N. 345 SENTENZA 14 - 22 luglio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza sociale - Dipendenti degli enti locali (nella
 specie, sanitari) - Trattamento di quiescenza  -  Conferimento  della
 pensione subordinato alla domanda dell'interessato, da presentare non
 oltre  dieci  anni  dalla  cessazione del servizio, anziche' disposto
 d'ufficio;  nonche'  decorrenza  del  trattamento  dalla  data  della
 domanda  - Lamentata, non giustificata, disparita' di trattamento dei
 dipendenti pubblici in questione rispetto ai dipendenti statali,  con
 lesione  del diritto alla pensione, e in particolare del principio di
 proporzionalita' al lavoro prestato e di adeguatezza alle esigenze di
 vita - Disciplina  non  irragionevole  e  non  incompatibile  con  il
 diritto  fondamentale  costituzionalmente  tutelato, il cui esercizio
 puo' essere  subordinato  ad  adempimenti  non  gravosi,  come  nella
 specie,  che  non  incidono  sul diritto sostanziale - Non fondatezza
 della questione.
 
 (Legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 13, primo e terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
 
(GU n.30 del 28-7-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  avv.  Massimo  VARI,  dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  13,  primo  e
 terzo  comma,  della  legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli
 ordinamenti degli Istituti di  previdenza  presso  il  Ministero  del
 tesoro),  promosso con ordinanza emessa il 12 giugno 1997 dalla Corte
 dei conti, sezione giurisdizionale  regionale  per  l'Emilia-Romagna,
 iscritta  al  n.  900  del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  3,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1998.
   Visto l'atto di costituzione di Negri Romolo;
   Udito nell'udienza pubblica dell'11 maggio 1999 il giudice relatore
 Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Un medico condotto, cessato dal servizio per raggiunti limiti
 di eta' nel 1980,  aveva  percepito  il  trattamento  provvisorio  di
 pensione,   con   corresponsione  delle  rate  non  prescritte,  solo
 nell'aprile 1992,  in  quanto  in  precedenza  si  era  rifiutato  di
 sottoscrivere   la   prevista   "dichiarazione   del   titolare   del
 trattamento".  Successivamente  egli  si  era  visto  chiedere  dalla
 Direzione generale degli Istituti di previdenza (cui competeva allora
 la  gestione  pensionistica  relativa  alla  Cassa per le pensioni ai
 sanitari, poi trasferita all'Istituto nazionale di previdenza  per  i
 dipendenti  dell'amministrazione  pubblica  - INPDAP) la restituzione
 delle  somme   percepite   relative   al   periodo   anteriore   alla
 presentazione  della  domanda  di  pensione,  intervenuta  solo  l'11
 dicembre 1992: cio' in  applicazione  dell'art.  13  della  legge  22
 novembre  1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di
 previdenza presso il Ministero del tesoro), secondo il quale, ai fini
 del conferimento del trattamento diretto di  quiescenza  delle  Casse
 pensioni  facenti parte degli Istituti di previdenza, la domanda deve
 essere  presentata  dall'interessato  non  oltre  il  compimento  del
 sessantottesimo  anno  di  eta'  ovvero  non  oltre  dieci anni dalla
 cessazione dal servizio (primo comma), e se la domanda e'  presentata
 oltre   detto   termine   il   trattamento   decorre  dalla  data  di
 presentazione della domanda stessa (terzo comma).
   La  Corte  dei  conti,  sezione   giurisdizionale   regionale   per
 l'Emilia-Romagna,  nel corso del giudizio promosso dal pensionato per
 opporsi alla richiesta di restituzione delle  somme  corrisposte,  ha
 sollevato, con ordinanza emessa il 12 giugno 1997, pervenuta a questa
 Corte   il   19   dicembre   successivo,  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3,  36   (quest'ultimo
 richiamato  nella motivazione, ancorche' omesso nel dispositivo) e 38
 della Costituzione, del citato art.  13, commi primo e  terzo,  della
 legge n. 1646 del 1962.
   La  Corte  remittente  rileva che la norma in questione, prevedendo
 l'onere  della  domanda  da  parte  dell'interessato  ai   fini   del
 conferimento  della  pensione,  pone  in  essere  nei  confronti  dei
 dipendenti  degli  enti  locali  iscritti  alle  Casse  pensioni  una
 disciplina   della  procedura  di  liquidazione  del  trattamento  di
 quiescenza differenziata rispetto al sistema  pensionistico  statale,
 nel quale la regola e' quella dell'avvio d'ufficio del procedimento.
   Cio'  darebbe  luogo  ad  una  disparita'  di  trattamento ai danni
 dell'indicata categoria di dipendenti, soprattutto  considerando  che
 l'intempestiva presentazione della domanda comporta la decorrenza del
 trattamento solo dalla data della stessa.
   Secondo  il  giudice  a  quo,  la  differente disciplina non sembra
 trovare ragionevole giustificazione  in  una  particolare  situazione
 giuridica  dei  predetti  dipendenti, la cui posizione pensionistica,
 pur essendo corrisposto il trattamento da un ente diverso  da  quello
 di  appartenenza,  si  presenterebbe,  nel complesso, sostanzialmente
 omogenea a quella dei dipendenti statali.
   La norma impugnata,  secondo  l'autorita'  remittente,  sembrerebbe
 violare  inoltre  i  principi di proporzionalita' della pensione e di
 adeguatezza della stessa alle esigenze vitali dei lavoratori, di  cui
 rispettivamente  all'art.  36,  primo  comma  (la cui applicazione al
 trattamento pensionistico si riconnetterebbe al carattere retributivo
 di questo), e all'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Cio' in
 quanto il  conferimento  della  pensione  rimane  sospeso  fino  alla
 presentazione  della  domanda,  sicche' l'interessato sarebbe privato
 dei mezzi di sostentamento, e se la domanda e'  presentata  oltre  il
 termine  fissato  si  verificherebbe  una  non giustificata riduzione
 della pensione rispetto ai servizi  effettivamente  prestati,  quanto
 meno  per  i ratei non interessati dalla prescrizione, che dovrebbero
 essere corrisposti in assenza della norma in questione.
   2.  -  Si e' costituito il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo
 l'accoglimento della questione.
   Nell'atto  di  costituzione,  e  piu'  ampiamente   nella   memoria
 depositata  nell'imminenza dell'udienza, la parte privata osserva che
 la norma impugnata  determinerebbe  una  indebita  discriminazione  a
 danno  degli iscritti alle Casse pensioni gia' gestite dagli Istituti
 di previdenza rispetto ai dipendenti statali,  per  i  quali  non  e'
 previsto   l'onere   di  presentazione  della  domanda  di  pensione;
 contrasterebbe  con  l'art.    36  della  Costituzione,   in   quanto
 impedisce,  in caso di ritardo nella presentazione della domanda, che
 siano corrisposte le somme maturate prima di  essa,  con  conseguente
 riduzione  del  trattamento complessivo; contrasterebbe con l'art. 38
 della  Costituzione,  in  quanto,   subordinando   l'erogazione   del
 trattamento  di quiescenza all'impulso dell'interessato, consente che
 il lavoratore  resti,  fino  a  quel  momento,  privo  dei  mezzi  di
 sostentamento. In tal senso si richiama il carattere imprescrittibile
 del  diritto  alla  pensione,  espressamente previsto dall'art. 5 del
 d.P.R. n. 1092 del 1973, e la sentenza n. 8 del 1976 di questa Corte.
   Nella memoria si osserva che la sola circostanza che il trattamento
 pensionistico sia erogato da un ente piuttosto che da  un  altro  non
 potrebbe  giustificare  una  norma  come quella in esame, che oltre a
 prevedere l'iniziativa dell'interessato per l'avvio del  procedimento
 di    riconoscimento   del   trattamento   pensionistico,   penalizza
 l'intempestivita' della  domanda  con  la  decadenza  dal  diritto  a
 percepire i ratei precedenti alla domanda stessa.
   Ad  avviso  della  parte,  la  coesistenza  di  una  pluralita'  di
 organismi  di  previdenza  ed  assistenza  nell'ambito   dell'impiego
 pubblico   non  basterebbe  per  legittimare  una  disuguaglianza  di
 trattamento che non  troverebbe  giustificazione  in  una  situazione
 oggettivamente diversa.
   Pur  riconoscendo  che la disciplina della materia e' affidata alla
 discrezionalita'  del  legislatore,  il  quale  puo'  anche  adottare
 trattamenti differenziati in relazione al tempo, la parte ritiene che
 non sia conforme ai canoni di razionalita' e ragionevolezza una norma
 che impone l'onere della domanda e penalizza la tardiva presentazione
 della  stessa  solo  per questa categoria di dipendenti, posto che il
 diritto a pensione e' imprescrittibile - onde la decadenza dai  ratei
 sarebbe irrazionale e comunque "sproporzionata rispetto all'esiguita'
 del  comportamento  inerte  del  dipendente"  - ed e' il medesimo per
 tutti i dipendenti pubblici.
   L'affermazione, contenuta nella  giurisprudenza  di  questa  Corte,
 secondo  cui  non  sussiste  parita'  di  situazioni  fra  dipendenti
 statali,  i  cui  trattamenti   di   quiescenza   sono   direttamente
 amministrati dallo Stato, e i dipendenti pubblici iscritti alle Casse
 gia'  amministrate  dagli  Istituti di previdenza presso il Ministero
 del tesoro, varrebbe solo con riferimento al trattamento economico di
 servizio e al sistema contributivo, ovvero in relazione alle  diverse
 tipologie  dei  trattamenti  di  quiescenza. Il caso presente sarebbe
 diverso: mancherebbe  un'adeguata  giustificazione  della  norma  che
 introduce  un  sistema di decadenza, ben piu' oneroso di quello della
 prescrizione, solo a carico di taluni soggetti.
   Nella memoria si sostiene che il diritto alla pensione, anche se ha
 per contenuto prestazioni in denaro, e' considerato  dalla  normativa
 vigente  come  situazione  finale, e sottratto a conseguenze negative
 astrattamente collegabili all'inerzia del titolare, in ragione  delle
 esigenze  di  certezza  e  di  stabilita' connesse alla sua funzione,
 attinente  alla  sopravvivenza  della  persona;  e  si  afferma   che
 limitazioni  connesse  all'iniziativa  dell'interessato  troverebbero
 giustificazione  quando  la  fattispecie  comporti   oneri   per   il
 destinatario  (come per il diritto al riscatto), ma non nella ipotesi
 ordinaria,  come  quella  in  esame,  e  tanto   meno   discriminando
 determinati destinatari del trattamento di pensione.
   Le  condizioni  di  esercizio  del  diritto  a  pensione  avrebbero
 finalita' e portata che non potrebbero non essere generali  e  uguali
 per tutti i lavoratori appartenenti ad una medesima categoria, come i
 dipendenti pubblici, ed ancorate unicamente ad elementi naturalistici
 ed  obiettivi,  sicche'  esse  non  potrebbero  essere  rapportate ad
 elementi specifici di questo o  di  quel  sistema  pensionistico.  In
 proposito  si  richiamano i principi affermati da questa Corte con le
 sentenze nn. 6, 9 e 15 del 1980, che indicavano la necessita'  di  un
 riordino   e   di   una   sostanziale  omogeneizzazione  dei  sistemi
 pensionistici.
   Infine, in riferimento alla denunciata violazione degli artt. 36  e
 38  della  Costituzione, la parte osserva che la perdita dei ratei di
 pensione  precedenti  alla  domanda,   e   non   ancora   prescritti,
 comporterebbe  una lesione del principio della proporzionalita' delle
 retribuzioni alla qualita' e quantita' del lavoro prestato,  e  della
 garanzia  di  sicurezza  del  lavoratore  per  il caso di bisogno. La
 discriminazione arbitraria fra ex dipendenti pubblici  in  base  alla
 sola  data di proposizione della domanda di pensione, e all'esistenza
 dell'onere, a  sua  volta  discriminatorio,  di  presentazione  della
 domanda,  spezzerebbe  il  collegamento del trattamento di quiescenza
 con quello delle omologhe categorie  del  personale  in  servizio,  e
 determinerebbe  la  progressiva insufficienza della pensione rispetto
 ai bisogni personali e familiari del pensionato.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione sollevata investe  il  primo  e  il  terzo  comma
 dell'art.    13 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli
 ordinamenti degli Istituti di  previdenza  presso  il  Ministero  del
 tesoro),   i  quali  prevedono,  rispettivamente,  che  ai  fini  del
 conferimento del trattamento diretto di  quiescenza  da  parte  delle
 Casse  pensioni  gia' facenti parte degli Istituti di previdenza deve
 essere presentata domanda, da parte dell'interessato,  non  oltre  il
 compimento  del  sessantottesimo  anno di eta' ovvero non oltre dieci
 anni  dalla  cessazione  dal  servizio,  se  tale  termine  e'   piu'
 favorevole;  e  che, se la domanda e' presentata oltre detto termine,
 il trattamento decorre dalla  data  di  presentazione  della  domanda
 stessa.
   Ad  avviso  del  Tribunale  remittente,  tale  normativa sarebbe in
 contrasto, in primo luogo, con l'art. 3 della Costituzione, in quanto
 darebbe  luogo  ad  una  ingiustificata  disparita'  di   trattamento
 dell'indicata categoria di dipendenti pubblici rispetto ai dipendenti
 statali,  che  costituirebbero una categoria sostanzialmente omogenea
 alla prima, e per i quali la relativa disciplina prevede come  regola
 l'avvio   d'ufficio   del   procedimento   per  la  liquidazione  del
 trattamento di quiescenza. Sarebbe, in secondo  luogo,  in  contrasto
 con  gli  artt.    36  -  la  cui applicazione in tema di trattamenti
 pensionistici si collegherebbe al carattere retributivo dei  medesimi
 -  e  38  della  stessa Costituzione, in quanto, rimanendo sospeso il
 conferimento della pensione fino alla  presentazione  della  domanda,
 l'interessato   sarebbe   privato   nel   frattempo   dei   mezzi  di
 sostentamento, e, se la domanda e' presentata oltre il termine,  egli
 vedrebbe  ridotta  ingiustificatamente  la propria pensione, la quale
 non sarebbe piu' proporzionata ai  servizi  effettivamente  prestati,
 quanto   meno   avendo   riguardo  ai  ratei  non  interessati  dalla
 prescrizione, che dovrebbero  essere  corrisposti  se  la  denunciata
 norma  non  facesse decorrere la pensione, in questo caso, dalla data
 della domanda.
   2. - La questione e' infondata.
   Non comporta, infatti, violazione dell'art. 3 della Costituzione il
 solo  fatto  che,   nel   sistema   previdenziale   delle   categorie
 interessate,  a  differenza  di  quello  dei  dipendenti statali, sia
 previsto l'onere della  domanda  per  conseguire  il  trattamento  di
 quiescenza.   I   diversi   sistemi   pensionistici  hanno  una  loro
 specificita', e la circostanza che le discipline in essi previste non
 siano uniformi non lede di per se' il principio di eguaglianza, salvo
 il  caso,   nella   specie   non   sussistente,   di   una   evidente
 irragionevolezza  della differenza di disciplina (cfr. sentenze n. 26
 del 1980, n. 454 del 1993). Per ritenere che la previsione dell'onere
 della domanda al fine di conseguire il trattamento pensionistico  dia
 luogo   ad  una  disparita'  illegittima  di  trattamento  non  basta
 osservare che in altri casi tale onere e'  escluso,  ma  occorrerebbe
 dimostrare  la manifesta arbitrarieta' di tale differenza; a meno che
 si tratti di un onere tale da incidere sostanzialmente sulla garanzia
 costituzionale di effettivita' della tutela previdenziale, cio' che -
 come verra' argomentato piu' oltre, nell'esaminare la censura fondata
 sull'art. 38 della Costituzione nella specie - non accade.
   La differenza in esame non e'  priva  di  spiegazione  sistematica.
 Per  i  dipendenti statali, infatti, valeva, fino ad epoca recente, e
 cioe' fino alla istituzione dell'Istituto nazionale di previdenza per
 i  dipendenti  dell'amministrazione  pubblica  (INPDAP),   ai   sensi
 dell'art.  4  del  d.lgs.  n.  479 del 1994, la regola per cui era la
 stessa amministrazione di appartenenza del dipendente, e non un  ente
 previdenziale   da  questa  distinto,  a  provvedere  d'ufficio  alla
 liquidazione del trattamento pensionistico diretto (artt. 154  e  157
 del  d.P.R.  n. 1092 del 1973). Al contrario, per i dipendenti il cui
 sistema pensionistico era amministrato dalle Casse pensioni,  vigeva,
 come vige, il sistema della domanda, come nel settore privato, in cui
 i  trattamenti  di  quiescenza sono erogati dall'Istituto competente.
 Onde si appalesa, sotto questo punto di vista, impropria  la  scelta,
 da   parte   del   remittente,   del   tertium   comparationis,   non
 riscontrandosi, in relazione a  siffatto  aspetto  della  disciplina,
 particolari   ragioni  di  omogeneita'  della  categoria  interessata
 rispetto a quella dei dipendenti statali, piuttosto che  rispetto  ad
 altre categorie di lavoratori.
   Che   poi  all'onere  della  domanda  si  colleghi  un  termine  di
 decadenza, decorso il  quale  si  perde  non  gia'  il  diritto  alla
 pensione,  ma  solo  quello  a  percepire  le  quote  del trattamento
 relative al periodo di tempo anteriore alla domanda stessa, e' frutto
 a sua volta di una scelta discrezionale del legislatore, coerente con
 il sistema prescelto, e giustificabile se non altro  per  ragioni  di
 certezza   della   situazione  finanziaria  dell'ente  erogatore  del
 trattamento: una scelta che non da' luogo, per le stesse ragioni gia'
 dette, ad una illegittima disparita' di trattamento.
   Ne' mancano, del resto, nell'ambito di altri sistemi pensionistici,
 previsioni  analoghe (cfr., per gli stessi dipendenti statali, l'art.
 191, terzo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, ai cui sensi  "per  le
 liquidazioni  da effettuarsi a domanda, se questa e' presentata oltre
 due anni dopo il giorno in cui e'  sorto  il  diritto,  il  pagamento
 della  pensione  o  dell'assegno rinnovabile ha luogo con effetto dal
 primo giorno del mese successivo a quello della  presentazione  della
 domanda o dei documenti prescritti"), o norme che fanno decorrere, in
 taluni  casi,  la  corresponsione  del  trattamento  dalla data della
 domanda  (cfr.,  nel  settore  privato,  quanto  alle   pensioni   di
 anzianita',  l'art.  22,  quinto  comma, della legge n. 153 del 1969;
 quanto alle pensioni di vecchiaia, l'art.  6,  secondo  comma,  della
 legge   n.   155   del   1981,   ove   si   prevede,   "su  richiesta
 dell'interessato", la decorrenza della pensione dal mese successivo a
 quello di presentazione della domanda).
   3. - Non sussiste nemmeno la denunciata violazione  degli  articoli
 36 e 38 della Costituzione.
   Questa  Corte ha gia' avuto modo di affermare che non contraddice i
 caratteri  del  diritto  alla  pensione,  come  "situazione   finale"
 sottratta   "a   conseguenze   negative   astrattamente   collegabili
 all'inerzia del titolare in ragione delle esigenze di certezza  e  di
 stabilita'  connesse  alla sua funzione, attinente alla sopravvivenza
 della persona", il fatto  "che  le  vicende  volte  a  determinare  i
 presupposti  di  consistenza  quantitativa o addirittura di esistenza
 del diritto alla pensione si svolgano entro limiti temporali", ne' in
 particolare "che l'azionamento di  tali  vicende  sia  rimesso  dalla
 legge  all'iniziativa  dell'interessato, atteggiata come esercizio di
 un distinto diritto  strumentale,  e  che  questo  sia  sottoposto  a
 decadenza in caso di mancato esercizio entro un termine" (sentenza n.
 203 del 1985).
   In  altre  parole,  che  il  diritto  a  pensione  sia  un  diritto
 fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile, non significa che il
 suo concreto esercizio non possa dalla legge  essere  subordinato  ad
 adempimenti,  non gravosi, dell'interessato, come e' la presentazione
 di una domanda.  E mentre una disciplina che  collegasse  al  decorso
 del termine per la presentazione della domanda la decadenza anche per
 il  futuro  dal  diritto sostanziale in questione potrebbe in effetti
 essere  ritenuta  incompatibile  con  i  caratteri  di  tale  diritto
 costituzionalmente  tutelato,  finalizzato  ad assicurare le esigenze
 primarie di vita della persona, non altrettanto  puo'  dirsi  di  una
 disciplina  che  si  limiti - come quella in esame - a far discendere
 dalla mancata osservanza del termine la decadenza  dal  diritto  alla
 corresponsione  dei  ratei  di  pensione relativi ai periodi di tempo
 anteriori alla domanda stessa.
   Ne' puo' trascurarsi che, nella specie, il termine  previsto  dalla
 legge  e' di ben dieci anni dalla cessazione dal servizio (ovvero, se
 piu' favorevole, coincidente con il  compimento  del  sessantottesimo
 anno  di  eta').  La mancata presentazione della domanda non puo' che
 essere  dovuta,  secondo  una   ragionevole   presunzione,   ad   una
 consapevole  scelta  dell'interessato (ad esempio, per poter svolgere
 attivita' o usufruire di redditi di lavoro  non  compatibili  con  la
 percezione del trattamento di quiescenza).
   Vale  dunque il principio, affermato nella giurisprudenza di questa
 Corte,  per  cui  "l'esercizio  di   ogni   diritto,   anche   quello
 costituzionalmente  garantito,  puo'  essere  dalla  legge regolato e
 cosi' sottoposto a limite, sempre che questo sia compatibile  con  la
 funzione del diritto di cui si tratta (...) e non si traduca comunque
 nella   esclusione   dell'effettiva  possibilita'  dell'esercizio  in
 parola" (sentenza n.   203 del 1985; e  cfr.  anche,  tra  le  altre,
 sentenze  n.  10  del 1970, n. 33 del 1974, n. 33 del 1977, n. 71 del
 1993).
   Ne' il principio  di  proporzionalita'  della  pensione  al  lavoro
 prestato   (nei   limiti   in  cui  esso  possa  essere  riconosciuto
 nell'ambito  del  concreto  sistema  previdenziale),  ne'  quello  di
 adeguatezza della stessa alle esigenze di vita del lavoratore possono
 dirsi  violati  per  il  fatto  che,  fino  alla  presentazione della
 domanda, la corresponsione della  pensione  rimane  sospesa,  poiche'
 tale  conseguenza  opera  sul  piano  procedurale  e  non  su  quello
 sostanziale, nulla opponendosi a che l'interessato, fin  dal  momento
 in  cui  matura  il  suo  diritto, ottenga, attraverso un adempimento
 certo non gravoso come la presentazione della domanda, il trattamento
 che gli spetta. Nemmeno sono violati per il  fatto  che  il  ritardo,
 oltre  il termine stabilito, nella presentazione della domanda faccia
 perdere i ratei  di  pensione  non  prescritti  relativi  ai  periodi
 precedenti  gia'  trascorsi, poiche', ancora una volta, cio' discende
 da una non irragionevole disciplina di carattere procedurale,  e  non
 fa  venir  meno  il  diritto  a percepire, per il futuro, e fin dalla
 presentazione della domanda, il trattamento pensionistico finalizzato
 ad assicurare all'interessato i mezzi di sostentamento,  ma  solo  il
 diritto  a  percepire somme che tale funzione avrebbero potuto avere,
 ma  con  riferimento  ad  un  tempo  gia'  trascorso,   e   sol   che
 l'interessato si fosse attivato per richiederle.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 13, primo e terzo comma, della legge  22 novembre 1962,  n.
 1646  (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso
 il Ministero del tesoro), sollevata, in riferimento agli articoli  3,
 36   e   38  della  Costituzione,  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
 giurisdizionale per l'Emilia-Romagna, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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