N. 266 ORDINANZA 6 - 11 luglio 2000
Ordinanza 6-11 luglio 2000 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Enti locali - Deliberazioni autorizzative di spesa - Nullita' ed inefficacia nei confronti dell'amministrazione (ai sensi dell'art. 23 del d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144) - Acquisizione di beni e servizi - Possibilita' di riconoscimento dei debiti fuori bilancio - Mancata previsione della efficacia retroattiva della disposizione - Lamentata disparita' di trattamento - Erroneita' del presupposto interpretativo assunto dal rimettente - Manifesta infondatezza della questione. - D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, art. 5. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.30 del 19-7-2000 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Cesare MIRABELLI; Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342 (Disposizioni in materia di contabilita', di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali), promosso con ordinanza emessa il 18 settembre 1998 dal pretore di Foggia, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica - prima serie speciale - n. 28 dell'anno 1999; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il giudice relatore Valerio Onida; Ritenuto che, con ordinanza emessa il 18 settembre 1998, pervenuta a questa Corte il 21 giugno 1999, il pretore di Foggia, nel corso di un giudizio civile di opposizione a decreto ingiuntivo emesso su richiesta di un professionista nei confronti di un comune per il pagamento di una parcella relativa ad attivita' di progettazione ultimata nel 1992, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, del decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342 (Disposizioni in materia di contabilita', di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali), "nella parte in cui non prevede l'efficacia retroattiva, a far tempo dall'entrata in vigore della normativa di cui al d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modifiche, in legge 24 aprile 1989, n. 144, della disposizione contenuta nell'art. 5, introdotta in sostituzione della lettera e comma 1, dell'art. 37 d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77"; che il remittente premette non potersi dubitare del conferimento dell'incarico professionale e della sussistenza di un contratto apparentemente valido anche sul piano formale; ma che tuttavia, mancando nella deliberazione autorizzativa del comune l'impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio e l'attestazione della copertura finanziaria, di cui all'art. 55, comma 5, della legge 8 giugno 1990, n. 142, detta deliberazione deve ritenersi nulla e comunque inefficace per la pubblica amministrazione, in forza dell'art. 23 del d.-l. n. 66 del 1989, ai cui sensi l'effettuazione delle spese e' consentita ai comuni esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge nonche' l'impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio (comma 3), e "nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura" (comma 4); che pertanto, secondo il remittente, il creditore dovrebbe agire personalmente nei confronti degli amministratori, senza potersi avvalere dell'azione sussidiaria di arricchimento senza causa, prevista dall'art. 2041 cod. civ., nei confronti del comune, che pur ha tratto utilita' e arricchimento dalla sua prestazione professionale; che la richiamata normativa - sostanzialmente confermata, pur dopo l'abrogazione del citato art. 23 del d.l. n. 66 del 1989 (art. 123, comma 1, lettera n, del d.lgs. n. 77 del 1995), dall'art. 35 del d.lgs. n. 77 del 1995 - sarebbe stata, ad avviso del remittente, palesemente ingiusta, in quanto avrebbe penalizzato da un lato "gli ignari fornitori e prestatori d'opera, i quali hanno fatto o fanno affidamento sull'apparenza giuridica del rapporto con l'ente pubblico", dall'altro lato gli amministratori e i funzionari che, "senza alcun tornaconto personale, consentono la fornitura nell'interesse esclusivo del medesimo ente" cui, in definitiva, deve ritenersi imputabile il loro operato in virtu' del principio dell'immedesimazione organica (art. 28 della Costituzione); a tale ingiustizia avrebbe posto riparo l'art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342, il quale, sostituendo la lettera e del comma 1 dell'art. 37 del d. lgs n. 77 del 1995 (che, nel testo originario, prevedeva la possibilita' per gli enti locali di riconoscere la legittimita' dei debiti fuori bilancio derivanti da fatti e provvedimenti ai quali non avessero concorso interventi o decisioni di amministratori o dipendenti dell'ente), ha introdotto la possibilita' del riconoscimento dei debiti fuori bilancio nel caso di "acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 35, nei limiti degli accertati e dimostrati utilita' ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza": fattispecie nella quale, secondo il giudice a quo rientrerebbe il caso ad esso sottoposto, ricorrendo l'ipotesi di indebito ed ingiustificato arricchimento dell'ente; che tuttavia, argomenta il remittente, tale normativa sopravvenuta non potrebbe trovare applicazione nel caso specifico, in quanto essa ha portata innovativa non retroattiva, e dunque la fattispecie dovrebbe continuare ad essere regolata secondo la normativa in vigore all'epoca della delibera di conferimento dell'incarico, a termini della quale il debito non potrebbe essere riconosciuto dall'ente, trattandosi di atto intervenuto con il concorso di amministratori dell'ente; che ad avviso del giudice a quo peraltro, l'irretroattivita' della norma sopravvenuta di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 342 del 1997 si risolverebbe in una ingiustificata e irrazionale menomazione delle posizioni soggettive di coloro che hanno effettuato prestazioni "attinte dall'iniqua normativa precedente" e degli amministratori che ne hanno consentito l'esecuzione, operando nell'esclusivo interesse dell'ente; che pertanto si profilerebbe il dubbio di illegittimita' costituzionale della normativa sopravvenuta, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, stante l'ingiustificata disparita' di trattamento in danno delle posizioni soggettive non attinte retroattivamente da detta normativa, che avrebbe fatto venir meno solo per l'avvenire la palese iniquita' delle disposizioni previgenti; nonche' per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto essa limiterebbe la tutela delle medesime posizioni soggettive, apprestandola solo per il futuro; che il remittente motiva la rilevanza della questione sollevata osservando che da essa dipenderebbe l'accoglimento dell'opposizione al decreto ingiuntivo, poiche' il comune, sulla base della normativa sospettata di illegittimita' costituzionale, in quanto non applicabile retroattivamente, non avrebbe alcun obbligo di riconoscere la legittimita' del debito, mentre l'opposizione stessa verrebbe rigettata, se fosse pronunciata l'illegittimita' costituzionale della norma denunciata, rendendo applicabile anche retroattivamente la disciplina introdotta dal citato art. 5 del d.lgs. n. 342 del 1997; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata; che, secondo l'Avvocatura erariale, sussisterebbero dubbi sulla rilevanza della questione, in quanto il conferimento dell'incarico professionale di cui e' causa non potrebbe essere desunto, come sembrerebbe fare il remittente, dalle delibere dell'ente, poiche' esso richiede, a pena di nullita', un atto redatto in forma scritta e sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente e dal professionista; ne', nella specie, risulterebbe proposta espressamente un'azione di indebito arricchimento; che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, in quanto la configurabilita' di profili di incostituzionalita' della normativa contenuta originariamente nell'art. 23 del d.l. n. 66 del 1989 e' stata gia' esclusa da questa Corte (sentenze n. 446 del 1995 e n. 295 del 1997); e non potrebbe ritenersi illegittima una successiva disposizione di legge che definisca una nuova regolamentazione della materia, senza stabilirne la portata retroattiva; che l'Avvocatura erariale sottolinea altresi' come la disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 342 del 1997 non altererebbe in modo sostanziale la disciplina previgente, in quanto la possibilita' per il privato di ottenere dall'ente il pagamento delle proprie spettanze resta subordinata ad un atto formale dell'ente medesimo, che ha effetto costitutivo dell'obbligazione e ne determina le modalita' di pagamento, mentre fino a quando tale deliberazione non sia adottata l'unico soggetto obbligato nei riguardi del privato fornitore e' l'amministratore. Considerato che non puo' essere accolta l'eccezione di inammissibilita' proposta dalla difesa del Presidente del Consiglio, fondata sulla asserita nullita' del conferimento dell'incarico professionale per mancanza della forma scritta, in quanto il remittente, a cui spetta l'accertamento dei fatti di causa, espressamente afferma di non dubitare della sussistenza di un valido contratto; che la questione si palesa pero' manifestamente infondata, in quanto e' erroneo il presupposto, sul quale essa si basa, dell'affermata inapplicabilita' della disciplina recata dall'art. 5 del d.lgs. n. 342 del 1997 a fattispecie di acquisizione di beni o servizi intervenute prima dell'entrata in vigore della predetta disposizione; che, al contrario, la nuova lettera e dell'art. 37, comma 1, del d.lgs n. 77 del 1995, come sostituita dall'art. 5 del d.lgs. n. 342, ammette il riconoscimento ex post di debiti fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi avvenuta in violazione degli obblighi di natura contabile previsti dall'art. 35 del medesimo d.lgs. n. 77 del 1995, il quale non fa che confermare sostanzialmente, aggravandoli, gli obblighi gia' previsti dall'art. 23 del d.-l. n. 66 del 1989, confermando altresi', nel caso di violazione degli stessi, la disciplina secondo cui il rapporto obbligatorio intercorre solo con l'amministratore o il funzionario che ha consentito la fornitura (art. 35 cit., comma 4, corrispondente all'art. 23, comma 4, del d.-l. n. 66 del 1989): sicche' ammette il riconoscimento di debiti il cui fatto costitutivo puo' collocarsi in qualsiasi tempo successivo alla introduzione legislativa di detti obblighi; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342 (Disposizioni in materia di contabilita', di equilibrio e di dissesto finanziario degli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Foggia con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000. Il Presidente: Mirabelli Il redattore: Onida Il cancelliere: Fruscella Depositata in cancelleria l'11 luglio 2000. Il direttore della cancelleria: Fruscella 99C0762