N. 191 ORDINANZA 7 - 13 giugno 2000

Ordinanza 7-13 giugno 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo   penale   -  Dibattimento  -  Astensione  dall'udienza  del
difensore,  per  adesione  a protesta di categoria - Inapplicabilita'
della  sospensione  o del rinvio del dibattimento - Asserita mancanza
di  regolamentazione  di  una  ipotesi  eccezionale  di  sospensione,
fondata  sull'esercizio  di  un  diritto costituzionalmente tutelato,
qual e' lo sciopero, lesiva inoltre del principio di buon andamento e
dei  diritti  delle vittime di reati - Estraneita' della disposizione
censurata  alla  fattispecie  oggetto  del giudizio a quo - Manifesta
inammissibilita' della questione.
- Cod.  proc.  pen., art. 447, comma 2; legge 12 giugno 1990, n. 146,
  artt. 2 e 8.
- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 40 e 97.
(GU n.26 del 21-6-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 477, comma 2,
del  codice  di  procedura  penale  e  degli  artt. 2 e 8 della legge
12 giugno  1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero
nei  servizi  pubblici  essenziali  e  sulla salvaguardia dei diritti
della   persona   costituzionalmente   tutelati.   Istituzione  della
Commissione  di  garanzia  dell'attuazione della legge), promosso con
ordinanza  emessa  il  9 novembre  1998  dal  pretore  di  Varese nel
procedimento penale a carico di Passini Ivano, iscritta al n. 102 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica - prima serie speciale - n. 10 dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 marzo 2000 il giudice
relatore Francesco Guizzi.
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un procedimento penale i difensori
proponevano  istanze di rinvio, intendendo astenersi dalle udienze in
ottemperanza a una delibera dell'Unione delle camere penali italiane;
        che   dette   istanze  erano  rigettate,  non  essendo  stata
deliberata  la  protesta  con l'osservanza delle regole in materia di
preavviso;
        che  il  pretore  di  Varese  - invitato da altro difensore a
"prendere  atto"  dell'astensione  dall'udienza ai sensi dell'art. 40
della  Costituzione - sollevava, in riferimento agli artt. 3, secondo
comma,   40  e  97  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 477,  comma  2,  del  codice  di  procedura
penale, e degli artt. 2 e 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme
sull'esercizio   del   diritto   di  sciopero  nei  servizi  pubblici
essenziali   e   sulla   salvaguardia   dei   diritti  della  persona
costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della  Commissione  di
garanzia dell'attuazione della legge);
        che,  ad  avviso del rimettente, questa seconda iniziativa si
porrebbe  su  un  piano  diverso  rispetto a quello considerato dalla
Corte   costituzionale   nella   sentenza   n. 171   del   1996   per
l'impossibilita'  di  applicare  d'ufficio  l'art. 486,  comma 5, del
codice di procedura penale, integrando la richiesta di "presa d'atto"
dell'astensione,  nella  sua materialita', una eccezionale ipotesi di
sospensione  del  processo,  direttamente fondata sull'esercizio d'un
diritto tutelato dalla Costituzione, onde l'applicabilita' del citato
art. 477;
        che,  tuttavia, questa disposizione lederebbe l'art. 40 della
Costituzione,   affidando   soltanto   agli  avvocati  il  potere  di
valutazione  discrezionale,  volto  a contemperare il principio della
concentrazione   del   dibattimento   con  l'esigenza  di  permettere
sospensioni di breve durata per motivi non codificati;
        che  si  puo'  parlare,  secondo  il  pretore,  di diritto di
sciopero  anche  alla  luce  della sentenza n. 222 del 1975 di questa
Corte,  la  quale,  con  riguardo alla legittimita' dell'art. 506 del
codice penale, defini' "sciopero" l'astensione dal lavoro compiuta da
una   pluralita'   di   lavoratori  che  agiscono  d'accordo  per  il
perseguimento  di  un comune interesse, indipendentemente da rapporti
di subordinazione o parasubordinazione;
        che  allo  stesso  modo  sarebbe  ascrivibile  allo  sciopero
l'astensione  dal  lavoro  di  liberi  professionisti,  nella  specie
avvocati, che ritengano di dover interrompere le loro prestazioni (in
tutto o in parte) per motivi politici;
        che  simili comportamenti - per i quali deve comunque operare
il  bilanciamento  dei  valori  in  gioco - non risultano regolati, e
producono  quindi  effetti  lesivi  del  principio  di buon andamento
dell'amministrazione   e   dei   diritti  delle  vittime  dei  reati,
allungandosi i tempi di celebrazione dei processi;
        che  e'  soltanto il ripristino della legalita' ad assicurare
il  diritto  all'uguaglianza  di cui all'art. 3, secondo comma, della
Costituzione;
        che  diventa  necessario  -  stando  alla  prospettazione del
giudice  a quo - sottoporre a esame di costituzionalita' tutti quegli
articoli  della  legge  n. 146  del  1990,  ove  si prevede il minimo
assoluto  di  garanzia  dei servizi elencati nell'art. 1, comma 2, di
essa;
        che,   in   particolare,  gli  artt. 2  e  8  si  riferiscono
esclusivamente alle "amministrazioni" e alle "imprese" erogatrici dei
servizi  essenziali  e  non  a tutti gli altri "soggetti" ai quali e'
riconosciuto  il  diritto  di sciopero e che, pertanto, sfuggono alle
previsioni  della  legge,  potendolo  esercitare  con  modalita'  non
regolate e, in conseguenza, contrastanti con la Costituzione;
        che  la  Corte europea dei diritti dell'uomo, con le sentenze
del   20 maggio   1998  (Schopfer  c.  Svizzera)  e  22 ottobre  1997
(Papageorgiou   c.   Grecia),   qualifica   gli   avvocati  come  gli
intermediari  fra  i  cittadini  sottoposti a giudizio e i tribunali,
giustificando  l'esistenza  di  una normativa di condotta imposta nei
loro    confronti:   onde   la   censura   per   quei   comportamenti
controproducenti, quali gli scioperi di lunga durata;
        che,  in  conclusione,  lo  "sciopero"  degli  avvocati  puo'
assumere   una   duplice   configurazione:   impedimento   di  natura
processuale,  la cui efficacia sospensiva e' rimessa alla valutazione
del  giudice,  o  mero  fatto  giuridico, che e' manifestazione di un
diritto  costituzionalmente  tutelato e non e' dunque riconducibile a
valutazione  processuale;  fatto  giuridico  che,  pero',  si  palesa
"potenzialmente  lesivo  di altre norme costituzionali, in difetto di
tutela  -  mediante un'applicazione diretta agli avvocati delle norme
della legge n. 146 del 1990 - dei diritti da esse garantiti";
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dell'Avvocatura dello Stato, che - rifacendosi
alla  sentenza  n. 171  -  ha  concluso  per l'inammissibilita' o per
l'infondatezza della questione.

    Considerato  che  la  prospettazione  del  giudice  a quo investe
l'art. 477,   comma  2,  del  codice  di  procedura  penale,  che  e'
disposizione palesemente estranea rispetto all'adesione alla protesta
proclamata dalle organizzazioni forensi e alla conseguente astensione
dall'udienza;
        che  la  richiesta  di  "presa d'atto" rivolta al giudice non
costituisce   istanza   processualmente  apprezzabile  e  tanto  meno
sussumibile sotto la disposizione censurata;
        che  l'astensione  dalle  udienze comporta - ove sussistano i
presupposti  -  l'applicazione  dell'art. 486, comma 5, del codice di
procedura penale, nei limiti di quanto questa Corte ha gia' affermato
con la sentenza n. 171 del 1996 e con le ordinanze nn. 175, 106 e 105
del 1998, nonche' 318 e 273 del 1996;
        che, pertanto, la questione e' manifestamente inammissibile.

    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 477,  comma  2, del codice di
procedura  penale,  nonche'  degli  artt. 2 e 8 della legge 12 giugno
1990,  n. 146  (Norme  sull'esercizio  del  diritto  di  sciopero nei
servizi  pubblici  essenziali  e sulla salvaguardia dei diritti della
persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di
garanzia dell'attuazione della legge), sollevata, in riferimento agli
artt. 3,  secondo  comma,  40 e 97 della Costituzione, dal pretore di
Varese con l'ordinanza in epigrafe.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Guizzi
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
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