N. 313 ORDINANZA 7 - 16 luglio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo   penale   -   Cause  di  incompatibilita'  del  giudice  -
 Incompatibilita' al giudizio del  giudice  che  abbia  pronunciato  o
 concorso  a  pronunciare  una precedente sentenza nei confronti dello
 stesso imputato per un reato diverso - Omessa  previsione  -  Assunta
 violazione  del  principio  del giusto processo, gia' affermato nella
 giurisprudenza costituzionale (in ispecie, dalla sentenza n. 371  del
 1996) - Manifesta infondatezza della questione.
 
 (C.P.P., art. 34).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.29 del 21-7-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo 34 del
 codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11  marzo
 1998  dalla  Corte d'appello di Caltanissetta, iscritta al n. 585 del
 registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto di costituzione della parte privata nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  12  maggio  1999  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
   Ritenuto  che  la Corte d'appello di Caltanissetta, nel corso di un
 procedimento di ricusazione, con ordinanza in data 11 marzo 1998,  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli articoli 3 e 24 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 34 del  codice
 di  procedura  penale,  nella  parte in cui non prevede che non possa
 partecipare al giudizio nei confronti di un imputato un  giudice  che
 abbia  pronunciato  o  concorso a pronunciare una precedente sentenza
 nei confronti dello stesso imputato per un reato diverso, nella quale
 la  decisione  abbia  comportato  valutazioni  di  merito  idonee  ad
 incidere sotto il profilo sostanziale nel successivo giudizio;
     che  il  remittente riferisce che la dichiarazione di ricusazione
 riguarda il Presidente della  Corte  d'assise  di  Caltanissetta,  il
 quale  ha  concorso  a  pronunciare  una  sentenza  con  la  quale il
 ricusante  e'  stato  fra  l'altro   ritenuto   responsabile,   quale
 componente della cosiddetta commissione provinciale di "cosa nostra",
 di  concorso morale nella strage di Capaci e si trova ora a giudicare
 lo stesso imputato nel processo Borsellino-ter  per  concorso  morale
 nella  strage  di  via  D'Amelio,  sempre  in quanto componente della
 cosiddetta commissione provinciale di "cosa nostra", nonche'  per  il
 reato di cui all'art.  416-bis cod. pen;
     che  il remittente richiama la sentenza n. 371 del 1996 di questa
 Corte,  con   la   quale   e'   stata   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  34 cod. proc. pen., nella parte in cui non
 prevede che non possa partecipare al giudizio  nei  confronti  di  un
 imputato  il  giudice  che abbia pronunciato o concorso a pronunciare
 una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti  nella  quale
 la   posizione   di   quello  stesso  imputato  in  ordine  alla  sua
 responsabilita' penale sia gia' stata comunque valutata;
     che, ad avviso del remittente, non potrebbe farsi luogo alla pura
 e semplice applicazione dell'anzidetta sentenza, posto che i reati di
 strage contestati all'imputato nei  due  giudizi  sarebbero  diversi,
 mentre   la   qualita'   di   componente  dell'organismo  di  vertice
 dell'associazione  mafiosa,  attribuita  al  medesimo   imputato   in
 entrambi  i  processi,  rimarrebbe  estranea  alla  condotta,  che si
 sostanzierebbe unicamente nella partecipazione alla  deliberazione  o
 nella prestazione dell'assenso all'esecuzione materiale dei delitti;
     che,  tuttavia,  alla  luce  della sentenza n. 371 del 1996 e del
 principio del giusto processo in essa affermato,  il  giudice  a  quo
 dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34 cod. proc.
 pen. poiche', nonostante la diversita' dei reati (la strage di Capaci
 nel primo  processo  e  quella  di  via  D'Amelio  nel  secondo),  il
 successivo  giudizio,  nel  quale  il ricusante e' imputato anche del
 reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., sarebbe  pregiudicato  dalla
 precedente sentenza pronunciata nei suoi confronti;
     che  nel  presente  giudizio  ha  spiegato  atto  di  intervento,
 peraltro tardivo, la parte privata, ed e' intervenuto  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo che la questione sia  dichiarata  non
 fondata.
   Considerato   che   la  sostanza  costituzionalistica  del  quesito
 sottoposto a questa Corte dal giudice remittente e' se, alla luce del
 principio  del  giusto  processo,  le  ipotesi  di   incompatibilita'
 elencate  nell'articolo  34  del  codice  di procedura penale debbano
 essere allargate a comprendere il caso del giudice che nei  confronti
 della  medesima  persona,  imputata  di  un reato di strage in quanto
 appartenente ad un'associazione criminale, si  sia  gia'  pronunciato
 per un diverso reato di strage riferibile alla medesima associazione;
     che,   nonostante   la   diversita'  dei  reati,  ad  avviso  del
 remittente, il  secondo  giudizio  sarebbe  pregiudicato  per  essere
 stato, con la prima sentenza, l'imputato ritenuto colpevole, a titolo
 di concorso morale, in quanto componente della cosiddetta commissione
 provinciale dell'associazione criminosa "cosa nostra";
     che  in  relazione  al  primo  giudizio, riguardante la strage di
 Capaci, dall'ordinanza di remissione e dal fascicolo ad essa allegato
 non risulta esservi stata alcuna imputazione ne' alcuna condanna  per
 il reato di associazione di tipo mafioso, reato contestato invece nel
 successivo  giudizio unitamente a quello concernente la strage di via
 D'Amelio, anch'esso ascritto all'imputato a titolo di concorso morale
 in quanto componente  della  cosiddetta  commissione  provinciale  di
 "cosa nostra";
     che  essendo  manifestamente  autonomi  e distinti i due reati di
 strage, la contestata partecipazione  a  titolo  di  concorso  morale
 nell'uno  e  nell'altro  non  puo'  non essersi realizzata attraverso
 determinazioni suscettibili di valutazioni a loro  volta  autonome  e
 distinte,  qualunque  sia  stato  il contesto nel quale si assuma che
 esse siano state adottate;
     che essendo, quindi, sotto ogni profilo,  i  fatti  per  i  quali
 attualmente  si  procede  diversi  da quelli in relazione ai quali e'
 stata gia' pronunciata sentenza nei confronti del medesimo  imputato,
 la  loro  cognizione  in  successivi  giudizi  da  parte del medesimo
 giudice non comporta  alcuna  violazione  del  principio  del  giusto
 processo;
     che  non  sussistono,  pertanto, le condizioni per la sollecitata
 estensione della  fattispecie  di  incompatibilita'  delineata  dalla
 sentenza  n.  371  del  1996,  ne'  per  l'applicazione  dei principi
 contenuti nella successiva sentenza n. 241 del  1999,  con  la  quale
 l'incompatibilita'  e' stata ritenuta sussistere quando il giudice si
 sia pronunciato con sentenza nei confronti del medesimo imputato  per
 il medesimo fatto;
     che  la  questione  deve  essere quindi dichiarata manifestamente
 infondata.
   Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'articolo  34  del  codice  di  procedura penale,
 sollevata, in riferimento agli articoli 3 e  24  della  Costituzione,
 dalla  Corte  d'appello  di Caltanissetta con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0771