N. 271 SENTENZA 24 - 30 giugno 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Trasformazione del rapporto di lavoro a
 tempo parziale in rapporto  di  lavoro  a  tempo  pieno  -  Inizio  o
 protrazione  del periodo di astensione obbligatoria della lavoratrice
 in quest'ultimo periodo  di  lavoro  -  Indennita'  di  maternita'  -
 Criteri  di  determinazione - Riferimento alla retribuzione spettante
 al regime a tempo  pieno  -  Omessa  previsione  -  Riferimento  alla
 sentenza  della  Corte  n.  132/1991 (vedi anche sentenze nn. 3/1998,
 423/1995 e 150/1994) - Erroneita' dei presupposti  interpretativi  da
 parte del giudice rimettente - Non fondatezza.
 
 (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 16, primo comma).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 31 e 37).
 
(GU n.27 del 7-7-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  16, primo
 comma,  della  legge  30  dicembre  1971,  n.  1204   (Tutela   delle
 lavoratrici  madri),  promosso  con ordinanza emessa il 18 marzo 1997
 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra  Buono
 Maria  Rosaria e l'ENEL s.p.a. Compartimento di Napoli iscritta al n.
 639 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito nella camera di  consiglio  del  24  marzo  1999  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   Nel  corso  di  una  controversia  promossa  per  la corresponsione
 dell'indennita' di maternita' la Corte di cassazione, Sezione lavoro,
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  16,
 primo  comma,  della  legge  30  dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle
 lavoratrici madri), in riferimento agli artt. 3, primo  comma,  31  e
 37, primo comma, della Costituzione.
   In   punto  di  fatto  la  Corte  di  cassazione  premette  che  la
 lavoratrice, il cui rapporto  di  lavoro  a  tempo  pieno  era  stato
 trasformato  in  rapporto  a  tempo  parziale a decorrere dal gennaio
 1988, aveva concordato con il  datore  di  lavoro  la  cessazione  di
 quest'ultima  modalita'  dal  31 marzo 1990, sicche' dal successivo 1
 aprile il lavoro  avrebbe  ripreso  le  modalita'  del  tempo  pieno.
 Senonche'  proprio  a  far  data dal 1 aprile 1990 la lavoratrice era
 stata  collocata  in  aspettativa per maternita' ai sensi dell'art. 5
 della legge n. 1204 del  1971,  ed  il  datore  di  lavoro  le  aveva
 corrisposto  la  relativa  indennita'  assumendo  come  parametro  la
 retribuzione percepita durante il part-time e  non  quella  percepita
 durante il tempo pieno.
   Promosso  il  giudizio  per  il  riconoscimento  dell'indennita' in
 misura proporzionata alla retribuzione ricevuta  durante  il  periodo
 del tempo pieno, la relativa domanda era stata accolta in primo grado
 e  respinta in appello, sicche' la lavoratrice aveva avanzato ricorso
 per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado.
   Sulla base di queste osservazioni la Corte di cassazione  nota  che
 l'art.  16  della  legge  n.  1204  del  1971 fissa come parametro di
 calcolo della retribuzione ai fini  del  computo  dell'indennita'  di
 maternita'  "la  retribuzione media globale giornaliera percepita nel
 periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente
 precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio  l'astensione
 obbligatoria  dal  lavoro  per maternita'". Siffatta formulazione non
 consente, secondo il giudice a quo, alcuna interpretazione diversa da
 quella fatta propria dal giudice d'appello, il che  dovrebbe  portare
 al rigetto del ricorso ed alla conferma dell'impugnata sentenza.
   La  Cassazione osserva pero' che una simile interpretazione, che e'
 l'unica possibile,  imponendo  nel  caso  di  specie  di  commisurare
 l'indennita'  di  maternita'  alla  retribuzione percepita durante il
 part-time, mentre era gia' concordata tra le  parti  la  ripresa  del
 lavoro  a  tempo  pieno,  confligge  con le finalita' dell'indennita'
 stessa, piu' volte richiamate dalla giurisprudenza di  questa  Corte.
 In   particolare,   la   sentenza  n.  132  del  1991  ha  dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17,  secondo  comma,  della
 legge  30  dicembre  1971,  n.  1204,  "nella  parte  in  cui, per le
 lavoratrici  con  contratto  di  lavoro  a  tempo  parziale  di  tipo
 verticale  su  base  annua,  allorquando  il  periodo  di  astensione
 obbligatoria abbia inizio piu' di 60 giorni dopo la cessazione  della
 precedente   fase   di  lavoro,  esclude  il  diritto  all'indennita'
 giornaliera di maternita', anche in relazione ai previsti  successivi
 periodi    di    ripresa   dell'attivita'   lavorativa".   La   Corte
 costituzionale ha quindi riconosciuto che l'indennita' di maternita',
 la cui funzione e' quella di  garantire  alla  donna  lavoratrice  il
 mantenimento  della  necessaria  tranquillita'  economica in una fase
 tanto  importante  della  vita  sua  e  del  bambino,   deve   essere
 corrisposta anche in mancanza di un lavoro in atto nel momento in cui
 inizia  il  periodo  di  astensione obbligatoria, a condizione che la
 lavoratrice non  si  sia  volontariamente  allontanata  dal  circuito
 lavorativo.  Diversamente  argomentando, infatti, la donna verrebbe a
 perdere una retribuzione che avrebbe certamente conseguito in assenza
 della gravidanza e del puerperio.
   I principi  enunciati  nella  sentenza  ora  richiamata  paiono  al
 giudice  a  quo  pienamente  adattabili al diverso caso in esame, nel
 quale la lavoratrice, pur essendo formalmente in part-time all'inizio
 del periodo di astensione, avrebbe  certamente  prestato  il  proprio
 lavoro   a  tempo  pieno  durante  il  prosieguo,  in  assenza  della
 gravidanza.  E nel caso specifico, non avendo il rapporto  di  lavoro
 subito   alcun   sostanziale   mutamento,  negare  la  commisurazione
 dell'indennita' alla retribuzione conseguita durante il  tempo  pieno
 si   risolve   in   una   violazione  degli  indicati  parametri.  E'
 irragionevole,  infatti, la discriminazione che si viene a creare tra
 la lavoratrice che ha sempre prestato il proprio lavoro a tempo pieno
 e quella che ha, solo occasionalmente, collaborato a tempo  parziale;
 la decurtazione dell'indennita', inoltre, si risolve in una riduzione
 di tutela economica della famiglia ed in una compressione del diritto
 della donna lavoratrice a svolgere le proprie funzioni di madre.
                         Considerato in diritto
   1. - La Corte di cassazione, Sezione lavoro, dubita che l'art.  16,
 primo  comma,  della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, "nella parte in
 cui non prevede che, nell'ipotesi di trasformazione del  rapporto  di
 lavoro  a  tempo  parziale  in  rapporto di lavoro a tempo pieno, nel
 quale ultimo abbia inizio o venga comunque a protrarsi il periodo  di
 astensione obbligatoria della lavoratrice, l'indennita' di maternita'
 debba  essere  determinata  con  riferimento  alla  retribuzione  che
 sarebbe a costei spettata in relazione al regime a tempo pieno",  sia
 in  contrasto  con  gli  artt.  3, primo comma, 31 e 37, primo comma,
 della Costituzione.
   Dal complessivo contenuto dell'ordinanza si  evince  che  il  punto
 cruciale  della  questione,  individuato  attraverso il richiamo alla
 sentenza n. 132 del 1991 di questa  Corte,  consiste  nella  presunta
 diminuzione  del  reddito  che  la  lavoratrice  part-time verrebbe a
 subire, in conseguenza dell'astensione obbligatoria  per  maternita',
 in  costanza  di  una  gia' concordata trasformazione del rapporto di
 lavoro a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno.
   2. - La questione non e' fondata.
   3. - Giova premettere che la norma sottoposta allo scrutinio  della
 Corte dispone testualmente che la misura della retribuzione rilevante
 ai  fini della determinazione dell'indennita' di maternita' (fissata,
 in  base  al  precedente  art.  15,  nell'ottanta  per  cento   della
 retribuzione  per  tutto  il  periodo  di astensione obbligatoria) e'
 quella "percepita nel periodo di  paga  quadrisettimanale  o  mensile
 scaduto  ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha
 avuto inizio l'astensione obbligatoria dal  lavoro  per  maternita'".
 Occorre  tuttavia  rilevare che gia' dallo stesso art. 16 della legge
 del 1971 risulta che tale criterio non e'  l'unico  utilizzato  dalla
 legge,  poiche' i commi successivi al primo consentono di considerare
 - per la retribuzione  da  assumere  come  parametro  -  anche  altri
 elementi,  ivi  comprese le esigenze particolari dell'azienda e della
 lavoratrice.
   Indipendentemente da questa precisazione,  la  Corte  osserva  che,
 mentre  la tutela delle lavoratrici madri ha ricevuto una regolazione
 legislativa fin dal 1971 (appunto con la legge n. 1204), una  vera  e
 propria  normativa  sul  lavoro  part-time  si e' avuta solo in epoca
 successiva, in particolare con l'art. 5 del d.-l. 30 ottobre 1984, n.
 726, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della  legge
 19  dicembre  1984,  n.  863.  Da quel momento il lavoro part-time e'
 stato oggetto di  diversi  altri  interventi  legislativi,  anche  in
 materia di pubblico impiego.
   Da  tanto  consegue che i rapporti intercorrenti tra determinazione
 dell'indennita'  di  maternita'  ed  eventuale   trasformazione   del
 rapporto  di lavoro (da tempo pieno a tempo parziale o viceversa) non
 sono espressamente disciplinati dalla norma oggi  impugnata,  e  cio'
 spiega  l'apparente  lacuna  segnalata  dalla  Corte  rimettente.  In
 realta', l'ipotesi  di  una  trasformazione  del  rapporto  e'  stata
 riconosciuta  dalla  normativa  del 1984, come si evince dal comma 11
 del citato art. 5 del d.-l. n. 726 del 1984,  che  ha  regolato  tale
 trasformazione,   i   cui   effetti   si   riverberano   anche  sulla
 determinazione dell'ammontare del trattamento pensionistico.
   Questa Corte ha gia' avuto modo di scrutinare,  con  la  menzionata
 sentenza n. 132 del 1991, un diverso articolo della legge n. 1204 del
 1971  e  di  dichiararne  l'illegittimita'  costituzionale  sotto  il
 profilo  del  rapporto  esistente  tra  una  particolare  figura   di
 part-time, quello cosiddetto verticale e la spettanza dell'indennita'
 di  maternita'; anche nel presente giudizio e' una norma della stessa
 legge del 1971, benche' dettata  in  un  momento  storico  precedente
 rispetto  a quello d'introduzione del part-time quella da prendere in
 considerazione per la risoluzione di un'analoga questione in tema  di
 misura dell'indennita' di maternita'.
   Sono d'altronde evidenti l'identita' di ratio tra le due situazioni
 ed il collegamento esistente tra la tutela delle lavoratrici madri ed
 il nuovo fenomeno del lavoro a tempo parziale.
   4.  -  Cio' posto per il corretto inquadramento della questione, la
 medesima  appare  infondata  alla  luce  dell'interpretazione   delle
 disposizioni  in  esame,  nel  quadro  dei  principi  che regolano la
 materia.
   E' indubbio che l'art. 16 della legge n. 1204  del  1971,  con  una
 regola  ancorata  all'id  quod plerumque accidit, colleghi il computo
 dell'indennita' di maternita' all'ultima retribuzione  percepita  nel
 periodo   antecedente   rispetto   a  quello  dell'astensione  e  che
 continuerebbe ad essere percepito se non si verificasse l'astensione.
 Tale  previsione,  pero',  dettata  per  evitare  facili  frodi   nei
 confronti  dell'ente  assicurativo,  va  letta  nell'a'mbito  di  una
 prospettiva sistematica.
   La giurisprudenza di questa Corte  ha  da  tempo  stabilito  alcuni
 fondamentali   criteri   che   devono   guidare   l'interprete  nella
 ricostruzione della disciplina a tutela delle lavoratrici  madri.  In
 particolare,  si e' ribadito in piu' di un'occasione che l'astensione
 obbligatoria di cui all'art. 4 della legge n. 1204  del  1971  ha  il
 fine  di  proteggere  la salute della donna nel periodo precedente ed
 immediatamente successivo al parto, sottolineandosi peraltro  che  la
 tutela  della  madre "non si fonda solo sulla condizione di donna che
 ha partorito, ma anche sulla funzione che essa esercita nei confronti
 del bambino", avendo quindi come obiettivo la protezione della salute
 di entrambi (sentenza n. 1 del 1987). Per assicurare  tale  obiettivo
 occorre   rimuovere   quegli   ostacoli   di   ordine  economico  che
 renderebbero in concreto piu' difficile per la donna  lo  svolgimento
 del  proprio  insostituibile  ruolo di madre; di qui la necessita' di
 evitare che dalla  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  derivi  una
 sostanziale  menomazione  economica a motivo della maternita' (v., le
 sentenze nn. 3 del 1998, 423 del 1995, 150 del 1994).
   Queste essendo, dunque, le finalita' e le ragioni  della  normativa
 di  protezione delle lavoratrici madri, la questione oggi posta dalla
 Corte di cassazione puo' ricevere una soluzione interpretativa, senza
 che  la  norma  offra   il   fianco   alle   lamentate   censure   di
 incostituzionalita'.  Ed infatti, qualora la lavoratrice ed il datore
 abbiano  gia'  concordato,  come  nel  caso di specie, la ripresa del
 lavoro con le modalita' del tempo pieno per un periodo coincidente in
 parte con quello dell'astensione obbligatoria, sottrarre  alla  donna
 il   diritto   alla   corresponsione  dell'indennita'  di  maternita'
 calcolata in base alla retribuzione fissata per  il  tempo  pieno  si
 tradurrebbe  in  una violazione degli obiettivi appena richiamati. Ne
 consegue, percio', che l'indennita' puo' non essere commisurata  alla
 retribuzione  costituente  il  corrispettivo  del lavoro che la donna
 avrebbe normalmente svolto nel periodo di sospensione.
   In questo senso  e'  pertinente  il  richiamo  che  l'ordinanza  di
 rimessione  fa  alla  menzionata  sentenza  costituzionale n. 132 del
 1991, perche' in quel caso come in quello  presente  la  donna,  "per
 effetto  della  maternita',  viene  a perdere una retribuzione di cui
 avrebbe certamente - e non solo probabilmente  -  goduto  se  non  si
 fosse  dovuta  astenere  dal  lavoro  in  ragione  del suo stato". Le
 medesime argomentazioni utilizzate nella citata pronuncia  in  ordine
 all'an  valgono oggi, pur con i diversi aspetti delle due situazioni,
 in rapporto al quantum.
   Se la norma ora impugnata non poteva prevedere, per le ragioni gia'
 viste, che in caso  di  concordata  trasformazione  del  rapporto  di
 lavoro  valesse  il principio della retribuzione piu' favorevole alla
 lavoratrice-madre, tale lettura  non  e'  impedita  dal  testo  della
 legge,  ove lo stesso venga interpretato nel nuovo contesto normativo
 in relazione alle finalita' che il  legislatore  del  1971  intendeva
 perseguire.
   Tale   corretta   interpretazione,  in  armonia  con  i  richiamati
 principi, appare alla Corte  idonea  alla  soluzione  della  presente
 questione sottraendo la norma a profili di incostituzionalita'.
                            Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 16, primo comma, della legge  30  dicembre  1971,  n.  1204
 (Tutela  delle  lavoratrici  madri),  sollevata,  in riferimento agli
 artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, della Costituzione, dalla
 Corte di cassazione,  Sezione  lavoro,  con  l'ordinanza  di  cui  in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 giugno 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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