N. 309 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 1999

                                N. 309
  Ordinanza  emessa  il  9  marzo  1999  dal  tribunale amministrativo
 regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Palmintieri  Carmela
 contro l'Azienda unita' sanitaria locale n. 1 di Agrigento
 Giustizia  amministrativa  -  Devoluzione  al  giudice amministrativo
    delle controversie riguardanti le attivita' e  le  prestazioni  di
    ogni  genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento
    dei pubblici servizi, ivi comprese  quelle  relative  al  Servizio
    sanitario  nazionale  - Mezzi processuali utilizzabili dal giudice
    amministrativo - Mancata previsione dell'utilizzabilita' di  tutti
    i  mezzi  processuali  previsti  dal  codice di rito per la tutela
    sommaria dei diritti, con particolare riferimento a quelli di  cui
    al  titolo  I  del  libro  IV del cod. proc. civ. - Violazione dei
    principi di uguaglianza, di imparzialita' e buon  andamento  della
    p.a.
 (D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33).
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 486/1999 r.g.,
 proposto dalla dott.ssa  Palminteri  Carmela,  titolare  dell'omonima
 farmacia  con sede in Sambuca di Sicilia (AG), rappresentata e difesa
 dall'avv. Sebastiano Maurizio Timineri,  presso  il  cui  studio,  in
 Palermo, via Vittorio Emanuele, n. 492, e' elettivamente domiciliata;
   Contro  l'Azienda  Unita'  sanitaria  locale  n. 1 di Agrigento, in
 persona del  legale  rapp.te  pro-tempore,  rappresentato  e  difeso,
 dall'avv.      Giovanni   Iacono   Manno,   unitamente  al  quale  e'
 elettivamente domiciliato in Palermo, via Cartagine n. 2,  presso  la
 sig.ra  Spallino Rosa Mazzola, per la condanna previa emissione di un
 provvedimento cautelare e di urgenza ex artt. 669-sexies e 700 c.p.c.
 e 21, u.c. della legge n. 1034/1971, con contestuale  ingiunzione  di
 pagamento  delle  forniture  di  medicinali effettuate dal farmacista
 ricorrente alla predetta Azienda, ex art. 186-ter c.p.c.  e  condanna
 alle spese ex art. 641, c.p.c. uc.;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto   l'atto   di   costituzione  in  giudizio  dell'A.U.S.L.  di
 Agrigento;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Designato relatore il cons. dott. Calogero Ferlisi;
   Udito, all'udienza camerale del 9 marzo 1999, l'avv. S. M. Timineri
 per la ricorrente, G. Iacono Manno per l'A.U.S.L. resistente;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
                               F a t t o
   1. - Col  ricorso  in  esame,  notificato  alla  controparte  il  2
 febbraio  1999,  depositato  il  giorno  18  successivo,  la dott.ssa
 Palminteri Carmela espone:
     A) ella e'  titolare  di  farmacia  che,  in  forza  dell'accordo
 nazionale  stipulato  con  il  Servizio  sanitario  nazionale  per la
 disciplina dei  rapporti  relativi  all'assistenza  farmaceutica,  ha
 provveduto   ad  effettuare,  secondo  la  normativa  in  vigore,  la
 fornitura relativa ai mesi di ottobre e novembre 1998,  come  risulta
 dalle   distinte   contabili   riepilogative,   per   complessive  L.
 93.547.097.
     B) ai sensi del comma 5 dell'art. 8 del d.P.R. 8 luglio 1998,  n.
 371,  approvativo del regolamento recante norme concernenti l'accordo
 collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con  le  farmacie
 pubbliche e private, il termine ultimo per l'effettiva corresponsione
 dell'importo  relativo  alla fornitura dei medicinali, sulla base del
 documento contabile e' fissato, comunque, nell'ultimo giorno del mese
 successivo a quello di spedizione delle ricette. Poiche',  pero',  la
 regione  Sicilia,  non  ha  ancora  provveduto  ad adottare l'accordo
 regionale richiamato dal d.P.R. n. 371/1998, deve tuttora applicarsi,
 il precedente d.P.R. n. 94 del 21 febbraio 1989 il quale, all'art.  9
 stabilisce che il pagamento delle  forniture  di  cui  alle  distinte
 contabili  riepilogative,  debba avvenire entro il giorno 25 del mese
 successivo a quello di spedizione delle ricette.
     C) nonostante l'odierna ricorrente abbia provveduto a  consegnare
 all'Azienda  U.S.L.  n.  1  di  Agrigento  le  ricette ed il relativo
 documento contabile entro il giorno 5 del mese successivo a quello di
 spedizione, nonche' alla formale messa in  mora  dell'Amministrazione
 resistente,  la  stessa,  ad  oggi,  non  ha  provveduto al pagamento
 dell'importo  dovutole,  violando   cosi'   le   norme   dell'Accordo
 collettivo  nazionale  che, ai sensi dell'art. 8, comma 2, del d.lgs.
 n.  502/1992 e successive modificazioni, regola il rapporto che si e'
 instaurato  nell'ambito  del  Servizio  sanitario  nazionale  con  le
 farmacie  aperte  al  pubblico, che assumono, quindi, la figura ed il
 ruolo di gestori di un pubblico servizio.
   2.  -  Premesso  che,  nella  fattispecie,  si  verte  in  tema  di
 giurisdizione  esclusiva  ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. b) ed
 f), d.lgs.  n. 80/1998, la ricorrente afferma il proprio  diritto  al
 pronto pagamento della complessiva somma di L. 93.547.097, maggiorata
 degli  interessi legali dalla data della formale costituzione in mora
 a quella di effettivo soddisfo e, comunque, al risarcimento del danno
 ingiusto conseguente al mancato e/o ritardato pagamento  delle  somme
 dovute  quale corrispettivo delle forniture di medicinali, effettuate
 nel periodo considerato come risultanti dalle due "distinte contabili
 riepilogative mensili" allegate al ricorso.
   Premesso, poi, che sussisterebbero  fondati  motivi  di  temere  un
 grave  ed irreparabile pregiudizio derivante dal tempo occorrente per
 ottenere la pronuncia di merito sul presente ricorso,  la  ricorrente
 chiede  che  l'adito  tribunale assicuri provvisoriamente gli effetti
 della decisione sul merito, applicando le disposizioni del  combinato
 disposto degli artt. 669-sexies e 700 c.p.c.
   Assume,  inoltre,  che ricorrono nella fattispecie, i presupposti e
 le condizioni previste dall'art. 186-ter c.p.c., per l'emissione  nei
 confronti  dell'Amministrazione  intimata di una ordinanza collegiale
 di ingiunzione di pagamento della  distinta  contabile  riepilogativa
 prodotta  in  giudizio, per l'ammontare complessivo di L. 93.547.097,
 oltre gli interessi moratori al tasso  legale  maturati  e  maturandi
 dalla  data  di  formale  costituzione in mora all'effettivo soddisfo
 nonche' le spese del giudizio cautelare.
   Secondo la ricorrente, l'applicazione delle superiori  disposizioni
 del  codice  di  procedura civile da parte del giudice amministrativo
 nella sua composizione collegiale si rende necessaria, per assicurare
 quella effettivita' della tutela giurisdizionale garantita  dall'art.
 113  della Costituzione (T.A.R. Lazio, sez. I-ter, ord.za n. 3444 del
 10 dicembre 1998).
   3. - Si e' costituita in giudizio l'Azienda  U.S.L.  intimata,  che
 con    rituale   memoria   difensiva   contesta   la   ricevibilita',
 l'ammissibilita' e la fondatezza del ricorso chiedendone la reiezione
 con ogni conseguente statuizione sulle spese.
   In particolare, l'Azienda osserva e deduce:
     a) il potere cautelare d'urgenza attribuito al giudice  ordinario
 non  esiste  rispetto a situazioni giuridiche, pur qualificabili come
 diritti soggettivi, tutelabili avanti il giudice amministrativo o  ad
 altra giurisdizione speciale;
     b)  il  procedimento cautelare di condanna anticipata, cosi' come
 il procedimento monitorio, non si concilia con il procedimento avanti
 il t.a.r.;
     c)  l'art.  35,  comma  2,  del  d.lgs.  n.  80/1998  prevede  la
 possibilita'  di  condanna  della  p.a.  al  pagamento  di  una somma
 determinata solo a seguito del ricorso previsto dall'art.  27,  comma
 1,  del  r.d. 1054/1924, e nella fase precedente al giudicato prevede
 la possibilita' per il giudice amministrativo di stabilire i  criteri
 in  base  ai  quali la p.a. o il gestore del pubblico servizio devono
 proporre il pagamento  al  creditore  di  una  determinata  somma  di
 denaro.
   Nel  merito,  l'Azienda  resistente  contesta  la  esigibilita' del
 credito vantato in ricorso  alla  stregua  delle  norme  contrattuali
 regionali in vigore e rileva, comunque, che il credito per il mese di
 ottobre  e' stato interamente pagato mentre per quello di novembre e'
 stato versato un acconto per un totale di L. 72.157.702.
   Alla camera di consiglio del 9 marzo  1999,  presenti  i  difensori
 delle parti - che si sono riportati agli scritti difensivi insistendo
 nelle relative conclusioni - la causa e' stata posta in decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  Va  preliminarmente  ritenuta  la  giurisdizione  di  questo
 tribunale nel giudizio di promosso col ricorso in esame.  Ed  invero,
 con  l'art.    11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e' stata
 conferita delega al Governo per emanare, entro il  31  gennaio  1999,
 uno  o  piu'  decreti legislativi diretti tra l'altro a l'"estensione
 della giurisdizione  del  giudice  amministrativo  alle  controversie
 aventi  ad  oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese
 quelle relative al  risarcimento  del  danno,  in  materia  edilizia,
 urbanistica  e  di  servizi  pubblici,  prevedendo altresi' un regime
 processuale  transitorio  per  i  procedimenti  pendenti   ...".   In
 attuazione  di tale delega e' stato emanato d.lgs.  31 marzo 1998, n.
 80 (recante "Nuove disposizioni in materia  di  organizzazione  e  di
 rapporti  di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione
 nelle controversie di lavoro e di  giurisdizione  amministrativa.."),
 il cui art. 33, tra l'altro, dispone che:
     "1)  sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
 amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici  servizi,
 ivi  compresi  quelli  afferenti  al  credito,  alla  vigilanza sulle
 assicurazioni, al mercato mobiliare,  al  servizio  farmaceutico,  ai
 trasporti,  alle  telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14
 novembre 1995, n. 481 (ossia per l'energia  elettrica  il  gas  e  le
 telecomunicazioni);
     2)  tali  controversie sono, in particolare, quelle ... b) tra le
 amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici
 servizi; ... f) riguardanti le attivita' e  le  prestazioni  di  ogni
 genere,  anche  di  natura  patrimoniale,  rese  nell'espletamento di
 pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito  del  Servizio
 sanitario  nazionale  e della pubblica istruzione, con esclusione dei
 rapporti  individuali  di  utenza   con   soggetti   privati,   delle
 controversie  meramente  risarcitorie  che  riguardano  il danno alla
 persona e delle controversie in materia di invalidita'.
   Nella specie trattasi  di  controversia  patrimoniale  inerente  ad
 attivita' di farmacista convenzionata svolta dalla odierna ricorrente
 nei  mesi  di  ottobre  e  novembre  1998  (ossia in epoca successiva
 all'entrata in vigore  del  d.lgs.  sopra  citato)  in  favore  della
 Azienda  USL  n.    1  di  Agrigento; controversia che, all'evidenza,
 rientra nella previsione normativa surrichiamata e che,  allo  stato,
 appare  pienamente  suffragata  dai documenti contabili depositati in
 atti  dalla  stessa   ricorrente   (le   due,   "distinte   contabili
 riepilogative mensili" di cui in narrativa).
   2.  -  Cio' posto, la questione pregiudiziale che si pone e' quella
 dell'ammissibilita'  dell'istanza  formulata  dalla  ricorrente   con
 riferimento  agli  artt.  669-sexies  e  700 c.p.c., nonche' all'art.
 186-ter c.p.c.  e quindi alla emissione di una  ordinanza  collegiale
 di  ingiunzione alla p.a. di pagamento del credito pari a complessive
 L.  93.547.097, oltre gli interessi moratori al tasso legale maturati
 e maturandi,  nonche'  le  spese  del  giudizio  cautelare.  Cio'  in
 relazione  ad  un  irreparabile pregiudizio derivante dal lungo tempo
 occorrente per ottenere la pronuncia di merito.
   Secondo la ricorrente l'applicazione delle  superiori  disposizioni
 del  codice  di  rito  da parte del giudice amministrativo (nella sua
 composizione collegiale) sarebbe necessaria,  per  assicurare  quella
 effettivita'  della  tutela  giurisdizionale  garantita dall'art. 113
 della Costituzione secondo quanto gia'  ritenuto  dal  t.a.r.  Lazio,
 sez. I-ter, con ordinanza n. 3444 del 10 dicembre 1998.
   Il  t.a.r. Lazio, in realta', era stato adito per l'emissione di un
 decreto ingiuntivo, ma ha emesso la predetta "ordinanza"  richiamando
 l'art.  33  del  d.lgs  n.  80/1998  e  l'art.  186-ter c.p.c.; norma
 quest'ultima  che  prevede  una  forma  di  tutela  urgente-cautelare
 (ordinanza ingiunzione) nell'ambito di un processo di cognizione.
   Viceversa,  secondo  l'Azienda  resistente il potere cautelare e di
 urgenza sarebbe attribuito solamente al giudice ordinario e non anche
 al giudice amministrativo o ad  altra  giurisdizione  speciale  anche
 rispetto   a   situazioni   giuridiche   qualificabili  come  diritti
 soggettivi.   In ogni caso  il  procedimento  cautelare  di  condanna
 anticipata,  cosi' come il procedimento monitorio, non sarebbe di per
 se' conciliabile con il procedimento avanti il t.a.r.
   Tale ultima prospettazione si ritiene di potere condividere seppure
 nei limiti di seguito indicati.
   E' da ritenere, invero, che, sebbene le norme del  processo  civile
 siano  dotate  di  una  particolare  vis  espansiva, tale da renderle
 applicabili analogicamente in tutti i casi in cui manchi  una  regola
 processuale  ben  definita, esse incontrano inevitabilmente il limite
 costituito dalla struttura propria del processo amministrativo, entro
 il quale non puo' operarsi la trasposizione,  di  peso,  del  sistema
 processuale civilistico, non tanto per le ragioni quasi "ontologiche"
 che   sembra   ipotizzare  la  difesa  dell'Azienda  U.S.L.,  quanto,
 piuttosto, per ragioni di ordine dogmatico-sistematico e (non ultime)
 per ragioni pratiche ed organizzative, che non consentono al  giudice
 amministrativo,  come  oggi  strutturato, di operare (nel campo delle
 nuove materie affidate alla sua giurisdizione esclusiva) allo  stesso
 modo di quanto in precedenza operato dal giudice ordinario.
   D'altronde,  la non immediata applicabilita' delle norme del codice
 di rito risulta evidente dallo stesso  d.lgs.  n.  80/1998  che,  pur
 nella  rilevante  novella  costituita  dall'attribuzione  al  giudice
 amministrativo  di  nuova  giurisdizione  esclusiva  per  blocchi  di
 materie  (che  coprono  l'area intera dei pubblici servizi), richiama
 espressamente, all'art.  35, le norme del codice  di  rito  solo  per
 cio'  che  concerne  i mezzi istruttori, demandando, per il resto, ad
 opportune future modifiche del regio-decreto  n.  642  del  1907  gli
 eventuali  adattamenti  suggeriti  dalla  "specificita'  del processo
 amministrativo  in   relazione   alle   esigenze   di   celerita'   e
 concentrazione del giudizio".
    Per  cogliere  la  complessita'  e  la  delicatezza  dei  problemi
 dogmatici ed organizzativi suddetti, basta solo considerare:
     la difficolta' di definire esattamente la  natura  della  domanda
 incidentalmente  proposta  col  ricorso  in esame e che afferisce ora
 alla misura cautelare ex art.  18-ter  c.p.c.,  ora  alla  misura  di
 definizione  urgente  e  sommaria  della  controversia ex art. 633 ed
 artt. 669-sexies e 700, c.p.c.;
     la  difficolta'  pratica  e  concettuale  di  definire  la natura
 (sommaria cautelare, monitoria) dell'ordinanza  n.  3444198/1998  del
 t.a.r.   Lazio   richiamata   in   ricorso   (emessa  in  fattispecie
 sostanzialmente analoga alla presente)  ed  il  porsi  dell'ordinanza
 stessa   con   riguardo   alla  formazione  del  giudicato  (ed  alla
 definizione o meno del giudizio) ed  al  sistema  delle  impugnazioni
 (opposizione, reclamo, appello); un'ordinanza che appare come un vero
 e  proprio  ibrido  tra  l'ordinanza-ingiunzione in corso di causa ex
 art. 18-ter c.p.c., il decreto ingiuntivo  ex  art.  633  c.p.c.,  il
 provvedimento cautelare innominato ex 669-sexies c.p.c. e forse anche
 il  provvedimento  urgente  ex art. 700 c.p.c.  Ed e' proprio un tale
 ibrido processuale che sostanzialmente viene  richiesto  col  ricorso
 oggi in esame.
   3.  -  Ne' puo' ritenersi che, per effetto stesso dell'attribuzione
 della  giurisdizione  al  giudice  amministrativo  nelle  materie  in
 argomento,   il   sistema   processo  civile  sia  stato  interamente
 richiamato implicitamente nell'ambito  del  processo  amministrativo.
 Tale  tesi,  infatti,  appare  a  questo Collegio come una innaturale
 forzatura dei dati normativi sopra richiamati, nei quali il  richiamo
 agli  strumenti  processuali  del  codice di rito e' operato solo con
 riguardo  ai  mezzi  di  prova,  segno  questo  della  volonta'   del
 legislatore  delegato  di  operare  un  richiamo  normativo del tutto
 limitato.  L'ipotesi  inversa,  ossia  quella  di  un   implicito   e
 generalizzato  richiamo  da parte del legislatore delegato alle norme
 processualcivilistiche,  si  rivela,   inoltre,   intrinsecamente   e
 tecnicamente   insufficiente   e   sperequata,  posto  che  una  tale
 innovazione  processuale  (implicante  anche  -  come  gia'  detto  -
 rilevantissimi     aspetti     riorganizzativi     della    giustizia
 amministrativa) avrebbe dovuto essere disposta expressis verbis e non
 semplicemente "presumersi", o  ricavarsi  da  una  implicita,  quanto
 incerta, voluntas legis.
   Alla  stregua  di  tali  premesse,  pertanto,  l'esigenza di tutela
 immediata e sommaria cui si fa riferimento nel ricorso in esame,  sia
 in  relazione  agli  artt.  669-sexies e 700 c.p.c., nonche' all'art.
 186-ter c.p.c.  (che richiama l'art. 633 c.p.c.),  non  puo'  trovare
 accoglimento.
   4.  - Peraltro, proprio la chiesta adozione di un provvedimento non
 meramente cautelare, ma anche di cognizione sommaria del  diritto  di
 credito  pecuniario  fatto  valere,  impedisce  al Collegio di potere
 satisfattivamente applicare alla fattispecie il  principio  enunciato
 dalla  Corte  costituzionale,  con  sentenza  25 giugno 1985, n. 190,
 secondo   cui   il   giudice   amministrativo,   nelle   controversie
 patrimoniali  sottoposte  alla sua giurisdizione esclusiva (allora in
 materia di pubblico impiego), puo'  adottare  tutti  i  provvedimenti
 urgenti  che  appaiano piu' idonei ad assicurare provvisoriamente gli
 effetti della decisione sul merito, tutte le volte che il  ricorrente
 deduca un pregiudizio imminente e irreparabile.
   Difatti,  nell'ambito  del  processo,  di  qualunque  processo,  la
 "tutela cautelare" e la "cognizione sommaria" del diritto  sono  cose
 assolutamente  diverse,  sicche' l'astratta applicabilita' al caso di
 specie di una  misura  cautelare  atipica,  ai  sensi  del  principio
 costituzionale   sopra   ricordato,   non   puo'   dirsi  interamente
 satisfattiva  della  domanda proposta in ricorso; domanda che ricalca
 l'impostazione data al problema  dal  t.a.r.  Lazio  con  l'ordinanza
 sopra  ricordata  e  che nel richiamare espressamente gli istituti di
 cui agli artt.  669-sexies  e  700  del  c.p.c.  intende  chiaramente
 alludere  ai  procedimenti  sommari di cui al Libro IV, titolo I, del
 c.p.c.
   5. -  Nemmeno  puo'  pervenirsi  all'affermazione  di  un  parziale
 difetto  di  giurisdizione  del  giudice amministrativo, nel senso di
 ritenere che  per  le  materie  di  cui  all'art.  33,  le  questioni
 risolvibili  con  "cognizione  sommaria"  o  "cautelare"  (decreti ed
 ordinanze ingiuntive, ordinanze cautelari ed urgenti)  siano  rimaste
 devolute  alla  giurisdizione  del  giudice ordinario, in quanto cio'
 implicherebbe  una  sostanziale   riduzione   della   portata   della
 legge-delega,  che,  viceversa,  ha chiaramente sancito e previsto la
 piena attribuzione  al  giudice  amministrativo  della  giurisdizione
 esclusiva nell'amplissima e variegata materia dei "servizi pubblici".
   Ne  segue  che,  allo  stato, le controversie a cognizione sommaria
 sopra indicate sfuggono alla giurisdizione di qualunque giudice:    a
 quella  del  giudice  ordinario  in  forza  delle  norme  deleganti e
 delegate prima citate; a quella del giudice amministrativo in difetto
 della puntuale  indicazione  normativa  degli  strumenti  processuali
 all'uopo  necessari  (e di quel minimo di necessaria ristrutturazione
 interna del relativo apparato).
   6.  -  Non  va  trascurato,  peraltro,  che   questo   t.a.r.   con
 recentissimo   decreto   presidenziale   n.  113/1999  ha  dichiarato
 l'improcedibilita'   inammissibilita'   del   ricorso   per   decreto
 ingiuntivo, proposto da un farmacista convenzionato col S.S.N. per la
 corresponsione  di  somme  dovute  a  fornitura  di  medicinali,  nel
 presupposto che:
     "il procedimento speciale di cui al libro quarto del c.p.c. ed in
 particolare a quello di ingiunzione di cui ai ripetuti  artt.  633  e
 segg.,  non  e' adattabile al processo amministrativo nel quale manca
 istituzionalmente la figura e le funzioni del giudice monocratico;
     ''non e' peraltro possibile ritenere trasponibile  agli  istituti
 del  processo  amministrativo  il  ricorso  di cui trattasi attesa la
 particolare natura formale e sostanziale dello stesso'';
     ''la  parte  ricorrente  non  ha  consumato  i  suoi  poteri   di
 impugnativa potendo svolgerli ex art. 33 d.lgs. 31 marzo 1988, n. 80,
 secondo i normali strumenti del vigente processo amministrativo''".
   E  tale  ratio  decidendi  che il Collegio condivide ben si applica
 anche alle richieste formulate col ricorso in esame, attesa l'assenza
 nel processo amministrativo della figura  del  "giudice  istruttore",
 sia  con  riferimento  alla chiesta ordinanza ex art. 186-ter c.p.c.,
 che al chiesto provvedimento cautelare innominato ex art.  669-sexies
 e  700  c.p.c.;  da questo deriva la rilevanza della questione di cui
 infra.
   7. - La superiore conclusione, tuttavia, che  all'evidenza  postula
 la  necessita'  per  il  creditore di attivare un processo cognitorio
 ordinario sostanzialmente inutile rispetto al procedimento monitorio,
 induce il Collegio a sollevare d'ufficio  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, nella parte in cui
 non  rende espressamente applicabili al giudizio amministrativo tutti
 gli strumenti processuali previsti dal codice di  rito  con  riguardo
 alle  controversie  rientranti nei blocchi di materie innovativamente
 attribuite  alla  giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
 atteso che, alla stregua  della  legge  di  delega,  la  tutela  oggi
 erogabile  dal  detto  giudice non puo' e non deve essere inferiore a
 quella che in precedenza gli stessi  soggetti  potevano  chiedere  ed
 ottenere  dal  giudice  ordinario (ed e' un dato di comune esperienza
 che, nel settore delle  farmacie  convenzionate  col  S.S.N.,  vi  e'
 stato,  fino  ad  oggi,  un  uso amplissimo dell'agile e ben definito
 procedimento  sommario  di  tipo  monitorio  finalizzato  proprio  ad
 evitare  quell'ordinario  processo  cognitorio  di cui alla decisione
 presidenziale sopra citata).
   Opinare diversamente  significherebbe  ammettere  che  il  semplice
 spostamento  della  giurisdizione, a seguito dell'art. 33 cit., abbia
 determinato, in palese violazione dei limiti della legge delega e dei
 precetti di logica  e  razionalita',  (che  debbono  presiedere  alle
 scelte  del  legislatore),  anche  una  sostanziale  riduzione  della
 consistenza stessa dei diritti soggettivi rientranti nelle materie di
 nuova giurisdizione  esclusiva,  quanto  meno  con  riferimento  alle
 possibili  azioni  sommarie  (e non meramente cautelari) esperibili a
 tutela degli stessi.
   Come insegna la migliore dottrina, i procedimenti sommari delineati
 dal Titolo I del  Libro  IV  del  codice  di  rito  (tra  cui  quello
 monitorio  ex  art.  633  c.p.c., quello cautelare ed urgente ex art.
 669-sexies e art.  700  c.p.c.)  sono  il  riflesso  processuale  del
 contenuto  sostanziale  dei  diritti  soggettivi  di  volta  in volta
 azionati, segnando la gamma di tutte le  possibili  forme  di  tutela
 degli   stessi.  In  particolare,  tali  procedimenti,  e  le  azioni
 correlate, connotano il diritto  soggettivo  di  credito  liquido  ed
 esigibile  di  somme  di  denaro  (basato  su  prova scritta) come un
 diritto tutelabile  senza  una  vera  fase  processuale  "cognitoria"
 (ossia  senza  la formale postulazione di un giudizio), e non possono
 essere  menomate  (ne'  in  tutto,  ne'  in  parte)  da  un  semplice
 spostamento  della  giurisdizione. I procedimenti sommari, in genere,
 altro non sono che il riflesso  processuale  di  talune  peculiarita'
 sostanziali  dei  connessi  diritti e cio' avrebbe richiesto, secondo
 evidenti parametri costituzionali di razionalita'  e  buon  andamento
 dell'Amministrazione  lato  sensu  giudiziaria,  che  il  legislatore
 delegato se ne facesse carico dettando nell'art. 33  del  d.l.gs.  n.
 80/1998, o una norma espressa di richiamo degli strumenti processuali
 civilistici, ovvero una compiuta e chiara disciplina dei procedimenti
 sommari,  urgenti  e/o  cautelari,  sia  di  ordine  sistematico, che
 pratico.
   Si consideri l'istanza di decreto ingiuntivo ex  art.  633  (ed  in
 parte  anche quella di ordinanza ingiuntiva ex art. 186-ter): come e'
 noto  si  tratta  di  procedimento  in  cui  si  e'  di  fronte  alla
 rivendicazione  di  un  diritto  (credito  di  somme di denaro) senza
 giudizio. L'ordinamento  riconosce  al  creditore  un'azione  che  ha
 caratteristiche  sue  proprie,  che  non  si  basa  su prove in senso
 proprio, richiede solo l'esistenza  di  certe  condizioni  (somme  di
 denaro   liquide   ed   esigibili),  si  connota  per  l'attenuazione
 dell'esigenza del contraddittorio.  Il  giudizio  di  cognizione  sul
 diritto  fatto  valere  in  via  monitoria  o  sommaria  e' meramente
 eventuale ed  e'  affidato  all'iniziativa  del  debitore  attraverso
 l'opposizione.  L'azione  sommaria,  in  tali casi, deve competere al
 creditore in forza delle caratteristiche  proprie  del  suo  diritto,
 quale che sia il giudice chiamato a decidere.
   Orbene,  ipotizzare  che  una  tale  azione (riflesso del contenuto
 sostanziale del diritto di credito liquido  esigibile  e  fondato  su
 prova  scritta) possa, oggi, ritenersi priva di giudice legittimato a
 (sommariamente) conoscerla solo per effetto della nuova giurisdizione
 disegnata dall'art. 33, d.lgs. n. 80/1998, appare come apertamente in
 contrasto, non solo con lo  spirito  e  la  lettera  della  legge  di
 delega,  ma anche con quei principi di logica e di imparzialita' alla
 cui violazione la Corte costituzionale ha sempre saputo  riconnettere
 la figura dell'eccesso di potere legislativo.
   8.  -  La  verita'  e' che, ammettendo, come sembra necessario fare
 alla stregua del decreto presidenziale n. 113/1999 sopra citato,  una
 riduzione  dei  mezzi di tutela da parte del legislatore delegato, si
 incappa, inevitabilmente, nella violazione dei limiti della delega  e
 nella  irragionevole  quanto  ingiustificata riduzione delle garanzie
 apprestate ai cittadini nei settori di  giurisdizione  esclusiva  cui
 all'art.  33.  Al  giudice  amministrativo  si  attribuisce  -  si  -
 giurisdizione esclusiva in certe materie, ma questa sfera di  tutela,
 allo stato, non e' (perche'?) la medesima, sotto il profilo dei mezzi
 processuali (che poi fanno la sostanza stessa del diritto), di quella
 che   era   riconosciuta  in  precedenza.  E  tale  reductio  non  e'
 giustificata da ragioni riorganizzative degli apparati  giudicanti  o
 dei   servizi  ad  essi  connessi  (il  che,  forse,  avrebbe  potuto
 consentire di parlare  dell'esercizio  di  un'ampia  discrezionalita'
 legislativa   costituzionalmente   insindacabile),   ma  e'  solo  ed
 esclusivamente  l'automatica  conseguenza  dello  spostamento   della
 giurisdizione.  Tanto  che si potrebbe dire, con una iperbole, che il
 diritto di azione, nelle materie indicate dall'art. 33, ha  subito  -
 per  effetto  di  tale  articolo - una significante riduzione, non in
 correlazione alla legittimazione al giudizio, ossia all'ampiezza  del
 potere cognitorio attribuito al nuovo organo giudicante (che e' piena
 ed incondizionata, sia nella legge delega che in quella delegata), ma
 (irrazionalmente)   all'aspetto   puramente   "topico"  dell'aula  di
 giustizia entro cui il medesimo  diritto  viene  oggi  fatto  valere:
 quella del giudice amministrativo, anziche' quella dell'A.G.O.
   In  tal modo, risulta perpetrata anche la violazione degli artt.  3
 e 113 Cost., sia perche' situazioni giuridiche identiche (il  diritto
 soggettivo  di  credito  di  somme  di  denaro  liquide ed esigibili)
 vengono ad essere tutelate, nel tempo, con  strumenti  di  cognizione
 sommaria  diversi  in  conseguenza  del diverso giudice legittimato a
 conoscerle; sia perche' non viene  assicurata,  anche  attraverso  il
 processo  amministrativo, quella effettivita' della "tutela sommaria"
 connessa al diritto fatto valere dinanzi al nuovo giudice.
   9. - Sotto altro profilo, non puo' non rilevarsi che  la  acclarata
 inaccoglibilita'  delle  azioni  sommarie  formulate  col  ricorso in
 esame, rientrante in una delle materie di giurisdizione esclusiva  ex
 art.    33,  non  solo implica una sostanziale riduzione dei mezzi di
 tutela per le medesime materie, non solo finisce  col  proiettare  la
 normazione  delegata  ben  oltre il mero spostamento di giurisdizione
 prefigurato dalla norma delegante, ma significa anche costringere  il
 creditore  a proporre (come nel caso di specie) azioni cognitorie per
 l'accertamento del titolo di credito (in  cui  magari  insinuare  una
 spuria istanza cautelare) nonostante gia' esista la prova documentale
 del  credito  (nella  specie,  le  distinte  contabili  mensili della
 farmacia   della   odierna   ricorrente);   una   prova   alla  quale
 l'ordinamento previgente,  nell'ottica  costituzionalmente  rilevante
 della  celerita'  e  concentrazione  del  processo,  offriva  l'agile
 procedimento "sommario" del ricorso per decreto ingiuntivo (ossia  la
 richiesta  di  una statuizione senza processo, salva l'opposizione ad
 iniziativa del debitore ingiunto).   Ed  ognuno  ben  vede  come  sia
 irrazionale  costringere  il  cittadino  a proporre azioni cognitorie
 quando esistono mezzi di tutela rapidi ed efficienti gia'  ampiamente
 praticati col giudice precedentemente legittimato.
   E  lo stesso vale per la richiesta di ordinanza ingiuntiva ex artt.
 186-ter e 633 c.p.c., ovvero dei provvedimenti  cautelari  innominati
 ex  artt.  669-bis  e 700 c.p.c.; laddove e' evidente che la rilevata
 impraticabilita' della tutela sommaria finisce sempre  per  scaricare
 nella  fase  cautelare  del  giudizio  amministrativo (normativamente
 ristretta nella formula della cosiddetta "sospensiva" dell'esecuzione
 dell'atto impugnato)  problematiche  sostanziali  e  processuali  (si
 pensi  ancora  al  sistema  delle impugnazioni) del tutto estranee al
 processo  amministrativo,  con  sviluppi   allo   stato   del   tutto
 imprevedibili  (e  che  senza  un chiaro e tempestivo orientamento da
 parte della  Corte  costituzionale  richiederebbe  anni  ed  anni  di
 elaborazione   giurisprudenziale   con   le   relative,  inevitabili,
 "oscillazioni" a detrimento della stessa "certezza del diritto").
   Ed una prova della palese irrazionalita' del sistema che comincia a
 delinearsi balza evidente proprio dal ricorso in esame, nel quale  la
 ricorrente,  nonostante  risulti  essere in possesso di prova scritta
 del credito pecuniario vantato nei confronti dell'Azienda U.S.L.   di
 Agrigento  per  le  forniture  di  medicinali  dei  mesi di ottobre e
 novembre 1998, nonostante la parziale ammissione  dell'Azienda  circa
 la esigibilita' dello stesso (e' stato pagato il periodo di ottobre e
 parte  di  quello  di  novembre),  ha  dovuto  proporre  (nell'ottica
 dell'ord.za del t.a.r. Lazio sopra indicata)  il  presente  ordinario
 ricorso  cognitorio,  all'interno  del  quale  ha  ritenuto di dovere
 formulare, nella  presupposizione  che  non  era  possibile  proporre
 ricorso  per  decreto  ingiuntivo, un'atipica ed estemporanea domanda
 sommaria-cautelare con riferimento  agli  artt.    669-sexies  e  700
 c.p.c. ed all'art. 186-ter stesso c.p.c.
   In tal modo finendo:
     col proporre un'azione cognitoria che col giudice precedentemente
 legittimato sarebbe stata del tutto inutile;
     con  l'accomunare l'area della tutela sommaria (che e' proiezione
 della natura sostanziale di un compiuto diritto di credito accertato,
 sotto certe condizioni, ex lege con  l'area  della  tutela  cautelare
 (che e' un semplice incidente del processo di cognizione).
   Il  silenzio dell'art. 33 d.lgs. n. 80/1998 determina, in sostanza,
 una notevole e pericolosa confusione di istituti  processuali  e  dei
 realativi  concetti che, in definitiva, svuota la possibilita' per il
 giudice amministrativo (in sede collegiale o in sede  presidenziale),
 pur     investito     di    piena    ed    esclusiva    giurisdizione
 (cognitoria-condannatoria) nella materia de  qua,  di  adottare,  nel
 caso  di  specie, non tanto un "decisione cautelare", ma direttamente
 una "decisione sommaria" (decreto ingiuntivo) che esaurisca subito la
 relativa pretesa, definendo compiutamente il  giudizio  alla  stregua
 dei  previgenti  mezzi  offerti dal codice di rito, salvo l'eventuale
 nuovo  giudizio  cognitorio  a  seguito  di  opposizione   da   parte
 dell'Azienda intimata.
   La  verita'  e'  che  il processo amministrativo conosce l'istituto
 della  "decisione  cautelare"  (e  nelle  materie  di   giurisdizione
 esclusiva anche nelle forme atipiche di cui alla sentenza n. 190/1985
 della  Corte  cost.),  ma non quello della "decisione sommaria" della
 controversia, sicche' la devoluzione di nuova giurisdizione esclusiva
 al giudice amministrativo nelle materie (e nell'amplissima casistica)
 dell'art.    33,  d.lgs.  n.  80/1998  avrebbe  dovuto   indurre   il
 legislatore  delegato  a  farsene carico. Ma cosi' non e' stato ed il
 totale silenzio dell'art.  33 cit., mentre  esclude  l'applicabilita'
 di  ben  conosciuti  e  consolidati  procedimenti  giurisdizionali di
 pronta definizione del giudizio (come quello monitorio), finisce  col
 far  sorgere  una variegata tipologia di "domande incidentali" ed una
 correlativa   giurisprudenza   praetoria   il   cui    "assestamento"
 richiedera',   se   non   interverra'   -   da   subito  -  la  Corte
 costituzionale, un lunghissimo periodo di tempo,  a  tutto  discapito
 della efficienza e razionalita' della nuova giurisdizione.
   In  siffatto  modo  viene  seriamente menomata, ad avviso di questo
 Collegio, anche la pienezza del diritto di azione  costituzionalmente
 garantito (art. 24 Cost.), nonche' il principio di economia dei mezzi
 giuridici,  che  costituisce  un ineludibile corollario del principio
 del buon andamento e  dell'efficienza  dell'apparato  giurisdizionale
 inteso come parte della p.a.;
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87, dichiara
 rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e
 97 della Costituzione, la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.    33  del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nella parte in cui,
 pur  spostando  la  giurisdizione  su  talune  materie  dal   giudice
 ordinario al giudice amministrativo, in via esclusiva, non consente a
 quest'ultimo  di  utilizzare  tutti  i mezzi processuali previsti dal
 codice di rito per la tutela sommaria dei diritti sui quali  e'  oggi
 legittimato  a  decidere con particolare riferimento agli istituti di
 cui al Titolo I del Libro IV c.p.c.;
   Ordina la sospensione del presente giudizio e la  rimessione  degli
 atti  alla  Corte  costituzionale, nonche' la notifica della presente
 ordinanza alle parti in causa ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami
 del Parlamento.
     Cosi'  deciso  in  Palermo, nella Camera di consiglio del 9 marzo
 1999.
                       Il presidente: Castiglione
                                     Il consigliere estensore: Ferlisi
 99C0532