N. 29 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 12 agosto 1999

                                 N. 29
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 12 agosto 1999 (della regione Lombardia)
 Sanita' pubblica - Razionalizzazione del servizio sanitario nazionale
    -  Normativa  delegata - Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale oltre
    il termine per l'emanazione previsto dalla legge delega - Ritenuta
    inosservanza del  limite  temporale  per  l'esercizio  dei  poteri
    delegati.
     Sanita'  pubblica    -  Razionalizzazione  del servizio sanitario
    nazionale - Normativa delegata - Mancata sottoposizione di  alcune
    disposizioni  e  mancata  conformazione  di  altre al parere della
    Conferenza unificata  -  Denunciata  violazione  delle  competenze
    regionali  e  del  principio  di  leale collaborazione tra Stato e
    regioni.    Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio
    sanitario  nazionale - Normativa delegata - Previsioni relative ai
    contenuti del Piano sanitario nazionale, all'adeguamento dei piani
    sanitari  regionali,   all'accreditamento   di   nuove   strutture
    sanitarie  e  al  trattamento  degli  enti  privati  non  profit -
    Denunciata inosservanza di criteri direttivi della legge delega  -
    Ingiustificata  discriminazione  tra le regioni - Violazione delle
    competenze regionali e del principio di leale collaborazione.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale   -   Normativa   delegata   -   Previsioni  concernenti
    l'approvazione  dei  Piani  sanitari  regionali,  i  rapporti  tra
    pianificazione  regionale  e infraregionale, l'esercizio di poteri
    sostitutivi da parte dello Stato e  le  attribuzioni  dell'Agenzia
    per  i  servizi  sanitari  regionali  - Denunciata esorbitanza dai
    limiti della delega ex lege n. 419/1998  -  Interferenza  indebita
    nelle competenze regionali.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale - Normativa delegata - Fissazione dei requisiti  per  la
    nomina   dei   direttori   generali  delle  USL  e  delle  Aziende
    ospedaliere,  istituzione  dei  collegi  sindacali  delle  ASL   e
    organizzazione  dei  distretti  delle  USL  -  Denunciata  lesione
    dell'autonomia e delle competenze regionali, nonche' del principio
    di buon andamento della p.a.  Sanita' pubblica - Razionalizzazione
    del servizio sanitario nazionale - Normativa delegata - Divieto di
    istituire  Aziende  ospedaliere  regionali  e  determinazione  dei
    requisiti necessari per la  costituzione  (o  la  conferma)  delle
    Aziende  ospedaliere  nazionali  ed  interregionali  -  Denunciato
    eccesso di delega - Irragionevolezza -  Discriminazione  in  danno
    della  regione  Lombardia  -  Contrasto  con la riforma avviata da
    quest'ultima (basata sulla separazione tra  soggetto  erogatore  e
    soggetto  produttore  delle  prestazioni  sanitarie)  - Violazione
    delle  competenze  regionali  -  Lesione  dei  principi  di  leale
    collaborazione,  di  buon  andamento della p.a. e di libera scelta
    della struttura erogatrice delle prestazioni sanitarie.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale   -  Normativa  delegata  -  Previsioni  in  materia  di
    patrimonio e contabilita' delle ASL e delle Aziende ospedaliere  -
    Denunciata  violazione  delle  competenze  regionali  e dei limiti
    della delega ex lege n. 419/1998.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale   -   Normativa   delegata   -  Limiti  finanziari  alla
    stipulazione di accordi di programma per  l'edilizia  sanitaria  -
    Lamentata  penalizzazione  della  regione    Lombardia.    Sanita'
    pubblica - Razionalizzazione del servizio  sanitario  nazionale  -
    Normativa  delegata - Previsto avvalimento, da parte delle regioni
    e  delle  USL,  delle  Agenzie   regionali   per   la   protezione
    dell'ambiente  - Denunciato eccesso di delega.  Sanita' pubblica -
    Razionalizzazione del servizio  sanitario  nazionale  -  Normativa
    delegata  -  Necessita'  di  autorizzazione  per l'esercizio delle
    attivita' sanitarie, determinazione dei requisiti per il  rilascio
    e  classificazione degli studi medici il cui esercizio e' soggetto
    ad  autorizzazione  -  Denunciato  eccesso  di  delega  -  Lesione
    dell'autonomia regionale.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale - Normativa delegata - Previsioni relative alla verifica
    di compatibilita' dei progetti per la realizzazione  di  strutture
    sanitarie   -   Denunciata   lesione  di  competenze  regionali  -
    Penalizzazione  dell'iniziativa  economica  privata  -   Possibili
    disparita'  di trattamento.   Sanita' pubblica - Razionalizzazione
    del servizio sanitario nazionale - Normativa delegata  -  Prevista
    fissazione,  con  atto di indirizzo e coordinamento, dei requisiti
    ulteriori  per  l'accreditamento  istituzionale  delle   strutture
    sanitarie  -  Denunciata  discordanza  rispetto agli indirizzi del
    Piano  sanitario  nazionale  1998/2000  -  Eccesso  di  delega   -
    Violazione delle competenze regionali.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale  -  Normativa  delegata  -  Disciplina   degli   accordi
    contrattuali   e   individuazione   dei   soggetti  interessati  -
    Denunciata  esorbitanza  dalla  delega  ex  lege  n.  419/1998   -
    Violazione   delle  competenze  regionali.    Sanita'  pubblica  -
    Razionalizzazione del servizio  sanitario  nazionale  -  Normativa
    delegata  - Previsioni relative alla remunerazione delle attivita'
    assistenziali - Denunciata lesione delle  competenze  regionali  e
    del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale - Normativa delegata - Disposizioni sui  rimborsi  delle
    prestazioni  erogate  in  forma indiretta - Denunciata esorbitanza
    dalla  delega  ex  lege  n.  419/1998.      Sanita'   pubblica   -
    Razionalizzazione  del  servizio  sanitario  nazionale - Normativa
    delegata  -  Operativita'  dei  fondi  integrativi  del   servizio
    sanitario nazionale per le sole prestazioni erogate da strutture e
    professionisti  accreditati - Denunciata disparita' di trattamento
    in danno delle strutture autorizzate - Eccesso di delega.  Sanita'
    pubblica - Razionalizzazione del servizio  sanitario  nazionale  -
    Normativa delegata - Disciplina delle sperimentazioni gestionali -
    Denunciato  eccesso  di delega - Violazione del principio di leale
    collaborazione tra Stato e regioni.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale  -  Normativa  delegata  -  Disciplina  della  dirigenza
    sanitaria  (collocazione  in  unico   ruolo   e   unico   livello,
    soppressione  dei rapporti di lavoro a tempo definito, opzione per
    l'attivita' libero-professionale  extramuraria,  esclusivita'  del
    rapporto  di  lavoro, conferimento degli incarichi di direzione) -
    Denunciato  eccesso  di  delega  -  Violazione  delle   competenze
    regionali e del principio di buon andamento della p.a.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale  -  Normativa  delegata  -  Istituzione,  disciplina   e
    funzioni  della  Commissione  nazionale  per l'accreditamento e la
    qualita' dei servizi sanitari - Esorbitanza dalla delega  ex  lege
    n.  419/1998  - Lesione delle competenze regionali e del principio
    di leale collaborazione tra Stato e regioni.   Sanita' pubblica  -
    Razionalizzazione  del  servizio  sanitario  nazionale - Normativa
    delegata - Possibilita' che gli oneri  di  spesa  derivanti  dalla
    nuova  disciplina ricadano sulle regioni - Violazione dei principi
    in materia di finanza regionale.
     Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  del  servizio  sanitario
    nazionale  - Normativa delegata - Dedotta illegittimita' derivata,
    per illegittimita' della  legge  delega  n.  419/1998  (secondo  i
    profili  evidenziati nel ricorso proposto avverso tale legge dalla
    regione Lombardia).
     D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, intero testo, nonche' artt. 1 e 1,
    comma 14, 2, 3, 4, e 4, commi 2 e 3, 5, e 5,  comma  1,  7,  e  7,
    comma 1 (recte: comma 2), 8, 9, 10, 13 e 16.
     Costituzione,  artt.  3,  5,  41,  73, 76, 97, 117, 118 e 119; in
    particolare legge 30 novembre 1998, n. 419, artt. 1, commi 1, 3  e
    4,  2, comma 1, lett. b), h) e cc); d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281;
    d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in particolare artt. 5 e 115;  legge
    11 marzo 1988, n. 67; legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 13.
(GU n.1 del 5-1-2000 )
      Ricorso della regione Lombardia, in persona del Presidente della
    Giunta  regionale  pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato
    con delibere di Giunta regionale n. 44491 del 30 luglio 1999 e  n.
    44696 del 5 agosto 1999, rappresentato e difeso, come da mandato a
    margine  del  presente  atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita di
    Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in  Roma,
    via di Porta Pinciana, 6;
   Contro  il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs.  19  giugno
 1999,  n.  229,  recante "Norme per la razionalizzazione del Servizio
 sanitario nazionale, a norma dell'art.  1  della  legge  30  novembre
 1998,  n.  419",  in  toto  e  in  parte qua, relativamente ad alcuni
 articoli, pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 132/L alla Gazzetta
 Ufficiale, serie generale, n. 165, del 16 luglio 1999.
                               F a t t o
   In attuazione della delega contenuta nella legge 30 novembre  1998,
 n.  419,  recante  "Delega  al  Governo  per la razionalizzazione del
 Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un  testo  unico  in
 materia  di  organizzazione  e  funzionamento  del Servizio sanitario
 nazionale.  Modifiche al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502", pubblicata
 in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 286 del 7 dicembre 1998, in
 data 19 giugno 1999, il Presidente della  Repubblica  ha  emanato  il
 d.lgs.  n. 229/1999.
   Il  decreto,  rappresentando  un  forte  elemento di discontinuita'
 rispetto  alle  riforme  introdotte  dal  d.lgs.  n.  502/1992,  pone
 evidenti  ostacoli  alla  riforma  sanitaria  in  corso nella regione
 Lombardia (in attuazione del d.lgs. n.  502  del  1992  e  delle  sue
 successive  modifiche),  i cui primi esiti sono stati accolti in modo
 favorevole dai cittadini e che sta dando i primi riscontri  positivi,
 sia  sotto il profilo della qualita' e dell'efficacia delle cure, sia
 dal punto di vista di risanamento dei bilanci: sotto  questo  profilo
 non   puo'  non  essere  sottolineato  come  la  continua  produzione
 normativa nazionale in tema di servizio sanitario  renda  l'attivita'
 regionale  di  attuazione  legislativa  e programmatoria dei principi
 nazionali simile ad una fatica di Sisifo.
   Tra gli effetti indotti dal decreto vi sara' quello di un ulteriore
 ingiustificato aggravio di  spesa:  basti  qui  ricordare  gli  oneri
 derivanti  dalla soppressione dei rapporti di lavoro a tempo definito
 o  quelli  conseguenti  alle   previsioni   restrittive   sui   fondi
 integrativi,  che  negano  la  possibilita'  di ricorrere a strutture
 autorizzate. Il Servizio bilancio  del  Senato,  in  una  nota  sullo
 schema   di  decreto  delegato,  segnalava  l'esistenza  di  numerose
 disposizioni tali da recare aggravio di spesa nel settore sanitario a
 seguito della riforma1).
   L'impostazione  statalista  e  centralista  del   d.lgs.   n.   229
 ridimensiona  drasticamente  le competenze attribuite alle regioni in
 materia sanitaria dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.
   Basterebbe  il  semplice  dato  quantitativo  delle  81  pagine  di
 Gazzetta  Ufficiale  a  rendere  evidente come si sia voluto definire
 nell'estremo  dettaglio  moltissimi  luoghi  e  settori  di  evidente
 competenza  regionale:    cio'  e'  avvenuto  in palese spregio della
 volonta' parlamentare, giacche'  e'  difficile  pensare  che  con  il
 principio  contenuto  nell'art.  2, comma 1, lett. b), della legge n.
 419  del  1998,  relativo   al   completamento   del   "processo   di
 regionalizzazione  ...  del  Servizio sanitario nazionale" si volesse
 dar  mandato  al  Governo  di   sommergere   i   legislatori   e   le
 amministrazioni  regionali  di 80 pagine fitte di Gazzetta Ufficiale,
 piene di norme di dettaglio.
   Il decreto ripropone, inoltre,  un  Servizio  sanitario  incentrato
 quasi  esclusivamente sulle aziende U.S.L., sulla identificazione tra
 il soggetto garante della salute dei propri cittadini  ed  acquirente
 delle  prestazioni  ed il soggetto erogatore/produttore delle stesse.
 Viene, infatti, negata, attraverso una interpretazione illegittima ed
 infondata della  legge  delega,  la  possibilita'  delle  regioni  di
 istituire  aziende  ospedaliere  di  rilevo regionale: sono, infatti,
 contemplate dal decreto solo ed esclusivamente le aziende ospedaliere
 di rilievo interregionale o  nazionale,  la  cui  costituzione  viene
 assoggettata alla decisione del Consiglio dei Ministri.
   Il  divieto  di costituire aziende ospedaliere di rilievo regionale
 comporta il venir meno della separazione tra il  soggetto  acquirente
 (la  A.S.L.)  ed  il  soggetto produttore (le A.O.) delle prestazioni
 sanitarie e, fatto ben piu' grave, impedisce una  reale  competizione
 "regolata"  (pur  richiesta dalla legge delega: cfr. art. 2, comma 1,
 lett. c) tra tutti i soggetti erogatori, pubblici e privati,  foriera
 di  sicuri  benefici  per  il  cittadino,  nonche' presupposto per il
 concreto esercizio del principio di  libera  scelta  della  struttura
 erogatrice.
   L'impostazione  del decreto tende, inoltre, a vanificare la parita'
 tra pubblico e privato.
   In particolare,  la  nuova  disciplina  introdotta  in  materia  di
 accreditamento,  nel  subordinare  l'esito  positivo  della  relativa
 procedura  alla  previsione  di   un   fabbisogno   regionale   delle
 prestazioni   e  alla  capacita'  produttiva  massima  delle  singole
 strutture, di fatto, non puo' non condurre al riconoscimento  di  uno
 spazio maggiore e piu' garantito delle strutture pubbliche, relegando
 quelle  private  ad un ruolo meramente sussidiario e residuale. Anche
 sotto questo profilo, viene posta nel nulla la volonta' parlamentare,
 giacche' l'art. 2, comma 1, lett. c) della delega chiede  al  Governo
 di    "regolare  e  distribuire  i  compiti  tra  i soggetti pubblici
 interessati e i soggetti privati".
   Infine non si puo' non rilevare l'effetto devastante  di  una  fuga
 generalizzata  dalle strutture pubbliche dei migliori professionisti,
 fuga che  le  norme  sull'incompatibilita'  e  sull'esclusivita'  del
 rapporto di lavoro sono suscettibili di produrre.
   1) La nota e' pubblicata in ASI - Agenzia sanitaria italiana del 20
 maggio 1999, n. 20.
   Il  decreto  legislativo  appare  percorso da una profonda (e assai
 pericolosa) volonta' di  disattendere  le  indicazioni  parlamentari:
 sia  sotto  il  profilo,  come  si  vedra'  nel  prosieguo dell'atto,
 dell'eccesso  o  violazione  della  delega  (e  cio'  nonostante   le
 stigmatizzazioni in tal senso effettuate dalle competenti Commissioni
 parlamentari in sede di parere sullo schema di decreto delegato), sia
 sotto  il  profilo,  politicamente  rilevante,  del mancato esercizio
 della delega in alcuni significativi settori (v., in particolare,  la
 mancata attuazione della delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. i),
 relativa  all'attribuzione  -  pur  richiesta  dalle  regioni  -  dei
 "compiti e le funzioni tecnico-scientifici e di coordinamento tecnico
 all'Istituto superiore di sanita', all'agenzia per i servizi sanitari
 regionali e all'Istituto superiore per la prevenzione e la  sicurezza
 del lavoro": si conferma comunque la confusa gestione, da parte della
 legge  delega,  dell'"oggetto"  e  dei "principi", di cui all'art. 76
 Cost., su cui v. infra sub par. 16).
   Il d.lgs. n. 229 del 1999 ha operato novellando il  d.lgs.  n.  502
 del  1992,  nel cui testo sono stati inseriti nuovi articoli e commi,
 ovvero abrogati commi o parti di essi; nella maggior parte dei  casi,
 gli  artt.  1,  2,  3,  4,  5,  del  d.lgs. n. 229 hanno modificato i
 corrispondenti artt. 1, 2, 3,  4,  5,  n,  del  d.lgs.  n.  502:  nel
 prosieguo  del ricorso si fara' riferimento, nell'epigrafe del motivo
 e  nella  descrizione iniziale della censura, all'articolo del d.lgs.
 n. 229, mentre all'interno dei paragrafi i riferimenti, salva diversa
 indicazione, saranno effettuati al testo del  d.lgs.  n.  502,  cosi'
 come novellato dal d.lgs. n. 229.
   Ferme  rimanendo  le censure gia' mosse avverso la legge delega con
 il ricorso notificato in data 5 gennaio 1999 e che devono  intendersi
 qui  richiamate  e  confermate per la parte in cui si riverberano sul
 testo delegato   (v. infra sub parr. 16,  17  e  18),  il  d.lgs.  n.
 229/1999  invade  le  competenze costituzionalmente riconosciute alle
 regioni  in  materia  sanitaria   e   risulta   pertanto   gravemente
 illegittimo per i seguenti motivi;
                             D i r i t t o
   1.  -  Violazione  degli  artt.  76  e  73  della  Costituzione, in
 relazione all'art. 1 della  legge  30  novembre  1998,  n.  419,  per
 mancato   rispetto  dei  termini  per  l'emanazione  e  pubblicazione
 previsti dalla legge delega.   All'art.  1,  comma  1,  la  legge  n.
 419/1998,  stabilisce  che  "il Governo e' delegato ad emanare, entro
 centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, uno o
 piu'  decreti  legislativi  recanti   disposizioni   modificative   e
 integrative  del  d.lgs.  30  novembre  1992,  n.  502  e  successive
 modificazioni, sulla  base  dei  principi  e  dei  criteri  direttivi
 previsti  dall'art.  2".    Affinche' i termini previsti dall'art. 1,
 comma 1, della legge n. 419/1998 fossero da ritenersi rispettati,  il
 Governo  avrebbe  dovuto  esercitare  i  poteri  delegati entro il 22
 giugno 1999.  Tuttavia, se e' vero che il d.lgs. n. 229/1999 e' stato
 emanato dal Presidente della Repubblica in data 19  giugno  1999,  e'
 anche  vero  che  esso solo in data 8 luglio 1999 veniva trasmesso al
 Ministro di grazia e giustizia, il quale vi apponeva il visto in data
 12 luglio 1999. Quanto poi alla data della pubblicazione, il  decreto
 risulta  ufficialmente pubblicato in data 16 luglio 1999: la Gazzetta
 Ufficiale, serie generale, n.  165  del  16  luglio  1999  riportava,
 infatti,  avviso  della  pubblicazione  del  d.lgs.  n.  229/1999 nel
 Supplemento ordinario, n. 132/L.  Il Supplemento ordinario  n.  132/L
 e'  stato  materialmente distribuito solo in data 24 luglio 1999.  Il
 ritardo nella pubblicazione  (e  nella  concreta  distribuzione)  del
 d.lgs.  n.  229/1999  costituisce  una  violazione delle disposizioni
 dettate dagli artt. 73 e  76  della  Costituzione.  L'art.  76  della
 Costituzione  stabilisce,  infatti,  che  "l'esercizio della funzione
 legislativa non puo'  essere  delegato  al  Governo  se  non  con  la
 determinazione  di  principi  e  criteri  direttivi e soltanto per un
 tempo limitato e per oggetti definiti".    A  sua  volta,  l'art.  73
 Cost.,  al  terzo  comma,  stabilisce  che: "le leggi sono pubblicate
 subito dopo la promulgazione".  L'espressione "leggi" di cui al terzo
 comma dell'art.  73  della  Costituzione  deve,  infatti,  intendersi
 riferita  anche  agli  atti  aventi  forza  di legge, quali appunto i
 decreti delegati.   La ricorrente ben conosce  la  giurisprudenza  di
 codesta ecc.ma Corte secondo cui i termini per l'esercizio dei poteri
 delegati  devono  intendersi  rispettati,  e  che quindi non sussiste
 violazione degli artt. 73 e 76 della Costituzione, nelle  ipotesi  in
 cui  i  decreti delegati vengano "emanati" nel termine previsto dalla
 legge di delega, non essendo necessario che entro tale  termine  essi
 vengano  anche  "pubblicati"  (cfr.  per tutte la sent. n. 184 del 10
 dicembre 1981).  A questa interpretazione della Corte  costituzionale
 avrebbe    dovuto   corrispondere   un   atteggiamento   responsabile
 dell'Amministrazione,  la  quale avrebbe dovuto limitare al massimo i
 tempi necessari per la  pubblicazione  successiva  all'emanazione.  E
 invece  si e' assistito e si assiste anche in questa situazione ad un
 fenomeno di grave degenerazione e lassismo  per  quanto  attiene  a(i
 tempi   de)lla   pubblicazione  dei  decreti  delegati  (la  medesima
 situazione qui lamentata si ebbe, ad esempio, per il  d.lgs.  n.  112
 del  1998,  che,  emanato  in data 31 marzo 1998, e' stato pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 1998).  Il caso  in  questione
 e'  esemplare:  emanato  il  19  giugno  1999  dal  Presidente  della
 Repubblica, il decreto e' stato trattenuto negli uffici del Ministero
 della sanita' fino all'8 luglio; ha ricevuto il visto del Ministro di
 grazia e giustizia il 12; ne e' stata comunicata la pubblicazione  il
 16  luglio.  A  cio'  si  aggiunga, a testimonianza del grave ritardo
 verificatosi, che la Gazzetta Ufficiale recante  il  testo  e'  stata
 disponibile  solo  il  24  luglio a Roma e il 26 luglio nel resto del
 Paese: che in questa situazione temporale, stante i lunghissimi tempi
 di pubblicazione e distribuzione dell'atto, si  sviluppino  polemiche
 politiche  circa  la modifica in itinere (per cosi' dire!) del testo,
 pur dopo l'emanazione da parte del Presidente  della  Repubblica,  e'
 evenienza  inevitabile.    Ora, mentre il ritardo nella distribuzione
 assume in questa sede il rilievo di un mero fatto, pur se foriero  di
 gravi conseguenze giuridiche (giacche' la vacatio legis si e', in tal
 modo,  ridotta  a  pochissimi giorni e ne subiscono un vulnus anche i
 gia'  ristretti  -  e  senza  sospensione  feriale  -   termini   per
 l'impugnazione  regionale!),  il ritardo nella pubblicazione ben puo'
 essere sanzionato in sede di legittimita' costituzionale,  precisando
 che  anche  la  pubblicazione  deve  intervenire nel termine previsto
 dalle leggi di delega.
   2. - Violazione degli  artt.  117  e  118  della  Costituzione,  in
 relazione all'art. 1, comma 3, della legge  30 novembre 1998, n. 419,
 al  d.lgs.    28  agosto  1997,  n.  281  e  al  principio  di  leale
 collaborazione tra lo  Stato  e  le  regioni  da  parte  di  numerose
 disposizioni  del  decreto.    2.1.  - L'art. 1, comma 3, della legge
 delega stabilisce che sugli schemi di decreto legislativo di  cui  al
 comma  1,  il Governo acquisisce il parere della Conferenza unificata
 di cui all'art. 8 del d.lgs.  28 agosto 1997, n. 281, che esprime  il
 richiesto  parere  entro  trenta  giorni dalla ricezione degli schemi
 stessi.  Va, in primo luogo, premesso che la regione Lombardia  tiene
 ferme  le  censure  mosse  a tale disposizione sub par. 2 del ricorso
 promosso di fronte alla Corte costituzionale in data 5  gennaio  1998
 per  l'impugnazione  della  legge delega, qui riprodotte sub par. 17,
 attinenti all'acquisizione da parte  del  Governo  del  parere  della
 Conferenza   unificata,   anziche'  esclusivamente  di  quello  della
 conferenza  Stato-regioni.    In  ogni  caso,  pur  ammesso  che   la
 previsione  dell'art.  1,  comma  3,  della  legge  n. 419/1998 debba
 considerarsi  legittima,  e  che  pertanto  spetti  alla   Conferenza
 unificata esprimere parere sullo schema del
  d.lgs.  n. 229/1999, anche tale disposizione non e' stata rispettata
 dal Governo nella formazione finale del decreto.  Con riferimento  ad
 alcune  disposizioni,  infatti,  il parere della Conferenza unificata
 non e' stato acquisito dal Governo, essendo stato presentato un testo
 che  non  le  conteneva;  rispetto  ad  altre,  invece,  sebbene   il
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  in  sede  di  Conferenza
 unificata, avesse assicurato che  avrebbe  recepito  gli  emendamenti
 proposti  in  quella sede dalle regioni, di fatto, nella formulazione
 finale del decreto, si e' dovuto constatare che  il  Governo  non  ha
 tenuto  conto  delle osservazioni regionali.   2.2. - Appartengono al
 primo gruppo (disposizioni su cui non e' stato  acquisito  il  parere
 della  Conferenza  unificata):    a)  l'art.  3,  nella  parte in cui
 introduce l'art. 3-bis, comma 15, del d.lgs.  n.  502/1992,  dove  si
 stabilisce  che:  "in  sede di prima applicazione, le regioni possono
 disporre la proroga dei contratti con i direttori generali in  carica
 all'atto  dell'entrata  in vigore del presente decreto per un periodo
 massimo di dodici mesi"; b) l'art. 4, comma 2,  nella  parte  in  cui
 aggiunge  il  comma  1-ter  all'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, ultimo
 periodo, in cui si stabilisce che: "In ogni caso, non si procede alla
 costituzione o alla conferma in azienda  ospedaliera  qualora  questa
 costituisca   il   solo   presidio   ospedaliero   pubblico  presente
 nell'azienda unita' sanitaria locale"; c) l'art. 4,  comma  2,  nella
 parte  in  cui  introduce  il comma 1-octies all'art. 4 del d.lgs. n.
 502, in cui si stabilisce che: "Ai progetti elaborati dalle regioni e
 finanziati ai  sensi  dell'art.  1,  comma  34-bis,  della  legge  23
 dicembre  1996,  n.  662,  e successive modificazioni, hanno titolo a
 partecipare anche gli enti e gli istituti di cui al
  comma 12"; d) l'art. 5, comma 1, nella parte in cui introduce l'art.
 5-bis del d.lgs. n. 502, comma 3, in cui si stabilisce che: "In  caso
 di  mancata  attivazione  del  programma oggetto dell'accordo entro i
 termini previsti dal medesimo  programma,  la  copertura  finanziaria
 assicurata   dal   Ministero  della  sanita'  viene  riprogrammata  e
 riassegnata, sentita la conferenza permanente per i rapporti  tra  lo
 Stato,  le  regioni  e  le  province autonome di Trento e Bolzano, in
 favore di altre regioni o enti pubblici interessati al  programma  di
 investimenti,  tenuto  conto  della capacita' di spesa e di immediato
 utilizzo delle risorse da parte dei medesimi"; e) l'art. 7, comma  1,
 nella parte in cui introduce l'art. 7-quater del d.lgs. n. 502, comma
 2, in cui si stabilisce che: "Le regioni disciplinano l'articolazione
 delle  aree  dipartimentali  di  sanita' pubblica, della tutela della
 salute negli ambienti di lavoro e della sanita' pubblica veterinaria,
 prevedendo  strutture  organizzative  specificatamente  dedicate   a:
 igiene  e sanita' pubblica; igiene degli alimenti e della nutrizione;
 prevenzione e sicurezza degli ambienti di  lavoro;  sanita'  animale;
 igiene   della   produzione,   trasformazione,   commercializzazione;
 conservazione e trasporto degli alimenti di origine  animale  e  loro
 derivati;  igiene degli allevamenti e delle produzioni  zootecniche".
 Tutte  le  disposizioni  indicate  non  erano  presenti   nel   testo
 sottoposto alla Conferenza unificata.  2.3. - Appartengono al secondo
 gruppo  (disposizioni  rispetto alle quali non ci si e' adeguati alle
 richieste regionali, nonostante le assicurazioni rese  in  Conferenza
 unificata)  le  disposizioni  di  cui  agli  art.  1,  comma 14;   4;
 8-quinquies, comma 2 del d.lgs. n.   229,  nonche'  l'art.  8-sexies,
 commi 3 e 4 dello schema di decreto (che corrispondono ai commi 4 e 5
 del  d.lgs.  n.  229),  l'art. 10, nella parte in cui modifica l'art.
 9-bis del d.lgs. n. 502 e l'art.  16, nella parte  in  cui  introduce
 l'art.  19-bis,  del  d.lgs. n. 502 del 1992.  Con riferimento a tali
 disposizioni, nei  successivi  paragrafi,  verranno  dettagliatamente
 indicati  gli  emendamenti  proposti  dalla conferenza dei Presidenti
 delle regioni nel parere rilasciato in data 6  maggio  1999,  al  cui
 accoglimento  era  subordinato  il  parere positivo della Conferenza,
 accettati  dal  Governo  stesso  in  sede  di  Conferenza  e, infine,
 sorprendentemente,  non  accolti  dal  Governo   nella   formulazione
 definitiva del decreto.  2.4. - Tale comportamento tenuto dal Governo
 non  puo'  che  comportare  l'illegittimita' costituzionale sia delle
 disposizioni non sottoposte al parere della conferenza, sia di quelle
 confermate anche a seguito degli emendamenti proposti dalle  regioni.
 Se  e'  vero,  infatti,  che  nella  seduta  del  6  maggio  1999, la
 Conferenza unificata ha espresso parere favorevole  sullo  schema  di
 decreto  approvato  in  via preliminare dal Consiglio dei Ministri in
 data 14 aprile 1999, e' anche  vero  che,  nella  medesima  sede,  la
 conferenza   dei   Presidenti   delle   regioni   aveva   subordinato
 l'espressione del proprio parere favorevole al recepimento  da  parte
 del  Governo  delle  richieste  formulate  nel documento del 6 maggio
 1999, (allegato al verbale della Conferenza unificata  del  6  maggio
 1999),  e che il Ministro della sanita' si era dichiarato disponibile
 ad  accoglierle.    A  conferma  della  situazione  verificatasi   si
 riportano  alcuni  stralci del verbale della seduta del 6 maggio 1999
 della Conferenza unificata, nel  quale,  in  particolare,  si  legge:
 "visto lo schema del decreto legislativo in oggetto, approvato in via
 preliminare  dal  Consiglio  dei  Ministri nella seduta del 14 aprile
 1999 e trasmesso il successivo 16 aprile  dal  Dipartimento  per  gli
 affari  giuridici  e  legislativi  della Presidenza del Consiglio dei
 Ministri alle  Segreterie  della  conferenza  Stato-regioni  e  della
 conferenza  Stato-citta'  e autonomie locali; Considerato che in sede
 tecnica, il 5 maggio 1999,  i  rappresentanti  delle  regioni,  hanno
 consegnato   un  documento  di  osservazioni  relative  ad  eventuali
 emendamenti allo schema di decreto, precisando  che  alcune  di  esse
 erano  da  considerarsi  essenziali  e  condizionanti  il  parere  da
 esprimere;  che  i  rappresentanti  dell'ANCI,  pur  esprimendo   una
 valutazione  complessivamente positiva sullo schema di decreto, hanno
 consegnato  un  documento,  ancora  in  fase  di   elaborazione,   di
 osservazioni  allo  stesso;  che il rappresentante dell'UNCEM, che ha
 consegnato  un  documento,  e  il  rappresentante  dell'UPI  si  sono
 associati  sostanzialmente  ai  rilievi  sollevati dal rappresentante
 dell'ANCI,  rivendicando,  rispettivamente,  spazi  per  le  province
 soprattutto  in materia di pianificazione territoriale, attraverso la
 partecipazione dei Presidenti  delle  province  alla  conferenza  dei
 sindaci  e  una maggiore attenzione per la situazione della montagna,
 evidenziando il ruolo svolto dalle comunita' montane, in  particolare
 nel  settore  dei  servizi sociali ed assistenziali; Considerato che,
 nel corso dell'odierna seduta  di  questa  conferenza,  i  Presidenti
 delle  regioni  hanno  consegnato  un  documento,  che  si allega, di
 osservazioni e proposte di modifica allo schema di decreto in  esame,
 alcune delle quali ritenute essenziali per l'espressione di un parere
 positivo,  avanzando  quindi una riserva da sciogliere al termine del
 dibattito e sulla scorta  delle  risposte  di  merito  da  parte  del
 Governo;  Considerato  che,  nel  corso dell'odierna seduta di questa
 conferenza, il Ministro della sanita' si e' dichiarato disponibile ad
 esaminare le richieste avanzate se  coerenti  con  i  principi  della
 legge  delega  e  che,  sulla  scorta dell'esame compiuto in corso di
 seduta delle stesse, ha dichiarato di accoglierle, ritenendo soltanto
 quella avanzata dal Presidente della regione Lombardia  non  coerente
 con  i  criteri  direttivi  recati  dalla  legge  n.  419  del  1998;
 Considerato che le regioni, valutate positivamente  le  assicurazioni
 del  Ministro  della  sanita',  hanno  sciolto  in  senso positivo la
 riserva  posta  all'inizio  della  seduta,  augurandosi  che   quanto
 concordato  venga  mantenuto  in  sede di approvazione definitiva del
 provvedimento in esame;  che  lo  stesso  avviso  e'  stato  espresso
 dall'ANCI,  UPI e UNICEM; Considerato che il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, nell'affermare la rilevanza dello schema di decreto  in
 esame, ha dichiarato la volonta' del Governo di mantenere gli impegni
 assunti  per  il  rafforzamento del sistema sanitario e ha chiesto la
 partecipazione attiva del  sistema  delle  autonomie  nei  successivi
 incontri   con  le  organizzazioni  sindacali  previsti  dalla  legge
 delega".   A ribadire la posizione  regionale,  il  Presidente  della
 conferenza  dei  Presidenti  delle  regioni e delle province autonome
 Vannino Chiti inviava al Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  in
 data 17 giugno 1999, una nota dal seguente tenore: "nella fase finale
 di  approvazione  del  decreto legislativo previsto dagli artt. 1 e 2
 della legge 30 novembre 1998, n. 419, per il  riordino  del  Servizio
 sanitario  nazionale,  ritengo  doveroso rappresentarLe nuovamente la
 posizione della conferenza  dei  Presidenti  delle  regioni  e  delle
 province  autonome,  attesa  la  speciale  rilevanza che le questioni
 sanitarie acquistano sempre di piu' per  i  governi  regionali;  Devo
 preliminarmente  ribadire  che  le  regioni  e  le  province autonome
 chiedono, per poter confermare il parere  favorevole  espresso,  alla
 Sua  presenza,  in sede di Conferenza unificata il 6 maggio u.s., che
 siano  integralmente  recepite  nel  testo  finale  le   osservazioni
 definite  essenziali  nel  documento che contiene tale parere, che ad
 ogni buon conto si riporta in allegato 1; Rispetto al  testo  che  ci
 risulta  essere all'esame del Consiglio dei Ministri, le regioni e le
 province autonome chiedono, in particolare, che sia meglio  precisato
 che  la  ''coerenza''  degli  schemi  o  progetti  di  piani sanitari
 regionali rispetto al PSN sia verificata  rispetto  agli  ''indirizzi
 generali''  dello  stesso  art.  1,  comma  12;  Analoga richiesta di
 precisazione si chiede venga fatta a proposito delle  sperimentazioni
 gestionali  (art.  10) le quali si ritiene debbano essere autorizzate
 dalle regioni sulla base di  indirizzi  e  criteri  della  conferenza
 Stato-regioni,  della  quale  andrebbe  enfatizzata  la  funzione  di
 coordinamento, verifica ed eventuale intervento    correttivo;  Anche
 per  quanto  riguarda  alcune  attivita'  centrali, si chiede un piu'
 forte  recepimento  di  quanto  gia'  richiesto  dalle  regioni,  con
 particolare   riferimento   ai  compiti  dell'Agenzia  nazionale  per
 l'accreditamento (art. 19-bis), che  vanno  effettivamente  demandati
 all'Agenzia  per  i  servizi  sanitari,  la  quale  si  avvale  di un
 organismo tecnico-scientifico dedicato,  ed  ai  compiti  e  funzioni
 dell'I.S.S.,   dell'l.S.P.E.S.L.   e   della  stessa  A.S.S.R.  (art.
 19-sexies, ex 19-quater); Relativamente  alle  osservazioni  definite
 rilevanti  nello stesso documento di parere sopra richiamato, ritengo
 di dover ancora una volta, richiamare l'esigenza posta dalle  regioni
 e  province  autonome  di introdurre maggiore flessibilita', rispetto
 all'attuale  testo  (addirittura  peggiorativo),  a  proposito  della
 costituzione  o conferma delle Aziende ospedaliere, rilanciando anche
 una ipotesi gia' a suo tempo avanzata di Aziende di rilievo regionale
 che le regioni e province  autonome  dovrebbero  poter  costituire  o
 confermare  in base a criteri analoghi a quelle di rilievo nazionale,
 tranne  il  criterio  relativo  alla   mobilita'   interregionale   e
 introducendo  comunque un tetto massimo di posti letto aziendalizzati
 (apparirebbe   congruo   il   30%)  in  ogni  regione,  salvo  deroga
 concedibile dalla conferenza Stato-regioni; Per quanto attiene ad una
 serie di disposizioni normative, presenti nel testo  attuale  ma  mai
 sottoposte  al  parere delle regioni e province autonome se ne chiede
 la soppressione e l'eventuale rinvio ad  altro  provvedimento,  salvo
 quanto  eventualmente  recuperabile  in  un  rapido  confronto con il
 Coordinamento interregionale  dell'area  sanitaria,  con  particolare
 riferimento  a  quelle gia' segnalato al Ministro della sanita' (che,
 per snellezza, vengono ricapitolate a parte in apposito allegato  2).
 (Omissis)".      Ma   anche  questa  autorevole  presa  di  posizione
 istituzionale e' stata tenuta dal Governo in assoluto non cale.  2.5.
 - Le disposizioni indicate al par. 2 e al par. 3 risultano, pertanto,
 poste in violazione degli art. 117 e 118  della  Costituzione  e,  in
 quanto  tali,  violano anche il principio di leale collaborazione tra
 lo Stato e le regioni.  Va, infatti, sottolineato,  in  primo  luogo,
 come   la   mancata   consultazione   delle   regioni  o  la  mancata
 conformazione alle osservazioni dalle stesse presentate ai fini della
 disciplina di  materie,  quale  quelle  dell'assistenza  sanitaria  e
 ospedaliera, che gli artt. 117 e 118 della Costituzione attribuiscono
 alla  competenze  legislativa  e  amministrativa  regionali,  ridonda
 inevitabilmente in violazione degli stessi artt.   117  e  118  della
 Costituzione.    D'altra  parte, sussiste nel caso di specie anche la
 violazione da parte del Governo del principio di leale collaborazione
 tra lo Stato e le regioni: di fatto il Governo,  omettendo,  rispetto
 ad  alcune  disposizioni  del  decreto,  di acquisire il parere delle
 regioni e non tenendo conto, rispetto  ad  altre,  degli  emendamenti
 proposti  dalle  regioni,    concretamente  rispettato  le  norme  di
 comportamento che dovrebbero regolare, in attuazione del principio di
 leale collaborazione, i rapporti tra lo Stato e le  regioni.    Nella
 vicenda  sottoposta  alla  valutazione  di  codesta  ecc.ma Corte, la
 violazione del principio di leale collaborazione appare  ancora  piu'
 odiosa,  giacche'  il parere positivo e' stato ottenuto grazie ad una
 dichiarazione, resa in conferenza, dal Ministro, alla  quale  non  e'
 poi   stato  dato  seguito:  il  rango  costituzionale  dei  soggetti
 coinvolti spingeva a ritenere che una dichiarazione di  un  Ministro,
 resa  in  conferenza  Stato-regioni-autonomie, avrebbe trovato sicura
 attuazione.  Non vi e' certo bisogno di ricordare  che  quello  della
 leale   collaborazione   tra   Stato   e   regioni  e'  un  principio
 costantemente affermato nella giurisprudenza costituzionale,  il  cui
 presupposto   e'  stato  rinvenuto  da  codesta  ecc.ma  Corte  nella
 coesistenza, l'interferenza, la reciproca  indissolubile  connessione
 di  poteri  statali e regionali, riconosciuti ed esercitati a diverso
 titolo e con differenti finalita',  ma  vertenti  su  ambiti  e  aree
 oggettivamente   sovrapposte  o  coincidenti  ovvero  preordinati  al
 raggiungimento di compiti comuni, e il cui  "fondamento  diretto"  e'
 stato rinvenuto nell'art. 5 della Costituzione (cfr., in particolare,
 sent. n. 19 del 1997).  Una sintesi della interpretazione, fornita da
 codesta  ecc.ma  Corte  in  ordine  a  tale principio, si trova nella
 recente sentenza n. 242 del 1997,  nella  quale  si  afferma  che  il
 principio  di  leale  cooperazione  "deve governare i rapporti fra lo
 Stato e le regioni nelle materie e in relazione alle attivita' in cui
 le rispettive competenze concorrano o  s'intersechino,  imponendo  un
 contemperamento  dei  rispettivi  interessi  regola,  espressione del
 principio costituzionale fondamentale per  cui  la  Repubblica  nella
 salvaguardia  della  sua  unita', ''riconosce e promuove le autonomie
 locali'', alle cui esigenze ''adegua i principi e i metodi della  sua
 legislazione''  (art.  5  Cost.)  va  al  di  la'  del  mero  riparto
 costituzionale delle competenze per materia ed opera dunque su  tutto
 l'arco  delle  relazioni istituzionali fra Stato-regioni, senza che a
 tal proposito assuma rilievo diretto la  distinzione  fra  competenze
 esclusive,  ripartite  o integrative, o fra competenze amministrative
 proprie e delegate".  2.6. - Le disposizioni indicate,  per  il  modo
 con  cui si e' giunti alla loro formulazione, si pongono, inoltre, in
 contrasto con la giurisprudenza costituzionale in materia di intese e
 di pareri con gli organismi rappresentativi  delle  regioni  e  degli
 enti  locali.    In  particolare,  recentemente codesta ecc.ma Corte,
 chiamata a pronunciarsi in ordine  alla  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3,  comma 4, d.lgs. 281/1997 - che prevede, per le ipotesi
 di urgenza, la  possibilita'  di  non  ricorrere  all'intesa  con  la
 conferenza   Stato-regioni,  ha  specificato  che  l'omissione  della
 partecipazione previa in caso d'urgenza, cosi' come posta dalla norma
 impugnata,  deve  ritenersi  "non  illegittima"   soltanto   se   "la
 previsione del parere o dell'intesa, pur giustificata dagli interessi
 costituzionali  in  gioco,  discende  da  una  scelta del legislatore
 statale non direttamente imposta da norme costituzionali  o  comunque
 sovraordinate ... Nei casi, invece, in cui il parere della conferenza
 o   l'intesa   con  la  medesima  si  configuri,  in  concreto,  come
 espressione  di   un   vincolo   costituzionale   discendente   dalla
 particolarita'  dell'oggetto,  o  di obblighi comunque non derogabili
 dal legislatore ordinario, non potrebbe lasciarsi alla determinazione
 del Governo, nemmeno in nome di ragioni di urgenza, la scelta fra  la
 sottoposizione  dell'atto  alla conferenza in via preventiva, ai fini
 del parere o dell'intesa, e sottoposizione ad essa, in via successiva
 dell'atto  adottato  senza  previo  parere  o  previa  intesa".    La
 statuizione  della  Corte,  sebbene  intervenuta  in  ordine  ad  una
 fattispecie diversa  da  quella  in  questione  -  derogabilita'  del
 parere/intesa  con  la conferenza Stato-regioni per motivi di urgenza
 -, puo' tuttavia ritenersi ad essa applicabile.  Nel caso di  specie,
 infatti,  la  "particolarita'  dell'oggetto"  - materia espressamente
 attribuita dall'art. 117 della  Costituzione  alla  competenza  delle
 regioni  -  imponeva,  senza  possibilita'  di deroghe, che il parere
 delle regioni, nel caso di specie della  conferenza  Stato-regioni  -
 quale  organismo  facente  parte, ai sensi dell'art.  8, comma 1, del
 d.lgs. 281/1997, con la  conferenza  Stato-citta',  della  Conferenza
 unificata   -   fosse   acquisito   obbligatoriamente,  su  tutte  le
 disposizioni e nel rispetto delle volonta' e delle dichiarazioni rese
 in conferenza.
   3. - Violazione degli artt. 117, 118 e 3 della Costituzione,  anche
 in  relazione  al  d.lgs.  n. 112/1998, al   d.lgs. n. 281/1997, alla
 giurisprudenza costituzionale in materia di leale collaborazione  tra
 lo  Stato  e  le  regioni,  nonche'  dell'art. 76 Cost., in relazione
 all'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. h) della legge n. 419 del 1998,
 da parte dell'art. 1, recante "modificazioni all'art.  1  del  d.lgs.
 30  dicembre  1992,  n.  502".    L'art.  1  del  d.lgs.  n. 229/1999
 sostituisce l'art. 1 del d.lgs.  n. 502/1992.  3.1. - Nell'introdurre
 il comma 10 del nuovo art.  1,  l'art.  1  del  d.lgs.  n.  502/1992,
 indica,  alle  lettere da a)   ad i), i contenuti del Piano sanitario
 nazionale.    Alle  lett.  b)  ed  h)  del  comma  10,  si   prevede,
 rispettivamente  che  il Piano sanitario nazionale indichi i "livelli
 essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il  triennio  di
 validita'  del  Piano"  e  le  "linee  guida e i percorsi diagnostico
 terapeutici allo scopo di favorire, all'interno di ciascuna struttura
 sanitaria, lo sviluppo  di  modalita'  sistematiche  di  revisione  e
 valutazione  della  pratica  clinica  e assistenziale e di assicurare
 l'applicazione  dei  livelli  essenziali  di   assistenza".      Tali
 disposizioni  disciplinano  con  estremo  dettaglio materie di sicura
 competenza regionale violando, conseguentemente, gli artt.  117 e 118
 della Costituzione, anche  in  relazione  a  quanto  stabilito  dalla
 giurisprudenza  costituzionale in materia (cfr. per tutte la sentenza
 n. 355/1995).   La lett. h) del  comma  10,  oltre  a  contenere  una
 previsione  (come  dire?)  presuntuosa  (come  puo'  mai  un Piano di
 livello  nazionale  indicare  i  "percorsi   diagnostico-terapeutici"
 applicabili  o  comunque  validi  "all'interno  di ciascuna struttura
 sanitaria"?), viola gravemente la lett. h) del comma  1  dell'art.  2
 della  legge  delega,  che,  piu'  saggiamente, aveva dato mandato al
 Governo di "definire linee guida al fine di individuare le  modalita'
 di   controllo  e  verifica,  da  attuare  secondo  il  principio  di
 sussidiareta'  istituzionale  e  sulla   base   anche   di   appositi
 indicatori,    dell'appropriatezza   delle   prescrizioni   e   delle
 prestazioni   di   prevenzione,   di   diagnosi,   di   cura   e   di
 riabilitazione...".    3.2.  -  Nell'introdurre il comma 14 del nuovo
 art. 1 del d.lgs.  n. 502/1992, l'art. 1 del d.lgs.  n.  229  prevede
 l'obbligo per le regioni di trasmettere al Ministro della sanita' gli
 schemi dei piani sanitari regionali allo scopo di acquisire il parere
 dello  stesso  per  quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli
 indirizzi  del  Piano  sanitario  nazionale.     Tale   disposizione,
 imponendo  alle  regioni  di  adeguare  i  loro  piani  sanitari agli
 indirizzi fissati dal Piano unitario nazionale e prevedendo,  per  di
 piu',  che  la  conformita'  dei  suddetti  piani  al Piano sanitario
 nazionale  venga  verificata  dal  Ministro  della  sanita',  risulta
 fortemente  invasiva delle competenze costituzionalmente riconosciute
 in materia alle regioni  e  recentemente  confermate  dal  d.lgs.  n.
 112/1998  che,  all'art.  115,  comma  2, lett. a) ha trasferito alle
 regioni le funzioni e i compiti relativi "all'approvazione dei  piani
 e  dei  programmi  di  settore  non  aventi  rilievo  e  applicazione
 nazionale".    Tale  disposizione,  inoltre,  disattende  il   parere
 espresso  dalla  conferenza dei Presidenti in data 6 maggio 1999. Tra
 le  osservazioni  relative  ad  emendamenti  da  apportare   ritenuti
 essenziali  vi  era infatti la seguente: "Le regioni ritengono che il
 parere del Governo sul Piano sanitario regionale non debba estendersi
 oltre la valutazione della corrispondenza generale dei contenuti  dei
 piani  sanitari  regionali ai principi ed agli indirizzi del P.S.N.".
 Vanno, inoltre, mosse rispetto a tale disposizione  le  censure  gia'
 rivolte  al  par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui
 formulazione non si e' tenuto  conto  delle  osservazioni  regionali.
 3.3.  -  Al comma 17 dell'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 1 del
 d.lgs. n. 229 stabilisce  che  "trascorso  un  anno  dall'entrata  in
 vigore  del  Piano  sanitario  nazionale  senza  che la regione abbia
 adottato il piano sanitario regionale, alla  regione  stessa  non  e'
 consentito  l'accreditamento  di nuove strutture".  Tale disposizione
 va censurata sotto molteplici profili.  In primo luogo risulta lesiva
 delle competenze riconosciute alle regioni in materia  di  assistenza
 sanitaria  e  ospedaliera dagli artt.  117 e 118 della Costituzione e
 confermate  dalla  giurisprudenza  costituzionale   in   materia   di
 accreditamento.      A   tal   proposito,   codesta   ecc.ma   Corte,
 pronunciandosi   in   ordine   alla    legittimita'    costituzionale
 dell'accreditamento transitorio disposto dalla legge n. 724/1994, con
 sentenza   n.   416/1995,   aveva   statuito   che:   "premesso   che
 l'accreditamento   delle    strutture    sanitarie    consiste    nel
 riconoscimento,  ad  opera  delle  regioni  del  possesso, in capo ad
 organismi  sanitari  di  cura,  di   specifici   requisiti   -   c.d.
 ''standard''  di  qualificazione - e si risolve nell'iscrizione in un
 elenco al  quale  gli  utenti  delle  prestazioni  sanitarie  possono
 attingere  l'art.  6,  comma  6,  legge 23 dicembre 1994, n. 724, che
 prevede un diritto di accreditamento  -  automatico  per  il  biennio
 1995-1996 - delle strutture in possesso dei requisiti di cui all'art.
 8,  comma  4, d.-l. 30 dicembre 1992, n. 502, come stabiliti con atto
 di indirizzo e coordinamento  governativo  emanato  d'intesa  con  la
 conferenza  permanente Stato-regioni non contrasta con gli artt. 117,
 118 e 119 Cost.; tale  sistema  non  altera,  infatti  gli  equillbri
 attualmente  esistenti  nel  settore,  ne'  incide, scavalcandoli sui
 poteri amministrativi regionali in quanto il diritto  e'  pur  sempre
 subordinato all'accettazione del nuovo meccanismo della remunerazione
 delle  prestazioni  su base di tariffe ed all'espletamento dei poteri
 di autotutela e di verifica regionale  sul  rispetto  della  predetta
 condizione  e  sul  permanere dei requisiti salva inoltre la facolta'
 delle regioni di aumentare, con nuovi accertamenti  il  numero  degli
 accreditamenti  in atto".  D'altra parte lo stesso d.lgs. n. 112/1998
 appare  rispettoso  delle  competenze   regionali   in   materia   di
 accreditamento: l'art. 115, comma 1, lett. g), ha, infatti, riservato
 allo   Stato   esclusivamente   "la  definizione  di  un  modello  di
 accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e  private".    In
 secondo   luogo   viola   l'art.   3   della   Costituzione,  creando
 ingiustificate situazioni di disparita' di trattamento tra le diverse
 regioni in ordine all'accreditamento delle strutture sanitarie.    In
 terzo luogo si pone in palese contrasto con gli obiettivi fissati dal
 decreto  stesso  all'art.  8,  nella  parte  in  cui introduce l'art.
 8-ter, commi 3 e 4.  Tale disposizione, infatti,  nel  subordinare  i
 progetti per la realizzazione di strutture sanitarie alla verifica di
 compatibilita'  da  parte delle regioni, stabilisce che tale verifica
 deve essere effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo  e  alla
 localizzazione   territoriale  delle  strutture  presenti  in  ambito
 regionale "anche al fine  di  meglio  garantire  l'accessibilita'  ai
 servizi  e  valorizzare  le aree di insediamento prioritario di nuove
 strutture".   Evidente e' poi ancora  una  volta  la  violazione  del
 criterio direttivo (art. 2, comma 1, lett. b), della legge delega) di
 "completare   la   regionalizzazione   ...   del  Servizio  sanitario
 nazionale".   Dunque, da un lato, decreto  impone,  nel  processo  di
 autorizzazione  alla  realizzazione  di nuove strutture sanitarie, il
 perseguimento di obiettivi chiaramente condivisibili e  concretamente
 perseguiti  dalla  regione  Lombardia,  quali  quello  di  migliorare
 l'accessibilita' ai servizi  e  quello  di  valorizzare  le  aree  di
 prioritario   insediamento   di   nuove  strutture;  dall'altro,  con
 l'intento di penalizzare le regioni che non abbiano adottato i  piani
 sanitari  regionali,  impedisce  l'accreditamento di nuove strutture,
 non solo contravvenendo agli obiettivi prefissatisi ma, per di  piu',
 penalizzando,  di  fatto,  i  cittadini  a tutela degli interessi dei
 quali aveva,  in  definitiva,  imposto  il  perseguimento  di  quegli
 obiettivi.   3.4. - L'art. 1, comma 18, del d.lgs. n. 502, cosi' come
 altri luoghi del nuovo decreto (v. ad esempio il  nuovo  art.  9-bis,
 sulle   sperimentazioni  gestionali)  introduce  una  discriminatoria
 differenziazione a  favore  degli  enti  privati  non  profit.    Nel
 rispetto  profondo  che la regione Lombardia ha nei confronti di tali
 soggetti,  non  puo'  non  essere  notato  che  questa  posizione  di
 privilegio  appare  ingiustificata:  il  principio  che deve ispirare
 l'intervento programmatorio in materia sanitaria  e'  la  parita'  di
 posizioni,  nel  contribuire  al  raggiungimento  degli obiettivi del
 Servizio sanitario,  tra  operatori  pubblici,  operatori  privati  e
 operatori  non profit, non essendo accettabili differenziazioni - che
 assumerebbero  un  aspetto  discriminatorio   -   basate   non   gia'
 sull'oggetto  della prestazione, bensi' sulla natura del soggetto che
 la svolge.
   4. - Violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 della Costituzione, in
 relazione all'art. 2, comma 1, lett. b, della legge n. 419 del 1998 e
 agli artt. 115 e 5 del  d.lgs.  31  marzo  1998,  n.  112,  da  parte
 dell'art. 2, recante "Modificazioni all'art. 2 del d.lgs. 30 dicembre
 1992,  n.  502".    4.1.  - L'art. 2, nell'introdurre dopo il comma 2
 dell'art. 2 del d.lgs. n. 502/1992 ulteriori commi, detta  una  serie
 di   disposizioni   in  ordine  ai  Piani  sanitari  regionali.    In
 particolare, al  comma  2-ter,  l'art.  2  stabilisce  che  il  Piano
 sanitario  regionale  e' sottoposto alla conferenza permanente per la
 programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, ed e' approvato
 previo  esame  delle  osservazioni  eventualmente   formulate   dalla
 conferenza.    Tale  disposizione prevede, inoltre, che la conferenza
 partecipa alla  verifica  della  realizzazione  del  Piano  attuativo
 locale  da  parte  delle  Aziende ospedaliere e dei piani   attuativi
 locali.   Il  comma  2-quinquies  prevede,  inoltre,  che  "la  legge
 regionale  disciplina  il  rapporto  tra  programmazione  regionale e
 programmazione  attuativa  locale,  definendo   in   particolare   la
 procedura  di  proposta,  adozione e approvazione del piano attuativo
 locale e le modalita' di partecipazione ad  esse  degli  enti  locali
 interessati.    Nelle   aree   metropolitane   il   piano   attuativo
 metropolitano e' elaborato dall'organismo di cui al  comma  2-quater,
 ove costituito".  Tali disposizioni eccedono, in maniera evidente, la
 delega  contenuta  nell'art.  2,  comma  17  lett. aa) della legge n.
 419/1998.  L'art. 2, comma 1, lett.  aa,  della  legge  n.  419/1998,
 delega infatti, il Governo a "ridefinire il ruolo del Piano sanitario
 nazionale,  nel  quale  sono  individuati  gli obiettivi di salute, i
 livelli  uniformi  ed  essenziali  di  assistenza  e  le  prestazioni
 efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini a carico del
 Fondo   sanitario   nazionale;   demandare   ad   appositi  organismi
 scientifici del Servizio  sanitario  nazionale  l'individuazione  dei
 criteri  di  valutazione qualitativa e quantitativa delle prestazioni
 sanitarie, disciplinando la partecipazione  a  tali  organismi  delle
 societa'   scientifiche  accreditate,  anche  prevedendo  sistemi  di
 certificazione della qualita'".  Nel dettare la  disciplina  relativa
 alla programmazione sanitaria regionale e alle forme di coordinamento
 di  questa  con quella regionale, le norme indicate eccedono i limiti
 della delega posti dall'art.  2, comma 1, lett. aa)  della  legge  n.
 419/1998,   ed   interferiscono   indebitamente   sul  le  competenze
 costituzionalmente  riconosciute  alle  regioni,  ponendosi in aperta
 violazione con gli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione.  Nulla  si
 dispone,  infatti,  nella legge delega in ordine ad un ripensamento e
 ad una riorganizzazione dei piani sanitari regionali; nulla ancora si
 dice in ordine alle modalita' di approvazione  del  piano  regionale;
 nulla   infine   si  prevede  in  ordine  alla  strutturazione  della
 pianificazione sanitaria infraregionale. E'  peraltro  giurisprudenza
 consolidata  quella  secondo  cui nelle materie regionali le forme di
 coinvolgimento  degli  enti  locali  e  le  forme  di  pianificazione
 infraregionale sono di spettanza della potesta' legislativa regionale
 (v.  da  ultimo  sent.    n.  408  del  1998).   Cosi', anche a voler
 concedere che i  commi  2-ter  e  2-quinquies  non  esorbitino  dalla
 delega,  rimane  comunque incontestabile la violazione dell'autonomia
 regionale nella parte in cui si pretende  di  disegnare  procedure  e
 strumenti per la pianificazione sanitaria regionale e infraregionale.
 D'altra  parte lo stesso d.lgs. n. 112/1998, recante "Conferimento di
 funzioni e Compiti amministrativi dallo Stato  alle  regioni  e  agli
 enti  locali  in  attuazione  del  Capo  I  della  legge n. 59/1997",
 all'art.   115, comma 2,  lett.  a)  ha  conferito  alle  regioni  le
 funzioni  concernenti  "l'approvazione  dei  piani e dei programmi di
 settore non aventi rilievo e applicazione nazionale", riservando allo
 Stato, al  comma  1,  lett.    a),  l'adozione  del  Piano  sanitario
 nazionale  d'intesa  con  la conferenza unificata.   4.2. - L'art. 2,
 nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2  del  d.lgs.
 n.  502/1992,  stabilisce  che  "salvo  quanto diversamente disposto,
 quando la regione non adotta i provvedimenti previsti dai commi 2-bis
 e  2-quinquies,  il  Ministro  della  sanita',  sentite  la   regione
 interessata  e  l'Agenzia  per i servizi sanitari regionali, fissa un
 congruo termine per provvedere; decorso  tale  termine,  il  Ministro
 della  sanita',  sentito  il  parere  della medesima Agenzia e previa
 consultazione della conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
 Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, propone
 al Consiglio dei Ministri l'intervento sostitutivo, anche sotto forma
 di  nomina  di  un  Commissario  ad  acta.  L'intervento adottato dal
 Governo non preclude l'esercizio  delle  funzioni  regionali  per  le
 quali  si  e'  provveduto  in  via  sostitutiva ed e' efficace fino a
 quando i competenti  organi  regionali  abbiano  provveduto".    Tale
 disposizione  non  rispetta  le  norme  procedurali  - espressione di
 principi consolidati nella giurisprudenza della Corte  costituzionale
 -  dettate  dal  d.lgs.  n. 112/1998 in materia di poteri sostitutivi
 statali nei confronti delle regioni,  violando  conseguentemente  gli
 artt.  5, 117 e 118 della Costituzione.  A tal proposito il d.lgs. n.
 112/1998, che ha conferito  alle  regioni,  ad  eccezione  di  quelle
 riservate  allo Stato dall'art. 115, comma 1, le funzioni e i compiti
 amministrativi in materia di "salute umana" all'art. 5, commi 1 e  2,
 nel  disciplinare  l'esercizio  dei  poteri  sostitutivi  statali nei
 confronti delle regioni, prevede che "con riferimento alle funzioni e
 ai compiti spettanti alle regioni e agli  enti  locali,  in  caso  di
 accertata   inattivita'  che  comporti  inadempimenti  agli  obblighi
 derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o  pericolo  di  grave
 pregiudizio agli interessi nazionali, il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  su  proposta  del Ministro competente per materia, assegna
 all'ente inadempiente un congruo termine  per  provvedere.    Decorso
 inutilmente tale termine, sentito il soggetto inadempiente, nomina un
 Commissario che provvede in via sostitutiva". Dal confronto delle due
 norme risulta evidente che l'art. 2 del d.lgs. n. 229, nella parte in
 cui  aggiunge  il  comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs.  n. 502/1992,
 nel prevedere che sia il Ministero della sanita' a fissare un termine
 affinche' la regione provveda ai sensi dei commi 2-bis e 2-quinquies,
 non rispetta l'art. 5 del  d.lgs.  n.  112/1998  che,  al  contrario,
 attribuisce tale potere al Presidente del Consiglio dei Ministri.  La
 giurisprudenza della Corte costituzionale e' comunque consolidata nel
 senso   che   i   poteri  sostitutivi  devono  essere  esercitati  da
 un'autorita' di Governo (v. sent. n. 386 del 1991). D'altra parte, un
 vizio non dissimile era stato censurato gia' dalla  sentenza  n.  335
 del   1993,  che  aveva  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 3,  comma  6,  del  d.lgs.  n.  502,  nella  parte  in  cui
 attribuiva  il  potere sostitutivo al Ministro della sanita': in quel
 caso, il vizio fatto valere era  l'eccesso  di  delega,  giacche'  la
 legge  delega  stessa  attribuiva  potere  sostitutivo  e  diffida al
 Consiglio dei Ministri; in questo caso, nulla dicendo  la  delega  in
 proposito,  non  possono  non  rimanere  fermi i principi consolidati
 della giurisprudenza della Corte, cosi' come recepiti dal  d.lgs.  n.
 112,  secondo  cui  l'intervento  sostitutivo  e'  di  spettanza  del
 Consiglio dei  Ministri.  La  diffida  e'  evidentemente  strumentale
 all'esercizio del - potere sostitutivo e non puo' non soggiacere alla
 stesse    regole   procedimentali   e   sostanziali   dell'intervento
 sostitutivo: per queste ragioni, l'attribuzione del potere di diffida
 al Ministro della sanita' appare in palese violazione dei consolidati
 principi in materia.  4.3. - Devono, inoltre, ritenersi insussistenti
 nel caso di specie le condizioni alla presenza delle quali  l'art.  5
 del  d.lgs.  n. 112/1998 subordina l'esercizio dei poteri sostitutivi
 statali:  va  assolutamente  escluso,  infatti,  che  dalla   mancata
 attuazione  da parte delle regioni delle disposizioni di cui ai commi
 2-bis e 2-quinquies possano  derivare  forme  di  inadempimento  agli
 obblighi  derivanti  dall'appartenenza alla Unione europea o pericolo
 di grave pregiudizio agli interessi nazionali.  A  tal  proposito  il
 comma  2-bis  prevede  la  costituzione, da parte delle regioni della
 conferenza   permanente   per   la   programmazione    sanitaria    e
 socio-sanitaria regionale, individuandone quali componenti il sindaco
 del  comune,  nel caso in cui l'ambito territoriale dell'ASL coincida
 con quello del comune; il presidente della  conferenza  dei  sindaci,
 ovvero  il  sindaco o i presidenti di circoscrizione, nei casi in cui
 l'ambito territoriale  dell'ASL  sia,  rispettivamente,  superiore  o
 inferiore  al territorio del comune, nonche' rappresentanti regionali
 delle autonomie locali.  Il successivo comma 2-quinquies attribuisce,
 rispettivamente, alle regioni il compito di disciplinare il  rapporto
 tra  programmazione  regionale  e  programmazione  attuativa  locale,
 nonche' quello di definire  la  procedura  di  proposta,  adozione  e
 approvazione   del   piano   attuativo   locale  e  le  modalita'  di
 partecipazione ad  esse  degli  enti  locali  interessati,  e  ad  un
 apposito  organismo,  da  costituire  ai  sensi  del  comma 2-quater,
 l'elaborazione del piano  attuativo  metropolitano.    Si  tratta  di
 procedure  e  strumenti che attengono, per definizione, all'interesse
 regionale e infraregionale, e, come  tali,  non  possono  coinvolgere
 l'appartenenza  all'Unione  europea,  ne'  mettere  in  pericolo  gli
 interessi nazionali (cfr. sentenza n. 126  del  1996).    4.4.  -  La
 disposizione  dell'art.  2,  nella  parte  in  cui  aggiunge il comma
 2-octies  all'art. 2 del d.lgs. n. 502/1992, risulta, inoltre, lesiva
 dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta  alle  regioni,  nella
 parte  in  cui  chiama  l'Agenzia  per  servizi sanitari regionali ad
 esprimere parere al Ministro della sanita' in ordine all'inerzia o al
 ritardo delle regioni nell'attuazione delle disposizioni  di  cui  ai
 commi  2-bis,  2-quinquies.    A  tal  proposito  va sottolineato che
 l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, secondo quanto  stabilito
 dall'art.  5  del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, con il quale essa e'
 stata istituita, e' nata come struttura di supporto  delle  attivita'
 regionali  in  materia sanitaria.   Tale natura dell'Agenzia e' stata
 ribadita anche dal d.m. 22 febbraio 1994, n. 233, con  il  quale,  in
 attuazione  di' quanto stabilito dall'art.  5 del d.lgs. n. 266/1993,
 ne sono stati meglio specificati compiti e attribuzioni, e dal d.lgs.
 31  marzo  1995,  n.  115,  recante   "Completamento   del   riordino
 dell'Agenzia  per i servizi sanitari regionali, a norma degli artt. 1
 e  3,  comma  1,  lett.  c)  della  legge  n.  59/1997".    In  piena
 contraddizione  con  lo  scopo  per  cui e' stata istituita, essa ora
 viene chiamata dalla norma impugnata ad esprimere  parere  in  ordine
 all'adozione  da  parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dei
 poteri sostitutivi previsti per l'ipotesi di inerzia  delle  regioni.
 Dunque,  pur  continuando  a  fornire  supporto  all'attivita'  delle
 regioni, essa viene contemporaneamente deputata a  svolgere  funzioni
 di  controllo  delle  attivita'  regionali,  essendo  investita della
 valutazione, ai fini dell'applicazione  dei  poteri  sostitutivi  nei
 confronti  delle  regioni  di  quella  stessa  attivita' cui fornisce
 supporto.  A tal proposito codesta ecc.ma  Corte,  pronunciandosi  in
 ordine  alla  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5, comma 1 del
 d.lgs.  n. 266/1993, ha escluso che le attribuzioni  riconosciute  da
 tale norma all'Agenzia per i servizi sanitari regionali siano tali da
 configurare forme di controllo lesive dell'autonomia regionale e cio'
 in  quanto esse  "anche quando presentano un contenuto di valutazione
 dell'attivita' regionale, non comportano -  a  differenza  di  quanto
 accade  nell'attivita'  di controllo in senso tecnico - un riesame di
 tali attivita' in vista dell'adozione di specifiche misure  destinate
 ad incidere (anche con effetti paralizzanti) nella sfera del soggetto
 controllato,   quanto   a   raccogliere  elementi  informativi  e  di
 comparazione in grado di orientare lo Stato (e,  in  particolare,  il
 Ministero della sanita') ai fini della determinazione delle scelte di
 politica   sanitaria  nazionale  funzionali  al  miglioramento  della
 qualita' dell'assistenza" (sent. n. 128/1994).  Nel caso  di  specie,
 invece,  la valutazione dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali
 ha tutte le caratteristiche di un  controllo  in  senso  tecnico,  in
 quanto evidentemente finalizzato all'adozione da parte del Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  dei  poteri  sostitutivi  destinati ad
 incidere nella sfera del soggetto controllato.
   5. - Violazione degli artt. 117, 118, 76 e 97  della  Costituzione,
 da parte dell'art. 3 recante "Modificazioni all'art. 3 del d.lgs.  30
 dicembre  1992,  n.  502" L'art. 3 sostituisce il comma 1 dell'art. 3
 d.lgs. n. 502/1992, abroga alcuni commi di tale articolo  e  aggiunge
 ad  esso gli artt.  da 3-bis a 3-octies.  5.1. - Al comma 2, l'art. 3
 prevede abrogazioni di periodi  all'interno  di  singoli  commi,  con
 possibili rischi di incomprensione del testo effettivamente in vigore
 (cfr.  in particolare le abrogazioni concernenti il comma 6 dell'art.
 3 d.lgs. n. 502/1992).  5.2. - Nella parte in  cui  introduce  l'art.
 3-bis,  comma  1,  del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 3 stabilisce che "i
 provvedimenti di nomina dei direttori generali delle unita' sanitarie
 locali e delle aziende ospedaliere sono adottati  esclusivamente  con
 riferimento  ai  requisiti di cui al comma 3".  Il successivo comma 3
 richiede il possesso dei i seguenti requisiti:  a) diploma di laurea;
 b)  esperienza   almeno   quinquennale   di   direzione   tecnica   o
 amministrativa  in  enti  aziende,  strutture pubbliche o private, in
 posizione   dirigenziale   con   autonomia   gestionale   e   diretta
 responsabilita'  delle  risorse umane, tecniche o finanziarie, svolta
 nei dieci anni precedenti la pubblicazione dell'avviso.    L'art.  3,
 nella  parte in cui aggiunge l'articolo 3-bis commi 1 e 3, all'art. 3
 del   d.lgs.   n.   502/1992,   risulta   lesivo   delle   competenze
 costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza
 sanitaria ed ospedaliera, in quanto sembra non lasciare alcuno spazio
 alle  regioni  per  l'individuazione  di  ulteriori  requisiti per la
 nomina dei direttori generali.   La stessa legge  n.  419/1998  aveva
 gia' aggiunto all'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 502/1992 la seguente
 disposizione: "i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle
 aziende  unita'  sanitarie  locali  e  delle aziende ospedaliere sono
 adottati esclusivamente con riferimento ai requisiti di cui  all'art.
 1  del  d.lgs.  27  agosto  1994,  n.  512, convertito dalla legge 17
 ottobre 1994, n. 590, senza necessita' di valutazioni comparative". A
 dire il vero, l'accento nella modifica introdotta dalla legge n.  419
 sembrava  essere  posto  sull'inciso "senza necessita' di valutazioni
 comparative",  con  cui  venivano  recepite  le   indicazioni   della
 giurisprudenza  del Consiglio di Stato in materia (che aveva corretto
 la giurisprudenza di alcuni t.a.r.).    A  seguito  degli  interventi
 modificativi,  rispettivamente  della  legge 419/1998 e del d.lgs. n.
 229, il nuovo art. 3 del d.lgs.  n.    502,  al  comma  6  rinvia  ai
 requisiti  disciplinati  dal  d.-l.  n.  512/1994  e, all'art. 3-bis,
 indica quelli  introdotti  dal  d.lgs.  n.  229.  Pur  nel  carattere
 sostanzialmente  analogo, dovrebbero ritenersi prevalenti i requisiti
 posti dal nuovo art. 3-bis.  Il punto dolente  e',  tuttavia,  quello
 dello  spazio  regionale  nella  individuazione  e determinazione dei
 requisiti.  Se con il termine "esclusivamente"  si  volesse  indicare
 che  le  regioni  non possono porre ulteriori requisiti per la nomina
 dei direttori (naturalmente, deve trattarsi  di  requisiti  razionali
 rispetto   allo   scopo),   si   sarebbe  di  fronte  ad  una  totale
 estromissione delle regioni, che appare idonea a  falsare  gravemente
 la  collocazione  dei  direttori generali, impedendo alla regione una
 seria programmazione sanitaria.  Tale previsione  risulta,  pertanto,
 idonea  a ledere, oltre le competenze costituzionalmente riconosciute
 alle regioni in  materia  sanitaria  dagli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione,  anche  il  principio  di buon andamento della pubblica
 amministrazione sancito dall'art. 97 Cost.  5.3. - L'art. 3, inoltre,
 aggiunge all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992 l'art. 3-ter.    Ai  primi
 tre  commi  dei  nuovo  art.  3-ter  del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 3
 istituisce il collegio sindacale, disciplinandone funzioni, durata in
 carica e composizione.   Al  comma  4  del  l'art.  3-ter,  l'art.  3
 stabilisce  che  "i  riferimenti contenuti nella normativa vigente al
 collegio dei revisori delle aziende unita' sanitarie locali  e  delle
 aziende ospedaliere si intendono applicabili al collegio sindacale di
 cui  al  presente articolo".  Con tali disposizioni, sostanzialmente,
 l'art. 3 sostituisce il collegio dei revisori, organo delle ASL,  con
 il  collegio  sindacale  eccedendo in maniera evidente i limiti posti
 dalla legge delega.  L'art. 2, comma 1, lett.  ii),  della  legge  n.
 419/1998,  delega,  infatti, il Governo esclusivamente a "precisare i
 criteri   distintivi   e    gli    elementi    caratterizzanti    per
 l'individuazione  delle  aziende  unita'  sanitarie  locali  e  delle
 aziende ospedaliere, con particolare  riguardo  alle  caratteristiche
 organizzative   minime   delle   stesse  e  al  rilievo  nazionale  o
 interregionale delle aziende  ospedaliere".    Ebbene  "precisare"  i
 criteri  distintivi  e gli elementi caratterizzanti delle ASL e delle
 AO non equivale a "stravolgere"  completamente  quelli  preesistenti.
 Il  tenore  della disposizione di cui all'art. 2, comma.1, lett.  ii)
 esclude in maniera evidente una delega alla sostituzione degli organi
 delle ASL.  L'art. 3, nella parte in cui introduce l'art.  3-ter  del
 d.lgs.    n.  502/1992 si pone in contrasto, pertanto, con  l'art. 76
 della   Costituzione,   violando   contestualmente   le    competenze
 organizzative  riconosciute alle regioni in materia sanitaria.  A tal
 proposito,  con  una  recente  sentenza,  codesta  ecc.ma  Corte   ha
 affermato che: "la potesta' di emanare norme per l'organizzazione, la
 gestione  e  il  funzionamento  delle U.S.L. e dei loro servizi, come
 anche  il  generale  potere  di  vigilanza  sulle  stesse  strutture,
 rientrano  nella materia dell'"assistenza sanitaria e ospedaliera" di
 competenza regionale ex  art.  117  Cost."  (sentenza  n.  156/1996).
 Anche  l'individuazione  dei criteri per la scelta dei componenti del
 collegio sindacale denota la mancanza di garanzie di oggettivita'  in
 ordine alla designazione dei membri di provenienza statale.  Il comma
 3  stabilisce,  infatti, che i componenti del collegio sindacale sono
 scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito
 presso il Ministero di grazia e giustizia, "ovvero tra funzionari del
 Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica che abbiano
 esercitato per almeno tre anni le funzioni di revisori dei conti o di
 componenti dei collegi sindacali".   Alle stesse  censure  si  espone
 l'art.   17,  recante  "Norme  transitorie",  al  comma  1,  dove  si
 stabilisce che "I collegi sindacali di cui all'art.  3-ter del d.lgs.
 30 dicembre 1992,  n.  502,  introdotto  dall'art  3,  comma  3,  del
 presente decreto, sono costituiti entro sessanta giorni dalla data di
 entrata  in  vigore  del  presente decreto, che modifica il d.lgs. 30
 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni".  5.4. - L'art. 3,
 nella parte in cui aggiunge all'art. 3 del d.lgs.   n.  502/1992  gli
 artt.   3-quater,   3-quinquies,   e   3-sexies,  detta  disposizioni
 dettagliate in ordine ai distretti, disciplinandone funzioni, risorse
 ed organi.  Tale disciplina dei distretti eccede ampiamente la delega
 di cui all'art. 2, comma 1, lett. bb) della legge n. 419/1998.  Va  a
 tal  proposito  premesso che la regione Lombardia conferma le censure
 di incostituzionalita'  mosse,  con  ricorso  notificato  in  data  5
 gennaio 1999, alla disposizione dell'art. 2, comma 1, lett. bb) della
 legge  n.  419/1998,  per  violazione  degli  artt.  117  e 118 della
 Costituzione, comunque richiamate  infra  sub  par.  18.    Tuttavia,
 ammesso  che  tale  disposizione  della  legge  di  delega  fosse  da
 ritenersi legittima, deve rilevarsi  che il Governo  nel  dettare  la
 disciplina  contenuta  nell'art.  3,  nella  parte  in  cui  aggiunge
 all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992, gli  artt. 3-quater, 3-quinquies e
 3-sexies,  non  ha  rispettato  nemmeno  i  limiti  posti   da   tale
 disposizione.    L'art.  2,  comma  1,  lett.  bb), delega infatti al
 Governo  il  compito  "di   individuare   tempi   e   modalita'   per
 l'attivazione  dei  distretti,  per  l'attribuzione agli stessi delle
 risorse,  per  l'integrazione  nell'organizzazione  distrettuale  dei
 medici  di  medicina  generale  e dei pediatra di libera scelta".  In
 violazione di  tale  disposizione  l'art.  3,  detta  una  disciplina
 estremamente   dettagliata  in  ordine  ai  distretti,  al  punto  di
 prevederne la popolazione  minima,  gli  strumenti  operativi  e  gli
 organismi  di  direzione.    Nella  parte  in aggiunge all'art. 3 del
 d.lgs. n. 502/1992, gli artt. 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, l'art. 3
 risulta  pertanto  viziato  di  illegittimita'   costituzionale   per
 violazione  dell'art.  76  della  Costituzione.    Tale disposizione,
 inoltre, nel dettare una disciplina  eccessivamente  dettagliata  dei
 distretti,  finisce  per  violare  le  competenze  riconosciute  alle
 regioni in materia sanitaria dagli artt. 117 e 118 della Costituzione
 e confermate dalla stessa giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte.
 Alle  regioni, infatti, spetta il potere non solo stabilire i tempi e
 le modalita' di attivazione dei distretti, ma anche,  e,  soprattutto
 quello di individuarne la popolazione minima, gli strumenti operativi
 e gli organismi di  direzione.  Il testo della disposizione impugnata
 risulta, pertanto, in palese, eclatante contrasto con il principio di
 autonomia   regionale.    Il  legislatore  statale  potra'  prevedere
 strutture di base diverse; potra'  sbizzarrirsi  a  cambiare  nome  o
 altro;  ma  non  puo'  certo  sostituirsi alla regione nel dettare la
 disciplina organizzativa dei distretti.  Si aggiunga che  la  regione
 Lombardia,  in  attuazione del d.lgs.  n. 502/1992, ha provveduto non
 solo a disciplinare, con la l.r. n.  31/1997, l'organizzazione  delle
 Aziende  sanitarie  e  l'articolazione  delle  stesse  in  distretti,
 presidi, dipartimenti, servizi, unita' operative ed uffici, ma  anche
 ad attivare le strutture organizzative in essa  contemplate.  Codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte ribadito il principio in base al quale le
 disposizioni dirette a porre  principi  concernenti  l'organizzazione
 delle   unita'   sanitarie   locali   vanno  considerate  come  norme
 fondamentali  di  riforma  economico  sociale  (sentenze  nn.  274  e
 107/1988).  Ma,  nell'ambito di questo orientamento, ha precisato che
 neppure una riforma economico-sociale puo' integralmente estromettere
 le regioni dalle materie di loro competenza (sentenza n. 219/1984)  e
 che  le  eventuali  disposizioni  di  dettaglio  che  accompagnino le
 predette norme fondamentali sono tali da vincolare l'esercizio  delle
 competenze  regionali  soltanto ove siano legate con i principi della
 riforma  da  un  rapporto  di   coessenzialita'   e   di   necessaria
 integrazione  (sentenza  n.  99/1987).    Nella sentenza n. 355/1993,
 inoltre, questa ecc.ma Corte chiamata  a  decidere  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art.  3 (Organizzazione delle Unita'
 sanitarie  locali)  del  d.lgs. n. 502/1992, sollevata da una regione
 sul presupposto che tale disposizione fosse da ritenersi lesiva della
 potesta' organizzativa  regionale,  in  quanto  contenente  norme  di
 estremo  dettaglio,  ha  individuato  diverse  categorie  di norme di
 dettaglio, distinguendo  "quelle  organicamente  legate  ai  principi
 affermati  al  fine  di  definirne  piu' precisamente il contenuto" e
 quelle  che  "stabiliscono  requisiti  minimi,  rispondenti   ad   un
 interesse nazionale, che le regioni debbono rispettare" da quelle che
 "sono  poste dal legislatore statale al fine di soddisfare l'esigenza
 di una piu' sollecita operativita' delle norme   organizzative".   E,
 nell'affermare  la  legittimita' costituzionale di tutti e tre gruppi
 di norme, con riferimento al terzo gruppo,  ha  stabilito  che  "tali
 norme,  a  causa  della  ratio  che  le  ispira,  hanno  un carattere
 dispositivo  verso  le  regioni,  nel   senso   che   queste   ultime
 nell'esercizio  delle loro competenze possono derogare ad esse, fermo
 restando il vincolo della  congruita'  delle  disposizioni  regionali
 rispetto al principio sotteso alle disposizioni di dettaglio adottate
 in  via dispositiva dallo Stato".  Con riferimento al caso di specie,
 va escluso che le norme dettate dall'art.  3  del  d.lgs.  n.  229  e
 inserite  nelle  disposizioni  degli  artt.  3-quater,  3-quinquies e
 3-sexies, possano rientrare in  alcuna  delle  categorie  individuate
 nella  sentenza  n.  355/1993.    Se,  infatti,  e' piu' che evidente
 l'impossibilita' di far rientrare tali norme  nei  primi  due  gruppi
 individuati  da  tale  sentenza,  appare  molto  improbabile che esse
 possano ritenersi ricomprese nel terzo gruppo.  Tali norme,  infatti,
 piu'  che  "sollecitare  l'operativita'  delle  norme organizzative",
 sostituiscono le norme organizzative gia' dettate dalla regione.    A
 tal  proposito,  con  la sentenza n. 156/1996 codesta ecc.ma Corte ha
 precisato che "la struttura organizzativa, intesa come  articolazione
 degli  uffici  e  dei  compiti  delle  citate  unita' sanitarie, deve
 ritenersi ricompresa  tra  quelle  competenze  che  fanno  capo  alla
 regione  (sentenza  n.  174/1991),  come  anche il generale potere di
 vigilanza sulle stesse strutture".
   6.  -  Violazione  degli  artt.  76,  117  e  118,  3  e  97  della
 Costituzione,  del  d.lgs.  28  agosto  1997,  n. 281 e del principio
 costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni, da  parte
 dell'art.  4,  recante  "Modifica  dell'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre
 1992, n. 502".  6.1. - L'art. 4, al comma 3, del d.lgs. n. 229 abroga
 il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992.  Il comma 4  dell'art.
 4  del  d.lgs.  n.  502/1992  prevedeva  la facolta' delle regioni di
 "costituire in azienda  i  presidi  ospedalieri  in  cui  insiste  la
 prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della facolta'
 di  medicina  e  chirurgia,  i  presidi  ospedalieri  che  operano in
 strutture  di  pertinenza  dell'universita',  nonche'  gli   ospedali
 destinati a centro di riferimento della rete di servizi di emergenza,
 dotati  del  dipartimento  di  emergenza  come  individuato  ai sensi
 dell'art. 9 del d.P.R.  27  marzo  1992,  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale  n.  76  del  31  marzo  1992  e successive modificazioni e
 integrazioni, e che siano, di norma, anche  dotati  di  elisoccorso".
 L'abrogazione  di  tale  disposizione sembrerebbe comportare il venir
 meno della possibilita' da parte delle regioni di costituire  Aziende
 ospedaliere  di rilievo regionale, il tenore delle altre disposizioni
 dell'art.  4  del  d.lgs.  n.  229,  che  dettano  essenzialmente  la
 disciplina   delle   Aziende   ospedaliere  di  rilievo  nazionale  o
 interregionale,    comporterebbe    secondo    una    interpretazione
 filogovernativa,  l'intenzione del legislatore delegato di vietare la
 costituzione di Aziende ospedaliere regionali.   Tale divieto,  posto
 dal  Governo,  non  trova peraltro alcun fondamento nelle indicazioni
 fornite dal Parlamento nella legge delega. L'art.  2, comma 1,  lett.
 ii),   della   legge   n.   419/1998,  delega,  infatti,  il  Governo
 esclusivamente a "precisare  i  criteri  distintivi  e  gli  elementi
 caratterizzanti  per  l'individuazione delle aziende unita' sanitarie
 locali e delle aziende ospedaliere,  con  particolare  riguardo  alle
 caratteristiche   organizzative  minime  delle  stesse  e  a  rilievo
 nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere".   Ora,  se  si
 tiene  a  mente  che  l'art.  4  del  d.lgs. n. 502/1992 disciplinava
 l'istituzione    delle   Aziende   ospedaliere   sulla   base   della
 individuazione  degli  ospedali  di  rilievo  nazionale  e  di   alta
 specializzazione,  fissandone  i  requisiti,  e prevedeva altresi' la
 costituzione in aziende da parte  delle  regioni  di  alcuni  presidi
 ospedalieri, appare evidente che l'interpretazione che il legislatore
 delegato  ha  dato  della  delega  e'  del tutto fuorviante (oltre ad
 essere, come si vedra' piu' avanti, totalmente infondata nel merito e
 lesiva  dell'autonomia  regionale).    E,  infatti,  il   legislatore
 delegato,  con riferimento alle aziende ospedaliere deve:  precisarne
 i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti;  individuare  le
 caratteristiche organizzative minime; individuare infine, i casi e le
 tipologie  in  cui  si  ha  rilievo  nazionale o interregionale delle
 aziende  ospedaliere.   L'interpretazione letterale  permette  (anzi,
 impone)  di  ritenere  che  l'individuazione  delle  "caratteristiche
 organizzative minime" si riferisca anche  alle  aziende  ospedaliere,
 cosicche'  esistono  presidi  ospedalieri  che hanno "caratteristiche
 organizzative minime", tali da permetterne l'istituzione  in  azienda
 ospedaliera,   diversi   da   quelli   che   possono,  con  procedura
 particolare, essere riconosciuti come aziende di rilievo nazionale  o
 interregionale.  Il testo della legge delega permette (anzi, impone),
 dunque,  di  ritenere  che  tra  le  aziende  ospedaliere  di rilievo
 nazionale o interregionale e quelle  non  aventi  le  caratteristiche
 organizzative  minime  (fissate a livello centrale) vi sia uno spazio
 che ben puo' (continuare ad) essere disciplinato dalle regioni, nella
 loro autonomia. Nulla autorizza ad interpretare la legge delega  come
 fonte  di un divieto di istituzione di aziende ospedaliere regionali;
 nulla permette di dedurre una riduzione dei poteri regionali; in ogni
 caso, trattandosi di una facolta'  regionale,  ricadente  in  materia
 tipicamente regionale quale quella della sanita', un siffatto divieto
 avrebbe  dovuto  essere posto   esplicitamente.   Un evidente sintomo
 della forzatura compiuta dal Governo e' dato dal fatto che il decreto
 ha dovuto provvedere ad abrogare esplicitamente il comma 4  dell'art.
 4  del  d.lgs.  n.  502:  se  l'esclusione  delle aziende ospedaliere
 regionali  fosse  discesa  direttamente  dalla   legge   di   delega,
 l'abrogazione  del comma 4 da parte del testo governativo non sarebbe
 stata necessaria. Ne' valga dire che la previsione abrogatrice  serve
 a  rendere piu' chiara la voluntas legis: il legislatore delegato non
 puo' effettuare operazioni abrogatrici che non siano gia'  ricomprese
 nella delega; e, come si e' visto, nulla autorizza ad interpretare la
 legge  n.  419  del  1998  siccome  fonte  di un divieto di istituire
 aziende ospedaliere regionali.   Non diversamente ha  argomentato  la
 sentenza  n. 355 del 1993, dichiarando l'incostituzionalita' dell'art
 4, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, nella parte in cui  prevedeva
 la  costituzione in aziende ospedaliere di ospedali diversi da quelli
 previsti dalla legge delega. Il principio, in quello, come in  questo
 caso,  e' quello dell'interpretazione stretta della legge delega: se,
 in quel caso, la ratio era quella  della  creazione  di  "un  sistema
 chiuso  per  gli  ospedali di rilievo nazionale"; in questo caso, non
 esiste nella legge delega una ratio  tendente  a  limitare  i  poteri
 regionali.    L'art.  4,  comma  3,  del d.lgs. n. 229/1999, risulta,
 pertanto viziato di eccesso di delega e, come tale, si pone in aperta
 violazione dell'art.  76 della Costituzione. Non  puo'  peraltro  non
 essere   rimarcata   l'irragionevolezza   ed   incongruenza   di  una
 disposizione  che  vorrebbe  vietare  (tornando   indietro   da   una
 precedente  esperienza  positiva,  senza  minimamente  dar  conto del
 perche' di questo re'virement!) ad una regione come la Lombardia, con
 piu' di  nove  milioni  di  abitanti,  la  possibilita'  di  decidere
 autonomamente  quando si ha azienda ospedaliera di rilievo regionale.
 6.2. - Il comma 2  dell'art.  4,  nell'introdurre  dopo  il  comma  1
 dell'art.  4  del  d.lgs.  n.  502/1992, il comma 1-bis, definisce il
 procedimento di costituzione o di conferma dei presidi ospedalieri in
 Aziende  ospedaliere  (esclusivamente  di  natura  interregionale   o
 nazionale  stabilendo  che  "nell'ambito della riorganizzazione della
 rete dei servizi conseguente al riordino del  sistema  delle  aziende
 previsto  dal  presente  decreto,  le  regioni  possono   proporre la
 costituzione  o  la  conferma  in  aziende  ospedaliere  dei  presidi
 ospedalieri  in possesso dei seguenti requisiti".  Al comma 1-quater,
 il d.lgs. n.  229  prosegue  dettando  la  disciplina  relativa  alla
 costituzione  e  alla  conferma  delle  Aziende  ospedaliere.    Tale
 disposizione impone, rispettivamente, alle  regioni,  il  compito  di
 trasmettere,   entro  sessanta  giorni  dall'entrata  in  vigore  del
 decreto, al Ministro della sanita' le  proprie  indicazioni  ai  fini
 dell'individuazione   degli   ospedali   di   rilievo   nazionale   o
 interregionale da costituire in azienda ospedaliera avuto riguardo ai
 requisiti di cui al comma 1-bis; e  al  Ministro  della  sanita',  di
 formulare  -  sulla  base  delle indicazioni pervenute dalle regioni,
 previa verifica dei requisiti e, in mancanza, sulla base  di  proprie
 valutazioni - le proprie proposte al Consiglio dei  Ministri.  Sempre
 ai  sensi del comma 1-quater, il Consiglio dei Ministri individua gli
 ospedali da costituire in azienda ospedaliera, attivita'  alla  quale
 provvederanno  le  regioni  entro  i  successivi sessanta giorni.   I
 requisiti necessari ai fini della costituzione o della  conferma  dei
 presidi in Azienda ospedaliera - di natura esclusivamente nazionale o
 interregionale  -  sono  individuati  dal  comma 2 dell'art. 4, nella
 parte in cui introduce il comma 1-bis, alle lettere da a) ad h).   In
 particolare,  alla  lett.  f),  l'art.  4,  prevede,  quale requisito
 necessario ai fini della costituzione o della conferma dei presidi in
 Azienda  ospedaliera,  lo  svolgimento  da  parte  del  presidio   di
 "attivita'  di  ricovero  in degenza ordinaria, nel corso dell'ultimo
 triennio, per pazienti residenti in  regioni  diverse,  superiore  di
 almeno  il  dieci  per  cento  al  valore regionale, salvo che per le
 aziende ubicate in Sicilia e in Sardegna".  Alla successiva lett. g),
 si richiede la  sussistenza  di  un  "indice  di  complessita'  della
 casistica  dei  pazienti  trattati  in  ricovero ordinario, nel corso
 dell'ultimo triennio, superiore ad almeno  il  venti  per  cento  del
 valore  medio  regionale".    Tali  disposizioni risultano fortemente
 lesive  delle  competenze  regionali   in   materia   di   assistenza
 ospedaliera,  in  quanto  non  tengono conto della specificita' della
 natura  e  dei  caratteri   delle   aziende   ospedaliere   lombarde.
 L'applicazione concreta alle aziende sanitarie lombarde dei requisiti
 di  cui  alla  lett.  f) - attivita' di ricovero ordinario, nel corso
 dell'ultimo triennio, per  pazienti  residenti  in  regioni  diverse,
 superiore  ad almeno il 10% rispetto al valore medio regionale e g) -
 indice  di  complessita'  della  casistica   trattata   in   ricovero
 ordinario, nel corso dell'ultimo triennio, superiore ad almeno il 20%
 del  valore  medio regionale - e', infatti, suscettibile di dar luogo
 ad una evidente  disparita'  di  trattamento  rispetto  alle  aziende
 sanitarie   di  molte  altre  regioni  d'Italia.  Infatti,  la  media
 regionale della Lombarda, che storicamente registra un elevato indice
 di  attrazione  verso  le  proprie  strutture  dei residenti di altre
 regioni, risulta di gran lunga superiore a quella delle altre regioni
 e cio' sia per motivi di oggettiva disponibilita'  delle  prestazioni
 ed  esclusivita'  delle procedure, sia per motivi legati a condizioni
 socio-familiari.  A seguito dell'applicazione dei  requisiti  di  cui
 alle  lett.  f)  e  g)  si  rischia,  pertanto,  di creare, in alcune
 regioni, aziende ospedaliere regolarmente costituite con casistica ed
 indice di attrazione di gran  lunga  inferiore  rispetto  ai  presidi
 lombardi che, a causa della situazione regionale, non potranno essere
 costituiti   in   aziende  pur  avendo  un  indice  di  attrazione  e
 complessita' della casistica significativo.  Anche all'interno  della
 stessa  regione potranno verificarsi, a seguito di tali disposizioni,
 situazioni paradossali: basti pensare ad alcuni  presidi  ospedalieri
 di   confine  rispetto  a  quelli  situati  nella  cintura  milanese.
 Inoltre, per la realta' della  regione  Lombardia,  dove  i  soggetti
 erogatori sono stati, per la quasi totalita', inglobati nelle Aziende
 ospedaliere,  la  rilevazione  della  media  risulta  non attendibile
 proprio  in  ragione  della   circostanza   che   tutta   l'attivita'
 specialistica  risulta  concentrata  nelle  aziende ospedaliere.   La
 circostanza che la regione Lombardia disponga di  numerose  strutture
 ad  elevata  complessita', dunque, anziche' costituire un elemento di
 vantaggio rispetto alle altre regioni, si traduce in un ostacolo alla
 costituzione  di  tali  strutture  in  aziende   ospedaliere   o   al
 mantenimento   del   relativo  carattere  da  parte  di  quelle  gia'
 costituite.  L'art. 4, comma 2, nella parte in cui introduce, dopo il
 comma 1, il comma 1-bis, lett. f) e g),  all'art.  4  del  d.lgs.  n.
 502/1992   risulta,  pertanto,  fortemente  lesivo  delle  competenze
 regionali in materia di assistenza ospedaliera di cui agli artt.  117
 e  118  Costituzione:    il  decreto,  infatti, oltre ad imporre alle
 regioni il divieto  di  costituire  aziende  ospedaliere  di  rilievo
 regionale  (cfr.  art.  4, comma 3, del d.lgs. n. 229/1999), dettando
 requisiti  quali  quelli  di  cui  alle  lett.  f)  e  g),  impedisce
 concretamente   alla  regione  Lombardia  di  confermare  le  aziende
 ospedaliere  o  di  costituirne  nuove   di   rilievo   nazionale   o
 interregionale.     Tali  disposizioni,  inoltre,  richiedendo,  come
 requisito necessario per la costituzione o  la  conferma  in  aziende
 ospedaliera,  il  superamento  di una percentuale prefissata rispetto
 alla media regionale,  sono  suscettibili  di  creare  disparita'  di
 trattamento  tra  le regioni, negando la possibilita' di confermare o
 di  costituire   aziende   ospedaliere   di   rilievo   nazionale   o
 interregionale  a  quelle  regioni, come la Lombardia, nelle quali la
 media regionale non  risulta  paragonabile,  perche'  di  gran  lunga
 superiore,  alla  media  presente in altre regioni.  6.3. - Una volta
 indicati i requisiti necessari ai fini della costituzione dei presidi
 ospedalieri in azienda ospedaliera o  della  conferma  delle  Aziende
 ospedaliere  gia' costituite (i requisiti previsti dal d.lgs.  n. 229
 devono  essere  presenti  anche  per  le  Aziende  ospedaliere   gia'
 costituite, le quali, secondo determinate modalita' sono sottoposte a
 conferma),  l'art.  4,  nella  parte  in cui introduce il comma 1-ter
 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, stabilisce che "in ogni caso  non
 si  procede  alla costituzione o alla conferma in azienda ospedaliera
 qualora questa costituisca  il  solo  presidio  ospedaliero  pubblico
 presente  nell'azienda  unita'  sanitaria locale".   Si tratta di una
 disposizione  dal significato poco chiaro, della quale potrebbe pero'
 essere possibile una  interpretazione,  quasi  ad  personam,  rivolta
 cioe'  contro  la regione Lombardia, dalle conseguenze gravissime per
 la   pianificazione   sanitaria   lombarda.      Affianco   ad    una
 interpretazione  valida  solo  pro futuro secondo cui, nel caso di un
 unico presidio ospedaliero esistente nell'ambito  territoriale  della
 ASL,  esso  non potra' essere costituito in Azienda ospedaliera anche
 qualora  ricorrano  tutti  gli  altri   presupposti,   si   potrebbe,
 malevolmente,  tentare di sostenere una interpretazione che stravolga
 anche le situazioni preesistenti.  Sposando una  tesi  antiregionale,
 si  potrebbe  cosi'  ritenere  che,  anche  nel  caso di aziende gia'
 costituite, se nell'ambito territoriale di un ASL non esistono  altri
 presidi  ospedalieri  oltre quelli costituiti in azienda ospedaliera,
 tale azienda ospedaliera non potra' essere confermata (ovvero, a tale
 sorte  di  decapitazione  andra'  incontro  l'ultima  delle   aziende
 ospedaliere  esistenti  nel territorio di una ASL altrimenti priva di
 presidi).  Se mai dovesse essere cosi' interpretata, la  disposizione
 appare fortemente penalizzante nei confronti della regione Lombardia,
 che,   in   linea   con   l'orientamento  che  sta  prevalendo  nelle
 organizzazioni sanitarie dei paesi appartenenti  all'Unione  europea,
 ha  avviato  una riforma del sistema sanitario regionale basata sulla
 separazione  tra  produttore  e  acquirente,  ossia   tra   l'Azienda
 ospedaliera  che  produce  prestazioni  specialistiche e l'ASL che le
 acquista e le controlla.  E, invero, di nuovo del tutto fuori delega,
 si colpirebbero situazioni pregresse gia'  costruite  e  consolidate,
 mettendo  nel nulla l'attivita' che la regione Lombardia ha del tutto
 legittimamente svolto, alla  luce  della  legislazione  sin  ad  oggi
 vigente,  che  non  poneva  limiti  alla  possibilita'  di costituire
 aziende ospedaliere, scorporandole
  dalle  ASL.    Nel  commentare  l'art.  4  del  d.lgs.  n.  502,  si
 sottolineava   (Lamberti-Maggi-Rossetti,  Il  riordino  del  servizio
 sanitario nazionale, Milano, Pirola, 1994, p. 36) che "la  norma,  di
 cui   all'art.  4  del  decreto  legislativo,  intende  corrispondere
 all'osservazione critica per la quale la  legge  di  riforma  avrebbe
 affossato l'ospedale nella USL, privando dell'autonomia necessaria la
 gestione di una struttura di per se' cosi' complessa".  Nel d.lgs. n.
 502,  la  logica di fondo era dunque quella dell'autonomizzazione dei
 presidi ospedalieri, dotati di un sufficiente rilievo  organizzativo,
 dalle   ASL,   e  cio'  al  fine  di  attribuire  maggiore  autonomia
 gestionale; e cio' e' talmente vero che, dichiarato  illegittimo  per
 eccesso di delega il precedente comma 4, si provvedeva, con il d.lgs.
 n.  517  del  1993,  all'introduzione  del  comma  vigente  fino alla
 illegittima abrogazione operata dal decreto n. 229. Oggi, non solo si
 vuole invertire - sbagliando, come  si  vedra'!  -  la  tendenza,  ma
 soprattutto  si  vuole  addirittura  mettere  nel  nulla le attivita'
 legittimamente svolte sino ad oggi,  ponendo  illegittime  condizioni
 capestro   alla   conferma   delle   aziende  ospedaliere  esistenti,
 obliterando il vecchio,  consolidato  principio  del  rispetto  delle
 situazioni  acquisite!  6.4. - L'art. 4 del d.lgs. n. 229/1999 viola,
 inoltre, gli artt.   117 e 118 della  Costituzione  in  relazione  al
 d.lgs.  28  agosto 1997, n. 281, e alla giurisprudenza costituzionale
 in ordine al principio di leale collaborazione  tra  lo  Stato  e  le
 regioni,  in  quanto, nella sua formulazione, il Governo non ha preso
 in considerazione il parere espresso dalle regioni in data  6  maggio
 1999.    Al  par.  2, tra le "Osservazioni relative ad emendamenti da
 apportare ritenuti rilevanti", del parere espresso in tale data dalla
 conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome con
 riguardo all'art. 4 dello schema di decreto, infatti, si  legge:  "va
 salvaguardata  la  facolta'  delle  regioni  di  confermare o meno le
 aziende ospedaliere gia' costituite o, in subordine, il  raccordo  di
 tali  esperienze  con  le  sperimentazioni gestionali di cui all'art.
 9-bis del d.lgs. n.  502/1992 e 517/1993 come modificato dall'art. 10
 dello schema di decreto in esame".  Ne' puo' dirsi  che  la  facolta'
 delle  regioni  di  confermare  o  meno  le  aziende ospedaliere gia'
 costituite possa ritenersi salvaguardata dalla disposizione dell'art.
 4, comma 2, nella parte in cui aggiunge al comma 1  dell'art.  4  del
 d.lgs.  n.  502/1992,  il comma 1-sexies, in base al quale "i presidi
 attualmente costituiti in aziende  ospedaliere,  con  esclusione  dei
 presidi  di cui al comma 6, per i quali viene richiesta la conferma e
 che non soddisfano i requisiti di cui al comma 1-bis, possono  essere
 confermati  per un periodo massimo di tre anni dall'entrata in vigore
 del presente decreto, che modifica il d.lgs.  30  novembre  1992,  n.
 502,  sulla  base  di  un  progetto  di  adeguamento presentato dalla
 regione, con la procedura di cui al comma 1-quater. Alla scadenza del
 termine previsto nel  provvedimento  di  conferma,  ove  permanga  la
 carenza  dei  requisiti,  le  regioni  e  il  ministero della sanita'
 attivano  la    procedura  di  cui  al  comma   1-quinquies   (revoca
 dell'azienda),  ove  i requisiti sussistano, si procede ai sensi  del
 comma 1-quater".   La conferma per  un  periodo  di  tre  anni  delle
 aziende  ospedaliere  gia' costituite, che non posseggono i requisiti
 di cui al comma 1-ter, infatti, soddisfa solo per un periodo di tempo
 limitato (tre anni)  la  richiesta  avanzata  dalle  regioni  per  il
 tramite  della  conferenza  dei  Presidenti in data 6 maggio 1999: al
 termine dei tre anni, infatti, le aziende confermate transitoriamente
 dovranno adeguarsi ai requisiti richiesti dal decreto per le  aziende
 ospedaliere  di rilievo nazionale o interregionale, in caso contrario
 tali aziende saranno revocate secondo la  procedura  individuata  dal
 comma 1-quinquies.  Vanno, pertanto, mosse all'art. 4 le censure gia'
 rivolte  al par.   2 in generale rispetto a tutte quelle disposizioni
 del d.lgs. n.  229/1999, nella cui formulazione definitiva non si  e'
 tenuto  conto  delle osservazioni regionali.   6.5. - Le disposizioni
 dell'art. 4 rendono piu'  difficile  e  macchinosa  l'istituzione  di
 aziende   ospedaliere,  vietano  le  aziende  ospedaliere  regionali,
 impongono la presenza, nell'ambito della ASL, di almeno  un  presidio
 ospedaliero:   in   tal   modo,  limitano  fortemente  e,  di  fatto,
 impediscono la separazione, a  livello  regionale,  tra  il  soggetto
 erogatore  delle prestazioni sanitarie (ASL) e il soggetto produttore
 delle  stesse.  Cosi'   operando,   esse   sono   gravemente   lesive
 dell'autonomia  regionale  ex  artt.  117  e  118  Cost.:  la regione
 Lombardia, infatti, in attuazione di quanto stabilito dal  d.lgs.  n.
 502/1992,  ha  avviato  la  riforma  del  sistema sanitario regionale
 basandosi proprio sulla  separazione  tra  produttore  e  acquirente;
 violano,  altresi',  il  principio  del buon andamento della pubblica
 amministrazione,  sancito   dall'art.      97   della   Costituzione,
 precludendo,  di fatto, gli effetti benefici in termini di incremento
 della produttivita', innovazione e qualita' derivanti dalla  suddetta
 separazione;  limitano  il principio della libera scelta da parte del
 cittadino  utente  della  struttura  erogatrice   delle   prestazioni
 sanitarie,  giacche'  la  ASL, possedendo propri presidi ospedalieri,
 non potra' che favorirli nella  stesura  degli  accordi  contrattuali
 previsti  dal  decreto.    Invero,  tra  le  idee forti alle quali si
 ispirano i progetti di riforma sanitaria dei  paesi  dell'Oecd,  come
 risulta  da  una  sintesi  delle  stesse  redatta  dall'Oecd2), vi e'
 proprio quella dello "sviluppo della contrattazione tra acquirenti  e
 produttori di prestazioni sanitarie":  indubbiamente non in linea con
 tale  principio appare la riduzione della possibilita' di istituzione
 di aziende ospedaliere autonome e la  conseguente  configurazione  di
 una  ASL  erogatore e produttore delle prestazioni sanitarie (dovendo
 essere necessariamente presente, nell'ambito  della  ASL,  almeno  un
 presidio  ospedaliero).  Lo stesso parere del Senato della Repubblica
 sullo schema di decreto legislativo aveva sottolineato  che  "occorre
 inoltre    evitare    che    le   pur   condivisibili   esigenze   di
 razionalizzazione del sistema  sia  ospedaliero  che  della  medicina
 territoriale  ambulatoriale  siano  perseguite  con  criteri  tali da
 ridurre  la  possibilita'  di  concorrenza  virtuosa   tra   soggetti
 erogatori  di prestazioni sanitarie" (parere della Commissione igiene
 e sanita' del Senato del  26  maggio  1999)3).    E,  ancora,  in  un
 articolo  apparso  nell'"Economist" del 19 marzo 1999, che riporta un
 intervento di Josef Figueras,  Regional  Adviser  dell'organizzazione
 Mondiale  della  Sanita' (WHO), dal titolo "Chi decide e chi paga nel
 sistema  sanitario  europeo:  verso  un  bilanciamento  tra  Stato  e
 mercato",   si  sottolinea  che  la  separazione  delle  funzioni  di
 produzione e di acquisto dei servizi in sistemi sanitari con  modello
 S.S.N.  sembra  poter  dare  risultati in termini di incremento della
 produttivita', innovazione e qualita'".  A favore  della  separazione
 tra  ASL  e  AO si e' recentemente espressa anche l'Autorita' garante
 per la concorrenza ed il mercato.  Nella comunicazione del 26  giugno
 1998,  prot.  22579,  infatti,  l'Autorita' garante, nel rispondere a
 numerose segnalazioni  da  parte  di  case  di  cura,  laboratori  di
 diagnostica,  studi  medici,  singoli  assistiti,  che lamentavano la
 violazione da parte  delle  regioni,  nell'attuazione  della  riforma
 sanitaria  introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, dei principi ispiratori
 della riforma e delle regole della libera concorrenza, indicava tra i
 possibili rimedi normativi ed attuativi ai profili  distorsivi  della
 concorrenza,  la  separazione  strutturale  tra  la figura della ASL,
 nella sua qualita' di soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie,
 e  la  figura   della   ASL,   nella   sua   qualita'   di   soggetto
 acquirente-pagatore delle medesime prestazioni.  L'Autorita' motivava
 l'utilita'  del  rimedio  suggerito  osservando che "l'attuazione del
 principio di libera scelta del paziente, in coerenza con il  rispetto
 delle  regole  di funzionamento del mercato, richiede che si operi la
 separazione tra soggetto erogatore e soggetto pagatore,  al  fine  di
 introdurre   elementi   di   reale   indipendenza  nei  rapporti  che
 intercorrono  tra  chi  fornisce  e  chi  rimborsa   le   prestazioni
 sanitarie".  Secondo l'Autorita' garante "tale rapporto consentirebbe
 di  attuare  un  meccanismo,  in  virtu'  del  quale  le  prestazioni
 sanitarie  vengono  erogate  dalle strutture, pubbliche o private, in
 grado di offrirle garantendo il migliore  rapporto  tra  costo  della
 prestazione e qualita' della stessa".
   7.  -  Violazione  degli  artt.  76,  117 e 118 della Costituzione,
 nonche' dei principi fissati dall'art. 13 della legge 15 maggio 1997,
 n.  127 da parte dell'art. 5, nella parte in cui sostituisce l'art. 5
 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.   L'art. 5, nella  prima  parte,
 sostituisce  l'art.  5 del d.lgs. n.  502/1992, dettando disposizioni
 in ordine a patrimonio e contabilita' della ASL e AO.  A conferma  di
 un  atteggiamento complessivo poco rispettoso della volonta' espressa
 in sede parlamentare, anche la disciplina  dettata  dall'art.  5  non
 pare  trovare  un  sicuro fondamento nell'art. 2, comma 1, lett. ii),
 della legge n. 419/1998.    Tale  disposizione,  infatti,  delega  il
 Governo  esclusivamente  a  "precisare  i  criteri  distintivi  e gli
 elementi caratterizzanti per l'individuazione  delle  aziende  unita'
 sanitarie   locali  e  delle  aziende  ospedaliere,  con  particolare
 riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse  e  a
 rilievo   nazionale  o  interregionale  delle  aziende  ospedaliere".
 L'art. 5 detta, invece, in materia di patrimonio e contabilita' delle
 ASL e delle AO, una disciplina estremamente  dettagliata,  superando,
 in  tal modo, il limite delle "caratteristiche organizzative minime",
 posto  dalla  legge  delega,  violando  profondamente  le  competenze
 costituzionalmente  riconosciute  in materia alle regioni dagli artt.
 117 e 118 della Costituzione.    La  disposizione  in  esame  risulta
 pertanto  costituzionalmente  illegittima  per violazione degli artt.
 76, 117 e 118 della Costituzione.  2) Oecd 1996, Health  care  Reform
 in  Light  of  Changing  Funding  Incentives and Production Potterns,
 Parigi, Workings Papers, 18.   3)  V.  anche  la  nota  del  Servizio
 Bilancio  del  Senato, pubblicata in ASI n. 20 del 20 maggio 1999, in
 cui si ricorda che "come  si  sostiene  nella  letteratura  economica
 sull'argomento  e  come suggerito dall'evidenza empirica a parita' di
 altre condizioni, un'azienda ospedaliera autonoma, in  media,  appare
 suscettibile   di  realizzare  piu'  elevati  livelli  di  efficienza
 rispetto ad un presidio ospedaliero...".   Inoltre, l'art.  5,  nella
 parte  in  cui  stabilisce  che "gli atti di trasferimento a terzi di
 diritti reali su immobili sono assoggettati a  previa  autorizzazione
 della  regione",  viola  uno dei principi fondamentali dell'attivita'
 amministrativa, fissati dalla legge 15 maggio 1997, n.  127,  recante
 "Misure  urgenti  per  lo snellimento dell'attivita' amministrativa e
 dei procedimenti di decisione e controllo".  L'art. 13 della legge n.
 127/1997,  infatti,  al  primo  comma,  abroga  le  disposizioni  che
 prescrivono autorizzazioni per l'acquisto e l'alienazione di immobili
 o  per  l'accettazione  di  donazioni,  eredita' e legati da parte di
 persone giuridiche, associazioni e fondazioni.    Tale  disposizione,
 inoltre,   contraddice   in   maniera   evidente   il   principio  di
 aziendalizzazione fissato dall'art. 2, comma  1,  lettera  b),  della
 legge delega.
   8. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione, in relazione alla
 legge n. 67/1988, da parte dell'art. 5, nella parte in cui introduce,
 dopo  l'art.  5,  l'art.  5-bis, primo comma, del d.lgs. n. 502/1992.
 L'art. 5, aggiunge, all'art. 5 del d.lgs. n. 502/1992, l'art.  5-bis,
 recante  "Ristrutturazione  edilizia  ed ammodernamento tecnologico".
 Al  comma  1  dell'art.  5-bis,  il  d.lgs.  n.  229  stabilisce  che
 "nell'ambito  dei  programmi  regionali  per  la  realizzazione degli
 interventi previsti dall'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, il
 Ministero della sanita' puo' stipulare, di concerto con  il  Ministro
 del  tesoro, del bilancio e della programmazione economica e d'intesa
 con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni
 e  le  province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  e nei limiti delle
 disponibilita'  finanziarie,  iscritte  nel  bilancio  dello   Stato,
 accordi di programma con le regioni e con gli altri soggetti pubblici
 interessati  aventi  ad  oggetto  la  relativa  copertura finanziaria
 nell'arco pluriennale degli interventi, l'accelerazione di  procedure
 e   la   realizzazione   di  opere,  con  particolare  riguardo  alla
 qualificazione e alla messa a norma delle strutture".  La  disciplina
 sugli  accordi  di  programma  dettata  da  tale disposizione risulta
 penalizzante  per  la  regione  Lombardia  nella  parte  in  cui   si
 circoscrive  la  stipulazione  di accordi di programma con le regioni
 "nei limiti delle disponibilita' finanziarie  iscritte  nel  bilancio
 dello   Stato".      Vengono   stabilite,  in  tal  modo,  condizioni
 peggiorative rispetto a quelle  definite  nell'Accordo  di  Programmi
 quadro  per  l'edilizia  sanitaria,  stipulato, in data 3 marzo 1999,
 dalla regione Lombardia i Ministri della  sanita',  del  tesoro,  del
 bilancio  e  della  programmazione  economica, sulla base dell'intesa
 istituzionale di programma tra il Governo  e  la  regione  Lombardia,
 approvata  con  deliberazione  del  CIPE del 19 febbraio 1999.   Tale
 Accordo,  stipulato,  in  attuazione  dell'art.  20  della  legge  n.
 67/1988,  ai  fini  della realizzazione di una parte degli interventi
 previsti  dalla  seconda  fase  del   programma   pluriennale   degli
 investimenti  per  l'edilizia  sanitaria e le R.S.A., all'art. 3, che
 disciplina la copertura finanziaria, stabilisce, infatti, che "tenuto
 conto che l'intesa (istituzionale di programma)  prevede  un  impegno
 programmatico  nel triennio, per la prima parte del programma, pari a
 una somma di L. 1.180,651 miliardi, qualora le previsioni di  accesso
 allo   stanziamento  di  competenza  siano  comunque  maggiori  delle
 possibilita' di incremento del capitolo, la regione potra'  accendere
 mutui  con  oneri  di ammortamento a carico delle somme stanziate nel
 bilancio dello Stato, a concorrenza della quota regionale, o rinviare
 la spesa all'anno successivo".
   9. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte  dell'art.
 7, nella parte in cui aggiunge, dopo l'art. 7 del d.lgs. n. 502/1992,
 l'art. 7-quinquies, comma 3.  L'art. 7, nella parte in cui introduce,
 dopo  l'art.  7  del d.lgs.   n. 502/1992, l'art. 7-quinquies recante
 "Coordinamento con le agenzie regionali per l'ambiente",  prevede  la
 stipulazione  da  parte  del  Ministro  della  sanita'  d'intesa  con
 conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
 province  autonome  di  Trento e Bolzano, di un accordo quadro per il
 coordinamento e l'integrazione degli interventi per la  tutela  della
 salute  e  dell'ambiente,  nel  quale  dovranno  essere individuati i
 settori di azione congiunta ed i relativi programmi  operativi.    Al
 comma  2,  l'art.  7-quinquies  affida  alle  regioni  il  compito di
 individuare le modalita' e i livelli di  integrazione  fra  politiche
 sanitarie  e  politiche  ambientali,  prevedendo  la  stipulazione di
 appositi accordi di programma e convenzioni tra le ASL e le AO  e  le
 Agenzie  regionali  per la protezione dell'ambiente.  Al comma terzo,
 tale disposizione prevede che: "le  regioni  e  le  unita'  sanitarie
 locali,  per  le  attivita'  di  laboratorio  gia' svolte dai presidi
 multizonali di prevenzione come compito di istituto, in base a  norme
 vigenti,  nei  confronti  delle unita' sanitarie locali, si avvalgono
 delle  agenzie  regionali  per  la  protezione  dell'ambiente".    La
 disposizione  del  terzo  comma,  imponendo  alle  regioni un'opzione
 specifica, risulta viziata da eccesso di delega.  L'art. 2, comma  1,
 lett.  rr),  della  legge  n. 419/1998, infatti, assegnava al Governo
 esclusivamente il compito di "definire le modalita' di  coordinamento
 tra  i  dipartimenti  di  prevenzione  e  le agenzie regionali per la
 protezione dell'ambiente".
   10. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118, nonche' degli artt.   3
 e 41 della Costituzione; ancora violazione degli artt. 117, 118 e 119
 della  Costituzione,  in  relazione  al  d.lgs.  n.  281/1997  ed  al
 principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, da parte
 dell'art. 8, recante "Modificazioni all'art. 8 del d.lgs. 30 dicembre
 1992, n. 502".  10.1. - L'art. 8 del decreto, nell'introdurre  l'art.
 8-bis,   comma   terzo,   del   d.lgs.   n.  502/1992,  subordina  la
 realizzazione delle strutture sanitarie e l'esercizio delle attivita'
 sanitarie all'autorizzazione di cui all'art. 8-ter.  L'art. 8-ter,  a
 sua  volta, dopo aver disciplinato, nei commi 1 e 3, l'autorizzazione
 alla realizzazione delle strutture sanitarie, ai  commi  2,  4  e  5,
 disciplina  l'autorizzazione  all'esercizio delle attivita' sanitarie
 da parte delle strutture pubbliche e private.    In  particolare,  al
 comma   4  dell'art.  8-ter  si  stabilisce  che  "l'esercizio  delle
 attivita' sanitarie e socio-sanitarie da parte di strutture pubbliche
 e private presuppone il possesso dei requisiti  minimi,  strutturali,
 tecnologici  e  organizzativi  stabiliti  con  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/1997, sulla base
 di principi e criteri direttivi previsti dall'art. 8,  comma  4,  del
 presente  decreto.  In  sede  di  modificazione  del medesimo atto di
 indirizzo e coordinamento si individuano gli studi  odontoiatrici,  e
 di  altre  professioni sanitarie di cui al comma 2 nonche' i relativi
 requisiti minimi.  Al successivo comma 5, il decreto attribuisce alle
 regioni il compito di  definire,  entro  sessanta  giorni  dalla  sua
 entrata in vigore, modalita' e termini per la richiesta e l'eventuale
 rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio delle
 attivita'  sanitarie,  nonche'  quello  di  individuare  "gli  ambiti
 territoriali  in  cui  si  riscontrano  carenze  di  strutture  o  di
 capacita'  produttiva,  definendo  idonee procedure per selezionare i
 nuovi  soggetti  eventualmente  interessati".      Nel   dettare   le
 disposizioni relative al rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio
 delle attivita' sanitarie, l'art. 8 del decreto legislativo eccede in
 maniera evidente la delega: l'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge
 n.  419/1998  ha,  infatti, circoscritto l'ambito dei poteri delegati
 alla  definizione,   "fermi   restando   i   requisiti   strutturali,
 tecnologici  e  organizzativi  minimi di cui all'art. 8, comma 4, del
 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive  modificazioni",  delle
 "modalita'  e  dei  criteri  per  il  rilascio  dell'autorizzazione a
 realizzare strutture sanitarie".  E'  assente,  dunque,  ogni  delega
 relativa   alla   possibilita'   di   subordinare  ad  autorizzazioni
 ammistrative l'esercizio dell'attivita' sanitaria.  10.2. - Va a  tal
 proposito  ricordato  che  l'art.  8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992
 stabiliva che "ferma restando la competenza delle regioni in  materia
 di  autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private, a
 norma dell'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con atto  di
 indirizzo   e  coordinamento,  emanato  d'intesa  con  la  conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
 autonome,  sentito il Consiglio superiore di sanita', sono definiti i
 requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi  minimi  richiesti
 per  l'esercizio  delle  attivita' sanitarie da parte delle strutture
 pubbliche e private e la periodicita' dei controlli sulla  permanenza
 dei requisiti stessi".  Lo stesso comma 4 fissava al 31 dicembre 1993
 il  termine  entro  il quale tale atto avrebbe dovuto essere emanato,
 individuando alle successive  lettere  da  a)  ad  h),  i  criteri  e
 principi  direttivi  cui  tale  atto avrebbe dovuto   ispirarsi.   In
 attuazione di tale disposizione, con d.P.R. 14 gennaio 1997,  recante
 "Approvazione  dell'atto  di indirizzo e coordinamento alle regioni e
 alle province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  in  materia  di
 requisiti   strutturali,  tecnologici  ed  organizzativi  minimi  per
 l'esercizio  delle  attivita'  sanitarie  da  parte  delle  strutture
 pubbliche  e private" il Governo ha gia' provveduto in tal senso. Sia
 il d.lgs.   n. 502, sia l'atto di  indirizzo  del  14  gennaio  1997,
 richiamati  e  "tenuti  fermi"  dalla  nuova  delega, fanno esclusivo
 riferimento  a  requisiti  minimi  per   l'esercizio   dell'attivita'
 sanitaria,  affidando  alle  regioni  le  modalita'  per il controllo
 dell'esistenza dei requisiti.   Dunque, i requisiti  per  l'esercizio
 delle  attivita'  sanitarie  sono  stati gia' fissati con il d.P.R 14
 gennaio 1997; il rinvio effettuato dalla legge n.  419/1998  all'art.
 8,  comma  4  -  che  a  sua  volta  rinvia ad un atto di indirizzo e
 coordinamento per la definizione dei requisiti per il rilascio  delle
 autorizzazioni   all'esercizio   delle  attivita'  sanitarie  -  deve
 pertanto intendersi riferito a tale atto.  Per preciso disposto della
 legge delega, dunque, il d.P.R. 14 gennaio 1997, in quanto  atto  che
 si fonda sull'art. 8, comma 4, del d.lgs.  n. 502, e' l'atto cui fare
 riferimento  in  ordine  alla  individuazione  dei  requisiti  per il
 rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie.
 La legge delega, con assoluta chiarezza, prevede che rimangano  fermi
 i  requisiti  gia'  presenti  nell'ordinamento  per l'esercizio delle
 attivita' sanitarie e delega il Governo esclusivamente a  definire  i
 criteri  e  modalita' per la realizzazione delle strutture sanitarie.
 Non pare possano nutrirsi dubbi circa  il  diverso  ambito  logico  e
 concettuale di "realizzazione" ed "esercizio", tale per cui la delega
 a fare l'una cosa non puo' riguardare anche l'altra.  Le disposizioni
 indicate  vengono  cosi'  a  sovrapporsi ingiustificatamente non solo
 alla disciplina posta dal d.P.R. 14  gennaio  1997,  che  aveva  gia'
 provveduto   a  definire  i  requisiti  minimi  per  l'autorizzazione
 all'esercizio delle attivita' sanitarie,  ma  anche  alla  disciplina
 gia'  legittimamente  dettata  dalla  regione Lombardia in materia di
 autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie.   Tali  norme
 generano, dunque, due ordini di problemi di costituzionalita':  da un
 lato,  eccedono  la delega contenuta all'art. 2, comma 1, lett.  dd),
 della legge n. 419/1998, che ha circoscritto l'esercizio  dei  poteri
 delegati    alla    definizione   dei   criteri   per   il   rilascio
 dell'autorizzazione alla "realizzazione" delle strutture sanitarie  e
 fa salvi quelli gia' stabiliti in ordine all'"esercizio" delle stesse
 ai  sensi dell'art.   8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992; dall'altro,
 in  violazione  degli  artt.  117  e  118  Cost.,  vengono  a  ledere
 l'autonomia regionale in materia e, in particolare, pongono nel nulla
 quanto  dalle  regioni  gia'  disposto  in  forza  delle disposizioni
 precedenti, in ordine alla riorganizzazione  del  settore  sanitario.
 L'art.  8,  nella  parte in cui aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs.  n.
 502/1992, l'art. 8-bis, comma  3,  e  l'art.  8-ter,  commi  4  e  5,
 risulta,  pertanto,  costituzionalmente  illegittimo  per  violazione
 degli artt. 76, 117 e 118 della   Costituzione.   10.3.  -  L'art.  8
 eccede  la  delega  contenuta  nell'art. 2, comma 1, lett. dd), della
 legge  n.  419/1998,  violando  ulteriormente  l'art.      76   della
 Costituzione,  anche  nella  parte  in  cui introduce il secondo e il
 quarto comma dell'art. 8-ter.    Il  comma  2  prevede,  infatti,  la
 necessita'  di  autorizzazione per l'esercizio di attivita' sanitarie
 anche per "gli studi odontoiatrici, medici  e  di  altre  professioni
 sanitarie,  ove  attrezzati  per  erogare  prestazioni  di  chirurgia
 ambulatoriale,  ovvero  procedure  diagnostiche  e  terapeutiche   di
 particolare complessita' o che comportino un rischio per la sicurezza
 del  paziente,  individuati  ai  sensi  del  comma  4, nonche' per le
 strutture esclusivamente dedicate ad attivita'  diagnostiche,  svolte
 anche  a  favore  di  soggetti  terzi".    Il  comma  4, a sua volta,
 stabilisce che  "In  sede  di  modificazione  del  medesimo  atto  di
 indirizzo  e  coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, e
 di altre professioni sanitarie di cui al comma 2, nonche' i  relativi
 requisiti  minimi".    A  tal proposito l'art. 2, comma 1, lett. dd),
 della legge n. 419/1998 delega il  Governo  a  definire  modalita'  e
 criteri  per  il rilascio dell'autorizzazione alla "realizzazione", e
 non anche all'"esercizio", delle "strutture sanitarie", e  non  anche
 degli  "studi  professionali".    Non  e'  rinvenibile,  inoltre, ne'
 nell'art. 2, comma 1, lett. dd),  ne'  in  altre  disposizioni  della
 legge  n.  419/1998, una delega che attribuisca al Governo il compito
 di classificare gli studi medici  in  diverse  tipologie,  a  seconda
 dell'attivita'  esercitata,  assoggettandone  altresi' l'esercizio ad
 autorizzazione.  10.4. - Sempre in ordine  alla  realizzazione  delle
 strutture  sanitarie, al comma 3 dell'art. 8-ter, l'art. 8 del d.lgs.
 n.  229,  stabilisce   l'obbligo   per   i   comuni   di   acquisire,
 nell'esercizio  delle  loro competenze in materia di autorizzazioni e
 concessioni  di  cui  alla  legge  n.  493/1993,   la   verifica   di
 compatibilita'  del  progetto  da  parte  della regione, individuando
 contestualmente i criteri  in  base  ai  quali  le  regioni  dovranno
 procedere  a  tale verifica.  Stabilisce, infatti, il secondo periodo
 del comma 3 che "tale verifica regionale e' effettuata in rapporto al
 fabbisogno  complessivo  e  alla  localizzazione  territoriale  delle
 strutture  presenti  in  ambito  regionale,  anche  al fine di meglio
 garantire l'accessibilita'  ai  servizi  e  valorizzare  le  aree  di
 insediamento  prioritario  di nuove strutture".  I suindicati criteri
 cui la regione  dovra'  tener  conto  a  fini  della  verifica  della
 compatibilita'  dei  progetti  appaiono,  con  evidenza,  dettati  in
 violazione degli artt. 41 e 3 della  Costituzione,  oltre  che  degli
 artt. 117 e 118, impingendo illegittimamente in competenze regionali:
 l'applicazione  concreta  degli  stessi,  infatti, e' suscettibile di
 penalizzare l'iniziativa economica privata, nonche' di  creare  forti
 disparita'  di  trattamento,  ad  esempio, tra i soggetti operanti in
 zone  diverse.    D'altra  parte,  i  due  criteri  del   "fabbisogno
 complessivo"  e  della  "localizzazione territoriale delle strutture"
 appaiono  tra  loro  contraddittori:    per  fare  un   esempio,   la
 realizzazione  di  una  struttura  sanitaria  in  una  zona  ad  alta
 cancentrazione di strutture della medesima specie potrebbe  rivelarsi
 contemporaneamente  non  conforme  al  primo  criterio  e conforme al
 secondo.   La norma risulta, per tali  motivi,  penalizzante  per  le
 regioni,  esponendole  al  rischio  di possibili ricorsi da parte dei
 soggetti che vedessero le proprie richieste respinte a seguito  delle
 suddette  verifiche.    10.5.  -  L'art.  8, inoltre, nell'introdurre
 l'art. 8-quater, recante  "Accreditamento  istituzionale",  ai  commi
 terzo  e  quarto,  eccede la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett.
 gg),  della legge n. 419.  A tal proposito il comma 3 stabilisce che,
 entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, con atto
 di indirizzo e coordinamento da emanarsi ai sensi dell'art.  8  della
 legge n. 59/1997, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali,
 il    Consiglio    superiore    della    sanita'   e,   limitatamente
 all'accreditamento dei professionisti, la Federazione  nazionale  dei
 medici  chirurghi  e  odontoiatri,  sono  definiti i criteri generali
 uniformi:    a)  per  la  definizione  dei  requisiti  ulteriori  per
 l'esercizio   delle   attivita'  sanitarie  per  conto  del  Servizio
 sanitario  nazionale  da  parte  delle  strutture  sanitarie  e   dei
 professionisti,  nonche' la verifica periodica di tali  attivita'; b)
 per la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno  e
 alla   funzionalita'   della  programmazione  regionale,  inclusa  la
 determinazione dei limiti entro i  quali  sia  possibile  accreditare
 quantita'   di   prestazioni   in   eccesso  rispetto  al  fabbisogno
 programmato, in modo da assicurare un'efficace  competizione  tra  le
 strutture   accreditate;  c)  per  le  procedure  ed  i  termini  per
 l'accreditamento delle  strutture  che  ne  facciano  richiesta,  ivi
 compresa la possibilita' di un riesame dell'istanza, in caso di esito
 negativo  e  di  prescrizioni  contestate  dal  soggetto  richiedente
 nonche' a verifica periodica dei requisiti ulteriori e  le  procedure
 da  adottarsi  in caso di verifica  negativa.  Il successivo comma 4,
 definisce, alle lettere da a) a q), i criteri  e  principi  direttivi
 cui  l'atto  di  indirizzo  e  coordinamento di cui al comma 3 dovra'
 ispirarsi.  Dal canto suo, l'art. 2, comma 1, lett. gg), della  legge
 n.   419/1998   delega   il   Governo   a  "definire  un  modello  di
 accreditamento  rispondente  agli  indirizzi  del   Piano   sanitario
 nazionale,  in  applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del d.P.R.
 14 gennaio 1997, pubblicato nel Supplemento Ordinario  alla  Gazzetta
 Ufficiale  n. 42 del 20 febbraio 1997 ...".  A tal proposito il Piano
 sanitario nazionale per il triennio 1998-2000, approvato  con  d.P.R.
 23  luglio  1998,  nel  disciplinare l'accreditamento delle strutture
 sanitarie, stabilisce chiaramente  che  "il  compito  di  definire  i
 criteri  per  l'accreditamento  e  di conferire lo stato di struttura
 sanitaria  accreditata  compete  alle  singole  regioni  e   province
 autonome".    Le  disposizioni dei commi 3 e 4 dell'art. 8-quater del
 d.lgs. n.  502/1992, come introdotte dall'art. 8 del d.lgs.  n.  229,
 eccedono,  pertanto,  la delega nella parte in cui non si conformano,
 secondo quanto stabilito art. 2, comma 1, lett. gg)  della  legge  n.
 419/1998  al Piano sanitario nazionale 1998/2000.  In coerenza con il
 riconoscimento della competenza regionale in ordine alla  definizione
 dei  criteri  per  l'accreditamento delle strutture sanitarie, con le
 sentenze nn. 2897, 2898 e 2899 del 9 ottobre 1998, il  t.a.r.  Lazio,
 sez.  1-bis,  ha disposto l'annullamento del "d.P.R.  14 gennaio 1997
 nelle parti relative all'introduzione, relativi criteri, di requisiti
 ''ulteriori'' per l'accreditamento di strutture pubbliche  e  private
 in possesso dei requisiti minimi per l'autorizzazione", sostenendo in
 motivazione  che  "Il  decreto  impugnato,  mentre  ha legittimamente
 disposto  in  ordine  alla  definizione  dei  requisiti  strutturali,
 tecnologici  e  organizzativi  minimi per l'esercizio delle attivita'
 sanitarie,  in  attuazione  dell'art.  8,  comma  4,  del  d.lgs.  n.
 502/1992,  ha  invece  travalicato  dalle  attribuzioni che lo stesso
 decreto legislativo conferiva all'atto di indirizzo e  coordinamento,
 nelle  disposizioni  contenute  nel medesimo d.P.R., che introducono,
 dettando  i relativi criteri generali, requisiti per l'accreditamento
 di strutture erogatrici di prestazioni  delle  attivita'  sanitarie".
 In  sostanza,  secondo il t.a.r. Lazio, non puo' ritenersi che l'art.
 8, comma 4 del d.lgs. n. 502/1992 (non abrogato dal d.lgs.  n.  229),
 abbia  attribuito  al Governo il potere di fissare i criteri generali
 per l'accreditamento cui le regioni avrebbero dovuto attenersi  nella
 determinazione  dei  suddetti  requisiti  ulteriori.   Secondo quanto
 affermato   dalla   giurisprudenza   amministrativa,   l'annullamento
 giurisdizionale di un atto generale - quale risulta, senza dubbio, il
 d.P.R.  14  gennaio  1997  - ha efficacia erga omnes ed ex tunc (cfr.
 C.d.S., sez. VI, 9 gennaio 1997, n. 20, C.d.S., sez. VI,  7  febbraio
 1978,  n.  212,  C.d.S., sez. VI, 21 agosto 1993, n. 586): dunque, la
 parte del d.P.R. 14 gennaio 1997 che definisce i criteri generali cui
 le  regioni  devono  ispirarsi  ai  fini   dell'accreditamento   deve
 ritenersi  caducata;  ne'  valga  sostenere  che  la  legge delega ha
 "legificato" il d.P.R., congelandolo nella sua esistenza, al di la' e
 al di sopra dei suoi vizi di legittimita': una simile costruzione  e'
 stata  gia' in altri casi respinta dalla Corte costituzionale (v. per
 tutte sentenze nn. 385  e  386  del  1985  e  151  e  153  del  1986,
 relativamente  alla  presunta  "legificazione" dei decreti di vincolo
 assunti sulla base del d.m.  "Galasso").   Pertanto, visto  anche  il
 rinvio  alla  coerenza  con  il  Piano sanitario nazionale, il rinvio
 posto dalla legge delega ai "criteri posti dall'art.  2 del d.P.R. 14
 gennaio 1997", deve intendersi circoscritto alle disposizioni di tale
 articolo  che  attribuiscono  alla  competenza   delle   regioni   la
 definizione   dei   requisiti   ulteriori   e   delle  modalita'  per
 l'accreditamento delle strutture sanitarie, con esclusione di  quelle
 norme che attribuiscono allo Stato di definire i criteri generali per
 l'accreditamento.  L'art. 8, dunque, nell'introdurre l'art. 8-quater,
 commi  3 e 4 del d.lgs. n. 502/1992, eccede la delega di cui all'art.
 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, anche nella parte  in
 cui   tale   norma  impone  che  la  definizione  di  un  modello  di
 accreditamento deve  avvenire  "In  applicazione  dei  criteri  posti
 dall'art. 2 del d.P.R.  14 gennaio 1997", violando contemporaneamente
 le  competenze  costituzionalmente e legislativamente riconosciute in
 materia alle regioni.  Tale disposizione risulta pertanto viziata  in
 relazione  agli artt.   76, 117 e 118 della Costituzione.  10.6. - La
 mancata rispondenza del  modello  di  accreditamento  introdotto  dal
 d.lgs.  n.  229 rispetto agli indirizzi del Piano sanitario nazionale
 1998-2000 si riscontra anche nella parte in cui  l'art.  8  introduce
 l'art.  8-quater  del  d.lgs.  n.  502, comma 4, lett. a), laddove si
 stabilisce, tra i criteri e principi  direttivi  cui  deve  attenersi
 l'atto  di  indirizzo  e  coordinamento  di cui al comma 3, quello di
 "garantire l'eguaglianza tra  tutte  le  strutture  relativamente  ai
 requisiti  ulteriori  richiesti per il rilascio dell'accreditamento e
 per la sua verifica periodica".  Poiche' le condizioni  per  ottenere
 l'accreditamento  sono  definite  su  tre  livelli  -  rispondenza ai
 requisiti ulteriori,  funzionalita'  rispetto  agli  indirizzi  della
 programmazione  regionale,  verifica positiva dell'attivita' svolta e
 dei risultati raggiunti e  solo  i  primi  vengono  qualificati  come
 "requisiti",  e'  evidente  che  anche in questo caso il principio di
 parita' tra i soggetti risulta  completamente  disatteso:  lo  stesso
 decreto,  nel  prevedere  al comma 4, lett. a) dell'art. 8-quater che
 l'eguaglianza tra le strutture deve essere  garantita  esclusivamente
 rispetto  "ai  requisiti  ulteriori",  conferma  che non sussiste una
 piena  eguaglianza  tra  le  diverse  strutture  sanitarie  ai   fini
 dell'accreditamento.    In  tal  modo  l'art.  8,  nella parte in cui
 aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-quater, comma
 4, lett.  a),  non  rispecchia  gli  indirizzi  del  Piano  sanitario
 nazionale  1998-2000,  nel  quale  si  stabilisce  espressamente che:
 "l'accreditamento si applica,  allo  stesso  titolo,  alle  strutture
 sanitarie  pubbliche  e  private".    Il  giudizio  di  funzionalita'
 rispetto alla  programmazione  nazionale  e  regionale  introduce  un
 pesante elemento di discrezionalita' nel rilascio dell'accreditamento
 istituzionale  che,  come tale, non si configura piu' quale oggettivo
 processo di selezione di soggetti in possesso di requisiti ulteriori,
 intesi  come  livello  qualitativo  richiesto  per  l'erogazione   di
 prestazioni sanitarie per conto del S.S.N..  La discrezionalita' che,
 secondo  una  lettura non avvalorata dalla sentenza n. 416/1995 della
 Corte costituzionale, il d.lgs. n.  502/1992  all'art.  8,  comma  4,
 prevede  al  momento  della stipula degli appositi rapporti tra ASL e
 soggetti accreditati,  viene  addirittura  prevista  al  momento  del
 riconoscimento  dello status di soggetto accreditato.  In tal modo si
 viene ad esercitare preventivamente una selezione  dei  soggetti  che
 possono   accedere   alla  stipula  degli  accordi  di  cui  all'art.
 8-quinquies.   Tale  previsione,  letta  congiuntamente  al  comma  1
 dell'art.  8-bis,  laddove  si  prevede  che  i  livelli  uniformi di
 assistenza siano garantiti da presidi direttamente gestiti dalle ASL,
 Aziende ospedaliere e IRCCS e solo  in  forma  residuale  (cfr.  "...
 nonche'  di soggetti accreditati ai sensi dell'art. 8-quater ...") da
 altri soggetti accreditati, introduce  una  evidente  disparita'  tra
 soggetti  pubblici  e  privati,  relegando  questi ultimi ad un ruolo
 integrativo, contrariamente alla previsione normativa della legge  n.
 724/1994.      Anche   tale   disposizione,   dunque,   ponendosi  in
 contraddizione con l'art. 8, comma  1,  lett.  gg),  della  legge  n.
 419/1998,  viola  l'art.   76 della Costituzione.   10.7. - L'art. 8,
 nella parte  in  cui  introduce  l'art.  8-quinquies  del  d.lgs.  n.
 502/1992,  disciplina  gli Accordi contrattuali.   Al comma 1, l'art.
 8-quinquies, tale disposizione assegna alle  regioni  il  compito  di
 definire,  nel  termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del
 decreto l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali,  nonche'
 quello   di   individuare   i   soggetti   interessati  agli  stessi,
 identificando, nelle successive lettere da a) a d), gli  aspetti  che
 dovranno  essere  disciplinati  dalle regioni.   Il comma 2 dell'art.
 8-quinquies stabilisce che le regioni e le  Unita'  sanitarie  locali
 definiscono  accordi  con  le  strutture  pubbliche  ed  equiparate e
 stipulano  contratti  con  quelle  private  e  con  i  professionisti
 accreditati,  definendo,  alle  successive  lettere  da  a) ad e), il
 contenuto di tali accordi/contratti.  Tali disposizioni  non  trovano
 alcun  fondamento  nella  legge  delega:    non si rinviene, infatti,
 nessuna  che  attribuisca  al  Governo  il  compito  di  dettare   la
 disciplina  degli accordi contrattuali.  L'art. 8, nella parte in cui
 introduce l'art. 8-quinquies del d.lgs.  n. 502/1992 viola, pertanto,
 l'art. 76 della Costituzione, imponendo alle regioni, in  assenza  di
 delega, attivita' interferenti con le competenze ad esse riconosciute
 dagli  artt.  117  e  118 della Costituzione in materia di assistenza
 sanitaria ed ospedaliera.   10.8. - L'art.  8,  nella  parte  in  cui
 introduce  l'art.  8-sexies  del  d.lgs.  n. 502/1992, detta norme in
 materia di remunerazione.  La disciplina dettata da tale disposizione
 rivela  contraddizioni  evidenti  fra  le  dichiarazioni di principio
 contenute nel  decreto  con  le  quali  vengono  solo  apparentemente
 salvaguardate  e  garantite  le competenze regionali in materia, e le
 competenze che, nonostante i continui richiami  alle  intese  con  la
 conferenza  Stato,  regioni  e  province  autonome, di fatto, vengono
 attribuite al Ministero della sanita'.   Tale contraddizione  risulta
 evidente  dal confronto dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992,
 lasciato intatto dal d.lgs. n. 229 dove si  stabilisce  espressamente
 che "spettano alle regioni e alle province autonome, nel rispetto dei
 principi  stabiliti  dalle  leggi  nazionali, le funzioni legislative
 amministrative in materia di assistenza sanitaria ospedaliera"  e  la
 traduzione di tale previsione nell'art.  8-sexies citato.  Esprime in
 maniera  chiara tale contraddizione il combinato disposto dei commi 2
 e 3 dell'art. 8-sexies.  Mentre il comma 2 attribuisce  alle  regioni
 il compito di definire le funzioni assistenziali, il successivo comma
 3 attribuisce al Ministro della sanita' il potere di determinare, con
 proprio   decreto,  i  criteri  per  la  definizione  delle  funzioni
 assistenziali  e  per  la  determinazione  della  loro  remunerazione
 massima,  tracciando in dettaglio il percorso metodologico che dovra'
 essere seguito dal Ministro.  Stabilisce, infatti, il comma  3,  che,
 la  definizione  dei  suddetti criteri generali da parte del Ministro
 della sanita' dovra' avvenire sulla base di "standard organizzativi e
 di costi unitari predefiniti per fattori produttivi,  tenendo  conto,
 quando  appropriato,  del  volume dell'attivita' svolta".  Anche tale
 ultimo periodo del comma 3 esprime la citata contraddizione:   se  si
 fosse  tenuto  realmente conto delle funzioni regionali salvaguardate
 in via generale, infatti, il decreto avrebbe dovuto  far  riferimento
 quantomeno  a  standard  organizzativi  "minimali";  in  relazione ai
 "costi unitari predefiniti per  fattori  produttivi",  sarebbe  stato
 necessario  fare  riferimento  a  coefficienti correttivi che tengano
 conto  delle  differenze  regionali;  con  riguardo  a   "volume   di
 attivita'"   il   decreto   non   avrebbe   dovuto   subordinare   la
 considerazione dello stesso alla  valutazione  di  appropriatezza  da
 parte  del  Ministro  della sanita'.   Vengono in tal modo violate le
 competenze costituzionalmente riconosciute in materia dalle  regioni:
 tali  disposizioni, infatti, interferiscono in particolare modo sulla
 potesta' organizzativa riconosciuta costantemente alle regioni  dalla
 stessa  giurisprudenza  di  codesta ecc.ma Corte.  Ancora, al comma 5
 dell'art. 8-sexies aggiunto all'art.  8  del  d.lgs.    n.  502/1992,
 l'art.  8  stabilisce  che  con  decreto  del Ministro della sanita',
 sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa  con  la
 conferenza  Stato-regioni  ai sensi dell'art. 120, comma 1, lett. g),
 del d.lgs. n. 112/1998, verranno stabiliti  "i  criteri  generali  in
 base  ai  quali  le  regioni  adottano il proprio sistema tariffario,
 articolando tali tariffe per classi  di  strutture  secondo  le  loro
 caratteristiche  organizzative  e di attivita', verificati in sede di
 accreditamento  delle  strutture  stesse".     La  previsione   della
 differenziazione  delle tariffe fra le diverse tipologie di strutture
 sanitarie sulla base di criteri organizzativi e  di  attivita'  e  la
 relativa  attribuzione  del  potere  di  differenziare  le  tariffe a
 Ministro della sanita'  ledono  in  maniera  evidente  le  competenze
 costituzionalmente  riconosciute  in materia alle regioni.  A cio' si
 aggiunga, che anche nella formulazione dell'art. 8, il Governo non ha
 tenuto  conto  del  parere  espresso  in  data  6  maggio  1999 dalla
 conferenza dei Presidenti delle regioni.  A pagina 4  del  suindicato
 parere, allegato al verbale della conferenza unificata tenutasi nella
 stessa data, tra le osservazioni relative ad emendamenti da apportare
 ritenuti  essenziali,  con  riferimento  ai  commi  2  e  3 dell'art.
 8-sexies, si legge: "i criteri  generali  per  la  definizione  delle
 funzioni assistenziali e della loro remunerazione spettano al livello
 centrale  d'intesa  con  la  conferenza Stato-regioni.   La effettiva
 specifica individuazione  delle  funzioni  assistenziali  e  la  loro
 remunerazione, poiche' indissolubilmente connesse alla definizione di
 aspetti   organizzativi   e  programmatici  di  esclusiva  competenza
 regionale, vanno mantenute in capo alle regioni. Solo  per  finalita'
 connesse   alla   compensazione   della  mobilita'  interregionale  e
 valutazione di congruita' del FSN, puo' essere prevista anche in sede
 nazionale una classificazione ed una remunerazione di riferimento con
 particolare riferimento alle fattispecie di cui alle lettere d),  e),
 f)  e g)".   Con riguardo alle disposizioni contenute nei commi 4 e 5
 dell'art.  8-sexies del d.lgs. n. 229, che nello  schema  di  decreto
 erano  riportate  ai  commi  3  e  4 dell'art. 8-sexies si legge: "La
 modulazione delle tariffe va mantenuta in capo alle  regioni  perche'
 espressione  di  politiche tariffarie che ogni governo regionale deve
 poter esprimere in coerenza con la propria programmazione. A  livello
 nazionale,  va  prevista una disciplina relativa a tariffari massimi,
 eventualmente  utilizzabili  anche  per   finalita'   connesse   alla
 compensazione  della  mobilita' regionale del PSN".  Vanno, pertanto,
 mosse all'art. 8 del d.lgs. n.  229,  nella  parte  in  cui  aggiunge
 all'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 l'art. 8-sexies, commi da 2 a 5, le
 stesse  censure  mosse  al  par.  2  a  tutte quelle disposizioni del
 decreto nella cui formulazione finale non  si  e'  tenuto  conto  del
 parere espresso dalle regioni in sede di conferenza unificata.  10.9.
 -  L'art.  8,  nell'introdurre  dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992,
 l'art. 8-septies detta alcune disposizioni in materia di  prestazioni
 erogate  in  forma indiretta.  Stabilisce, infatti, tale disposizione
 che "i rimborsi relativi alle prestazioni erogate in forma  indiretta
 sono  definiti  dalle regioni e dalle province autonome in misura non
 superiore  al  cinquanta  per  cento  delle  corrispondenti   tariffe
 regionali  determinate  ai  sensi  dell'art. 8-sexies. Entro diciotto
 mesi dalla data di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  che
 modifica   d.lgs.   del   30  dicembre  1992,  n.  502  e  successive
 modificazioni, e' abolita l'assistenza  in  forma  indiretta  per  le
 prestazioni  di assistenza specialistica ambulatoriale e in regime di
 degenza. Resta ferma la normativa vigente in  materia  di  assistenza
 sanitaria  all'estero".    Non  si rinviene nella legge delega alcuna
 disposizione che autorizzi il Governo a disciplinare  le  prestazioni
 indirette.  A cio' si aggiunga che neppure il d.lgs. n. 502/1992, cui
 il  decreto  impugnato e' delegato ad apportare modifiche, disciplina
 l'assistenza indiretta.   L'art. 8,  nella  parte  in  cui  introduce
 l'art. 8-septies viola pertanto l'art. 76 della Costituzione.
   11.  -  Violazione  degli artt. 3 e 119 Cost., nonche' dell'art. 76
 Cost., in relazione all'art. 2, comma 1, lett.  cc)  della  legge  n.
 419 del 1998, da parte dell'art. 9 recante "Modificazioni all'art.  9
 del  d.lgs.  30  dicembre  1992,  n. 502".   L'art. 9, nel sostituire
 l'art. 9 del d.lgs. n. 502/1992, detta disposizioni in ordine a fondi
 integrativi del Servizio sanitario nazionale.   Nella  parte  in  cui
 introduce  il  comma  4 dell'art. 9 del d.lgs.  n. 502/1992, l'art. 9
 stabilisce che: "L'ambito di applicazione dei fondi  integrativi  del
 Servizio  sanitario  nazionale  e' rappresentato da:   a) prestazioni
 aggiuntive, non  comprese  nei  livelli  essenziali  ed  uniformi  di
 assistenza e con questi comunque integrate, erogate da professionisti
 e  da  strutture  accreditati;  b)  prestazioni  erogate dal servizio
 sanitario nazionale comprese nei livelli uniformi  ed  essenziali  di
 assistenza,  per la sola quota posta a carico dell'assistito, inclusi
 gli oneri per l'accesso alle prestazioni erogate in regime di  libera
 professione  intramuraria  e per la fruizione dei servizi alberghieri
 su richiesta dell'assistito di cui all'art. 1, comma 15, della  legge
 23  dicembre  1996, n. 662; c) prestazioni socio-sanitarie erogate in
 strutture accreditate residenziali  e  semiresidenziali  o  in  forma
 domiciliare,  per  la  quota  posta a carico dell'assistito".   Dalla
 lettura di tale disposizione si evince chiaramente come  essa  limiti
 l'ambito  di  applicazione  dei  fondi  integrativi  alle prestazioni
 erogate dai professionisti e dalle strutture accreditati,  escludendo
 le  strutture  autorizzate, con il risultato di creare, in violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione,   ingiustificate   disparita'   di
 trattamento  tra  i  soggetti  autorizzati e quelli accreditati.   La
 ratio (illegittima!) della disposizione pare quella di drenare  fondi
 per  il  SSN,  distogliendoli  dai  soggetti autorizzati: in realta',
 oltre  alla  illegittima  penalizzazione   di   questi   ultimi,   la
 disposizione   e'   palesemente   irragionevole  perche'  aumenta  la
 pressione  sulle  strutture  del  Servizio   sanitario,   invece   di
 utilizzare  le  risorse  aggiuntive  per  creare  circuiti laterali a
 quello del SSN, in grado di alleggerire la pressione sulle  strutture
 del  SSN.    In  ogni  caso,  al  di la' della irragionevolezza della
 disposizione, la stessa legge delega non autorizza il Governo  ad  un
 siffatto  intervento,  giacche' gli impone solamente di riordinare le
 forme integrative di assistenza sanitaria.  Ne'  argomento  a  favore
 dell'esclusione   dei  soggetti  autorizzati  si  puo'  trarre  dalla
 formulazione secondo cui  le  forme  integrative  "si  riferiscono  a
 prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di
 assistenza   definiti  dal  Piano  sanitario  nazionale,  con  questi
 comunque integrate ...", e, infatti, a di la' del fatto che  anche  i
 soggetti  autorizzati  sono integrati nella pianificaziona sanitaria,
 se  questa  viene  intesa  in  senso  non  dirigistico,  il   termine
 "integrate"  si riferisce non ai soggetti, ne' ai livelli uniformi di
 assistenza, bensi' alle  prestazioni  aggiuntive,  le  quali  possono
 essere "integrate" con i livelli uniformi ed essenziali di assistenza
 anche se rese da soggetti  autorizzati.
   12.  -  Violazione  degli  artt.  76, nonche' degli artt. 117 e 118
 della Costituzione, in relazione  al  d.lgs.    n.  281/1997  e  alla
 giurisprudenza  costituzionale  sul principio di leale collaborazione
 tra lo Stato e le regioni da parte dell'art.  10,  recante  "Modifica
 dell'art. 9-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502".  12.1. - L'art.
 10  del  d.lgs.  modifica  l'art.  9-bis del d.lgs. n.   502/1992, in
 materia di sperimentazioni gestionali, stabilendo, al primo comma del
 nuovo art. 9-bis che "la conferenza permanente per i rapporti tra  lo
 Stato,  le  regioni  e  le  province  autonome di Trento e di Bolzano
 autorizza  programmi  di  sperimentazione  aventi  ad  oggetto  nuovi
 modelli   gestionali,  che  prevedono  forme  di  collaborazione  tra
 strutture del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati,  anche
 attraverso  la  costituzione  di societa' miste a capitale pubblico e
 privato".  Ai sensi del comma 2 del nuovo art. 9-bis, la  regione  ha
 esclusivamente il potere di proporre il programma di sperimentazione,
 incombendo   su   di  essa  l'obbligo  di  motivare  "le  ragioni  di
 convenienza economica del progetto gestionale, di miglioramento della
 qualita' dell'assistenza e di coerenza con le  previsioni  del  Piano
 sanitario  regionale",  nonche'  di  evidenziarne  "gli  elementi  di
 garanzia" sulla base dei  criteri  specificamente  individuati  nelle
 lettere da a) a d).  Il comma 3, inoltre, attribuisce alla conferenza
 Stato-regioni  funzioni di controllo, per il tramite dell'Agenzia per
 i servizi sanitari regionali, dei  risultati  annualmente  conseguiti
 sia sul piano economico che su quello della qualita' dei servizi "ivi
 comprese  le  forme di collaborazione in atto soggetti privati per la
 gestione di compiti diretti di tutela della salute". Sempre ai  sensi
 del  comma 3 "al termine del primo triennio di sperimentazione, sulla
 base dei risultati conseguiti, il Governo e  le  regioni  adottano  i
 provvedimenti  conseguenti".    L'ultimo comma fa divieto alle ASL di
 costituire  societa'  di  capitali  aventi  per  oggetto  sociale  lo
 svolgimento di compiti diretti di tutela della salute al di fuori dei
 programmi  di  sperimentazione  individuati  nei  commi   precedenti.
 Nessuna norma della legge n. 419/1998 delega il Governo il compito di
 dettare una nuova disciplina delle sperimentazioni gestionali.  Anche
 l'art. 10 del d.lgs. n. 229, nel sostituire l'art. 9-bis  del  d.lgs.
 n. 502/1992, viola pertanto l'art. 76 della Costituzione.  12.2. - Su
 tale  disposizione la conferenza dei Presidenti delle regioni e delle
 province  autonome  aveva,  inoltre,  proposto  emendamenti  ritenuti
 essenziali.  Era  stata, infatti, proposta la seguente modifica:  "la
 conferenza  Stato-regioni  definisce   i   criteri   e   le   regioni
 autorizzano.    La  stessa  conferenza  vigila  sull'andamento  delle
 sperimentazioni indicando eventuali modifiche, integrazioni  o  anche
 necessita'   di  interruzioni.  Va  in  ogni  caso  previsto  che  la
 partecipazione dei  privati  puo'  coprire  fino  al  49%  e  che  la
 esclusione  del  subappalto  deve  riguardare  solo  le  attivita' di
 diretta  assistenza".  Vanno,  pertanto,  richiamate  le  censure  di
 incostituzionalita'  mosse  a  tale  disposizione  supra  sub par. 2.
 12.3. - L'art.  9-bis  del  d.lgs.  n.  502/1992  cosi'  definiva  le
 sperimentazioni  gestionali:  "Le sperimentazioni gestionali previste
 dall'art. 4, comma 6, della legge  30  dicembre  1991,  n.  412  sono
 attuate  attraverso  convenzioni con organismi pubblici e privati per
 lo svolgimento in forma  integrata  sia  di  opere  che  di  servizi,
 motivando  le ragioni di convenienza, di miglioramento della qualita'
 dell'assistenza  e  gli  elementi  di  garanzia  che  supportano   le
 convenzioni medesime.  A tal fine la regione puo' dar vita a societa'
 miste  a  capitale  pubblico  e  privato". Il comma 2 dell'art. 9-bis
 stabiliva, inoltre, che: "in sede di prima attuazione, la  conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome di Trento e Bolzano individua nove  aziende  unita'  sanita'
 locali  e/o ospedaliere, equamente ripartite nelle circoscrizioni del
 Nord,  Centro  e  Sud  Italia,  in   cui   effettuare   le   predette
 sperimentazioni".    La  previsione  da  parte  del  d.lgs. n. 229 di
 un'autorizzazione  centrale  della  conferenza   Stato-regioni,   per
 l'adozione    in    sede    regionale    di    modelli   sperimentali
 (pubblico-privato)   allo   stato   attuale   risulta    del    tutto
 ingiustificata,   prolungando   immotivatamente  la  "fase  di  prima
 attuazione"  prevista  dal  d.lgs.  n. 502/1992 e non tiene, inoltre,
 conto del contesto normativo generale che prevede gia' nella legge n.
 142/1990 la possibilita' per gli enti locali  di  costituire  aziende
 miste.  Tale  disposizione, infatti, vincola in maniera considerevole
 le possibili esperienze di collaborazione  tra  pubblico  e  privato,
 individuando  percorsi molto rigidi nel definire l'iter procedurale e
 autorizzativo dei progetti.
   13. - Violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118  della  Costituzione
 da  parte dell'art. 13, recante "Modificazioni all'art. 15 del d.lgs.
 20 dicembre 1992, n. 502".   L'art.  13  sostituisce  l'art.  15  del
 d.lgs.  n.  502/1992  e  aggiunge a tale disposizione gli articoli da
 15-bis  a 15-undecies.  L'intera materia e' stata sottoposta a  forti
 critiche  da parte del mondo medico, per svariati profili, alcuni dei
 quali di grave rilievo costituzionale (basti pensare alla  violazione
 del  tradizionale  principio  della salvezza dei diritti quesiti). La
 materia  viene  qui  affrontata  per  la  sola  parte  di   interesse
 (giuridicamente  rilevante)  regionale,  in quanto le scelte compiute
 dal governo centrale si riverberano  sui  profili  di  organizzazione
 sanitaria  dell'ente  regionale.    13.1. - Nel sostituire l'art. 15,
 comma 1, del d.lgs. n. 502/1992,  l'art.  13  stabilisce  che  "Fermo
 restando  il  principio  dell'invarianza  della  spesa,  la dirigenza
 sanitaria e' collocata  in  un  unico  ruolo,  distinto  per  profili
 professionali,  ed  in un unico livello, articolato in relazione alle
 diverse responsabilita' professionali  e  gestionali.    In  sede  di
 contrattazione  collettiva nazionale sono previste, in conformita' ai
 principi e alle dirigenziali nonche' per l'assegnazione,  valutazione
 e  verifica  degli  incarichi  dirigenziali  e per l'attribuzione del
 relativo trattamento economico  accessorio  correlato  alle  funzioni
 attribuite  ed  alle  connesse responsabilita' del risultato".  A tal
 proposito, l'art. 2, comma 1, lett. q),  della  legge  n.  419  aveva
 affidato  al  Governo  il  compito  di  "prevedere  le  modalita' per
 pervenire per aree, funzioni ed obiettivi, a regime, all'esclusivita'
 del  rapporto  di  lavoro,  quale  scelta  individuale  per  il  solo
 personale  della  dirigenza sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998 da
 incentivare anche con il  trattamento  economico  aggiuntivo  di  cui
 all'art.  1,  comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo
 le  modalita'  applicative  definite  in   sede   di   contrattazione
 collettiva   nazionale   di   lavoro".     Dal  confronto  delle  due
 disposizioni risulta evidente come l'art.   13, nella  parte  in  cui
 sostituisce  l'art.  15,  comma 1, del d.lgs.   n. 502/1992 eccede la
 delega contenuta all'art. 2, comma 1,  lett.    q),  della  legge  n.
 419/1998,  violando,  pertanto  l'art.  76  della  Costituzione.   Si
 potrebbe, a tal proposito, eccepire che il livello unico dirigenziale
 e'  stato  introdotto  dal  d.lgs.  n.  29/1993,  entrato  in  vigore
 successivamente  al  d.lgs.  n.  502/1992.    Tuttavia,  anche  se si
 aderisce  alla  tesi  in  base  alla  quale  il  d.lgs.  n.   29/1993
 costituisce  una  legge  di  principi,  e  che,  in  quanto  tale, le
 disposizioni in esso contenute devono ritenersi applicabili  a  tutta
 la  dirigenza, compresa la dirigenza medica, non si spiega, in primo,
 luogo perche' il Governo,  eccedendo  la  delega,  abbia  sentito  la
 necessita' di confermare la disciplina gia' dettata dal d.lgs.  n. 29
 e,  in secondo luogo, per quale motivo il Governo abbia disciplinato,
 con il d.lgs. n. 229, anche materie, quali  l'orario  di  lavoro,  la
 formazione,  la  mobilita' del personale, che il d.lgs. n. 29/1993 ha
 riservato  espressamente  alla  contrattazione  collettiva,  come  si
 desume dal combinato disposto degli  artt.  2  e  45  del  d.lgs.  n.
 29/1993.    La  soppressione  dei  due livelli di dirigenza medica ha
 comportato, inoltre, il venir meno  della  prerogativa  regionale  di
 nominare un componente della Commissione selezionatrice per l'accesso
 al  secondo  livello  secondo quanto stabilito nel testo dell'art. 15
 del d.lgs.  n. 502/1992, prima delle modifiche apportate  dal  d.lgs.
 n.  229.   Fuori delega pare altresi' la soppressione dei rapporti di
 lavoro a tempo definito per la dirigenza  sanitaria  (nel  testo  del
 nuovo art. 15-bis, comma 3). Infatti, concettualmente, l'esclusivita'
 del  rapporto  di  lavoro  della  dirigenza  sanitaria, prevista come
 principio dall'art. 2, comma  1,  lett.  q)  della  delega,  e'  cosa
 diversa  dal  rapporto  di  lavoro  a tempo pieno o a tempo definito:
 l'esclusivita'  implica  l'impossibilita'  di  svolgere  lavori   per
 soggetti  concorrenti  con  il SSN; il carattere a tempo definito del
 rapporto permette  di  avere  altre  attivita'  (secondo  la  recente
 normativa,  un  dipendente  pubblico puo' scegliere la collocazione a
 tempo definito per svolgere una attivita' diversa e non  confliggente
 con  quella  principale).    La  soppressione  dei  rapporti  a tempo
 definito e' fonte di aumento  di  spesa  e  comporta  comunque  gravi
 problemi  organizzativi alle regioni.  13.2. - L'art. 13, nella parte
 in cui aggiunge  dopo  l'art.  15  del  d.lgs.  n.  502/1992,  l'art.
 15-sexies,   detta   disposizioni   in  ordine  all'attivita'  libero
 professionale extramuraria, stabilendo che:  "il rapporto  di  lavoro
 dei  dirigenti  sanitari  in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai
 sensi  dell'art.  1,  comma  10  della  legge  n.  662/1996,  abbiano
 comunicato   al   direttore   generale   l'opzione   per  l'esercizio
 dell'attivita' libero professionale extramuraria e che non  intendano
 revocare detta opzione, comporta la totale disponibilita' nell'ambito
 dell'impegno   di   servizio,  per  la  realizzazione  dei  risultati
 programmati  e  lo  svolgimento  delle  attivita'  professionali   di
 competenza.  Le  Aziende  stabiliscono  i volumi e le tipologie delle
 attivita' e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti  ad
 assicurare,  nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere
 effettuate".   Anche  tale  disciplina  deve  ritenersi  viziata  per
 eccesso  di  delega:    l'art.  2,  comma 1, lett. q), della legge n.
 419/1998 ha, infatti, delegato il Governo esclusivamente a "prevedere
 le modalita' per prevenire, all'esclusivita' del rapporto di  lavoro"
 e   non   certo   a  disciplinare  l'attivita'  libero  professionale
 extramuraria.   Anche tale disposizione viola,  pertanto,  l'art.  76
 della  Costituzione,  nonche'  gli artt. 117 e 118 della Costituzione
 nella parte  in  cui,  nell'attribuire  alle  Aziende  il  potere  di
 individuare   "volumi   e   le  tipologie  delle  attivita'  e  delle
 prestazioni che  i  singoli  dirigenti  sono  tenuti  ad  assicurare,
 nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate",
 non  prevede  alcuna  forma di coinvolgimento delle regioni.  13.3. -
 L'art. 13, risulta, inoltre, viziato di eccesso di delega nella parte
 in cui aggiunge all'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992 l'art.  15-quater,
 comma 4.  L'art. l5-quater infatti, dopo aver stabilito, al comma  3,
 che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto,
 tutti  i  dirigenti  in servizio alla data del 31 dicembre 1998, sono
 tenuti a comunicare al direttore  generale  l'opzione  in  ordine  al
 rapporto  esclusivo, al successivo comma 4 prevede che: "il dirigente
 sanitario con rapporto di  lavoro  esclusivo  non  puo'  chiedere  il
 passaggio  al  rapporto di lavoro non esclusivo". Mentre, al comma 2,
 stabilisce che: "Salvo quanto previsto al comma  1,  i  dirigenti  in
 servizio  alla  data  del  31  dicembre  1998,  che  hanno optato per
 l'esercizio dell'attivita' libero professionale extramuraria passano,
 a domanda, al rapporto di lavoro esclusivo". Dunque, una volta che il
 dirigente abbia optato per  il  rapporto  esclusivo,  non  puo'  piu'
 chiedere  il passaggio a quello non esclusivo, mentre e' possibile il
 contrario.  A  tal  proposito  va  ricordato  che  la  delega   aveva
 incaricato  il  Governo  di  "prevedere le modalita' per prevenire...
 all'esclusivita' del rapporto di lavoro, quale scelta individuale per
 il solo personale della dirigenza sanitaria in ruolo al  31  dicembre
 1998".  L'art.  13,  nella  parte  in cui introduce l'art. 15-quater,
 comma 4, del d.lgs. n.  502/1992,  viola  pertanto  l'art.  76  della
 Costituzione.   13.4. - L'art. 15-quinquies, comma 5, come introdotto
 dall'art.   13 del d.lgs. n.  229,  prevede  che  "gli  incarichi  di
 direzione  di  struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto
 di lavoro esclusivo" cosi' vietando  che  possano  essere  attribuiti
 incarichi di direzione ai dirigenti sanitari che scelgono l'attivita'
 extramuraria.    La  possibilita'  di ricondurre questa sanzione alla
 citata lett.  q) della delega appare assai  dubbia;  sicuri  appaiono
 alcuni  profili di incostituzionalita', pur se qui non rilevanti, del
 trattamento deteriore fatto a chi  sceglie  l'attivita'  extramuraria
 dall'art.   72 della legge n. 448 del 1998, e confermato dal comma 10
 del medesimo art.  15-quinquies;  altrettanto  sicura,  e  di  sicuro
 interesse   regionale,  appare  la  violazione  dell'art.  97  Cost.,
 laddove, con un  ukase  che  non  ammette  repliche  e  che  richiede
 immediata  applicazione,  si  impone  alle  regioni  ed  alle  ASL di
 rinunziare all'esperienza di  tutti  i  dirigenti  sanitari  che  non
 vorranno  optare  per  il  rapporto esclusivo (ai quali si continua a
 dimidiare il trattamento economico e  a  negare  la  possibilita'  di
 verifica sui risultati).
   14.  -  Violazione  degli  artt.  76, 117 e 118 della Costituzione,
 anche in relazione al d.lgs. 28 gennaio 1997  e  alla  giurisprudenza
 costituzionale  in  materia  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e
 regioni, da parte dell'art. 16, recante  "Commissione  nazionale  per
 l'accreditamento  e  la  qualita'  dei servizi sanitari".   L'art. 16
 aggiunge all'art. 19 del d.lgs. n. 502/1992 gli art.    da  19-bis  a
 19-quinquies.    14.1.  - Nella parte in cui introduce l'art. 19-bis,
 comma 1, all'art.  19 del d.lgs. n. 502/1992, l'art.  16  istituisce,
 presso  l'Agenzia  per  i  servizi sanitari regionali, la Commissione
 nazionale per l'accreditamento e la qualita'  dei  servizi  sanitari,
 composta  da  "dieci  esperti  di  riconosciuta  competenza a livello
 nazionale in materia di organizzazione e programmazione dei  servizi,
 economia, edilizia e sicurezza nel settore della sanita'", stabilendo
 che  con  successivo regolamento, da adottarsi ai sensi dell'art. 17,
 comma 1, della legge n. 400/1988, dovranno esserne definiti modalita'
 di organizzazione e funzionamento.   A  tale  Commissione  l'art.  16
 attribuisce le seguenti funzioni: a) definisce i requisiti in base ai
 quali  le  regioni individuano i soggetti abilitati alla verifica del
 possesso dei requisiti per l'accreditamento delle strutture pubbliche
 e private di cui all'art. 8-quater, comma 5; b)  valuta  l'attuazione
 del  modello  di  accreditamento  per le strutture pubbliche e per le
 strutture  private;  c)  esamina  i   risultati   dell'attivita'   di
 monitoraggio  condotta, ai sensi del comma 3, dalle regioni in ordine
 allo   stato   di   attuazione  delle  procedure  di  accreditamento.
 L'istituzione,  la  disciplina,  e  le  funzioni  della   Commissione
 nazionale  per  l'accreditamento  e la qualita'  dei servizi sanitari
 non rientrano nell'oggetto della delega di cui all'art. 2,  comma  1,
 lett.  gg),  della  legge  n.  419/1998,  che  attribuisce al Governo
 esclusivamente il compito  "definire  un  modello  di  accreditamento
 rispondente   agli   indirizzi  del  piano  sanitario  nazionale,  in
 applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del decreto del Presidente
 della  Repubblica  14  gennaio  1997,  pubblicato   nel   Supplemento
 ordinario  alla  Gazzetta  Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997 ...".
 Se, infatti, il Governo e' stato delegato a definire  un  modello  di
 accreditamento  non  risulta  che  esso sia stato anche incaricato di
 costituire un apposito organismo deputato a  definire  i  criteri  in
 base  ai  quali  le  regioni  individuano  i  soggetti abilitati alla
 verifica  del  possesso  dei  requisiti  per  l'accreditamento  delle
 strutture  pubbliche e   private di cui all'art. 8-quater, comma 5, a
 valutare  la  realizzazione  concreta  di  tale  modello  nonche'  ad
 esaminare  i  risultati  dell'attivita'  di monitoraggio svolta dalle
 regioni sullo stato di attuazione delle procedure di  accreditamento.
 Tanto piu' che la norma in questione non esprime il criterio in  base
 al   quale   tale   valutazione   dovra'  avvenire,  lasciando  piena
 discrezionalita' alle decisioni alla Commissione.  La disposizione in
 oggetto risulta, pertanto, non solo posta in violazione dell'art.  76
 della    Costituzione,    ma    anche    lesiva    delle   competenze
 costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza
 sanitaria e confermate dalla giurisprudenza di codesta  ecc.ma  Corte
 in  materia  di  accreditamento  (cfr. sentenza n. 416/1995).  Non si
 prevede,  infatti,  alcuna  forma  di  coinvolgimento  delle  regioni
 nell'attivita'  della  Commissione. Ne' si prevede che facciano parte
 della Commissione rappresentanti delle regioni.  14.2. - In ordine  a
 tale   disposizione,   inoltre,   si   era   espressa  la  conferenza
 Stato-regioni nel parere rilasciato in data 6  maggio  1999.  Tra  le
 osservazioni  relative  ad  emendamenti  ritenuti essenziali si legge
 "Art.   19-bis:   i   compiti   della   Commissione   nazionale   per
 l'accreditamento   e   la   qualita'   dei  servizi  vanno  demandati
 all'Agenzia  per  i  servizi  sanitari   regionali,   garantendo   la
 partecipazione  delle  societa'  scientifiche accreditate, e andranno
 svolti in coerenza con gli obiettivi indicati  nel  P.S.N.".    Vanno
 pertanto  mosse  anche  nei confronti di tale disposizione le censure
 gia'  rivolte  in  generale  supra  sub  par.  2,  a   tutte   quelle
 disposizioni  del  decreto  nella  cui  formulazione non si e' tenuto
 conto delle osservazioni regionali. L'art.  19-ter  viola,  pertanto,
 gli  artt.  117 e 118 della Costituzione anche in relazione al d.lgs.
 n. 281/1997 e alla giurisprudenza costituzionale in materia di  leale
 collaborazione tra Stato e regioni.
   15.   -  Violazione  dell'art.  119  della  Costituzione  da  parte
 dell'art.  16 del d.lgs. n. 229 del 1991  e  dell'art.  1,  comma  4,
 della  legge  n.  419 del 1998.   Costituisce principio generalissimo
 della finanza regionale,  in  specie  in  materia  sanitaria,  quello
 secondo  cui lo Stato "non puo' addossare al bilancio regionale oneri
 relativi  alla  spesa  sanitaria  che  derivano  da   decisioni   non
 imputabili  alle  regioni  stesse" (Corte cost., sentenze nn. 452 del
 1989; 416 del 1995).  Ora, nonostante le assicurazioni rese  in  sede
 politica, e' accertato (anche dal Servizio Bilancio del Senato, nella
 nota  citata)  che  il  decreto  avra'  effetti  finanziari  oggi non
 controllabili. La stessa legge delega (art. 1, comma 4)  prevede  che
 "l'esercizio  della  delega  ...  non comporta complessivamente oneri
 aggiuntivi per il bilancio dello Stato e degli enti di cui agli artt.
 25  e  27  della  legge  5  agosto  1978,   n.   468   e   successive
 modificazioni".    Il decreto legislativo, cosi', non contiene alcuna
 garanzia che le maggiori spese provocate  dalla  sua  attuazione  non
 ricadano - per scelte organizzative impostate ed effettuate a livello
 centrale - sul sistema regionale.  Non e' sufficiente all'uopo l'art.
 1  del  d.lgs.  n. 229, nella parte in cui introduce un nuovo art. 1,
 comma 3 nel d.lgs. n. 502, ai sensi del quale  "l'individuazione  dei
 livelli  essenziali  e uniformi di assistenza assicurati dal servizio
 sanitario nazionale, per il periodo di validita' del piano  sanitario
 nazionale,  e'  effettuata  contestualmente  all'individuazione delle
 risorse finanziarie destinate al servizio  sanitario  nazionale,  nel
 rispetto  delle  compatibilita'  finanziarie  definite  per  l'intero
 sistema  di  finanza  pubblica  nel   documento   di   programmazione
 economico-finanziaria.      Le   prestazioni   comprese  nei  livelli
 essenziali  di  assistenza  sono  garantite  dal  servizio  sanitario
 nazionale  a  titolo  gratuito o con partecipazione alle spese, nelle
 forme e nelle  modalita'  previste  dalla  legislazione  vigente"  ed
 ancora  meno  e' sufficiente l'art.  16, nella parte in cui introduce
 un art. 19-quinquies nel d.lgs.  n. 502 (che  prevede  una  relazione
 sugli  effetti  finanziari  del  Ministro  della  sanita')  e un art.
 19-ter, che prevede generiche misure di sostegno,  ma  non  certo  la
 copertura   dei   disavanzi  sul  bilancio  regionale  provocati  dai
 contraccolpi delle  scelte  politico-organizzative  prese  a  livello
 centrale.    Il  Presidente  della  conferenza  dei  Presidenti delle
 regioni e province autonome, nella citata nota del  17  giugno  1999,
 sottolineava  questi  problemi:  "Richiamo, da ultimo, l'esigenza che
 l'approvazione del decreto legislativo avvenga in un quadro  coerente
 anche  relativamente  agli aspetti economico finanziari e che - oltre
 ad un miglioramento della formulazione della norma inserita nell'art.
 19-quinquies  (finalizzata  a  garantire  che  nella  Relazione   ivi
 prevista   si   tenga   conto   delle   valutazioni   delle   regioni
 sull'effettiva incidenza economica dell'applicazione del  decreto)  -
 siano  da  subito  adottati  i  provvedimenti  e  le misure utili per
 recepire il lavoro svolto dall'apposito tavolo di  confronto  da  Lei
 insediato  su  tali  aspetti.  In  particolare  si  chiede che, anche
 attraverso una tempestiva assunzione al  tavolo  politico  di  quanto
 elaborato  in  sede  tecnica, venga da subito posto mano alla manovra
 necessaria per trasferire alle regioni le risorse sulle  quali  vi  e
 gia'  accordo,  nella  consapevolezza che la corretta quantificazione
 dell'effettivo fabbisogno finanziario  e'  necessaria  non  solo  per
 ''sanare''  gli  anni  pregressi ma per fare del 2000 l'''anno zero''
 della sanita'".
   16. - L'illegittimita' derivata dalla illegittimita' costituzionale
 della legge delega n. 419 del 1998 per violazione dell'art. 76, sotto
 il profilo della generica individuazione dell'oggetto, nonche'  della
 confusa gestione di "oggetto" e "principi" della delega.  Vengono qui
 (sub  parr. 16, 17 e 18) tuzioristicamente riprodotte le censure gia'
 avanzate dalla regione Lombardia avverso la legge delega n.  419  del
 1998,   in   quanto   dalla   illegittimita'   di   questa   consegue
 l'illegittimita' derivata del decreto delegato.  Il d.lgs. n. 229  e'
 illegittimo  per  illegittimita'  derivata dalla illegittimita' della
 legge n. 419 del 1998, per violazione dell'art 76, sotto  il  profilo
 della  generica  individuazione  dell'oggetto  della  delega  e della
 confusa gestione di "oggetto" e "principi".  L'art. 1, comma 1, della
 legge n. 419 del 1998 attribuisce al Governo  l'incarico  di  emanare
 uno  o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni correttive ed
 integrative del d.lgs. n. 502/1992 "sulla base  dei  principi  e  dei
 criteri  direttivi  previsti  dall'art.  2".    Se  si  tiene a mente
 l'insegnamento tradizionale secondo cui  la  delega  legislativa  non
 puo'  riguardare  generiche  materie  o generici settori, bensi' deve
 fare  riferimento  ad  oggetti  definiti  e  precisi,   leggendo   le
 disposizioni  contenute  nell'art.  2  si  evince chiaramente come la
 maggioranza di esse, anziche' dettare principi e  criteri  direttivi,
 talvolta  individuino, talaltra precisino l'oggetto della delega.  In
 sostanza, la legge n. 419/1998 definisce come "oggetto" della  delega
 una  genericissima  "modifica"  ed  "integrazione"  del  d.lgs.    n.
 502/1992, per poi prevedere e qualificare come criteri e principi  di
 tale  oggetto  le  singole  previsioni  delle  lettere  da  a)  a qq)
 dell'art.   2; ma queste, a  ben  vedere,  non  fanno  che  esplicare
 l'oggetto  della  delega, preannunciato dall'art. 1, e solo raramente
 individuano criteri  e  principi.    Ne'  pochi  criteri  e  principi
 indicati  in  alcune  delle  lettere  dell'art.   2, comma 1, possono
 ritenersi estensibili alle altre lettere dello stesso comma,  essendo
 stati  dettati in relazione allo specifico settore disciplinato dalla
 singola lettera.   Esempi piu'  eclatanti  della  confusione  cui  e'
 incorso  il  legislatore delegante sono costituiti dal disposto delle
 lettere c), i), m), n), r), s), u), z), aa), bb), dd), ff), gg), ii),
 pp) e qq) dell'art.  2, comma 1.  Cosa altro e' se non  un  "oggetto"
 della  delega  il "regolare la collaborazione tra i soggetti pubblici
 interessati" (lett. c)); ovvero "attribuire...i compiti e le funzioni
 tecnico scientifici e di coordinamento tecnico all'istituto superiore
 di  sanita',  all'agenzia  per  i  servizi   sanitari   regionali   e
 all'Istituto  superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro"
 (lett. i))?  E si potrebbe continuare: il "ridefinire  il  ruolo  del
 piano  sanitario  nazionale" (lett. aa)) e' solo un possibile oggetto
 della delega al quale mancano principi e  criteri  direttivi.    Che,
 nella  maggior  parte  dei casi, le lettere del comma 1 dell'art.  2,
 contengono "oggetti" senza "principi e criteri" e' infine  dimostrato
 da   quei   rari   casi   in  cui  l'individuazione  dell'oggetto  e'
 accompagnata da qualche indicazione o direttiva d'intervento.  Cosi',
 ad esempio, nel punto cc), si attribuisce la delega al riordino delle
 forme integrative di assistenza sanitaria  "precisando  che  esse  si
 riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed
 essenziali  di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale, con
 questi comunque integrate, ammettendo altresi'  la  facolta'  per  le
 regioni, le province autonome e gli enti locali e per i loro consorzi
 di  partecipare  alla  gestione  delle  stesse  forme  integrative di
 assistenza".   Le norme indicate  si  pongono,  pertanto,  in  chiaro
 contrasto  con  quanto  previsto  dall'art.  76  della  Costituzione,
 richiedendo tale disposizione tra i requisiti della legge  di  delega
 "la  determinazione  dei  principi  e dei criteri direttivi".   A tal
 proposito, codesta ecc.ma Corte ha piu' volte affermato che la  legge
 di   delega  deve  contenere,  oltre  ai  limiti  di  durata  e  alla
 definizione dell'oggetto, anche l'indicazione dei principi e  criteri
 direttivi  e che "all'uopo il precetto costituzionale e' da ritenersi
 soddisfatto  allorche'  sono  date  al  legislatore  delegato   delle
 direttive    vincolanti   ragionevolmente   limitatrici   della   sua
 discrezionalita' e delle  indicazioni  che  riguardino  il  contenuto
 della disciplina delegata, mentre allo stesso legislatore delegato e'
 demandata  la realizzazione, secondo modalita' tecniche prestabilite,
 delle esigenze, delle finalita' e  degli  interessi  considerati  dal
 legislatore  delegante" (sent. 158/1985).  E' pur vero che, in alcuni
 casi, codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto che "la limitatezza  delle
 finalita'   da   raggiungere   giustifica  adeguatamente  la  mancata
 indicazione di principi e criteri specifici" (sent. 299/1993).    Non
 sembra,  tuttavia,  che tale situazione ricorra nel caso di specie, e
 cio' in quanto se dalla lettura dell'art. 1, comma 1, l'oggetto della
 delega sembra essere circoscritto alla modifica e  alla  integrazione
 di  alcune  disposizioni del d.lgs. n. 502/1992, esso, in realta', si
 snoda nelle numerosissime norme contenute nelle lettere del comma  1,
 dell'art. 2, che, a loro volta, intervengono su quasi tutti i settori
 gia'  disciplinati  dal  d.lgs. n. 502/1992.   L'oggetto della delega
 contenuta nella legge n. 419/1998, dunque, non e'  affatto  limitato,
 bensi'  e' molto ampio: la mancata indicazione dei principi non puo',
 pertanto, ritenersi giustificata neppure alla luce di quanto statuito
 dalla giurisprudenza costituzionale.  Ne' si puo'  ritenere  che  nel
 caso di specie la determinazione dei principi e dei criteri direttivi
 sia  avvenuta  per  relationem con riferimento al d.lgs. n. 502/1992.
 Questa ecc.ma Corte ha, infatti, affermato che "la determinazione dei
 principi  e  dei  criteri  direttivi  di  cui   all'art.   76   della
 Costituzione  ben  puo'  avvenire  per relationem, con riferimento ad
 altri atti  normativi,  purche'  sufficientemente  specifici"  (sent.
 157/1985).    Nel testo degli artt. 1 e 2 non e', invece, rinvenibile
 alcuna norma che disponga il rinvio ai principi desumibili dal d.lgs.
 n.  502/1992.  Sebbene, infatti, alcune delle lettere  contenute  nel
 comma  2 dell'art.  1, contengano disposizioni di completamento della
 disciplina  introdotta  dal  d.lgs.  n.  502/1992,  e,   come   tali,
 potrebbero  ritenersi ispirate ai principi desumibili da tale decreto
 legislativo, la maggioranza di esse detta  disposizioni  di  modifica
 spesso contrastanti con tali principi. Negli artt. 1 e 2, e', dunque,
 ravvisabile  una  sostanziale carenza o, quantomeno insufficienza dei
 principi e criteri direttivi  richiesti  dall'art.  76  Cost.,  quali
 requisiti  necessari  della legge di delega.  Incongrua, incoerente e
 in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e' poi la struttura  di
 tutte  le  disposizioni  di  delega.   La formula secondo cui oggetto
 della delega sono "disposizioni modificative e integrative del d.lgs.
 30 dicembre 1992, n. 502"  e'  contraddetta  dal  lunghissimo  elenco
 dell'art.  2.   Sembra quasi che non si sia voluto definire la delega
 come delega alla riorganizzazione del  sistema  sanitario  e  si  sia
 invece  voluto  simulare  il  reale  intento del legislatore sotto la
 formula anodina e riduttiva  dell'art.  1,  comma  1.    In  realta',
 delegare   il   Governo   ad   emanare  "disposizioni  integrative  e
 modificative" di un altro atto dovrebbe sottintendere la volonta'  di
 muoversi  all'interno  della  logica  e  dei  principi di quell'atto.
 Cio', d'altra parte, sembrerebbe confermato dal comma 2 dell'art.   1
 secondo cui "L'esercizio della delega di cui al comma 1 deve avvenire
 nel  rispetto delle competenze trasferite alle regioni con il decreto
 legislativo  31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del  capo  I  della
 legge 15 marzo 1997, n. 59".  Tutto cio' e' invece contraddetto, come
 si vedra' anche in dettaglio piu' avanti, dai singoli punti dell'art.
 2,  che si pongono talvolta in netta contraddizione con le scelte del
 d.lgs. n. 502/1992, confermate, peraltro, dal d.lgs. n. 112/1998.
   17. - L'illegittimita' derivata dalla illegittimita' dell'art.   1,
 commi  2  e  3,  della legge n. 419 del 1998 per violazione dell'art.
 117 della Costituzione in relazione al Titolo V del d.lgs.  31  marzo
 1998,  n.  112,  al  d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e al principio di
 leale collaborazione tra Stato e regioni.  Il d.lgs.  e'  illegittimo
 per  illegittimita'  derivata  della legge delega, nella parte in cui
 essa prevede il parere della conferenza-unificata, di cui all'art.  8
 del  d.lgs.  n.  281/1997, e non gia' della conferenza Stato-regioni.
 Si ribadiscono anche in questa sede i motivi di  ricorso  avverso  la
 legge  delega.  Il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, nel disciplinare le
 funzioni  della  conferenza  Stato-regioni,  all'art.  2,  comma   3,
 stabilisce   espressamente   che   la   conferenza  Stato-regioni  e'
 obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegno di legge e
 di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie  di
 competenza delle regioni.  Nella sentenza n. 408/1998, la Corte cosi'
 commenta  tale  disposizione  "L'art.  2,  comma 3, del d.lgs. n. 281
 stabilisce   che    essa    (la    conferenza    Stato-regioni)    e'
 obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di legge e di decreto
 legislativo  o di regolamento del Governo nelle materie di competenza
 delle   regioni,   generalizzando   la   partecipazione    consultiva
 obbligatoria  sull'attivita'  e sull'iniziativa normativa del Governo
 nelle materie regionali".   Quanto alle competenze  della  conferenza
 unificata  l'art.  9,  comma  2 del d.lgs. n. 281/1997 stabilisce che
 essa "e' comunque competente in tutti i casi in cui regioni, comuni e
 comunita' montane ovvero la conferenza Stato-regioni e la  conferenza
 Stato-citta'  debbano  esprimersi  sul medesimo oggetto".   L'art. 2,
 inoltre,  alla  lett.  a),  nello  specificare  le  competenze  della
 conferenza  unificata, stabilisce che essa esprime parere sul disegno
 di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati; sul disegno di
 programmazione economica  e  finanziaria;  sugli  schemi  di  decreto
 legislativo  adottati  in  base  all'art.  1  della legge n. 59/1997.
 Anche alla luce  di  quanto  stabilito  dall'art.  2  del  d.lgs.  n.
 281/1997,   dunque,  la  competenza  della  conferenza  unificata  ad
 esprimere  parere  in  ordine  agli  schemi  di  decreto  legislativo
 contemplati  dall'art.    1  della  legge  n. 419/1998 deve ritenersi
 esclusa.  Ne', d'altra parte, e' possibile  ritenere  una  competenza
 della  conferenza  unificata in materia sulla base di quanto previsto
 dalla prima parte del comma 2 dell'art. 9, del  d.lgs.  n.  281/1997,
 dove  si  stabilisce che la conferenza unificata e' competente quando
 la conferenza Stato-regioni e  la  conferenza  Stato-citta'  "debbano
 esprimersi  sul  medesimo  oggetto".    Dalla  lettura  del  comma  5
 dell'art. 9, che disciplina le funzioni della conferenza Stato-citta'
 non e' possibile desumere  competenze  della  stessa  in  materia  di
 assistenza  sanitaria:  tale  norma, infatti, riconduce le competenze
 della  conferenza  Stato-citta'  essenzialmente  alla   sfera   degli
 interessi che fanno capo alle autonomie locali.  D'altra parte, se e'
 vero  che  questa  ecc.ma  Corte,  nel  pronunciarsi  in  ordine alla
 questione di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla  regione
 Puglia in ordine alla unificazione della conferenza Stato-regioni con
 la  conferenza  Stato-citta',  attuata con il d.lgs.  n. 281/1997, ha
 riconosciuto che la previsione della conferenza unificata costituisce
 "una  scelta  discrezionale  del  legislatore non in contrasto con la
 Costituzione", e' anche vero che questa ecc.ma Corte ha  ritenuto  la
 legittimita'   costituzionale   della   conferenza  unificata  "quale
 strumento di raccordo fra Governo e  autonomie,  allorche'  siano  in
 discussione  argomenti  di  interesse  comune vuoi delle regioni vuoi
 degli enti locali" (sent. n. 408/1998).  E la materia dell'assistenza
 sanitaria in quanto rientrante nella competenza  delle  regioni,  non
 sembra  possa ritenersi, se non in maniera molto limitata, e comunque
 generica, di interesse comune delle regioni e degli enti locali.
   18. - L'illegittimita' derivata dalla  illegittimita'  della  legge
 delega  n.  419  del  1998 sotto tutti i profili gia' evidenziati nel
 ricorso avverso la legge n. 419 del 1998.  Oltre a due motivi di  cui
 sub parr. 16 e 17, relativi all'illegittimita' derivata del d.lgs. n.
 229,  per  illegittimita'  della delega, sotto i due profili generali
 ivi evidenziati, si intendono in ogni caso  richiamati  e  riprodotti
 tutti  gli  altri  motivi  di ricorso avverso la legge delega n. 419,
 gia' avanzati dalla regione Lombardia nel ricorso notificato in  data
 5  gennaio  1999,  per la parte e nella misura in cui le disposizioni
 impugnate  hanno  trovato  attuazione  in  disposizioni  del  decreto
 delegato.    Cio'  vale  per la lamentata violazione del principio di
 parita' tra soggetti pubblici e  soggetti  privati  (motivo  4);  per
 l'ingerenza   comunale   nei   procedimenti  decisionali  in  materia
 sanitaria  (motivo  5);  per  la  mancata  o  ridotta  partecipazione
 regionale  al  processo  di  formazione del Piano sanitario nazionale
 (motivo 6); per l'eccesso di dettaglio in materia di attivazione  dei
 distretti    (motivo    7);    per   la   delega   alla   definizione
 dell'accreditamento (motivo 8);  per  l'ingerenza  nella  definizione
 delle  ASL  e delle Aziende ospedaliere (motivo 9); per la disciplina
 della remunerazione (motivi 10 e 11); per il ruolo dell'Agenzia per i
 servizi sanitari regionali (motivo 12).
                               P. Q. M.
   Chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del
 ricorso, voglia dichiarare:
     l'illegittimita' costituzionale del d.lgs. n. 229  del  1999,  in
 toto, per violazione degli artt. 73 e 76 Cost., in relazione all'art.
 1,  comma  1,  della  legge  n.  419  del 1998; sempre per violazione
 dell'art.   76 Cost., in  relazione  agli  artt.  117  e  118  Cost.,
 all'art.  1,  comma  3, della legge n. 419 del 1998, al d.lgs. n. 281
 del 1997 e al principio di leale collaborazione tra Stato e  regioni;
 e,   ancora,   per   illegittimita'   derivata  dalla  illegittimita'
 costituzionale, per violazione dell'art.   76  Cost.,  nonche'  degli
 artt.  117,  118, 119, 3 e 97 Cost., della legge di delega n. 419 del
 1998;
     ovvero l'illegittimita' costituzionale degli artt. 3, nella parte
 in cui introduce l'art. 3-bis, comma 15, del d.lgs. n.  502/1992;  4,
 comma  2  nella  parte  in cui aggiunge il comma 1-ter all'art. 4 del
 d.lgs. n. 502/1992; 4, comma 2, nella parte in cui introduce il comma
 1-octies all'art. 4 del d.lgs. n. 502; 5, comma 1, nella parte in cui
 introduce l'art. 5-bis del d.lgs. n. 502, comma 3; 7, comma 1,  nella
 parte  in  cui introduce l'art. 7-quater del d.lgs.  n. 502, comma 2;
 1, comma 14; 4; 8-quinquies, comma 2; 8-sexies,  commi  4  e  5;  10,
 nella parte in cui modifica l'art. 9-bis del d.lgs.  n. 502 del 1992;
 16, nella parte in cui introduce l'art. 19-bis, del d.lgs. n. 502 del
 1992;  per violazione dell'art. 76 Cost., in relazione agli artt. 117
 e 118 Cost., all'art. 1, comma 3, della legge n.  419  del  1998,  al
 d.lgs.  n.  281  del  1997 e al principio di leale collaborazione tra
 Stato e regioni;
     nonche' l'illegittimita' costituzionale degli articoli:
      1, nella parte in cui introduce  un  nuovo  testo  dell'art.  1,
 commi  10,  14,  17  e 18, del d.lgs. n. 502 del 1992, per violazione
 degli artt. 117, 118 e 3 della Costituzione, anche  in  relazione  al
 d.lgs.  n.  112  del  1998  e  al d.lgs. n. 281 del 1997, nonche' per
 violazione dell'art. 76 Cost., in  relazione  all'art.  2,  comma  1,
 lett. b) e h) della legge n. 419 del 1998;
      2,  nella  parte  in  cui introduce i commi 2-ter, 2-quinquies e
 2-octies dell'art. 2 del d.lgs. n. 502 del 1992, per violazione degli
 artt. 5, 76, 117 e 118 Cost., in relazione all'art. 2, comma 1, lett.
 b) della legge n. 419 del 1998 e agli artt. 115 e  5  del  d.lgs.  31
 marzo 1998, n. 112;
      3,  nella  parte  in  cui introduce gli artt. 3-bis commi 1 e 3,
 3-ter, 3-quater, 3-quinquies, 3-sexies del d.lgs. n. 502 del  1992  e
 sostituisce  il  comma  1  del  medesimo art. 3, per violazione degli
 artt. 117, 118, 97 e 76 Cost.;
      4, in toto nella parte in cui modifica l'art. 4  del  d.lgs.  n.
 502  del  1992,  nonche' al comma 3, nella parte in cui abroga l'art.
 4, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992, per  violazione  degli  artt.
 76,  97,  117, 118, 3 e 97 Cost., anche in relazione al d.lgs. n. 281
 del 1997 e al principio di leale collaborazione tra Stato e regioni;
      5, nella parte in cui sostituisce l'art. 5 del d.lgs. n. 502 del
 1992, per violazione degli artt.  76,  117  e  118  Cost.,  anche  in
 relazione all'art. 13 della legge n. 127 del 1997;
      5,  nella  parte  in  cui  introduce  l'art. 5-bis, comma 1, nel
 d.lgs.  n. 502 del 1992, per violazione dell'art. 119 Cost.;
      7, nella parte in cui introduce l'art. 7-quinquies, comma 3, nel
 d.lgs. n. 502 del 1992, per violazione  dell'art. 76 Cost.;
      8, nella parte in cui introduce gli artt. 8-bis, comma 3, 8-ter,
 commi 2, 3, 4 e 5, 8-quater,  8-quinquies,  8-sexies  8-septies,  nel
 d.lgs.  n.  502  del 1992, per violazione degli artt. 3, 41, 76, 117,
 118 e 119 Cost., anche in relazione al d.lgs. n. 281 del 1997  ed  al
 principio di leale collaborazione tra Stato e regioni;
      9, nella parte in cui sostituisce l'art. 9 del d.lgs. n. 502 del
 1992,  per  violazione  degli  artt. 3 e 119 Cost., nonche' dell'art.
 76, anche in relazione all'art. 2, comma 1, lett. cc), della legge n.
 419 del 1998;
      10, nella parte in cui modifica l'art. 9-bis, del d.lgs. n.  502
 del 1992, per violazione degli artt. 76, 117 e 118  Cost.,  anche  in
 relazione  al  d.lgs.  n.  281  del  1997  ed  al  principio di leale
 collaborazione tra Stato e regioni;
      13, nella parte in cui sostituisce l'art. 15 del d.lgs.  n.  502
 del  1992  e  introduce  ivi  gli  artt.  15-bis, comma 3, 15-quater,
 15-quinquies, commi 5 e 10, 15-sexies, per violazione degli artt. 76,
 97, 117 e 118 Cost.;
      16, nella parte in cui introduce l'art. 19-bis,  nel  d.lgs.  n.
 502  del  1992, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost., anche
 in relazione al d.lgs. n. 281 del  1997  ed  al  principio  di  leale
 collaborazione tra Stato e regioni;
      16,  nella  parte  in  cui  introduce  l'art.  19-ter  e  l'art.
 19-quinquies nel d.lgs. n. 502 del 1992, per violazione dell'art. 119
 Cost.
      Roma-Milano, addi' 6 agosto 1999.
                Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto
 99C0895