N. 501 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 1999

                               N. 501
  Ordinanza emessa il 30 aprile  1999  del  pretore  di  Verbania  nel
 procedimento penale a carico di Bertelli Stefano Marco
 Processo  penale - Riunione di processi - Possibilita' di disporre la
    riunione soltanto per i processi pendenti  nello  stesso  stato  e
    grado davanti al medesimo giudice - Preclusione per il giudice, ai
    fini  della riunione, di sospendere il dibattimento ed ordinare al
    pubblico ministero di esercitare l'azione penale o  di  richiedere
    l'archiviazione  nel  procedimento  la  cui  prova influisce sulla
    prova del reato da giudicare -  Lesione  dei  diritti  inviolabili
    dell'uomo - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento - Lesione
    del  diritto  di  azione  -  Violazione  dei  principi del giudice
    naturale precostituito per legge, di buon andamento della pubblica
    amministrazione e di obbligatorieta' dell'azione penale.
 Processo penale -  Procedimento  davanti  al  pretore  -  Decreto  di
    citazione  a  giudizio  -  Casi  di  nullita'  - Ipotesi in cui il
    pubblico ministero abbia omesso di istruire e prendere le  proprie
    determinazioni  in  ordine  alla  notizia  di  reato  la cui prova
    influisce sulla prova  del  reato  per  cui  e'  stata  esercitata
    l'azione  penale  -  Mancata  previsione  -  Lesione  dei  diritti
    inviolabili dell'uomo - Disparita' di trattamento  -  Lesione  del
    diritto  di  azione - Violazione dei principi del giudice naturale
    precostituito  per  legge,  di  buon  andamento   della   pubblica
    amministrazione e di obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, artt. 17 e 555, comma 2).
 (Cost., artt. 2, 3, 24, 25, 97 e 112).
(GU n.39 del 29-9-1999 )
                              IL PRETORE
   Premesso che:
     l'imputazione di oltraggio formulata a carico di Bertelli Stefano
 Marco,  con decreto di giudizio immediato 15 dicembre 1998 del g.i.p.
 presso la locale pretura, emesso a seguito di opposizione  a  decreto
 penale  di condanna pronunciato dalla stessa a.g. il 2 novembre 1998,
 origina da una vicenda per la quale il medesimo imputato  ha,  a  sua
 volta,  querelato  il  vigile  urbano  Ramoni  Fulvio per il reato di
 minacce aggravate dalla qualita'  di  pubblico  ufficiale,  con  atto
 depositato  il  20  luglio  1998  presso  la  stazione Carabinieri di
 Cannobio;
     presentata opposizione  al  decreto  penale  sopra  indicato,  il
 difensore  dell'imputato  chiedeva  formalmente  al procuratore della
 Repubblica presso la locale pretura, con istanza  11  dicembre  1998,
 che  detta  a.g.  emettesse  il  decreto  di citazione a giudizio nei
 confronti del Ramoni  Fulvio  "onde  poi  consentire  all'interessato
 Bertelli   Stefano  di  chiedere  aI  pretore  la  riunione  dei  due
 processi";
     il procuratore della Repubblica rigettava oralmente l'istanza non
 ritenendo   necessaria   la   riunione  e  riservandosi  di  valutare
 l'emissione del decreto di citazione a  giudizio  nei  confronti  del
 Ramoni  all'esito  del processo a carico del Bertelli, secondo quanto
 riferito dal difensore di questi in sede di richiesta prove;
     alla data odierna non risulta emesso alcun decreto di citazione a
 giudizio, ne' richiesta di archiviazione a carico del Ramoni  per  il
 reato di minacce aggravate;
                             O s s e r v a
   Le  prove  richieste  dalle  parti consistono sostanzialmente da un
 lato nell'escussione del vigile urbano cui si deve  la  denuncia  per
 oltraggio,  il  ridetto  Ramoni Fulvio, dall'altro nell'escussione di
 Bertelli  Giovanni,  padre  dell'imputato  e  di  Santoro   Pasquale,
 entrambi  indicati  presenti  ai  fatti  gia'  nella  querela  sporta
 dall'imputato, cosi' che  non  vi  e'  dubbio  alcuno  che  l'odierna
 vicenda   processuale   faccia   riferimento  allo  stesso  episodio,
 inquadrato rispettivamente come oltraggio o come  minaccia  aggravata
 dalle  due  parti,  e  che  l'istruttoria  andra'  necessariamente ad
 investire l'esame della sussistenza o meno della  minaccia  da  parte
 del  Ramoni,  quantomeno  al  fine  di esaminare la presenza a favore
 dell'imputato della scriminante della reazione ad atti arbitrari  del
 pubblico ufficiale, la cui estensione e' stata puntualmente precisata
 con sentenza n. 140/1998 della Corte costituzionale;
   In  tale  contesto elemento centrale del giudizio sara' sicuramente
 l'esame dell'attendibilita'  dei  vari  testi,  e  dunque  delle  due
 opposte  versioni,  cosi'  che  in  qualsiasi  caso questo giudice si
 trovera'  di  fatto  a  pronunciarsi   indirettamente   anche   sulla
 commissione  o  meno  da  parte  del Ramoni del reato per il quale e'
 stato querelato;
   L'impossibilita' per il giudice di sospendere il processo a  carico
 del Bertelli ed ordinare al pubblico ministero di prendere le proprie
 decisioni in ordine all'esercizio o meno della azione penale a carico
 del  Ramoni, poiche' la riunione dei processi puo' essere disposta, a
 mente dell'art. 17 c.p.p.,  soltanto  per  "processi  pendenti  nello
 stesso  stato  e grado davanti al medesimo giudice", o in alternativa
 l'impossibilita' di dichiarare la nullita' del decreto di citazione a
 giudizio per aver omesso il pubblico ministero di istruire e prendere
 le proprie determinazioni in ordine alla  notizia  di  reato  la  cui
 prova  influisce  sulla  prova  del reato per cui e' stata esercitata
 l'azione penale, poiche' tale circostanza non e' enunciata  nell'art.
 555/2  c.p.p.  tra  le  cause  di nullita' del decreto di citazione a
 giudizio, non possono che condurre nel presente caso ad una rilevante
 serie di distorsioni processuali, con innegabili riflessi sul diritto
 di difesa  e  sul  corretto  svolgimento  dell'amministrazione  della
 giustizia;
   E'  infatti  evidente  che  il  Ramoni,  unica fonte di prova della
 pubblica accusa, non potra' deporre giurando come teste in forza  del
 divieto  di  cui  all'art.  197,  lett.  b) c.p.p., attesa l'evidente
 connessione interprobatoria di cui all'art. 371/2,  lett.  b)  c.p.p.
 col  procedimento  aperto  a suo carico, perche' la sussistenza della
 minaccia integra necessariamente la scriminante della  reazione  agli
 atti arbitrari del pubblico ufficiale, cosi' che nel caso egli appare
 portatore  di  un  interesse  che  puo'  contrastare con il dovere di
 rispondere secondo verita', con conseguente incompatibilita'  tra  la
 sua situazione processuale e l'ufficio di testimone (cfr. Corte cost.
 sent.   n.   109/1992),  e  dunque  sara'  sottoposto  ad  esame  con
 l'assistenza di un difensore quale  imputato  di  reato  collegato  a
 quello per cui si procede;
   Qualora poi decidesse di avvalersi della facolta' di non rispondere
 potrebbe   paralizzare   del   tutto  l'accusa  (quali  contestazioni
 muovergli - sugli atti  redatti,  e  non  sulle  deposizioni  rese  -
 secondo  la  recente rilettura del giudice delle leggi dell'art.  513
 c.p.p. ?);
   Oppure  potrebbe  trovarsi  a  dover  decidere  all'improvviso   se
 avvalersi  o meno della facolta' di non rispondere (scoprendo solo in
 dibattimento di essere stato querelato), con ricadute  verosimilmente
 negative sulla scelta e sulla preparazione della sua difesa;
   Mentre   e'  evidente  che  una  preliminare  valutazione  unitaria
 dell'intera vicenda da parte del pubblico ministero consentirebbe  ed
 imporrebbe,   attese  le  due  versioni  diametralmente  opposte,  di
 esercitare l'azione penale per l'una e di richiedere  l'archiviazione
 per  l'altra, cosi' che colui che non ha mai assunto la veste formale
 di imputato, perche' oggetto di decreto di archiviazione del  g.i.p.,
 potrebbe  deporre  in  dibattimento  giurando  come  teste e non come
 imputato  di  procedimento  collegato,  almeno  secondo   una   certa
 (minoritaria)    condivisibile    interpretazione   giurisprudenziale
 dell'art. 197 c.p.p. (Cass. sez. I sent. n.  11837  dell'11  dicembre
 1992): l'unica che puo' impedire la svalutazione delle fonti di prova
 dell'accusa mediante iniziative strumentali dell'indagato;
   E  cio' allo stato potrebbe essere possibile solo col dichiarare la
 nullita' del decreto di citazione a giudizio,  rendendo  tra  l'altro
 cosi' censurabile il mancato rispetto da parte del pubblico ministero
 del  principio  di cui all'ultima parte dell'art. 358 c.p.p., che gli
 fa obbligo di svolgere accertamenti su fatti e circostanze  a  favore
 della   persona   sottoposta   alle   indagini  (ed  il  prendere  in
 considerazione la querela di questi non puo' che  rientrare  in  tale
 previsione),   e   dunque   assicurando  il  rispetto  del  principio
 costituzionale dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale,  altrimenti
 palesemente  aggirato  col  trattare  discrezionalmente prima l'una e
 poi, a seconda dell'esito processuale, l'altra vicenda;
   In alternativa il recupero processuale della  situazione  da  parte
 del  giudice,  che  potesse  ordinare  al p.m. di esercitare l'azione
 penale al fine di riunire i due procedimenti nello stesso  grado  (in
 analogia  con  il  potere  del  g.i.p.  di  rigettare la richiesta di
 giudizio immediato per un solo imputato per il  preminente  interesse
 alla  ricostruzione  dei  fatti  tramite  un unico processo a tutti i
 coimputati, riconosciuto in via  interpretativa  da  Cass.,  sez.  V,
 sent.  n.  1245  del  31  gennaio  1998),  potrebbe porre le parti in
 posizione di parita' sostanziale, consentendo ad un unico giudice del
 fatto di apprezzare la vicenda con le parti calate per  intero  nella
 doppia  veste  di  accusatore  ed imputato, non solo formalmente come
 invece accade oggi se l'accusatore e'  imputato  di  un  procedimento
 collegato  inevitabilmente  di  la'  da  venire e, potendo dire e non
 dire, puo' orientare il dibattimento  a  carico  dell'antagonista,  e
 quindi il suo, senza rischiare piu' di tanto;
   Si  aggiunge inoltre che una pronuncia indiretta sulla minaccia nel
 giudizio sull'oltraggio pregiudica in ogni caso l'eventuale  giudizio
 a  carico  del  Ramoni:  o  nella  persona  del giudice, che potrebbe
 astenersi pur non essendovi una situazione di incompatibilita' e  non
 rientrando  il caso nell'ambito delle previsioni dell'art. 36 c.p.p.,
 o nel giudizio del giudice nominato al suo posto, che inevitabilmente
 terra' presente la prima decisione, e che si trovera' ad acquisire ex
 art 238/1 c.p.p.  i verbali delle prove assunte nel  primo  processo,
 con ulteriore complicazione e duplicazione dell'attivita' processuale
 gia'  effettuata,  aprendosi  comunque  eventualmente la strada ad un
 procedimento di revisione ex art. 630, lett. a) c.p.p.;
   Si noti poi che la vicenda processuale in  esame  ben  puo'  essere
 inquadrata  come  caso  in  cui  "la  prova  di  un  reato  o  di una
 circostanza influisce sulla prova di un altro  reato  o  di  un'altra
 circostanza", ovverosia come un tipico caso in cui per processi nello
 stesso  stato  e  grado  di  giudizio sarebbe possibile la riunione a
 mente dell'art.  17, lett. d) c.p.p., viceversa impedita dalla scelta
 discrezionale ed insindacabile del pubblico ministero, ed ancora  che
 detta  vicenda  non  e' strutturalmente dissimile da evenienze ancora
 piu' eclatanti, come ad esempio il caso  di  querele  reciproche  tra
 privati  per  fatti diversi scaturiti dal medesimo episodio, cioe' il
 caso di reati commessi da piu' persone  in  danno  reciproco  le  une
 delle  altre,  ovvero un'altra ipotesi tipica di riunione di processi
 ex art. 17, lett. c) c.p.p.:  mal si concilia pertanto la piu'  ampia
 discrezionalita' che la giurisprudenza di legittimita' attribuisce al
 giudice  nel  far  uso  del  potere  di cui all'art. 17 c.p.p. con la
 possibilita' che cio' gli sia di fatto precluso  in  ipotesi  tipiche
 dalla scelta di una parte processuale qual e' il pubblico ministero;
   Il   principio   della   prevalenza   dell'esigenza   di   compiuto
 accertamento del fatto sulle  decisioni  del  pubblico  ministero  in
 ordine   all'esercizio   dell'azione   penale   e'   del  resto  gia'
 espressamente accolto dall'ordinamento all'art. 449/6 c.p.p., laddove
 stabilisce la riunione dei procedimenti connessi di cui solo uno  sia
 stato  instaurato dal pubblico ministero con giudizio direttissimo, e
 la prevalenza del rito ordinario;
   Laddove   cio'   sia   ritenuto   indispensabile    dal    giudice,
 conclusivamente   solo   una  revisione  complessiva  della  tematica
 inerente l'assunzione delle qualifiche processuali, in relazione alle
 iniziative dei privati o alle scelte del pubblico  ministero,  attesa
 la  ripercussione delle stesse in ambito processuale e dunque in sede
 di   formazione   della    prova,    puo'    evitare    incongruenze,
 discrezionalita',   disparita'  e  duplicazioni  quali  quelle  sopra
 enunciate, e, correlativamente a questa, al  fine  di  assicurare  la
 parita'  tra  le  parti  processuali  e  l'ordinato svolgimento della
 giustizia, nel caso  di  mancata  valutazione  complessiva  da  parte
 dell'organo dell'accusa di una medesima vicenda processuale, sia pure
 diversamente  qualificata,  occorre  prevedere  per  il  giudice  del
 dibattimento il potere ripristinare la medesima fase processuale  per
 reati nei quali la prova dell'uno influisce sulla prova dell'altro: o
 facendo  retroagire  l'unico  per  cui  e'  stata esercitata l'azione
 penale  (con  dichiarazione  di  nullita'  del  relativo  decreto  di
 citazione  a giudizio) o imponendo la riunione in sede dibattimentale
 per quello dimenticato in fase di indagini preliminari;
   Diversamente la celebrazione di  un  processo  quale  il  presente,
 destinato  a  sanzionare  o  meno  solo una parte di un'unica vicenda
 storica  in  cui  esistono  altri   risvolti   penali   pendenti   ma
 momentaneamente sospesi, non puo' che portare alla marcata violazione
 dei principi costituzionali espressi:
     dall'art.  2  della  Costituzione  in  ordine  alla  garanzia dei
 diritti inviolabili dell'uomo, in particolare  quello  di  difendersi
 agendo  in  giudizio  in  condizioni  di  parita',  perche'  porta al
 dibattimento un imputato le cui ragioni non sono  state  vagliate  in
 istruttoria dall'organo imparziale della pubblica accusa;
     dall'art.   3  della  Costituzione  in  ordine  al  principio  di
 uguaglianza, perche' contrappone in sede processuale un privato ad un
 pubblico ufficiale con adesione acritica del  pubbIico  ministero  al
 rapporto  del    p.u.,  visto  che non viene esaminata la censura del
 privato al comportamento di questi, cosi' che il cittadino  si  trova
 ad  essere  imputato  sostanzialmente per scelta del suo antagonista,
 senza che le sue opposte ragioni abbiano trovato udienza  presso  chi
 aveva   l'obbligo   di  valutarle,  ed  in  ordine  al  principio  di
 ragionevolezza  che  impone  un'unica  valutazione   unitaria   della
 medesima vicenda e dunque la preferenza per il simultaneus processus;
     dall'art.  24  della Costituzione in ordine alla possibilita' per
 tutti di agire in giudizio, perche' impedisce all'imputato querelante
 l'esame in istruttoria della sua querela o l'azione in  giudizio  nei
 confronti del suo accusatore in posizione di parita';
     dall'art.  25  della  Costituzione in ordine alla precostituzione
 del giudice naturale, perche' porta davanti al suo  giudice  naturale
 un  imputato non ancora in tale effettiva condizione, costringendo il
 giudice a pronunciarsi comunque in modo anomalo sulla  sua  eventuale
 responsabilita';
     dall'art. 97 della Costituzione in ordine al buon andamento della
 pubblica  amministrazione,  perche'    consente  la  duplicazione  di
 procedimenti strutturalmente unitari,  aprendo  la  strada  ad  esiti
 eventualmente
  confliggenti;
     dall'art.  112  della Costituzione in ordine alla obbligatorieta'
 dell'azione  penale,  perche'  consente  al  pubblico  ministero   di
 scegliere   discrezionalmente  solo  un  inquadramento  penale  della
 medesima vicenda senza contestualmente sottoporre l'altro al giudice,
 quantomeno con preliminare richiesta di archiviazione;
                               P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 25, 97
 e 112 della Costituzione, dell'art. 17 c.p.p., nella parte in cui non
 consente  al  giudice  di  sospendere  il dibattimento ed ordinare al
 pubblico ministero di esercitare  l'azione  penale  o  di  richiedere
 l'archiviazione  nel  procedimento la cui prova influisce sulla prova
 del  reato  da  giudicare,  o,  in  alternativa   la   questione   di
 legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 25, 97
 e  112  della Costituzione, dell'art. 555/2 c.p.p. nella parte in cui
 non consente al giudice di dichiarare  la  nullita'  del  decreto  di
 citazione  a  giudizio  qualora il pubblico ministero abbia omesso di
 istruire e prendere le proprie determinazioni in ordine alla  notizia
 di  reato  la  cui  prova  influisce sulla prova del reato per cui e'
 stata esercitata l'azione penale;
   Sospende il processo in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che  la  presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia
 notificata alle parti non presenti e al Presidente del Consiglio  dei
 Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Verbania, addi' 30 aprile 1999.
                         Il pretore: Barlucchi
 99C0950