N. 384 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 dicembre 1998
N. 384 Ordinanza emessa il 23 dicembre 1998 dal tribunale, sezione per il riesame di Napoli nel procedimento penale a carico di Mallardo Feliciano ed altro Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di fase - Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione del procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia della misura solo nel caso di superamento del termine di durata complessivo e non anche nel caso di superamento del doppio del termine di fase - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen. (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4). (Cost., art. 3).(GU n.28 del 14-7-1999 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza sugli appelli proposti nell'interesse d Mallardo Feliciano e Dell'Aquila Giuseppe avverso l'ordinanza emessa in data 21 settembre 1998 dal tribunale di Napoli, III sezione penale, con la quale venivano rigettate nei confronti dei predetti imputati le istanze di scarcerazione per scadenza, nella fase delle indagini preliminari, del termine massimo della custodia cautelare; O s s e r v a 1. - Come risulta dagli atti trasmessi dall'a.g. procedente e dalla "posizione giuridica" successivamente acquisita, Mallardo Feliciano e Dell'Aquila Giuseppe sono sottoposti a custodia cautelare in carcere, tra gli altri, per il reato di associazione mafiosa in forza di ordinanza coercitiva emessa dal g.i.p. del tribunale di Napoli in data 3 luglio 1995, agli stessi notificata il 4 luglio 1995. Gli appellanti vennero rinviati a giudizio con decreto del g.i.p. del 26 aprile 1996 avanti alla Corte di assise di Napoli, IV sezione, la quale, pero', con sentenza 25 febbraio 1997, dichiaro' la propria incompetenza per materia con riferimento, tra gli altri, al reato di cui al 416-bis c.p. e rimise gli atti al p.m. della D.D.A. di Napoli perche' promuovesse l'azione penale avanti al tribunale. A tanto il p.m. ha poi provveduto e in data 21 novembre 1997 e' stato emesso nei confronti degli odierni appellanti nuovo decreto di rinvio a giudizio da parte del g.i.p. Le difese hanno formulato istanze di scarcerazione invocando l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 292/1998 e, con gli appelli proposti ai seni dell'art. 310 c.p.p. avverso il provvedimento di rigetto del tribunale di Napoli in data 21 settembre 1998, deducono l'erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 303, primo comma, e 304, sesto comma, nonche' all'art. 13 della Costituzione; in particolare viene evidenziato che la sentenza della Corte, pur dichiarando infondata la questione sollevata, ha affermato il principio secondo cui "il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione determina la perdita di efficacia della custodia anche se quei termini sono sospesi, prorogati o - per stare al caso che qui interessa - sono ricominciati a decorrere". Con gli esposti motivi viene lamentato che il tribunale, pur accogliendo il principio affermato dalla suprema Corte, ha poi ritenuto che "il periodo intercorso tra il decreto che dispone il giudizio e la decisione di regressione continua come sempre ad essere conteggiato soltanto ai fini della decorrenza dei termini di fase dibattimentale, non essendo possibile cumulare i termini relativi a diverse fasi del processo". Si sostiene in proposito che "l'interpretazione adottata dal tribunale e' assolutamente illogica e contrasta in modo evidente con l'interpretazione della Corte costituzionale e con l'iter logico-giuridico seguito e posto a sostegno della suindicata sentenza". "invero la Corte costituzionale ... ha ritenuto che delle varie interpretazioni delle norme restrittive della liberta' personale dell'individuo va adottata quella piu' favorevole ad esso, come impone la stessa logica dell'art. 13 della Costituzione ...", "seguendo la logica del tribunale l'imputato, rinviato a giudizio a distanza di un anno circa dall'esecuzione dell'ordinanza davanti al giudice incompetente che avrebbe potuto emettere sentenza di incompetenza anche a distanza di un anno e mezzo dal decreto che dispose il giudizio, avrebbe potuto ricevere un nuovo rinvio a giudizio, senza che la misura potesse perdere di efficacia, anche a distanza di tre anni e mezzo dalla sottoposizione alla stessa". "Periodo che, ipoteticamente avrebbe potuto allungarsi con gli stessi effetti sino a quattro anni circa, nel caso di due regressioni, senza la possibilita' per l'imputato di conoscere attraverso l'accertamento dibattimentale le prove che potrebbero giustificare la carcerazione preventiva sofferta". "Quindi la regressione alla fase delle indagini determinata dall'errore giudiziario verrebbe ad incidere notevolmente sulla liberta' dell'individuo senza la possibilita' di beneficiare dello sbarramento dato dai termini di fase con evidente violazione dei principi di legge, costituzionale e procedurale". 2. - Cio' posto, va osservato che non e' dubbio che nella specie, a seguito della sentenza di incompetenza pronunciata dalla Corte di assise di Napoli, si e' verificata la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari e la nuova decorrenza del termine della custodia cautelare relativo a tale fase, secondo quanto previsto dall'art. 303/2 c.p.p. La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento". La previsione dell'art. 303/2 era stata piu' volte oggetto di questioni di incostituzionalita', ma la Corte di cassazione ne aveva sempre ritenuto la manifesta infondatezza, osservando: che la norma, nel parificare, agli effetti dell'allungamento del termine di fase, la regressione del procedimento per nullita' (anche nel caso di gravi vizi di costituzione delle parti) alle altre ipotesi di regressione stabilite dalla legge, non contrasta con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Cost.), poiche' essa intende in ogni caso bilanciare le conseguenze negative del riprendere ex novo l'iter processuale con il permanere delle esigenze cautelari, consentendo l'allungamento del termine di fase, ma comunque entro il termine di durata complessiva della custodia stabilito dall'art. 303/4 (Cass., sez. IV, n. 915/1993, Esposito); che non sussiste violazione dell'art. 13, ultimo comma, Cost., in quanto la norma costituzionale impone che la legge ordinaria stabilisca, per il completamento dell'intero procedimento, il limite massimo alla carcerazione preventiva, ma non esige anche che sia fissato altro limite parziale interno a ciascuna fase del procedimento stesso (Cass., sez. VI, n. 3525/93, Massidda); che non sussiste violazione degli artt. 13 e 24 della Costituzione perche', da un lato, e' comunque previsto un tetto massimo della custodia cautelare, conformemente a quanto dispone l'art. 13 della Costituzione, che riserva alla discrezionalita' del legislatore ordinario i casi e i modi della detenzione e, in genere, di ogni forma di restrizione della liberta' personale e, dall'altro, non puo' farsi commistione tra il diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, che consente di eccepire una nullita', e i riflessi che il suo esercizio puo' avere in materia di liberta', essendo rimessa alla discrezionalita' difensiva la valutazione della convenienza di esercitare, o meno, una certa facolta', anche per le implicazioni, le conseguenze e le interferenze di fatto in ogni direzione (Cass., sez. I, n. 421/1994, Gigliotti ed altri; Cass., sez. I, n. 1431/1996, Affuso, aveva poi escluso la sussistenza di una violazione dell'art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto alla direttiva n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81). Peraltro, con ordinanza 22 novembre 1996 il tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate rilevava di ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma due di detto art. 303". Nel caso che dava occasione alla questione vi erano state due successive regressioni del procedimento nella fase delle indagini preliminari, a seguito di sentenze di incompetenza, e la difesa istante aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a giudizio era decorso un periodo di tempo superiore al doppio del termine di fase. Il g.i.p. aveva rigettato la richiesta di scarcerazione sul rilievo che la situazione degli imputati era disciplinata unicamente dai commi 2 e 4 dell'art. 303 e non anche dall'art. 304. Con l'atto di appello la difesa aveva riproposto la questione al tribunale e nella discussione aveva poi in via subordinata, denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in quanto applicabile al solo caso di sospensione dei termini e non anche ai casi di regressione, con conseguente irragionevole disparita' di trattamento. Il tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza di rimessione rilevava che la questione era mal posta dalla difesa, poiche' la fattispecie del regresso "e' disciplinata dalle norme contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 c.p.p. ... ogni riferimento all'art. 304 c.p.p. e' ... inconferente, poiche' disciplina situazioni affatto differenti ... attiene all'istituto della sospensione del termine di custodia cautelare ed ai suoi limiti cronologici". Peraltro, anche il tribunale riteneva irragionevole la disparita' di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini e la interruzione dovuta a regressione o rinvio del procedimento - che presentano una "sostanziale omogeneita'" in quanto "entrambi rappresentano degli accidenti che si verificano nel cammino del procedimento, perlopiu' indipendenti dalla volonta' dell'imputato"; pertanto sollevava la questione di costituzionalita' nei termini sopra riportati (v. ord. 22 novembre 1996, trib. Reggio Calabria, Ardizzone ed altro in Gazzetta Ufficiale n. 45/1997, prima serie speciale, n. 756). La Corte costituzionale con la sentenza n. 292/1998 ha dichiarato la questione non fondata, affermando in motivazione che - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della custodia anche se quei termini ... sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo". La Corte, infatti, ha ritenuto che il "limite finale" di durata della custodia cautelare nelle singole fasi, fissato dall'art. 304/6 nel doppio del termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi di sospensione dei termini, come sembrerebbe indicare la collocazione della norma, ma anche in quelli di proroga o di interruzione determinata da regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice. 3. - La soluzione interpretativa adottata dalla Corte costituzionale non e' giuridicamente vincolante nel presente procedimento. Trattasi, invero, di sentenza interpretativa di rigetto resa dalla Corte costituzionale e tali sentenze non sono infatti munite dell'efficacia erga omnes propria delle decisioni con le quali viene dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una disposizione di legge, per cui assumono il valore di mero precedente, certamente autorevole, ma non vincolante per il giudice (ss.uu. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri). Nel caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa - ispirata dall'intento di superare la denunciata irragionevole disparita' di disciplina tra i casi di sospensione dei termini di custodia e quelli di interruzione dovuta a regresso o rinvio del procedimento - finisce per creare una omogeneita' di disciplina tra tali casi, nei quali l'allungamento della durata della custodia e' per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della evasione, nel quale l'allungamento deriva invece dal comportamento dell'imputato, per di piu' penalmente illecito (nella sentenza n. 292/1998, in verita', non vi e' menzione del caso di evasione dell'imputato, ma anch'esso rientra tra i "fenomeni che comunque possono interferire con la disciplina dei termini di fase", ai quali tutti si riferirebbe il "limite finale" di cui all'art. 304/6, e, d'altro canto, l'art. 303/3 e' espressamente richiamato dall'art. 304/6). Anche prescindendo da tale rilievo, il collegio ritiene di doversi discostare dalla soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della norma di cui all'art. 304/6, alla sua collocazione e alla sua letterale formulazione. Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della custodia cautelare e' stata avvertita dal legislatore proprio in relazione all'istituto della sospensione dei termini, che nelle sue concrete applicazioni avrebbe potuto determinare la quiescenza sine die del decorso dei termini. Il "limite finale" e' stato originariamente introdotto per la durata complessiva della custodia cautelare (art. 272/9 c.p.p. abrogato; art. 304/4 nuovo c.p.p. nel testo vigente anteriormente alla legge n. 532/1995) e la sua collocazione (subito dopo le norme sulla sospensione dei termini e nel nuovo codice proprio nell'articolo intitolato alla sospensione) rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato. Prima dell'entrata in vigore della legge n. 532/1995, non pare fosse, in realta', neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite finale" ai casi del regresso o del rinvio del procedimento (salvo quando - beninteso - dopo tali vicende fosse intervenuta anche la sospensione dei termini): infatti, nel codice abrogato l'irragionevole prolungamento della custodia nei casi di regressione o rinvio del procedimento, disciplinati dal comma quinto dell'art. 272, era assicurato dalla specifica previsione del comma sesto dello stesso articolo che fissava limiti massimi di durata complessiva della custodia inferiori al "limite finale" di cui al comma nono; nel nuovo codice, anteriormente alla legge n. 532/1995, i termini di durata complessiva della custodia previsti dall'art. 303/4 - applicabili nei casi di regressione o rinvio del procedimento - risultavano sempre inferiori al "limite finale" di cui all'art. 304/4. Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per sostenere che il "limite finale" abbia portata non circoscritta ai casi di sospensione dei termini. L'art. 15/1 della legge n. 532/1995, nel riformulare il testo dell'art. 304, ha introdotto un "limite finale" di durata della custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase) e ha piu' favorevolmente disciplinato il "limite finale" di durata complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i termini di cui all'art. 303/4 aumentati della meta' e richiamando comunque il previgente "limite" (due terzi del massimo della pena temporanea), da applicarsi pero' solo piu' favorevole. Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei termini della custodia si desume dalla scelta del legislatore di tener ferma la collocazione della norma nell'articolo dedicato appunto alla sospensione. Ne' pare che l'uso dell'avverbio "comunque" nell'art. 304/6 confermi l'ipotesi che i "limiti finali" siano riferiti a tutti i fenomeni che possono interferire con la disciplina dei termini, e percio' anche ai casi di proroga dei termini e regressione del procedimento. Ben puo' ritenersi, infatti, che l'avverbio valga invece a sottolineare la correlazione tra la norma sui "limiti finali" e tutte le varie ipotesi di sospensione dei termini previste nei cinque commi che precedono, nel senso cioe' che i limiti operano quale che sia la causa della sospensione. Ma vi e' una ragione ulteriore che induce a escludere che il "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia riferibile ai casi di regressione o rinvio del procedimento. Occorre infatti considerare che l'art. 304/6, come sostituito dall'art. 15/1 della legge n. 332/1995, fissa il "limite finale" relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3". La norma, dunque, richiama espressamente i casi di regressione o rinvio del procedimento e il caso di evasione, nei quali i termini decorrono ex novo e la previsione risulta perfettamente giustificata anche per chi ritenga, come qui si sostiene, che l'art. 304/6 si applichi solo in caso di sospensione dei termini: infatti, ben puo' darsi il caso che il procedimento regredisca nella fase del giudizio e intervenga poi sospensione dei termini di custodia. Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e 3 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini della individuazione del "limite finale" di durata della custodia nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o rinvio del procedimento e della evasione. Cio' comporta che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase del giudizio di primo grado ed essendo stati poi sospesi i termini, la custodia cautelare non potra' superare il doppio del termine di fase, calcolato pero' a partire dalla data del provvedimento che ha disposto il regresso e non dalla emissione del provvedimento che originariamente aveva disposto il giudizio (in tal senso si e' pronunciata la I sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 1063/1996, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso da questo tribunale, IV sezione, con ordinanza ex art. 310 c.p.p. in data 21 dicembre 1995). Se il legislatore del 1995, ai fini della individuazione del "limite finale" di durata della custodia nella fase, avesse inteso invece equiparare alle altre le situazioni di regresso o rinvio del procedimento e di evasione, si sarebbe limitato a prevedere che "la durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, comma 1...", eventualmente aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo". Il dato testuale appare dunque chiaro e il collegio e' obbligato a tenerne conto, poiche' "nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore". Peraltro, cosi' interpretato il richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e 3 dell'art. 303, appare ancor piu' evidente che il "limite finale" non si riferisce ai casi di regressione o rinvio del procedimento e di evasione, nei quali potrebbe trovare rarissima, se non impossibile, applicazione. Infatti, se detto limite nelle ipotesi di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 303 va computato a partire dal momento di nuova decorrenza del termine, esso (salva l'ipotesi eccezionale in cui si verifichino tre o piu' regressi) non puo' concretamente essere superato (in quanto ben prima viene a scadere l'ordinario termine di fase) se non intervenga, dopo la regressione, anche la sospensione dei termini. Sicche', in definitiva, trova ulteriore conforto l'interpretazione secondo cui il "limite finale" della custodia cautelare nelle singole fasi pari al doppio del termine ordinario di cui all'art. 304/6 e' riferibile unicamente ai casi di sospensione dei termini. 4. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente affermato che, sebbene la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes, facendo essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a quo non si puo' mai giungere a sostenere che per gli altri giudici la decisione della Corte costituzionale sia da ritenersi inutiliter data. Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi dall'interpretazione proposta nella sentenza della Corte costituzionale non ha altra alternativa che quella di sollevare ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione (ss.uu. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri). Il collegio, uniformandosi a tale principio, ritiene di dover sollevare nuovamente la questione di legittimita' dell'art. 303/4 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22 aprile 1996 del tribunale di Reggio Calabria.
P. Q. M. Visto l'art. 310 c.p.p., conferma l'impugnata ordinanza nei confronti degli appellanti Mallardo Feliciano e Dell'Aquila Giuseppe che condanna, in solido, al pagamento delle spese della procedura incidentale; Manda alla cancelleria per gli adempimenti, anche ai sensi dell'art. 94/1-ter d.a. c.p.p; Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata "la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma 2 di detto art. 303"; Sospende nei confronti di Mallardo Feliciano e Dell'Aquila Giuseppe il procedimento in corso e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli appellanti, ai rispettivi difensori degli stessi, avvocati Gustavo Pansini, Raffaele Quaranta e Renato Orefice, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Napoli, addi' 23 dicembre 1998. Il presidente: Varone Il giudice estensore: Daniele 99C0699