente nella provincia di residenza, ma anche in due ulteriori ambiti territoriali secondo il criterio cronologico della presentazione delle domande, allorche' negli ambiti prescelti non (co. 5 e 6 del medesimo art. 22) si sia raggiunta la densita' massima di cacciatori ammissibili, ed infine, a partire dalla prima domenica di novembre e per la selvaggina migratoria, oltre che nei tre ambiti territoriali suddetti, in tutti gli altri ambiti territoriali della regione, la possibilita' di accesso per i cacciatori provenienti da altre regioni, comportano violazione dei criteri di cui agli artt. 10 e 14 della legge n. 157/1992, il primo dei quali richiede una diversa, piu' complessa ed articolata regolamentazione della caccia sono il profilo territoriale, incentrata sulla pianificazione, mentre il secondo consente l'accesso ad uno solo fra gli ambiti territoriali a dimensione sub-provinciale, e subordina l'accesso ai cacciatori non residenti nella regione al consenso degli organi di gestione dell'ambito territoriale di caccia. Del resto, al di la' ed al disopra degli sforzi interpretativi volti alla ricostruzione del sistema normativo, dei suoi diversi livelli, e dei rapporti fra detti livelli intercorrenti, con assoluta chiarezza come gia' si e' avuto modo di rilevare in premessa (par. 4), l'art. 14/17 della legge n. 157/1992 recita: "Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, in base alle loro competenze esclusive, nei limiti stabiliti dai rispettivi ed ai sensi dell'art. 9, della legge n.86/1989., e nel rispetto dei principi della presente legge, provvedono alla pianificazione faunistico-venatoria, alla suddivisione territoriale, alla determinazione della densita' venatoria, nonche' alla regolamentazione per l'esercizio di caccia nel territorio di competenza" mentre l'art. 36, u.c., stabilisce che le regioni a statuto speciale e le province autonome, entro un anno dalla entrata in vigore della legge medesima, devono adeguare "la propria legislazione ai principi ed alle norme stabiliti dalla presente legge" (come si e' gia' sottolineato, il linguaggio che il legislatore usa per definire le modalita' dell'adeguamento, e' uniforme per le regioni a statuto ordinario, contemplate al penultimo comma, e per quelle a statuto speciale, di cui al comma successivo, per le quali si aggiunge soltanto il riferimento ai limiti - generalissimi - della Costituzione e dei rispettivi statuti). In conclusione, alla luce di tutte le precedenti considerazioni e del raffronto fra i principi e le norme della legge-quadro e le disposizioni regionali censurate appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata con il secondo motivo di gravame ed esaminata nel presente paragrafo (incostituzionalita' dell'art. 22 l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 8 l.r. n. 15/1998, per violazione dell'art. 14 statuto regionale, in quanto contrastante con gli artt. 10 e 14 della legge n. 157/1992). 4.3. - Le associazioni ricorrenti sospettano di incostituzionalita' l'art. 19/1 l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6 l.r. n. 15/1998, in relazione alla normativa nazionale e comunitaria in materia di specie cacciabili, in particolare per la sottoposizione a prelievo venatorio della lepre comune, di cinghiale, della coturnice siciliana e del fagiano (terzo motivo di gravame). Il calendario venatorio impugnato, infatti, all'art. 1 individua anche le specie su elencate fra quelle oggetto di caccia, in applicazione delle disposizioni regionali appena richiamate. In particolare, le associazioni ricorrenti sostengono: a) che la coturnice risulta inserita nell'allegato 1 della Direttiva CEE n. 79/409 e successive modificazioni ed integrazioni, come specie meritevole di particolare protezione, cosicche', ai sensi dell'art. 7, n. 4, della medesima Direttiva, la caccia di tale specie deve rispettare il principio della saggia utilizzazione delle specie, e deve essere compatibile con il contingente numerico delle stesse, come pure prescrive l'art. 7/3 Convenzione di Berna (recepita in Italia con legge n. 503/1981); precisandosi, inoltre, che - pur non sussistendo un generale divieto di caccia rispetto alle specie di cui all. 1 sopra richiamato - tuttavia l'art. 4 della medesima Direttiva sancisce l'obbligo di adottare misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, al fine di garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione; che, pertanto, la incondizionata inclusione della coturnice fra le specie cacciabili, non essendo stata adottata alcuna misura di tutela, si pone in contrasto con la richiamata normativa di protezione ed altresi' con l'art. 2, lett. b), Convenzione di Parigi, recepita in Italia con la legge n. 812/1978, che stabilisce il divieto di caccia, per tutto l'anno, delle specie minacciate di estinzione oppure che presentino interesse scientifico; b) che il fagiano ed il cinghiale, non rientrando fra le specie appartenenti alla fauna regionale, non sono assoggettabili a prelievo venatorio ai sensi dell'art. 2, comma 1 e 5 l.r. n. 33 cit., sicche' non e' consentito prevederne la cacciabilita' senza al contempo disciplinare l'immissione di dette specie nel territorio regionale, ai sensi dell'art. 11 Direttiva CEE sopra citata, che prevede anche la consultazione preventiva della Commissione CEE per l'inserimento di specie alloctone fra quelle cacciabili, dell'art. 11/2, lett. b), Convenzione.di Berna, e dell'art. 22/1, lett. b) Direttiva CEE n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, che impone, per la detta immissione di specie alloctone, la salvaguardia della flora e della fauna esistenti, e la previa predisposizione di studi da comunicarsi al comitato istituito dalla medesima Direttiva da ultimo cit.; che risulta violato anche l'art. 10/7, della legge n. 157/1992 cit., che subordina l'immissione di specie alloctone a verifiche dell'INFS ed al parere delle organizzazioni agricole. c) che in Sicilia esistono soltanto popolazioni di lepre appenninica, specie non inclusa fra quelle cacciabili dall'art. 18, della legge n. 157/1992 cit., in quanto implicitamente riconosciuta come specie meritevole di protezione, e non anche di lepre comune, di talche' l'inserzione di detta ultima specie tra quelle cacciabili si risolve nel consentire surrettiziamente l'abbattimento della specie protetta (lepre appenninica), con riflessi anche in materia penale, non risultando nemmeno sanzionato - trattandosi di specie cacciabile - l'abbattimento della lepre comune. Osserva, in proposito, il collegio: con riferimento al punto a), che parte resistente ha sufficientemente comprovato l'adozione di misure di tutela nei confronti della coturnice (specie che, come le stesse associazioni ricorrenti rilevano, non rientra, fra quelle assolutamente non cacciabili ai sensi della richiamata normativa comunitaria); in particolare, e' stata prodotta una nota dell'Assessorato agricoltura (prot. n. 3088 del 6 luglio 1996), nella quale, rispondendo al Commissario dello Stato per la regione Sicilia, l'Assessore compila un rendiconto delle "misure atte a mantenere gli habitat della coturnice siciliana seppure inserita tra le specie cacciabili nella l.r. n. 37/1981", come la istituzione di zone di ripopolamento e di oasi di protezione, il finanziamento di progetti di miglioramento ambientale in aziende faunistico-venatorie e gestioni sociali del territorio (la eventuale inadeguatezza di dette misure avrebbe richiesto una puntuale ed argomentata dimostrazione da parte delle ricorrenti, che si limitano a negare, apoditticamente, la idoneita' del previsto censimento di consistenza della specie all'effettuazione del quale l'art. 19/2, l.r. n. 33 piu' volte cit. subordina la caccia alla coturnice); con riferimento al punto b) che la presenza del cinghiale appare documentata (si vedano, nella produzione della difesa erariale: il D.A. n. 24/21 del 20 giugno 1989, in cui si lamentano danni all'agricoltura, all'equilibrio biologico ed al patrimonio faunistico "per la presenza del cinghiale"; la nota dell'ufficio legislativo e legale presso la Presidenza della regione, prot. n. 16327/214.95.11, avente ad oggetto la "risarcibilita' dei danni causati da cinghiali" con la quale si risponde alla richiesta - nota prot. n. 2757 del 19 maggio 1995 - di parere sul tema da parte dell'Assessorato reg.le agricoltura) in epoca certamente anteriore ai provvedimenti normativi ed amministrativi regionali che il collegio ha esaminato, sicche' non puo' ragionevolmente sostenersi che l'introduzione di detta specie nel territorio regionale e' da collegare al calendario venatorio impugnato ed alla normativa di cui quest'ultimo costituisce applicazione; quanto, poi, alla non appartenenza del fagiano alla fauna selvatica siciliana, questa avrebbe dovuto essere meglio documentata); che, con riferimento al punto c), la difesa erariale ha prodotto una nota dell'I.N.F.S. (n. prot. 5789/T-D2 del 21 ottobre 1998), in cui testualmente si afferma che "lo stato di avanzamento dello studio ormai consente di confermare l'ipotesi di collocazione al livello specifico della forma autoctona siciliana, ovvero della lepre italica (lepus corsicanus, De Winton 1898), erroneamente considerata in precedenza una sottospecie della lepre europea (lepus europaeus)... tutti i campioni di lepre raccolti direttamente o indirettamente in Sicilia sono stati identificati come lepre italica, pertanto questa sembra essere l'unica con popolazioni vitali sull'isola"; e che sembra, pertanto, confermata la esattezza di quanto sostenuto dalle associazioni ricorrenti, e cioe' che - pag. 22 s. del ricorso - "la inclusione della lepre comune tra quelle appartenenti alla fauna siciliana nella l.r. n. 33/1997 e nel calendario venatorio impugnato, non esistendo per converso detta specie "in stato di naturale liberta' nel territorio regionale", si rivela manifestamente incostituzionale, oltre che surrettizia ed idonea a fungere piuttosto da copertura per l'abbattimento indiscriminato di una specie invero protetta quale la lepre appenninica (lepus corsicanus); con la ulteriore conseguenza che la norma regionale in questione, finendo con l'ingenerare una notevole confusione tra due specie di lepre del tutto diverse (di cui l'una meritevole di conservazione), si risolve altresi' in una grave interferenza nella materia penale, non risultando nemmeno sanzionato (trattandosi di specie cacciabile) l'abbattimento della lepre comune". In conclusione, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale in esame con esclusivo riferimento a quanto appena osservato in relazione alla cacciabilita' della lepre. 4.4. - Gli artt. 17/6 e 26/4 (come modificato dall'art. 11 l.r. n. 15/1998) l.r. n. 33/1997, sarebbero, ad avviso delle associazioni ricorrenti, in contrasto con gli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge n. 157/1992 (quarto motivo di gravame). Il legislatore regionale ha omesso di prevedere limiti temporali all'attivita' di abbattimento nelle aziende agro-venatorie ed ha esonerato coloro che esercitano la caccia in dette aziende dall'obbligo di rispettare i limiti di abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente valgono per il prelievo venatorio. Cio' urterebbe contro le norme della legge quadro su indicate, che - secondo le ricorrenti - chiaramente considerano l'attivita' venatoria svolta nelle aziende agro-venatorie alla stessa stregua dell'attivita' venatoria svolta in qualunque altro luogo, anche ed in primo luogo sotto il profilo dei limiti temporali stabiliti in generale per la caccia dall'art. 18 della medesima legge. Sotto altro profilo, poi, le disposizioni in esame sarebbero incostituzionali, realizzandosi attraverso esse una indebita ed inammissibile interferenza in materia penale da parte del legislatore regionale; il quale non ha tenuto conto del fatto che il generale divieto di cacciare al di fuori dei periodi fissati dalla legge e' penalmente sanzionato; sicche' si configura nella fattispecie violazione (diretta) dell'art. 25/2 Cost., che riserva alla legge statale la materia penale. Infine, le medesime norme regionali contrasterebbero con il combinato disposto degli artt. 16 e 18/4 della legge-quadro, che assoggetta l'esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie al limite del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attivita' venatoria, sotto il profilo della indebita delega in bianco attribuita dall'art. 26/4, l.r. n. 33/1997 alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, le quali dovrebbero dettare in materia prescrizioni non meglio precisate per regolamentare le modalita' di esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie e per fissare i limiti di abbattimento per ogni specie, con l'ulteriore ed aggravante circostanza della mancanza di criteri omogenei ed uniformi valevoli in tutto il territorio regionale. Il collegio ritiene, alla luce di tutte le considerazioni gia' svolte in diversi punti della trattazione che precede in ordine alla necessita' di adeguamento della legislazione regionale - anche nelle regioni a statuto speciale - alle norme ed ai principi statali, per tutto cio' che non rientra fra gli aspetti marginali dalla stessa difesa erariale definiti "di dettaglio", che anche l'aspetto della disciplina regionale qui censurato sia sospettabile di incostituzionalita', non potendosi, ad avviso del collegio, considerare le disposizioni di cui si assume la violazione come disposizioni "di dettaglio". Per altro, l'esercizio dell'attivita' venatoria nella aziende agri-turistico-venatorie e' delineato in maniera precisa dalla legge-quadro, che vincola tale attivita' all'osservanza degli stessi limiti che valgono in generale per l'attivita' venatoria (art. 16/4), espressamente eccettuati quelli di cui all'art. 12/5. Appare, pertanto, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 17/6 e 26/4 (come modificato dall'art. 11, l.r. n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, in quanto contrastanti con gli artt. 12, 16, 18 e 30, della legge n. 157/1992, per avere il legislatore regionale: a) omesso di prevedere limiti temporali all'attivita' di abbattimento nelle aziende agro-venatorie; b) esonerato coloro che esercitano la caccia in dette aziende dall'obbligo di rispettare i limiti di abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente valgono per il prelievo venatorio, e cio' in violazione, particolarmente, del combinato disposto degli artt. 16 e 18/4 della legge-quadro, che assoggetta l'esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie al limite del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attivita' venatoria, e sotto l'ulteriore profilo della attribuzione della regolamentazione di tali aspetti, in base all'art. 26/4, l.r. n. 33/1997, alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio; infine, e' stata realizzata una interferenza in materia penale, non essendosi tenuto conto del fatto che il generale divieto di cacciare al di fuori dei periodi fissati dalla legge e' penalmente sanzionato, con violazione (diretta) dell'art. 25/2 Cost., che riserva alla legge statale la materia penale. 4.5. - Con l'ultimo motivo di gravame si deduce la incostituzionalita' dell'art. 18/3, l.r. n. 33/1997 in relazione agli artt. 13 e 30, della legge n. 157/1992. La disposizione regionale consente la caccia con il furetto, che non risulta incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 13 della legge n. 157/1992 (che esprime - comma 5 - un generale divieto per tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio non esplicitamente ammessi "dal presente articolo"); pertanto, secondo le associazioni ricorrenti, non soltanto si viola l'art. 14 dello statuto, ma si realizza anche una indebita interferenza in materia penale, consentendo una condotta sanzionata penalmente dalla legge statale (art. 30, lett. h), della legge n. 157/1992). Il collegio ritiene che la disciplina dei "mezzi per l'esercizio dell'attivita' venatoria" non possa che essere generale ed uniforme in tutto il territorio nazionale, e che, pertanto, i divieti stabiliti dalla legge-quadro - che si e' preoccupata, come si e' appena visto, di sancire espressamente la tassativita' dell'elenco dei mezzi consentiti, proprio per evitare fenomeni locali e regionali di abbassamento della soglia di tutela - vadano annoverati fra i principi vincolanti anche per il legislatore delle regioni a speciale autonomia, e non - per riprendere la terminologia adoperata dalla difesa erariale - fra le "disposizioni di dettaglio che la medesima legge nazionale pone esclusivamente per le regioni a statuto ordinario", potendo eventualmente le regioni disporre in difformita' dalla legge nazionale per rafforzare le misure di protezione, e non per diminuirle. La conclusione cui si perviene, che comporta la non manifesta infondate zza della questione di costituzionalita' dell'art. 18/3, nei termini di cui si e' detto, e' corroborata dal connesso profilo penalistico, essendo l'esercizio della caccia con mezzi vietati sanzionato dall'art. 30, lett. h), della legge nazionale, alla quale soltanto e' riservata la materia dell'illecito e della sua repressione. 5.5. - Conclusivamente, atteso che le dedotte questioni di costituzionalita' appaiono rilevanti per la decisione del ricorso, e, a giudizio del collegio, non manifestamente infondate, si rende necessario sospendere il presente giudizio (sia nella fase cautelare che in quella di merito) in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulle eccezioni di incostituzionalita': a) dell'art. 19/1, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art, 6, l.r. n. 15/1998, e dell'art. 18/1, l.r. n. 33/1997, in combinato disposto, per violazione dell'art. 14 dello statuto regionale siciliano (approvato con r.d. lgs. n. 455/1946), in quanto le disposizioni stesse si pongono in contrasto con le norme di riforma economico-sociale contenute nella legge quadro (art. 18/4, legge n. 157/1992); b) dell'art. 22 l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 8, l.r. n. 15/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in quanto contrastante con gli artt. 10 e 14, legge n. 157/1992; c) dell'art. 19, comma 1 e 2, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r. n. 157/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in quanto contrastante con l'art. 18, legge n. 157/1992, per quanto attiene alla cacciabilita' della lepre, e per violazione dell'art. 25/2 Cost., che riserva alla legge statale la materia penale; d) degli artt. 17/6 e 26/4 (come modificato dall'art. 11, l.r. n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in quanto contrastanti con gli artt. 12, 16, 18 e 30, della legge n. 157/1992, per avere il legislatore regionale; a) omesso di prevedere limiti temporali all'attivita di abbattimento nelle aziende agro-venatorie; b) esonerato coloro che esercitano la caccia in dette aziende dall'obbligo di rispettare i limiti di abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente valgono per il prelievo venatorio e cio' in violazione, particolarmente, del combinato disposto degli artt. 16 e 18/4 della legge-quadro, che assoggetta l'esercizio della caccia nelle aziende agro-venatorie al limite del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attivita' venatoria, e sotto l'ulteriore profilo della attribuzione della regolamentazione di tali aspetti, in base all'art. 26/4, l.r. n. 33/1997, alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio; infine, e' stata realizzata una interferenza in materia penale, non essendosi tenuto conto del fatto che il generale divieto di cacciare al di fuori dei periodi fissati dalla legge e' penalmente sanzionato, con violazione (diretta) dell'art. 25/2 Cost., che riserva alla legge statale la materia penale; e) dell'art. 18/3, l.r. n. 33/1997, per violazione dell'art. 14 statuto regionale, in relazione agli artt. 13 e 30, legge n. 157/1992, e dell'art. 25/2 Cost.
P. Q. M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 19/1, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r. n. 15/1998, e dell'art. 18/1, l.r. n. 33/1997, in combinato disposto, per violazione dell'art. 14 dello statuto regionale siciliano (approvato con r.d. lgs. n. 455/1946), in quanto le disposizioni stesse si pongono in contrasto con le norme di riforma economico-sociale contenute nella legge-quadro (art. 18/4, legge n. 157/1992), 22, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 8, l.r. n. 15/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in quanto contrastante con gli artt. 10 e 14, l.r. n. 157/1992; 19, comma 1 e 2, l.r. n. 33/1997, come modificato dall'art. 6, l.r. n. 157/1998, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in quanto contrastante con l'art. 18, della legge n. 157/1992, per quanto attiene alla cacciabilita' della lepre, e per violazione dell'art. 25/2 Cost.; 17/6 e 26/4 (come modificato dall'art. 11, l.r. n. 15/1998), l.r. n. 33/1997, per violazione dell'art. 14, statuto regionale, in quanto contrastanti con gli artt 12, 16, 18 e 30, della legge n. 157/1992, e per violazione dell'art. 25/2 Cost.; 18/3 l.r. n. 33/1997, per violazione dell'art. 14 statuto regionale, in relazione agli artt. 13 e 30, legge n. 157/1992, e dell'art. 25/2 Cost.; Dispone, a norma dell'art. 23/2, legge n. 87/1953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il presente giudizio (sia nella fase cautelare sia in quella di merito); Manda alla segreteria di notificare copia della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana ed al Presidente della regione Sicilia. Cosi' deciso in Catania, nella camera di consiglio del 14-16 dicembre 1998. Il presidente: Zingales L'estensore: Messina 99C0521