N. 186 SENTENZA 7 - 13 giugno 2000

Sentenza 7-13 giugno 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Oggetto   della  questione  -  Duplice  profilo  -  Individuazione  -
Interpretazione dell'ordinanza di rimessione.
Processo  penale  -  Spese  del  giudizio  - Ricorso per cassazione -
Dichiarazione  di  inammissibilita' - Condanna automatica della parte
privata ricorrente al pagamento delle spese del procedimento anche in
mancanza   di   colpa  nella  proposizione  del  ricorso  -  Ritenuta
equiparabilita'   della   situazione  del  ricorrente  a  quella  del
querelante soccombente esentato dal pagamento delle spese processuali
-  Inidoneita'  del tertium comparationis richiamato - Non fondatezza
della questione.
- Cod. proc. pen., art. 616.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Processo   penale   -  Ricorso  per  cassazione  -  Dichiarazione  di
  inammissibilita'   -   Condanna   automatica  della  parte  privata
  ricorrente  al  pagamento  di una somma in favore della Cassa delle
  ammende,  anche  in  mancanza  di  colpa nella determinazione della
  causa   di   inammissibilita'   -   Violazione   del  principio  di
  eguaglianza,  per  irragionevole  equiparazione delle posizioni del
  ricorrente    incolpevole    e   del   ricorrente   "temerario"   -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Cod. proc. pen., art. 616.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.26 del 21-6-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,   Fernanda  CONTRI,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza


nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 616 del codice
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1999
dalla  Corte  di  cassazione, sul ricorso proposto da Baron Leondina,
iscritto  al  n. 296  del  registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica - prima serie speciale - n. 21
dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Franco Bile.

                          Ritenuto in fatto


    1. - La Corte di cassazione, VI sezione penale, con ordinanza del
22 gennaio  1999,  ha proposto d'ufficio la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 616  del  codice di procedura penale, nella
parte in cui (in caso di declaratoria di inammissibilita' del ricorso
per  cassazione) prevede la condanna della parte privata ricorrente a
pagare  le  spese  del  procedimento nonche' una somma a favore della
cassa  delle  ammende,  anche in assenza di colpa ad essa ascrivibile
nell'esercizio del diritto di impugnazione.
    La  questione  e'  stata  sollevata  in  relazione  ad un ricorso
proposto  dalla persona offesa dal reato personalmente e non mediante
il  ministero  di  un  difensore  iscritto  nell'apposito  albo, come
l'art. 613 cod. proc. pen. esige a pena di inammissibilita'.
    L'ordinanza   -   premesso   che  le  sezioni  unite  considerano
inammissibile  il ricorso proposto personalmente dalla persona offesa
dal   reato   e  che  la  dichiarazione  d'inammissibilita'  dovrebbe
comportare  la  condanna  del  ricorrente alle spese ed alla sanzione
pecuniaria, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. - ritiene che tale
norma violi gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Il  giudice  a  quo  richiama le sentenze con cui questa Corte ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  che,  con
rigorosa  applicazione  del  principio  di  causalita',  prevedeva la
condanna  del  querelante  al  pagamento  delle  spese  nel  caso  di
proscioglimento  dell'imputato,  anche  in assenza di qualsiasi colpa
nell'esercizio  del  diritto  di  querela.  E ritiene che le medesime
ragioni   dovrebbero  indurre  alla  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 616  cod. proc. pen., perche' la previsione
della  condanna  della  parte  privata  ricorrente  alle spese e alla
sanzione  pecuniaria,  ogni  volta  che  il  ricorso  sia  dichiarato
inammissibile,  violerebbe  l'art. 24  Cost., in quanto tale condanna
deve  essere  pronunziata  "anche  se la proposizione del ricorso per
cassazione  non sia in alcun modo ascrivibile a colpa del ricorrente"
e  l'art. 3  Cost.,  "in quanto sottopone alla medesima disciplina la
situazione  del  ricorrente  temerario,  superficiale  o  avventato e
quella del ricorrente incolpevole".

    2.  -  Il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e' intervenuto
tramite  l'Avvocatura  dello  Stato ed ha eccepito l'inammissibilita'
della questione, in quanto nella specie il ricorrente dovrebbe essere
considerato   in   colpa   per   avere   accettato   il  rischio  che
l'orientamento  da lui condiviso potesse venire disatteso. Nel merito
ha concluso per l'infondatezza.

                       Considerato in diritto


    1.   -   La   Corte   di  cassazione  dubita  della  legittimita'
costituzionale  - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione
-  dell'art. 616  cod.  proc.pen. nella  parte  in  cui  (in  caso di
declaratoria  di inammissibilita' del ricorso per cassazione) prevede
la  condanna  della parte privata ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende.

    2. - Nella motivazione dell'ordinanza il giudice a quo afferma di
dover applicare l'art. 616 cod. proc. pen. in ordine tanto alle spese
del  procedimento  quanto  alla  somma  a  favore  della  cassa delle
ammende.  Nel  dispositivo  solleva invece la questione con esclusivo
riferimento al provvedimento sulle spese.
    L'interpretazione  dell'ordinanza attraverso la coordinazione del
dispositivo  con  la motivazione (cfr. sentenze n. 14 del 1977, n. 17
del  1986  e  n. 324  del  1993)  consente  peraltro  di  individuare
l'oggetto  della  questione,  nel  senso  che  essa concerne la norma
impugnata sotto entrambi i profili.

    3.  -  Dal  testo  dell'ordinanza  risulta  che  la  questione e'
proposta con esclusivo riferimento alla porzione della norma relativa
alle  conseguenze della dichiarazione di inammissibilita' del ricorso
per  cassazione  proposto  dalla  parte  privata,  mentre  non  viene
investita la disciplina degli effetti della pronunzia di rigetto.

    4.  -  L'art. 616 cod. proc. pen. e' sospettato di illegittimita'
costituzionale  perche'  la  previsione  della  condanna  della parte
privata ricorrente alle spese ed alla sanzione pecuniaria, ogni volta
che  il  ricorso  sia  dichiarato inammissibile, violerebbe l'art. 24
Cost.,  in  quanto tale condanna deve essere pronunziata "anche se la
proposizione  del  ricorso  per  cassazione  non  sia  in  alcun modo
ascrivibile  a  colpa  del  ricorrente"  e l'art. 3 Cost., "in quanto
sottopone  alla  medesima  disciplina  la  situazione  del ricorrente
temerario,   superficiale   o   avventato  e  quella  del  ricorrente
incolpevole".

    5.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale deve essere
esaminata distinguendo la condanna al pagamento delle spese da quella
al pagamento in favore della cassa delle ammende.
    Sotto il primo profilo essa e' infondata.
    Il  contrasto  della  norma  impugnata con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione e' prospettato dal giudice a quo mediante il richiamo al
tertium  comparationis  costituito  dalla  disciplina,  risultante da
talune  sentenze di questa Corte, dell'obbligazione del querelante di
sopportare  l'onere  delle  spese anticipate dallo Stato, nel caso di
mancata condanna dell'imputato.
    La  Corte  infatti  ha  piu'  volte affermato (sentenze n. 45 del
1997,  n. 134  del 1993 e, in epoca risalente, n. 30 del 1964) che la
regola  generale in materia di spese processuali penali - secondo cui
il  costo  del  processo  deve  essere  sopportato  da  chi  ha  reso
necessaria  l'attivita' del giudice - conosce varie eccezioni; e, fra
queste,  l'esenzione del querelante "soccombente" dal pagamento delle
spese nei casi - "retti da una ratio unitaria" - nei quali la mancata
condanna  dell'imputato  derivi  da  circostanze non riconducibili al
querelante   stesso,   cui   nessuna  colpa  possa  essere  ascritta.
Ricorrendo  tali estremi, infatti, contrasterebbe con il principio di
eguaglianza  la  norma  che  egualmente  imponesse  la  condanna  del
querelante  alle  spese processuali (n. 165 del 1974, n. 52 del 1975,
n. 29 del 1992, n. 180 del 1993, n. 423 del 1993).
    Il  giudice  a  quo  ritiene  che  le medesime ragioni dovrebbero
indurre  alla  declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 616 cod.
proc.  pen.,  che  prevede la condanna della parte privata ricorrente
alle  spese  "anche  se  la proposizione del ricorso non sia in alcun
modo ascrivibile a colpa del ricorrente".

    6.  -  I limiti della responsabilita' del querelante per le spese
dei  procedimenti  relativi  a  reati  perseguibili  a querela, quali
risultano  dai  ricordati  interventi  di questa Corte, non possono -
nella specie - fungere utilmente da tertium comparationis.
    Essi  mirano a bilanciare le contrapposte esigenze di prevenire e
sanzionare la presentazione di denunce temerarie o del tutto prive di
fondamento  e nel contempo di non scoraggiare l'esercizio del diritto
di  querela.  La prima esigenza e' tutelata dalla responsabilita' del
querelante  per  le  spese in caso di mancata condanna del querelato;
l'altra   dall'esclusione  di  tale  responsabilita'  se  la  mancata
condanna non sia riconducibile a colpa del querelante.
    In  realta'  -  ove  alla  querela  segua  un processo che non si
concluda  con  la  condanna  dell'imputato  - siffatto esito puo' ben
dipendere  da  circostanze dal querelante non scrutinabili, e percio'
inidonee  a  fondare una valutazione del suo comportamento in termini
di colpa.

    7.  -  Su  un  diverso piano si colloca l'art. 616, del codice di
procedura penale.
    La  norma  -  in applicazione di un principio comune alla materia
delle  impugnazioni  (artt. 592, 637 cod. proc. pen.) - pone le spese
del   giudizio   di   cassazione,   se   il   ricorso  e'  dichiarato
inammissibile,  a  carico  della  parte privata ricorrente, in quanto
essa  ha  dato avvio al giudizio di legittimita' e ha reso necessario
disciplinare la distribuzione del relativo onere economico.
    Questa regola - operando in funzione del risultato del processo -
ragionevolmente  prescinde  dalle  ragioni concrete che a quell'esito
abbiano  condotto, e in particolare dall'atteggiamento soggettivo del
soccombente.
    Pertanto  -  trattandosi di situazioni differenziate - il tertium
comparationis  assunto dal giudice a quo e' incongruo e le censure di
violazione dell'art. 3 Cost., collegate alla mancata previsione nella
norma  in  esame  di  una  disciplina  su quel tertium modulata, sono
infondate.

    8.  -  E'  invece  fondata - nei termini di seguito indicati - la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 616 cod. proc.
pen. proposta,  in  riferimento  all'art. 3 Cost., nella parte in cui
prevede  che, in caso di inammissibilita' del ricorso per cassazione,
la  parte  privata ricorrente e' condannata al pagamento di una somma
in favore della cassa delle ammende.
    Tale    condanna    ha    funzione   sanzionatoria,   comportando
l'imposizione  di  un  esborso non commisurato in alcun modo al costo
del  procedimento.  Essa  e'  stata in passato riconosciuta da questa
Corte  di per se' non in contrasto con l'assolutezza del diritto alla
tutela   giurisdizionale  garantito  dall'art.24  della  Costituzione
(sentenza  n. 69 del 1964, pronunziata a proposito dell'art. 549 cod.
proc.  pen. abrogato,  in  gran parte corrispondente all'art. 616 del
codice vigente).
    Il  giudice  a  quo  sospetta  che  la norma violi l'art. 3 della
Costituzione   in   quanto  collega  con  rigoroso  automatismo  alla
pronuncia    di   inammissibilita'   del   ricorso   per   cassazione
l'irrogazione    della   sanzione   pecuniaria   alla parte   privata
ricorrente,    senza    distinguere    in    ordine    alle   ragioni
dell'inammissibilita',  ed  in  particolare  senza  prevedere  che la
condanna possa essere omessa ove la medesima inammissibilita' non sia
ascrivibile a colpa del ricorrente.
    Orbene,  la natura sanzionatoria della condanna in esame esige la
valutazione  della condotta del destinatario della sanzione, anche in
relazione all'elemento soggettivo.
    E'  pertanto  incompatibile  con  il principio di eguaglianza una
norma  che tratti allo stesso modo la posizione di chi abbia proposto
il    ricorso   per   cassazione,   poi   dichiarato   inammissibile,
ragionevolmente  fidando  nell'ammissibilita' e quella del ricorrente
che  invece non versi in tale situazione, al punto da essere definito
dall'ordinanza "temerario".
    In questa prospettiva la norma denunciata - in quanto da' rilievo
all'errore   prescindendo  dalla  sua  causa  e  quindi  dall'aspetto
soggettivo  della  sua determinazione - si risolve nell'irragionevole
assoggettamento alla stessa disciplina di situazioni che identita' di
trattamento non meritano.
    Possono  infatti  verificarsi  casi  nei  quali  l'errore tecnico
causativo  dell'inammissibilita'  del  ricorso non sia percepibile al
momento della sua proposizione, come nell'ipotesi di un imprevedibile
mutamento  di  giurisprudenza  che  induca  la  Corte di cassazione a
ritenere  inammissibili  ricorsi  per  il  passato  pacificamente non
considerati  tali,  sulla  base  di  una  variazione  del criterio di
apprezzamento della causa di inammissibilita'.
    In  tali  evenienze estreme la rigida applicazione della sanzione
secondo  il  criterio  della soccombenza non e' conforme al principio
posto dall'art. 3 della Costituzione.
    Ne'  ovviamente  la  lesione  del  principio  di eguaglianza puo'
considerarsi  esclusa  dal  potere  del giudice di graduare l'importo
della  sanzione  pecuniaria.  Ed  anzi proprio la previsione da parte
della  norma  di  un  livello  minimo e di uno massimo della somma da
pagare - che dovrebbe raccordare la misura della sanzione al concreto
livello  di  colpa  del ricorrente - implicitamente conferma come sia
irragionevole  l'omessa  previsione dell'ipotesi in cui un profilo di
colpa manchi del tutto.
    Pertanto   si  deve  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 616  cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la
Corte  di  cassazione, in caso di inammissibilita' del ricorso, possa
non  pronunciare  la  condanna in favore della cassa delle ammende, a
carico  della  parte  privata  che  abbia  proposto  il ricorso senza
versare    in    colpa    nella   determinazione   della   causa   di
inammissibilita'.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    1)  Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 616 del
codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non prevede che la
Corte  di  cassazione, in caso di inammissibilita' del ricorso, possa
non  pronunciare  la  condanna in favore della cassa delle ammende, a
carico  della  parte  privata  che  abbia  proposto  il ricorso senza
versare    in    colpa    nella   determinazione   della   causa   di
inammissibilita'.
    2)   Dichiara   non   fondata   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  della  rimanente  parte  dell'art. 616  del codice di
procedura  penale,  sollevata  in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione,  dalla  Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in
epigrafe.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                         Il redattore: Bile
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
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