N. 189 ORDINANZA 13 - 25 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Militari - Arma dei Carabinieri -  Riordino  dei  ruoli  e  modifica
 delle  norme  di reclutamento, stato di avanzamento del personale non
 direttivo e non dirigente -  Riferimento  alla  giurisprudenza  della
 Corte  in  materia  (v.  sentenze  nn.  63/1998,  65/1997, 133/1996 e
 217/1977) - Discrezionalita' legislativa - Ragionevolezza - Manifesta
 infondatezza.
 
 (D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 198, artt. 12 e 46, lett. a)).
 
 (Cost., artt. 3, 35, 36, 76 e 97).
 
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici: prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  12  e  46,
 lettera a) del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione
 dell'art.  3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino
 dei   ruoli   e  modifica  delle  norme  di  reclutamento,  stato  ed
 avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei
 Carabinieri), promossi con due ordinanze emesse il 4 marzo  1997  dal
 tribunale   amministrativo  regionale  della  Lombardia  sul  ricorso
 proposto da Bernardi Augusto ed altri e da Parisi Giuseppe  ed  altri
 contro  il  Ministero  della  difesa,  iscritte  ai nn. 429 e 430 del
 registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  24  marzo  1999  il  giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
   Ritenuto  che  nel  corso  di due procedimenti promossi con ricorsi
 collettivi in sede di giurisdizione esclusiva da parte di  un  gruppo
 di  marescialli  maggiori "carica speciale" appartenenti all'Arma dei
 carabinieri,  tendenti  ad  ottenere  l'accertamento  e   conseguente
 declaratoria  del  diritto  al riconoscimento di un livello superiore
 rispetto a quello previsto  (VII-bis),  il  tribunale  amministrativo
 regionale  della  Lombardia,  con  due ordinanze del 4 marzo 1997, ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt.  12  e
 46  del  decreto  legislativo  12  maggio  1995,  n.  198 (Attuazione
 dell'art.  3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino
 dei   ruoli   e  modifica  delle  norme  di  reclutamento,  stato  ed
 avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei
 carabinieri), in quanto dette norme hanno realizzato un  accorpamento
 in  un  medesimo  grado  (maresciallo aiutante-sostituto ufficiale di
 P.S.)  di  gradi  che  in  precedenza   rivestivano   una   posizione
 "subordinata",  rispettivamente,  di  maresciallo maggiore aiutante e
 maresciallo capo;
     che il giudice a quo ritiene di dover aderire  alla  denuncia  di
 illegittimita'  costituzionale  delle  norme  indicate - formulata in
 subordine dai ricorrenti - sulla considerazione  che  l'art.  12  del
 d.lgs.   n.  198  del  1995  avrebbe  istituito  il  nuovo  grado  di
 maresciallo aiutante, sostituto ufficiale di  P.S.,  nel  quale  sono
 confluiti,  ai  sensi  del  successivo  art.  46 del medesimo decreto
 legislativo, non soltanto il precedente grado di maresciallo maggiore
 "carica speciale" (grado rivestito dai ricorrenti), ma anche i  gradi
 di   maresciallo   maggiore,   compresi   quelli  con  qualifiche  di
 "aiutante", nonche' i marescialli capo;
     che in ordine alla rilevanza della questione, il  giudice  a  quo
 sottolinea   come,  in  applicazione  della  citata  norma,  non  sia
 possibile  attribuire  un  livello  superiore   rispetto   a   quello
 specificamente  previsto  dalla  disposizione  stessa,  atteso  che i
 ricorrenti, in sostanza, chiedono  una  differenziazione  della  loro
 posizione  sulla  base  del  diverso  ruolo  rivestito  in precedenza
 rispetto agli altri gradi confluiti nello stesso livello;
     che quanto alla prospettazione della questione, il giudice a  quo
 deduce  la  violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento
 ed imparzialita', in relazione agli artt. 3 e 97 della  Costituzione,
 assumendo  -  con  riferimento  alla giurisprudenza costituzionale ed
 amministrativa - la sussistenza di un  limite  alla  discrezionalita'
 del   legislatore  nello  scegliere  i  sistemi  di  progressione  di
 carriera, costituito dai principi teste' enunciati, secondo  i  quali
 l'attivita'  pregressa,  l'anzianita'  maturata ed il grado acquisito
 devono essere congruamente e razionalmente valutati,  "affinche'  non
 appaia  arbitraria  la collocazione in uno stesso grado di dipendenti
 che, in precedenza, erano collocati sia sotto il  profilo  gerarchico
 che professionale in posizione subordinata";
     che  la  questione  viene  prospettata anche con riferimento agli
 artt. 35 e 36 della Costituzione, giacche', nella specie, si  sarebbe
 avuta, sostanzialmente, una promozione ai fini giuridici ed economici
 dei   marescialli   maggiori,   marescialli   maggiori  "aiutanti"  e
 marescialli capo senza procedure congrue e ragionevoli in rapporto al
 fine da raggiungere ed all'interesse da  soddisfare  e  senza  alcuna
 valutazione   concreta   caso   per   caso   di   una   meritevolezza
 professionale;
     che, infine, viene  dedotta  la  violazione  dell'art.  76  della
 Costituzione,  giacche' il decreto legislativo non avrebbe provveduto
 alla istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e  gradi,  come  previsto
 dall'art.  3,  comma  3,  della  legge  delega  6 marzo 1992, n. 216,
 tenendo conto della specificita' delle situazioni, ma, andando al  di
 la'  di  quanto previsto dalla legge delega, avrebbe accorpato in uno
 stesso grado, quello di maresciallo aiutante-sostituto  ufficiale  di
 P.S.,  anche  gradi  in precedenza sotto ordinati, operando, in certe
 situazioni,  addirittura  uno  scavalcamento  dovuto   alla   diversa
 anzianita' di servizio;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, con il patrocinio dall'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha  concluso  per  la  inammissibilita'  nonche'  per  la   manifesta
 infondatezza   della  questione,  osservando,  tra  l'altro,  che  la
 disposizione in questione conferisce il grado di maresciallo aiutante
 sostituto ufficiale di P.S. a soggetti che rivestono tutti  il  grado
 di  maresciallo  maggiore  e  che  le  qualifiche  di "aiutante" e di
 "carica speciale" non costituiscono  il  conseguimento  di  un  grado
 superiore;
     che, infatti, l'art. 1, comma 15-ter del d.-l. 16 settembre 1987,
 n.  379, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1987,
 n. 468, ha istituito la "carica speciale"  disciplinandola  come  una
 forma  di  specializzazione  funzionale di particolare qualificazione
 senza collegarla all'attribuzione di una prevalenza gerarchica, ne' a
 modifiche della posizione in ruolo.
   Considerato che deve essere disposta la riunione dei giudizi stante
 la evidente identita' delle questioni proposte;
     che questa Corte con sentenza n. 63 del 1998, pronunciando in una
 serie di  giudizi  in  cui  erano  stati  proposti  -  rispetto  alle
 ordinanze  in  esame  -  profili  in  parte  connessi, riguardanti la
 posizione del personale proveniente dal ruolo  ispettori  rispetto  a
 chi   rivestiva   la   qualifica   di   sovrintendente   e   di  vice
 sovrintendente,  ha  dichiarato  l'infondatezza  delle  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  sollevate in riferimento all'art. 3 del
 d.-l. 7 gennaio 1992, n.  5,  convertito,  con  modificazioni,  nella
 legge  6  marzo  1992,  n.  216,  chiarendo  l'evoluzione legislativa
 successiva  alla  riforma  della  polizia  del  1981  (caratterizzata
 dall'inizio della unificazione del trattamento economico per le Forze
 di  polizia  mediante estensione di quello previsto per la Polizia di
 Stato: art. 42 della  legge  n.  121  del  1981)  ed  individuando  i
 contenuti della delega del suddetto art. 3;
     che  in particolare e' stato affermato, con la citata sentenza n.
 63 del 1998, che l'art. 3 del d.-l. 7 gennaio 1992, n. 5,  convertito
 con  modificazioni  nella  legge  6  marzo 1992, n. 216 e' una tipica
 misura di perequazione  del  trattamento  economico  (oltre  che  del
 connesso  regime  ordinamentale)  che  rientra nella discrezionalita'
 legislativa, fermo il limite generale per ogni  intervento  normativo
 della    ragionevolezza,   come   svolgimento   dell'art.   3   della
 Costituzione;
     che tale discrezionalita' ricomprende tanto  la  differenziazione
 del  trattamento  economico di categorie prima egualmente retribuite,
 che non incorre di per se' in violazione dei precetti  costituzionali
 di  cui  agli  artt.  3  e  36  (sentenza n. 133 del 1985), quanto la
 possibilita' che nell'ambito del pubblico  impiego  siano  attribuite
 voci  retributive  o  indennita'  particolari in maniera uniforme per
 personale  appartenente  a  figure  e   livelli   differenti;   cio',
 ovviamente, se non vi siano appiattimenti retributivi (sentenza n. 65
 del  1997)  o  non  si verifichino altre forme sintomatiche di palese
 arbitrarieta' o di manifesta non ragionevolezza (sentenze n. 133  del
 1996 e n. 217 del 1977);
     che  il legislatore puo' modificare nel numero (in riduzione o in
 aumento)  i  livelli  retributivi,  cosi'  come  puo'   procedere   a
 riunificazioni  di  trattamenti  economici,  ampliando  l'ambito  dei
 livelli, fermo il limite della non palese arbitrarieta' e  della  non
 manifesta irragionevolezza (sentenza n. 63 del 1998);
     che  il  rapporto  di proporzionalita' della retribuzione ai fini
 dei principi desumibili dall'art. 36 della Costituzione  deve  essere
 effettuato  in  riferimento  al  trattamento economico complessivo in
 relazione alla categoria ed al  livello  e  non  e'  suscettibile  di
 differenziazioni  personali  nell'ambito del livello unificato, salvo
 quelle derivanti da anzianita' o da particolari indennita' o compensi
 per attivita' aggiuntive o comportanti maggiore impegno  quantitativo
 o qualitativo (sentenza n. 63 del 1998);
     che  la delega contenuta nell'art. 3 della legge n. 216 del 1992,
 da esercitarsi con piu'  decreti  legislativi  sulla  base  di  unici
 criteri  direttivi  (diversi  da quelli di cui all'art. 2) riguardava
 "le necessarie modifiche degli ordinamenti del personale" delle forze
 di polizia e delle forze armate, esclusi dirigenti e direttivi,  "per
 il  riordino  delle  carriere,  delle  attribuzioni e dei trattamenti
 economici, allo scopo di conseguire una  disciplina  omogenea,  fermi
 restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di
 stato, nonche' le attribuzioni delle autorita' di pubblica sicurezza,
 previsti  dalle  vigenti  disposizioni  di  legge";  inoltre,  per le
 anzidette finalita', era  espressamente  contemplato  che  i  decreti
 legislativi  potessero  "prevedere che la sostanziale equiordinazione
 dei compiti e  dei  connessi  trattamenti  economici  sia  conseguita
 attraverso  la revisione di ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra,
 anche mediante la soppressione di qualifiche o gradi, ovvero mediante
 l'istituzione di nuovi ruoli, qualifiche o gradi  con  determinazione
 delle  relative  dotazioni  organiche,  ferme  restando  le dotazioni
 organiche  complessive  previste"  con  le  occorrenti   disposizioni
 transitorie  (art. 3, comma 3, della legge n. 216 del 1992; ordinanza
 n. 151 del 1999);
     che questa Corte con la citata sentenza n. 63 del 1998 ha escluso
 che il cambiamento verso l'alto di un livello  retributivo  tabellare
 di   una   categoria   di   personale   dipendente   della   pubblica
 amministrazione debba, in ogni  caso,  comportare  la  necessita'  di
 innalzare  i  livelli  superiori,  in  modo  da  esigere  l'ulteriore
 avanzamento di un "gradino" di coloro  che  erano  in  precedenza  in
 posizione   sovraordinata,   potendo  i  livelli  retributivi  essere
 modificati nel numero (in riduzione o in aumento),  cosi'  come  puo'
 pervenirsi  a  riunificazioni  di  trattamenti  economici,  ampliando
 l'ambito dei livelli, cio' naturalmente fermo  il  limite  della  non
 palese arbitrarieta' e della non manifesta irragionevolezza;
     che  del  resto  l'innalzamento  in  base  a  legge di un livello
 retributivo con accorpamento a livello superiore di intere qualifiche
 non comporta un meccanismo di promozioni  con  le  relative  garanzie
 procedimentali amministrative;
     che   gli  stessi  principi  a  maggior  ragione  possono  essere
 integralmente applicati quando si proceda a modifiche (con operazioni
 di accorpamento verso l'alto) di qualifiche funzionali o gradi  o  di
 posizioni   speciali,   specialmente   in  sede  di  riassetto  degli
 ordinamenti  in  un  disegno   di   omogeneizzazione   di   carriere,
 attribuzioni    e    trattamenti    economici,   e   di   sostanziale
 equiordinazione dei compiti, raggiungibile anche attraverso modifiche
 degli  ordinamenti  e  dei  ruoli  con  le  occorrenti   disposizioni
 transitorie relative agli inquadramenti;
     che  la  posizione  di maresciallo maggiore con qualifica "carica
 speciale"  non  rappresentava  un  vero  e  proprio   grado,   bensi'
 costituiva  una  abilitazione  conferita  (anche  se  in  determinati
 periodi a  seguito  di  procedura  selettiva)  a  taluni  marescialli
 maggiori  (tali rimasti nel grado) per l'esercizio di alcune funzioni
 particolari ancorche'  comportanti  maggiori  responsabilita',  quale
 specializzazione funzionale di particolare qualificazione;
     che, del resto, la legge di delega (art. 3 della legge n. 216 del
 1992)  - si noti, non investita da censure di incostituzionalita' per
 questo  riguardo  -  prevedeva  un'ampiezza   di   interventi   sugli
 ordinamenti - allo scopo di conseguire una disciplina "omogenea" e di
 raggiungere  una  "equiordinazione" di compiti e connessi trattamenti
 economici - per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e  dei
 trattamenti  economici,  con  previsione  espressa della revisione di
 ruoli, gradi e qualifiche fino  alla  soppressione  di  qualifiche  e
 gradi; di qui la piena legittimita', anche sotto il profilo dell'art.
 76  della  Costituzione,  della  scelta discrezionale del legislatore
 delegato, che si e' attenuto ai criteri e principi direttivi citati;
     che inevitabilmente la  scelta  legislativa  di  soppressione  di
 gradi e qualifiche o posizioni speciali o comunque di accorpamento di
 posizioni in precedenza differenziate, proprio perche' procedeva alla
 eliminazione  di particolari previsioni non rispondenti alla esigenza
 di comparabilita' ed equiordinazione dei gradi e delle  qualifiche  e
 posizioni (e del connesso trattamento economico) di tutte le forze di
 polizia,  doveva  comportare la parificazione di livelli per soggetti
 appartenenti alle precedenti differenti posizioni riunificate, con il
 consueto limite della non palese arbitrarieta' e della non  manifesta
 irragionevolezza,   e   quindi   con   esclusione  di  situazioni  di
 sostanziale scavalcamento;
     che, in sostanza, in  operazioni  di  revisione  ordinamentale  i
 benefici  conseguiti  da singole categorie o livelli di personale non
 debbono  essere  necessariamente  identici  o  equivalenti  a  quelli
 dell'altro   personale  non  appartenente  alla  stessa  categoria  o
 livello, ma dipendono, come nella specie, dalle esigenze di riassetto
 organizzativo e di omogeneizzazione tra le varie forze di  polizia  e
 forze   armate,  con  il  limite  inderogabile  della  esclusione  di
 scavalcamenti retributivi o di trattamenti discriminanti  rispetto  a
 precedente identita' di compiti e trattamento economico (identita' di
 posizioni  retributive  e  funzionali), ipotesi non sussistenti nelle
 fattispecie in contestazione;
     che le norme  impugnate  costituiscono  una  scelta  di  politica
 legislativa,  esercitata,  in  modo non arbitrario ne' manifestamente
 irrazionale, entro l'oggetto, i criteri e i principi direttivi  della
 delega legislativa, come interpretata dalla sentenza n. 63 del 1998;
     che d'altro canto le stesse norme impugnate non sono in contrasto
 con  gli  scopi  fissati  nel  conferimento  della  delega,  cioe' di
 conseguire  una  disciplina  omogenea  di  carriere,  attribuzioni  e
 trattamenti economici, collegata ai rispettivi compiti istituzionali,
 e  una  sostanziale  equiordinazione  dei compiti raggiungibile anche
 attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le  occorrenti
 disposizioni transitorie;
     che  pertanto  deve  essere  dichiarata la manifesta infondatezza
 della questione di legittimita'  costituzionale  sotto  ogni  profilo
 denunciato;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  la  manifesta  infondatezza   della
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 12 e 46, lettera
 a)  del  decreto  legislativo  12  maggio  1995,  n.  198 (Attuazione
 dell'art.  3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino
 dei  ruoli  e  modifica  delle  norme  di  reclutamento,   stato   ed
 avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell'Arma dei
 carabinieri),  sollevata,  in riferimento, agli artt. 3, 35, 36, 76 e
 97 della Costituzione, dal tribunale amministrativo  regionale  della
 Lombardia, con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1999.
                        Il Presidente: Vassalli
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 25 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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