N. 541 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 luglio 1999

                                N. 541
  Ordinanza  emessa  il  21  luglio  1999  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale militare di Torino  nel  procedimento
 penale a carico di Foti Giuseppe
 Reati militari - Reato di diserzione - Circostanza aggravante: durata
    dell'assenza  superiore  a  sei  mesi  - Disparita' di trattamento
    rispetto al reato di rifiuto di  prestare  servizio  militare  per
    motivi di conoscienza.
 (C.P.M.P., art. 154, comma 1, n. 1, in relazione all'art. 148).
 (Cost., art. 3).
(GU n.41 del 13-10-1999 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   In  sede di udienza preliminare del 21 luglio 1999 nel procedimento
 penale a carico di Foti Giuseppe, nato il 21 novembre 1979 a Pinerolo
 (Torino) e residente a Novi Ligure (Alessandria) in via San  Giovanni
 Bosco  n.  36,  assente; imputato del reato di "diserzione aggravata"
 (artt. 148 n. 2  154,  comma  1  n.  1  c.p.m.p.)  perche',  militare
 effettivo  al  4  Rgt. Carri in Bellinzago Novarese (Novara), essendo
 legittimamente assente per licenza scadente il 10 novembre 1998,  non
 si  presentava,  senza giusto motivo, al reparto di appartenenza o ad
 altra autorita' militare nei cinque giorni successivi  alla  predetta
 data, restando arbitrariamente assente fino a tutt'oggi.
   Con  l'aggravante della durata ultrasemestrale dell'assenza ex art.
 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p.
   Ha pronunciato e pubblicato mediante  lettura  del  dispositivo  la
 seguente ordinanza;
   Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 154, comma
 1, n. 1) c.p.m.p., in relazione all'art. 148 c.p.m.p.;
                             O s s e r v a
   Con  atto  del  29  marzo  1999  il  pubblico  ministero esercitava
 l'azione penale nei confronti dell'imputato in rubrica per il delitto
 militare di diserzione sopra descritto.
   All'odierna udienza preliminare, il pubblico ministero,  contestava
 all'imputato  la  circostanza aggravante di cui all'art 154, comma 1,
 n. 1) c.p.m.p. stante il fatto che l'assenza arbitraria dal  reparto,
 a tutt'oggi perdurante, ha superato sei mesi di durata.
   Valutate  le prove documentali contenute nel fascicolo di indagini,
 sentite  le  parti  processuali,  questo  giudice  ritenendo  fondata
 l'ipotesi accusatoria, pur valutata l'azione penale sotto la veste di
 carattere  processuale,  dovrebbe emette decreto di rinvio a giudizio
 avanti il Collegio.
   Pero',  ad  un  piu'  attento  esame  circa  la  correttezza  della
 qualificazione  giuridica  operata  oggi  dal pubblico ministero, con
 l'attribuzione all'imputato di un elemento fattuale ulteriore, pur di
 carattere circostanziale, si dubita della legittimita' costituzionale
 della stessa.
   In  altri  termini,  si  dubita  sia  costituzionalmente   corretto
 attribuire  ai  militari che hanno commesso un reato di diserzione di
 durata superiore ai sei mesi la circostanza obbligatoria, oggettiva e
 speciale di cui all'art. 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p.
   A parere di questo giudice  non  e'  manifestamente  infondato  che
 quest'ultima  norma  sia  contraria  ai  principi di uguaglianza e ai
 criteri  di  logica  e  ragionevolezza  sottesi  all'art.   3   della
 Costituzione  cui  deve  sottostare  anche il legislatore. Tutto cio'
 operando un raffronto  con  la  disciplina  relativa  al  delitto  di
 rifiuto  di prestare servizio militare di cui all'art. 14 della legge
 8 luglio 1998 n.   230  (Nuove  norme  in  materia  di  obiezione  di
 coscienza).
   La  circostanza  aggravante  in  questione e' di carattere speciale
 giacche', come recita il  primo  comma  dell'art.  154  c.p.m.p.,  e'
 prevista  solo  per  le  fattispecie  delittuose  di  disezione  e di
 mancanza alla chiamata di cui alle sezioni seconda e terza  del  capo
 III,  libro secondo, del codice penale militare di pace; non e' stata
 prevista dal legislatore che nel 1972 con legge 772 e  che  nel  1998
 con  la  novella  n. 230 ha disciplinato il regime della obiezione di
 coscienza del servizio militare.
   Trattasi, inoltre, di circostanza obbligatoria ad effetto  speciale
 che,  se  contestata  dal  pubblico ministero (e come lo e' stato nel
 caso che ci occupa) comporta da parte del  giudice  una  obbligatoria
 conoscenza,  e, se ritenuta prevalente su altre eventuali circostanze
 attenuanti, anche un aumento della pena da un terzo  alla  meta'.  Il
 fatto  che  sia obbligatoria lo si evince anche dalla descrizione del
 fatto circostanziale operato dal legislatore  che  usa  l'espressione
 "la   pena   e'  aumentata"  mentre  al  n.  2  del  medesimo  comma,
 nell'illustrare la circostanza attenuante, usa la diversa espressione
 "la pena puo' essere diminuita".
   Il fatto che siffatta circostanza aggravante sia contestata  ad  un
 disertore  od  un  mancante  alla  chiamata  non  rimane indifferente
 ovviamente nemmeno al giudice, dato che, una volta ricercati i valori
 concreti ed  individuata  nel  caso  concreto  la  sussistenza  della
 medesima  (ed  essendo  di  carattere  oggettivo  e' immediatamente e
 documentalmente riscontrabile), comporta un conseguente  obbligatorio
 giudizio  quantomeno di comparazione con altre circostanze ex art. 69
 c.p.
   Orbene, il legislatore che nel 1972 e che nel 1998 (con la legge  8
 luglio  1998  n.  230)  ha disciplinato anche il delitto del militare
 arruolato che rifiuta il servizio militare, allegando  i  particolari
 motivi  di  coscienza  ritenuti  meritevoli  di  tutela  da parte del
 legislatore all'art.  1  medesime  leggi,  non  ha  previsto  ipotesi
 circostanziale  al  fatto.  Nessuna circostanza aggravante (e nemmeno
 attenuante) e' prevista all'art. 14, legge n. 230/1998  ed  in  altre
 norme della recente legge di riforma della obiezione di coscienza.
   Orbene,  fra  il  delitto  di  diserzione  e  quello  di rifiuto di
 prestare servizio militare di cui  all'art.  14,  legge  n.  230/1998
 esiste  una  perfetta  analogia,  cosi' come riconosciuto anche dalla
 stessa Corte costituzionale per esempio nelle sentenze nn.  409/1989,
 343/1993, 422/1993.
   L'interesse  leso  tutelato  dalle due fattispecie penali e' sempre
 militare ed e' identico: l'interesse ad una  regolare  incorporazione
 di soggetti obbligati al servizio di leva.
   Le  modalita'  oggettive  di  comportamento sono analoghe; trattasi
 sempre di fattispecie a forma libera: il rifiuto totale  di  prestare
 il servizio obbligatorio con comportamenti commissivi (es. il rifiuto
 di  indossare  la  divisa)  od  omissivi  (es.  il non presentarsi al
 reparto di appartenenza di cui al precetto); e' noto infatti, che chi
 e' imputato di diserzione o del delitto di cui all'art. 14, legge  n.
 230/1998  adotta  i medesimi comportamenti commissivi od omissivi non
 distinguendosi se non dalla adduzione  dei  motivi  di  coscienza  al
 rifiuto stesso.
   L'elemento  materiale  del  delitto  di  cui alla nuova legge sulla
 obiezione di coscienza  e'  dato  dalla  manifestazione  di  volonta'
 attinente   alla   inottemperanza   dell'obbligo   di   leva  fecendo
 riferimento  ai  motivi  di  coscienza  riconosciuti  meritevoli   di
 particolare  tutela  dal  legislatore  e  di  cui all'art. 1 medesima
 legge.
   In  altri  termini,  quando  il  militare  manifesti  altri  motivi
 rispetto a quelli codificati (es. privati), oppure non alleghi alcuna
 motivazione (come nel caso dell'odierno imputato), ricorrera' l'altro
 reato militare e, cioe' quello di diserzione oggi contestato.
   I  due  delitti sono sanzionati in modo identico: reclusione da sei
 mesi a due anni. Devesi ulteriormente tenere presente che i  soggetti
 attivi   dei   due  delitti  militari  in  questione  sono  identici:
 l'obiettore totale sia che manifesti le ragioni di  cui  all'art.  1,
 legge  n.  230/1998,  sia  che ne manifesti altre, oppure nessuna, e'
 sempre un iscritto di leva gia' arruolato (vd. d.P.R. n. 237/1964).
   Ora, una identica situazione oggettiva  e  soggettiva,  quella  del
 militare  che rifiuta di prestare il servizio militare di leva per le
 ragioni di cui all'art. 1, legge n. 230/1998,  oppure  altre,  oppure
 nessuna,  viene  trattata  diversamente  ed incongruamente per quanto
 attiene la attribuibilita'  di  elementi  accidentali,  accessori  al
 reato;  elementi  che  incidono,  come  nel caso che ci occupa, sulla
 gravita' del reato e, quindi, sulla sanzione da irrogare, comportando
 cioe' una non indifferente modificazione della sanzione  che,  invero
 edittalmente e' identica.
   Si  ritiene  che  nel  caso  in  questione il legislatore non abbia
 seguito i criteri di parita' di trattamento e di  ragionevolezza  cui
 deve sottostare la sua attivita'.
   L'uso  sproporzionato  ed  ingiustificabile  della discrezionalita'
 legislativa e' provato anche dal fatto che il  disertore  che  compie
 una  assenza  arbitraria  dal  reparto  per poco piu' di sei mesi (e,
 quindi, un rifiuto al servizio  militare  obbligatorio  limitato  nel
 tempo)  si  vede attribuita la circostanza aggravante obbligatoria ad
 effetto speciale di cui all'art. 154, comma 1, n. 1 c.p.m.p.  mentre,
 il  militare che rifiuta il servizio militare di leva per i motivi di
 cui all'art. 1, legge n. 230/1998 (motivi  che,  poi,  data  la  loro
 incidenza  nell'intimo non possano essere provati circa la loro reale
 sussistenza) rispondera' per il suo comportamento solo  dell'identica
 sanzione penale base.
   E'  ovvio,  a  questo  punto, che si lascia al militare piu' o meno
 informato  e  smaliziato  che  non  vuole  adempiere  agli   obblighi
 costituzionali  di  difesa  della patria, di optare per una o l'altra
 forma di rifiuto al servizio militare a seconda della maggiore o meno
 grave incidenza della sanzione penale. Per cui, alla  fin  fine,  una
 circostanza aggravante definita obbligatoria puo' divenire in pratica
 solo eventuale.
   La questione di costituzionalita' prospettata e' rilevante dato che
 se accolta comporterebbe a questo giudice l'onere di emettere decreto
 di  rinvio  a giudizio solo per il reato contestato privo di elemento
 circostanziale aggravante e far sottoporre al  vaglio  dibattimentale
 l'imputato per il delitto militare semplice.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  23  ss.,  legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenute le
 questioni prospettante rilevanti e non manifestamente infondate;
   Solleva per violazione dell'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 154, comma 1, n. 1 c.p.m.p., in
 relazione all'art. 148 c.p.m.p.
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende il processo fino all'esito del  giudizio  di  legittimita'
 costituzionale;
   Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata, a cura della
 cancelleria, alle parti, al presidente del Consiglio dei ministri,  e
 comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente
 della Camera dei deputati.
   Cosi' deciso in Torino, il 21 luglio 1999.
             Il giudice per l'udienza preliminare: Roberti
 99C0990