N. 335 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 1998

                                N. 335
  Ordinanza emessa il 13 novembre 1998 dal tribunale, sezione  per  il
 riesame di Napoli nel procedimento penale a carico di Pedana Raffaele
 Processo  penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in
    carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di  fase  -
    Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione
    del  procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia
    della misura solo nel caso di superamento del  termine  di  durata
    complessivo  e  non  anche  nel caso di superamento del doppio del
    termine  di  fase  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto   alla
    disciplina  dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui
    all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen.
 (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4).
 (Cost., art. 3).
(GU n.24 del 16-6-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza su appello proposto  nell'interesse
 di  Pedana  Raffaele  avverso  ordinanza 7 agosto 1998 della Corte di
 Assise di S. Maria C.  V.,  sezione  feriale,  con  la  quale  veniva
 rigettata  istanza  di  scarcerazione  per scadenza, nella fase delle
 indagini preliminari, del termine massimo della custodia cautelare;
                             O s s e r v a
   1. - Come risulta dagli atti trasmessi dall'A.G. procedente e dalla
 "posizione giuridica" successivamente acquisita, Pedana Raffaele  dal
 5  dicembre  1995  e'  sottoposto a custodia cautelare in carcere per
 associazione mafiosa in forza  di  ordinanza  coercitiva  emessa  dal
 g.i.p.  del  tribunale  di  Napoli  nell'ambito del procedimento c.d.
 Spartacus. L'appellante fu rinviato a giudizio avanti alla  Corte  di
 Assise  di  Napoli,  la  quale,  pero', con sentenza 22 ottobre 1997,
 dichiaro' la propria incompetenza per territorio e rimise gli atti al
 p.m. della D.D.A.  di  Napoli  perche'  promuovesse  l'azione  penale
 avanti  alla Corte di Assise di S. Maria C. V. A tanto il p.m. ha poi
 provveduto e in data 4 aprile 1998 e' stato emesso dal g.i.p.   nuovo
 decreto di rinvio a giudizio.
   La   difesa   ha   formulato  istanza  di  scarcerazione  invocando
 l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con
 sentenza n.  292/1998 e, con l'appello proposto  ai  sensi  dell'art.
 310 c.p.p.  avverso il provvedimento di rigetto della Corte di Assise
 di S. Maria C. V., deduce: "... La prima censura che deve portarsi al
 giudice  del  rigetto  riguarda  l'affermazione  secondo  la quale la
 pronuncia interpretativa di rigetto  della  Corte  costituzionale  e'
 ''... priva di efficacia generale ed insuscettibile di creare vincoli
 per il giudice, trovando spazio esclusivamente nel processo in cui e'
 stata sollevata la questione ...''.
   Una  pronuncia della Corte costituzionale, ancorche' interpretativa
 di rigetto, proprio in quanto interpretativa delle norme sulle  quali
 e'   stata   chiamata  a  stabilirne  la  conformita'  con  la  Corte
 costituzionale,  non   puo'   essere   ridotta   al   singolo   caso,
 dispiegandosi   in  una  interpretazione  della  norma  di  carattere
 generale ed onnivalente.
   Quanto al merito la difesa ritiene che il giudice a quo  non  abbia
 colto lo spessore della sentenza della Corte costituzionale emessa in
 relazione all'art. 303, comma 1, c.p.p... In altri termini il giudice
 a  quo ha ricalcato quanto gia' affermato dall'Avvocatura dello Stato
 intervenuta nel giudizio, secondo la quale il periodo ricompreso  fra
 il  primo  decreto  che  disponeva  il  giudizio  e  la  sentenza  di
 incompetenza fosse da considerarsi tamquam non esset.
   Viceversa proprio di questo tema si e' occupata la sentenza citata,
 ritenendo che, comunque  modulati,  i  termini  massimi  di  custodia
 cautelare  per  la  singola  fase  non  possono  superare il disposto
 dell'art. 304, comma 6, c.p.p.
   Del resto, per  definitiva  chiarezza  occorre  soffermarsi  su  un
 elementare  concetto:  ai  sensi  dell'art.  297, comma 1, c.p.p. gli
 effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura,
 dell'arresto o del fermo.
   Tale concetto viene ripreso dall'art.  303,  comma  1,  allorquando
 afferma   che   ''La   custodia   cautelare  perde  efficacia  quando
 dall'inizio della sua esecuzione ...''.
   Partendo da questo elementare presupposto, e rileggendo la sentenza
 della Corte costituzionale secondo la quale  comunque  i  termini  di
 durata  massima non possono superare il doppio previsto dalla singola
 fase processuale, anche nelle ipotesi di cui all'art. 303,  comma  2,
 c.p.p. non v'e' dubbio che il dies a quo dal quale operare il computo
 dei termini e' quello dell'inizio della detenzione; e non v'e' dubbio
 che  il  piu'  volte  citato  avverbio  comunque  nella stesura della
 motivazione vale a sgomberare ogni dubbio sulla possibilita' di  zone
 d'ombra  o  scevre  da  computo  ai fini del termine massimo non solo
 complessivo ma anche di fase.
   Invero la sentenza, a riprova  di  quanto  sopra  detto,  parla  di
 termini   massimi   di   custodia   cautelare,  da  computarsi  cioe'
 dall'inizio dell'arresto o della cattura; ne' pone distinguo od opera
 computi frazionati, insistendo, viceversa, gia'  detto,  sul  termine
 comunque, al fine di saldare i periodi senza soluzione di continuita'
 dal momento dell'inizio della custodia.
   ...E',  difatti evidente, che un diverso ragionamento comporterebbe
 profili di incostituzionalita' tra l'art. 303, comma 2, c.p.p. ed, ad
 esempio, l'art. 297,  comma  3,  c.p.p.,  nonche',  come  giustamente
 stigmatizza    l'estensore    della    sentenza   fra   la   condotta
 ostruzionistica dell'imputato  che  comporterebbe  la  sospensione  a
 norma  del  limite  massimo  di cui all'art. 304, comma 6, e chi, non
 imputet sibi, dovesse subire, per la regressione  del  processo,  gli
 effetti dell'art. 303, comma 2, senza limiti temporali prefissati.
   Sarebbe, come chiosa la sentenza, un paradosso.
   Ne  discende  che  ai  sensi degli artt. 297,   303 e 304 c.p.p. la
 durata  massima  della  custodia  cautelare  dell'appellante  per  la
 pregressa fase processuale risulta maturata.
   In  linea  subordinata  il  sottoscritto eccepisce l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 304, comma 6, c.p.p.  per  violazione  degli
 artt.  3,  13,  24  e  76  Corte  costituzionale  e  si  riporta alla
 motivazione della sentenza n. 292/1998 del 7 luglio  1998  depositata
 il 18 luglio 1998".
   2.  -  Non  e' dubbio che nella specie, a seguito della sentenza di
 incompetenza pronunciata dalla Corte  di  Assise  di  Napoli,  si  e'
 verificata  la regressione del procedimento nella fase delle indagini
 preliminari  e  la  nuova  decorrenza  del  termine  della   custodia
 cautelare  relativo  a  tale  fase, secondo quanto previsto dall'art.
 303/2 c.p.p. La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in  cui,
 a  seguito  di  annullamento  con  rinvio  da  parte  della  Corte di
 cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o
 a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro  giudice,
 dalla  data  del  provvedimento  che  dispone il regresso o il rinvio
 ovvero  dalla  sopravvenuta  esecuzione  della   custodia   cautelare
 decorrono  di  nuovo  i termini previsti dal comma 1, relativamente a
 ciascuno stato e grado del procedimento".
   La previsione dell'art. 303/2  era  stata  piu'  volte  oggetto  di
 questioni  di incostituzionalita', ma la Corte di cassazione ne aveva
 sempre ritenuto la manifesta infondatezza, osservando: che la  norma,
 nel  parificare,  agli effetti dell'allungamento del termine di fase,
 la regressione del procedimento per nullita' (anche nel caso di gravi
 vizi di costituzione delle parti) alle altre ipotesi  di  regressione
 stabilite dalla legge, non contrasta con i principi di ragionevolezza
 e  di  uguaglianza (art. 3, Cost.), poiche' essa intende in ogni caso
 bilanciare le conseguenze negative  del  riprendere  ex  novo  l'iter
 processuale  con  il  permanere delle esigenze cautelari, consentendo
 l'allungamento del termine di fase, ma comunque entro il  termine  di
 durata  complessiva  della custodia stabilito dall'art. 303/4 (Cass.,
 sez.  VI,  n.  915/1993,  Esposito);  che  non  sussiste   violazione
 dell'art.  13, ultimo comma, Cost., in quanto la norma costituzionale
 impone  che  la  legge  ordinaria  stabilisca,  per  il completamento
 dell'intero  procedimento,  il  limite  massimo   alla   carcerazione
 preventiva,  ma non esige anche che sia fissato altro limite parziale
 interno a ciascuna fase del procedimento stesso (Cass., sez.  VI,  n.
 3525/1993, Massidda); che non sussiste violazione degli artt. 13 e 24
 della Costituzione perche', da un lato, e' comunque previsto un tetto
 massimo  della  custodia  cautelare,  conformemente  a quanto dispone
 l'art. 13 Cost., che riserva alla  discrezionalita'  del  legislatore
 ordinario  i  casi  e  i  modi della detenzione e, in genere, di ogni
 forma di restrizione della liberta' personale e, dall'altro, non puo'
 farsi commistione tra il diritto di difesa inviolabile in ogni  stato
 e  grado del procedimento, che consente di eccepire una nullita', e i
 riflessi che il suo esercizio puo'  avere  in  materia  di  liberta',
 essendo  rimessa alla discrezionalita' difensiva la valutazione della
 convenienza di esercitare, o meno, una certa facolta', anche  per  le
 implicazioni,  le  conseguenze  e  le  interferenze  di fatto in ogni
 direzione (Cass., sez. I, n. 421/1994,  Gigliotti  ed  altri;  Cass.,
 sez. I, n. 1431/1996, Affuso, aveva poi escluso la sussistenza di una
 violazione  dell'art.  76  Cost., per eccesso di delega rispetto alla
 direttiva n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81).
   Peraltro,  con  ordinanza  22  novembre 1996 il tribunale di Reggio
 Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di
 ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella
 parte in cui non  prevede  che,  oltre  al  superamento  del  termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del  doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione
 descritta nel comma 2 di detto art. 303".
   Nel caso che dava occasione  alla  questione  vi  erano  state  due
 successive  regressioni  del  procedimento  nella fase delle indagini
 preliminari, a seguito di  sentenze  di  incompetenza,  e  la  difesa
 istante  aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che
 dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a
 giudizio era decorso un periodo di  tempo  superiore  al  doppio  del
 termine   di   fase.  Il  g.i.p.  aveva  rigettato  la  richiesta  di
 scarcerazione sul  rilievo  che  la  situazione  degli  imputati  era
 disciplinata  unicamente  dai  commi  2 e 4 dell'art. 303 e non anche
 dall'art. 304. Con l'atto di appello la difesa  aveva  riproposto  la
 questione  al  tribunale  e  nella  discussione  aveva  poi,  in  via
 subordinata,  denunciato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 304/6 in quanto applicabile al solo caso di sospensione dei termini e
 non  anche  ai  casi  di  regressione,  con conseguente irragionevole
 disparita' di  trattamento.  Il  tribunale  di  Reggio  Calabria  con
 l'ordinanza  di  rimessione  rilevava  che la questione era mal posta
 dalla difesa, poiche' la fattispecie del  regresso  "e'  disciplinata
 dalle norme contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute
 nell'art.  304 c.p.p. ... ogni riferimento all'art. 304 c.p.p. e' ...
 inconferente, poiche' disciplina situazioni  affatto  differenti  ...
 attiene  all'istituto  della  sospensione  del  termine  di  custodia
 cautelare  ed  ai  suoi  limiti  cronologici".  Peraltro,  anche   il
 tribunale  riteneva  irragionevole  la  disparita'  di disciplina tra
 istituti - quali appunto la sospensione dei termini e la interruzione
 dovuta a regressione o rinvio del procedimento - che  presentano  una
 "sostanziale  omogeneita'"  in  quanto  "entrambi rappresentano degli
 accidenti che si verificano nel cammino del procedimento, per lo piu'
 indipendenti dalla volonta'  dell'imputato",  pertanto  sollevava  la
 questione  di costituzionalita' nei termini sopra riportati (v.  ord.
 22 novembre 1996,  trib.  Reggio  Calabria,  Ardizzone  ed  altro  in
 Gazzetta Ufficiale n. 45/1997, prima serie speciale, n. 756).
   La  Corte  costituzionale con la sentenza n. 292/1998 ha dichiarato
 la  questione  non  fondata,  affermando   in   motivazione   che   -
 contrariamente  a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il superamento
 di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la
 fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della
 custodia anche se  quei  termini  ...  sono  cominciati  a  decorrere
 nuovamente  a  seguito  della  regressione  del  processo". La Corte,
 infatti, ha ritenuto che il "limite finale" di durata della  custodia
 cautelare  nelle singole fasi, fissato dall'art. 304/6 nel doppio del
 termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi di  sospensione
 dei  termini,  come sembrerebbe indicare la collocazione della norma,
 ma anche in quelli  di  proroga  o  di  interruzione  determinata  da
 regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice.
   3.   -   La   soluzione   interpretativa   adottata   dalla   Corte
 costituzionale  non  e'  giuridicamente   vincolante   nel   presente
 procedimento.
   Le  sentenze  interpretative  di rigetto della Corte costituzionale
 non sono infatti  munite  dell'efficacia  erga  omnes  propria  delle
 decisioni    con   le   quali   viene   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale di una disposizione di  legge,  per  cui  assumono  il
 valore  di  mero precedente, certamente autorevole, ma non vincolante
 per il giudice (SS.UU. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Nel caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa  -
 ispirata   dall'intento   di  superare  la  denunciata  irragionevole
 disparita' di disciplina tra i casi di  sospensione  dei  termini  di
 custodia  e  quelli  di  interruzione  dovuta a regresso o rinvio del
 procedimento - finisce per creare una omogeneita' di  disciplina  tra
 tali casi, nei quali l'allungamento della durata della custodia e per
 lo  piu'  indipendente  dalla  volonta' dell'imputato, e quello della
 evasione, nel quale l'allungamento deriva  invece  dal  comportamento
 dell'imputato,  per  di  piu'  penalmente illecito (nella sentenza n.
 292/1998, in verita',  non  vi  e'  menzione  del  caso  di  evasione
 dell'imputato,  ma  anch'esso  rientra tra i "i fenomeni che comunque
 possono interferire con la disciplina dei termini di fase", ai  quali
 tutti  si  riferirebbe  il  "limite finale" di cui all'art. 304/6, e,
 d'altro canto, l'art. 303/3  e'  espressamente  richiamato  dall'art.
 304/6.
   Anche  prescindendo da tale rilievo, il Collegio ritiene di doversi
 discostare dalla soluzione interpretativa, pur  cosi'  autorevolmente
 indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della
 norma  di  cui  all'art.  304/6,  alla  sua  collocazione  e alla sua
 letterale formulazione.
   Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della
 custodia cautelare e' stata  avvertita  dal  legislatore  proprio  in
 relazione  all'istituto  della sospensione dei termini, che nelle sue
 concrete applicazioni avrebbe potuto determinare la  quiescenza  sine
 die   del   decorso   dei   termini.  Il  "limite  finale"  e'  stato
 originariamente introdotto per la durata complessiva  della  custodia
 cautelare  (art.  272/9, c.p.p. abrogato; art 304/4, nuovo c.p.p. nel
 testo  vigente  anteriormente  alla  legge  n.  532/1995)  e  la  sua
 collocazione  (subito  dopo  le norme sulla sospensione dei termini e
 nel nuovo codice proprio nell'articolo intitolato  alla  sospensione)
 rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato.
   Prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge n. 532/1995, non pare
 fosse, in realta', neppure ipotizzabile  l'applicazione  del  "limite
 finale"  ai  casi  del  regresso o del rinvio del procedimento (salvo
 quando - beninteso - dopo tali vicende  fosse  intervenuta  anche  la
 sospensione    dei    termini):    infatti,   nel   codice   abrogato
 l'irragionevole prolungamento della custodia nei casi di  regressione
 o  rinvio  del  procedimento, disciplinati dal comma quinto dell'art.
 272, era assicurato dalla specifica previsione del comma sesto  dello
 stesso  articolo  che  fissava  limiti  massimi di durata complessiva
 della custodia inferiori al "limite finale" di cui al comma nono; nel
 nuovo codice, anteriormente alla legge  n.  532/1995,  i  termini  di
 durata   complessiva   della  custodia  previsti  dall'art.  303/4  -
 applicabili nei casi di  regressione  o  rinvio  del  procedimento  -
 risultavano  sempre  inferiori  al  "limite  finale"  di cui all'art.
 304/4.
   Cade,  quindi,  l'argomento "storico" prospettato per sostenere che
 il  "limite  finale"  abbia  portata  non  circoscritta  ai  casi  di
 sospensione dei termini.
   L'art.  15/1  della  legge  n.  532/1995,  nel riformulare il testo
 dell'art.   304, ha introdotto un "limite  finale"  di  durata  della
 custodia  anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase) e
 ha piu' favorevolmente disciplinato  il  "limite  finale"  di  durata
 complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i
 termini  di  cui all'art.   303/4 aumentati della meta' e richiamando
 comunque il previgente "limite" (due terzi  del  massimo  della  pena
 temporanea), da applicarsi pero' solo se piu' favorevole.
    Che  tali  previsioni  riguardino unicamente i casi di sospensione
 dei termini della custodia si desume dalla scelta del legislatore  di
 tener  ferma  la  collocazione  della  norma  nell'articolo  dedicato
 appunto alla sospensione. Ne' pare che l'uso dell'avverbio "comunque"
 nell'art. 304/6  confermi  l'ipotesi  che  i  "limiti  finali"  siano
 riferiti a tutti i fenomeni che possono interferire con la disciplina
 dei  termini,  e  percio'  anche  ai  casi  di  proroga dei termini e
 regressione  del  procedimento.  Ben  puo'  ritenersi,  infatti,  che
 l'avverbio  valga  invece a sottolineare la correlazione tra la norma
 sui "limiti finali" e tutte  le  varie  ipotesi  di  sospensione  dei
 termini  previste nei cinque commi che precedono, nel senso cioe' che
 i limiti operano quale che sia la causa della sospensione.
   Ma vi e' una ragione  ulteriore  che  induce  a  escludere  che  il
 "limite  finale"  di  cui  all'art.  304/6  sia riferibile ai casi di
 regressione o rinvio del procedimento.
   Occorre infatti  considerare  che  l'art.  304/6,  come  sostituito
 dall'art.    15/1  della  legge n. 332/1995, fissa il "limite finale"
 relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare
 non puo' comunque superare il doppio dei termini  previsti  dall'art.
 303,  comi 1, 2 e 3". La norma, dunque, richiama espressamente i casi
 di regressione o rinvio del procedimento e il caso di  evasione,  nei
 quali   i   termini  decorrono  ex  novo,  e  la  previsione  risulta
 perfettamente  giustificata  anche  per  chi  ritenga,  come  qui  si
 sostiene,  che  l'art.  304/6 si applichi solo in caso di sospensione
 dei termini: infatti, ben puo' darsi  il  caso  che  il  procedimento
 regredisca  nella  fase del giudizio e intervenga poi sospensione dei
 termini di custodia.
   Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 al commi 2 e 3,
 dell'art. 303, non puo' che essere quello  di  confermare,  anche  ai
 fini  della  individuazione  del  "limite  finale"  di  durata  della
 custodia nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei  casi  del
 regresso  o  rinvio  del procedimento e della evasione. Cio' comporta
 che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase del giudizio di
 primo grado ed essendo stati  poi  sospesi  i  termini,  la  custodia
 cautelare  non  potra'  superare  il  doppio  del  termine  di  fase,
 calcolato pero'  a  partire  dalla  data  del  provvedimento  che  ha
 disposto  il  regresso  e  non  dalla emissione del provvedimento che
 originariamente aveva disposto  il  giudizio  (in  tal  senso  si  e'
 pronunciata  la  I sezione della Corte di cassazione, con sentenza n.
 1063/1996, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso da questo
 tribunale, IV sezione, con ordinanza ex art. 310 c.p.p.  in  data  21
 dicembre 1995).
   Se  il  legislatore  del  1995,  ai  fini  della individuazione del
 "limite finale" di durata della custodia nella  fase,  avesse  inteso
 invece  equiparare  alle altre le situazioni di regresso o rinvio del
 procedimento e di evasione, si sarebbe limitato a prevedere  che  "la
 durata  della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio
 dei termini previsti  dall'art.  303,  comma  1  ...",  eventualmente
 aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2
 e 3 dello stesso articolo".
   Il  dato testuale appare dunque chiaro e il collegio e' obbligato a
 tenerne conto, poiche' "nell'applicare la legge non si puo'  ad  essa
 attribuire  altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal significato
 proprio delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e  dalla
 intenzione del legislatore".
   Peraltro, cosi' interpretato il richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2
 e  3 dell'art. 303, appare ancor piu' evidente che il "limite finale"
 non si riferisce ai casi di regressione o rinvio del  procedimento  e
 di   evasione,   nei   quali   potrebbe  trovare  rarissima,  se  non
 impossibile, applicazione. Infatti, se detto limite nelle ipotesi  di
 cui ai commi 2 e 3, dell'art. 303, va computato a partire dal momento
 di nuova decorrenza del termine, esso (salva l'ipotesi eccezionale in
 cui si verifichino tre o piu' regressi) non puo' concretamente essere
 superato  (in quanto ben prima viene a scadere l'ordinario termine di
 fase) se non intervenga, dopo la regressione,  anche  la  sospensione
 dei   termini.  Sicche',  in  definitiva,  trova  ulteriore  conforto
 l'interpretazione secondo  cui  il  "limite  finale"  della  custodia
 cautelare  nelle singole fasi pari al doppio del termine ordinario di
 cui all'art. 304/6 e' riferibile unicamente ai  casi  di  sospensione
 dei termini.
    4.   -   Le   Sezioni   unite  della  Corte  di  cassazione  hanno
 ripetutamente affermato che, sebbene la  sentenza  interpretativa  di
 rigetto  della  Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga
 omnes, facendo essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a  quo,  non
 si  puo'  mai  giungere  a  sostenere  che  per  gli altri giudici la
 decisione della Corte  costituzionale  sia  da  ritenersi  inutiliter
 data.  Sicche'  il  giudice  che,  in  un  diverso  giudizio, intenda
 discostarsi dall'interpretazione proposta nella sentenza della  Corte
 costituzionale  non  ha  altra  alternativa  che  quella di sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile  con  la
 Costituzione (SS.UU. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Callieri).
   Il  Collegio,  uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene di dover
 sollevare nuovamente la questione di  legittimita'  dell'art.  303/4,
 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e
 facendo  proprie  le  motivazioni dell'ordinanza 22 novembre 1996 del
 tribunale di Reggio Calabria.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge n. 87,  dell'11  marzo  1953,  dichiara
 rilevante  -  relativamente  alla  posizione  dell'appellante  Pedana
 Raffaele  -  e  non  manifestamente  infondata   "la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 303/4, c.p.p., nella parte in
 cui non prevede che, oltre al superamento  del  termine  complessivo,
 possa  essere  causa di scarcerazione anche il superamento del doppio
 del termine di fase, allorche' si verifichi la  situazione  descritta
 nel comma due di detto art. 303";
   Sospende  nei  confronti  del  predetto  il procedimento in corso e
 dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che, a cura della Cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata all'appellante Pedana Raffaele, al suo difensore, avvocato
 Giacomo  Cassandro,  al  pubblico ministero nonche' al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due
 Camere del Parlamento.
     Napoli, addi' 13 novembre 1998
                         Il presidente: Varone
                                              Il giudice est.: Lopiano
 99C0579