N. 588 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1999

                                N. 588
  Ordinanza emessa il 15 marzo 1999 dalla corte di appello di Roma sul
 reclamo proposto da M. S. n.q.  contro il Conservatore  dei  registri
 immobiliari di Roma 2 ed altra
 Procedimento    civile   -   Ordinanza   successiva   alla   chiusura
    dell'istruzione (art. 186-quater del codice di procedura civile) -
    Idoneita'  a  costituire  titolo  per  l'iscrizione   dell'ipoteca
    giudiziale  -  Mancata  previsione  -  Disparita'  di  trattamento
    rispetto all'ordinanza ingiunzione ex art. 186-ter del  codice  di
    procedura  civile  - Irragionevolezza - Compromissoria del diritto
    di agire in giudizio.
 (C.P.P.  art. 186-quater, aggiunto dal d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432,
    art. 7, convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.43 del 27-10-1999 )
                          LA CORTE D'APPELLO
   Riunita in camera di consiglio  ha  emesso  la  seguente  ordinanza
 nella  procedura  iscritta al n. 292 di ruolo generale per gli affari
 camera di  consiglio  dell'anno  1998  e  vertente  tra  M.  S.  n.q.
 esercente  la  patria potesta' sulla minore M. M. L., rappresentato e
 difeso,  in  virtu'  di  mandato  a  margine  dell'atto  di  reclamo,
 dall'avv.  Antonio  Voltaggio,  presso  il  cui  studio  in Roma, via
 Fontanella Borghese,  72,  veniva  eletto  domicilio,  reclamante,  e
 Conservatore  dei  registri immobiliari Roma 2, reclamato; nonche' la
 Soc. D.E.F.A. s.r.l., reclamata;
   Oggetto: reclamo avverso iscrizione ipotecaria con riserva, ex art.
 2674-bis e 113-ter disp. att. c.c., decreto del tribunale di Roma  in
 data 3 marzo 1998;
                       Svolgimento del processo
   Con ricorso proposto al tribunale di Roma, M. S., nella qualita' di
 esercente la patria potesta' sulla minore M. M. L., proponeva reclamo
 avverso  la  decisione  del  Conservatore dei registri immobiliari di
 Roma, che, richiesto di iscrizione ipotecaria  fondata  su  ordinanza
 emessa  dal  giudice  istruttore  ex  art.  186-quater  c.p.c., aveva
 eseguito la formalita' della iscrizione di  ipoteca  con  riserva  ai
 sensi dell'art.  2674-bis c.c..
   Con  decreto  depositato  il  3  marzo  1998,  il tribunale di Roma
 respingeva il reclamo avanzato da M.  S.,  rilevando  che,  ai  sensi
 dell'art.  2818  c.c.  costituiscono  titolo  per la iscrizione della
 ipoteca unicamente le sentenze che portano condanna al  pagamento  di
 una  somma  e  "gli  altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge
 attribuisce tale effetto" e, nel caso di specie,  mentre  non  poteva
 equipararsi  l'ordinanza  emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c.
 ad una sentenza, attesa la revocabilita' e la  non  definitivita'  di
 quel   provvedimento,   non  appariva  sostenibile  l'analogia  della
 situazione in esame con quella prevista dall'art. 186-ter c.p.c., che
 prevede espressamente che la  ordinanza  costituisce  titolo  per  la
 iscrizione della ipoteca giudiziale; riteneva, quindi, manifestamente
 infondata  la  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
 M.
   Proponeva  reclamo  avverso  il  decreto  del  tribunale   il   M.,
 sottolineando la delicatezza della questione che si presentava per la
 prima volta all'esame dei giudici del merito: metteva in rilievo vari
 ordini  di  motivi  in  base ai quali poteva dedursi la parificazione
 della ordinanza emessa dopo  la  chiusura  della  istruzione  ad  una
 sentenza,  quali  la  cognizione  piena e non sommaria che precede la
 emissione del provvedimento, la circostanza che questo  "acquista  la
 efficacia   della   sentenza  impugnabile"  a  certe  condizioni,  la
 irrevocabilita'
  dell'ordinanza, se non con la sentenza che definisce il giudizio.
   Il conservatore non compariva in camera di consiglio.
   Veniva  quindi  integrato  il  contraddittorio  con   la   societa'
 convenuta,  ritenuta  parte  necessaria,  atteso  il  suo sostanziale
 interesse e la  sua  presenza  nel  giudizio  davanti  al  tribunale;
 neppure questa, peraltro, si costituiva.
                        Motivi della decisione
   Osserva  innanzitutto  la  Corte  che  i  fatti posti alla base del
 reclamo devono essere ritenuti pacifici in causa:  la  ordinanza  con
 cui  il G.I. ha condannato la convenuta soc. DE.FA. s.r.l. a pagare a
 M.  S., nella qualita' indicata, la somma di L.  115  milioni,  oltre
 gli interessi e le spese di causa, a titolo di risarcimento del danno
 causato al volto della minore M. M. L. da un cane di proprieta' della
 societa',  e' stata emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c., dopo
 l'esaurimento della istruzione e nei limiti in cui lo stesso  giudice
 ha ritenuto raggiunta la prova della responsabilita', del danno e del
 nesso di causalita'.
   L'art.  186-quater  c.p.c. si applica al caso di specie, in quanto,
 la stessa legge che ha introdotto la norma, d.-l. 18 ottobre 1995, n.
 432, convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534, con l'art.   9  ha
 modificato l'art. 90 della legge 26 novembre 1990, n. 353, disponendo
 che "ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le
 disposizioni  vigenti  anteriormente  a  tale  data,  nonche'  l'art.
 186-quater c.p.c.".
   Deve dunque  esaminarsi  la  possibilita'  di  equiparazione  della
 ordinanza  emessa  all'esito  della  istruttoria,  ai sensi dell'art.
 186-quater c.p.c., alla  sentenza,  in  quanto  appare  pacifico  che
 nessuna,  "legge  attribuisce tale effetto" specifico di idoneita' ad
 iscrivere ipoteca all'ordinanza in esame.
   La questione, trattata con ampiezza  dalla  difesa  del  reclamante
 appare  sicuramente  molto  delicata,  soprattutto  per  la  squisita
 novita' dell'istituto introdotto  dal  legislatore,  nel  quale  sono
 state inserite caratteristiche comuni a ordinanze e sentenze.
   Tale  ordinanza, successiva alla chiusura dell'istruzione, prevista
 dall'art. 186-quater c.p.c., e' stata definita come "l'istituto  piu'
 innovativo  e  al  tempo  stesso piu' problematico" della novella del
 1995: presupposto dell'ordinanza  e'  che  la  istruzione  sia  stata
 "esaurita",  da  intendersi  realizzato,  sia  quando non siano state
 proposte richieste istruttorie,  sia  quando  le  richieste  avanzate
 siano state espletate o disattese.
   Il  termine finale per l'emanazione della richiesta, nelle cause di
 vecchio rito, e' costituito dalla rimessione della causa al Collegio,
 in quanto, da tale  momento,  la  competenza  verrebbe  attribuita  a
 questo,  anche  se  sembra  che  le  parti  debbano aver precisato le
 conclusioni, quanto  meno  implicitamente,  perche'  l'oggetto  della
 ordinanza  deve  essere  ancorato  alla  "istanza  della parte che ha
 proposto domanda di  condanna  al  pagamento  di  somme  ovvero  alla
 consegna o al rilascio di beni".
   L'istanza  viene accolta "nei limiti in cui il giudice ritiene gia'
 raggiunta la prova".
   Il provvedimento arricchisce il quadro delle ordinanze con funzione
 anticipatoria  della  decisione,  come   si   apprende   dai   lavori
 parlamentari  (Senato  della Repubblica, n. 2209, art. 7) ed e' stato
 ritenuto come un primo approccio alla "decisione  con  motivazione  a
 richiesta delle parti".
   La   novita'   e'   arricchita  dal  fatto  che  si  tratta  di  un
 provvedimento emesso a cognizione piena, in quanto e' stata chiusa la
 fase istruttoria e le parti hanno presentato le rispettive richieste:
 dunque le carte
  processuali sono nelle mani del giudicante che ha tutti gli elementi
 che possono e debbono essere posti alla base della sentenza.
   Deve   rilevarsi   ancora  che  si  tratta  di  una  ordinanza  non
 revocabile, se  non  con  la  sentenza  che  definisce  il  giudizio;
 l'ordinanza,  infine,  puo'  "acquistare  l'efficacia  della sentenza
 impugnabile sull'oggetto dell'istanza", in seguito alla rinuncia alla
 pronuncia della sentenza,  da  parte  della  parte  intimata  o  alla
 estinzione del giudizio.
   Ovviamente  il  processo  prosegue verso la sentenza se non vi sono
 rinuncia o estinzione.
   In tale situazione sostiene il reclamante che si deve definire come
 sentenza questo nuovo provvedimento introdotto  dal  legislatore,  in
 quanto  presenta  piu'  tratti  caratteristici  di  questa rispetto a
 quelli della ordinanza.
   Pur prendendo atto della delicatezza della questione di definire la
 natura giuridica di un provvedimento delineato per la prima volta dal
 legislatore  del  1995,  che  dichiara  espressamente,   nei   lavori
 parlamentari,  di  voler  introdurre  un  provvedimento  con funzione
 anticipatoria della  decisione,  non  sembra  alla  Corte  che  possa
 accedersi alla tesi principale del reclamante.
   Se   infatti   ci  si  trova  davanti  ad  una  ordinanza  anomala,
 irrevocabile fino alla eventuale sentenza, che puo' divenire sentenza
 essa stessa per semplice volonta' della  parte  intimata,  contenendo
 gia'  la  stessa la pronuncia sulle spese, manca, peraltro, il tratto
 caratteristico senza il quale non puo' parlarsi di  sentenza  vera  e
 propria:   la   irrevocabilita'   da   parte  del  giudice  che  l'ha
 pronunciata, che non puo' piu' riesaminare le questioni  gia'  decise
 (art. 279 c.p.c.).
   Nel  caso  dell'ordinanza  di  cui  all'art. 186-quater, invece, la
 irrevocabilita' del provvedimento e'  condizionata  all'atteggiamento
 della parte resistente e, in assenza di accadimenti, resiste soltanto
 fino  alla  sentenza,  che, questa si', spogliera' definitivamente il
 giudice della causa.
   Dunque la non equiparabilita' della  ordinanza  ex  art.  18-quater
 alla  sentenza  comporta  la  inapplicabilita' dell'art. 2818 c.c. e,
 dunque, la non  iscrivibilita'  della  ipoteca  sulla  base  di  quel
 provvedimento.
   Ritiene,  peraltro,  la Corte che l'art. 186-quater, nella parte in
 cui non colloca l'ordinanza  de  qua  tra  quelle  che  costituiscono
 titolo  per  la iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art.
 2818  c.c.,  possa  attuare  una  disparita'   di   trattamento   tra
 destinatari  di ordinanze comportanti condanna al pagamento di somma,
 in funzione anticipatoria di sentenze,  con  particolare  riferimento
 all'ordinanza prevista dall'art. 186-ter c.p.c., cosiddetta ordinanza
 di  ingiunzione,  anch'essa dal contenuto anticipatorio di decisioni,
 introdotta dall'art.   21  della  legge  26  novembre  1990,  n.  353
 (riforma  del  c.p.c.)  e  possa  essere  venuta meno alla dichiarata
 funzione di "soddisfare esigenze immediate  di  tutela"  giudiziaria,
 scoraggiando   "la  prosecuzione  di  giudizi  dettata  da  finalita'
 defatigatorie",   in   una   "strategia   di    rapido    smaltimento
 dell'arretrato"  (v.  parere  del C.S.M. sulla riforma):   non appare
 dunque  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  della  norma,  nella  parte in cui non prevede quella
 idoneita' alla  iscrizione  anche  per  l'ordinanza  successiva  alla
 chiusura   dell'istruzione,  sollevata  dalla  parte  reclamante,  in
 relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Nella   ipotesi,   praticamente   piu'   rilevante,  di  ordinanza
 ingiunzione, emessa nei confronti della parte costituita, il  giudice
 emana  il  provvedimento  quando i fatti costitutivi del credito sono
 provati documentalmente (art. 633, comma 1, e comma 2  c.p.c.)  o  le
 eccezioni  sollevate  non siano "fondate su prova scritta o di pronta
 soluzione"; ma puo' emanarlo  "anche  se  vi  e'  pericolo  di  grave
 pregiudizio nel ritardo", salva la imposizione di una cauzione.
   Tale  ordinanza  e' revocabile in qualsiasi momento dal giudice che
 l'ha  emessa;  la  stessa  acquista  efficacia  esecutiva  e  diviene
 irrevocabile  in  caso  di estinzione del giudizio a cognizione piena
 nel corso del quale e' stata emanata.
   Dunque si tratta di un'ordinanza emanata in una qualunque fase  del
 procedimento, in quanto la norma fa leva essenzialmente sul titolo (o
 addirittura  sul "pericolo"), anche se le prove non sono ancora state
 escusse o addirittura richieste, quando il giudicante non ha,  e  non
 puo'  avere,  l'intero  spettro  delle  prove  dedotte  e  prodotte o
 espletate, e soprattutto, quando ancora i  titoli  non  hanno  subito
 quella    contestazione    che   nell'arco   del   processo   possono
 fisiologicamente ricevere (salve le ipotesi di disconoscimento  della
 scrittura  e  della  querela  di  falso, espressamente previsti dalla
 norma); del resto  -  e  questo  costituisce  la  conseguenza,  e  la
 riprova,  del  fatto  che  il processo e' in corso di formazione - la
 norma prevede espressamente che la ordinanza possa  essere  revocata;
 questa, del resto, non acquista mai la efficacia di sentenza.
   Ben  diverse  sembrano le condizioni di emanabilita' dell'ordinanza
 di cui  all'art.  186-quater:  come  si  e'  visto,  la  intera  fase
 istruttoria  e'  terminata, tutte le prove sono state espletate ed il
 legislatore prevede l'ordinanza come  non  piu'  modificabile  almeno
 fino alla emissione della sentenza, con la possibilita' di acquisire,
 di per se', efficacia di sentenza.
   Non  entra  in  questa disamina la questione relativa alle critiche
 fatte dalla dottrina alla ordinanza in  esame  in  quanto  costituiva
 attuazione  della  contestata  idea  di  prevedere  provvedimenti con
 motivazione da apporre a richiesta di parte: infatti la motivazione -
 o la carenza di motivazione - e' comune ad entrambi  i  provvedimenti
 confrontati.
   Orbene  la  ordinanza  ingiunzione dichiarata esecutiva costituisce
 titolo per la iscrizione della  ipoteca  giudiziale,  mentre  per  la
 ordinanza  successiva  alla chiusura della istruzione non e' previsto
 tale effetto.
   E'  vero  che  l'art.  186-ter  si  richiama  alla  disciplina  del
 procedimento   per  ingiunzione  ex  artt.  633  e  ss.  c.p.c.,  che
 dichiaravano tale idoneita' ad iscrivere ipoteca con  riferimento  al
 decreto  ingiuntivo,  ma non si puo' trascurare che un provvedimento,
 pur previsto successivamente, qualora richieda l'esito positivo di un
 giudizio a cognizione piena, come presupposto per la sua  emanazione,
 non  possa avere effetti minori del provvedimento sommario, come deve
 essere considerato quello di cui all'art. 186-ter,  atteso  anche  il
 dichiarato  scopo  del  legislatore  del  1995 di voler accelerare le
 decisioni del giudicante.
   La questione prospettata concerne  anche  la  ragionevolezza  della
 misura  adottata dal legislatore, sempre in riferimento agli artt.  3
 e 24 della Costituzione.
   Non  vi  e' dubbio che il legislatore debba godere della piu' ampia
 discrezionalita' nel delineare  i  provvedimenti  di  competenza  del
 giudice  e  nell'indicarne  gli  effetti  tipici;  tuttavia,  secondo
 l'ormai costante insegnamento della stessa Corte  costituzionale,  le
 scelte  operate  dal  legislatore  non si sottraggono al controllo di
 legittimita',  sotto  il  profilo  della   ragionevolezza   e   della
 razionalita'  dell'intervento  legislativo,  tenuto  conto che, nella
 specie due  ordinanze  aventi  il  medesimo  fine  hanno  conseguenze
 diverse,   in  danno  proprio  di  quella  la  cui  emissione  sembra
 addirittura dover soddisfare presupposti piu' onerosi.
   D'altro canto il legislatore ha previsto anche una esecutivita' ope
 legis dell'ordinanza ex  art.  186-quater,  al  contrario  di  quella
 relativa  all'ordinanza  prevista  dall'art. 186-ter, che deve essere
 dichiarata.
   E' allora proprio questo elemento di comparazione che  chiarisce  i
 termini  della  irragionevole  scelta legisla-tiva e rende necessario
 l'esame del giudice delle leggi, al fine  di  dare  concretezza  agli
 invocati parametri  costituzionali.
   In  conclusione  la mancata previsione della idoneita' ad iscrivere
 ipoteca   dell'ordinanza   prevista   dall'art.   186-quater   sembra
 costituire   una   effettiva   disparita'   di   trattamento  con  il
 destinatario dell'ordinanza ingiunzione, che, se appare  disporre  di
 prova  scritta,  non  ha  ancora  sottoposto il suo credito al vaglio
 della intera istruzione; dalla norma risulta  pregiudicato  anche  il
 diritto di agire per la tutela del proprio diritto.
   Nel  caso  in  esame,  dunque,  l'applicazione dell'art. 186-quater
 c.p.c., interpretato nel senso sopra detto, non puo' che  portare  al
 rigetto  del  reclamo, come si e' visto: la questione di legittimita'
 costituzionale della norma, quindi, rileva e comporta  la  necessita'
 di adire la Corte costituzionale, in quanto non appare manifestamente
 infondata.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 della Costituzione,  e 23, legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 186-quater  c.p.c.,  introdotta
 dall'art. 7 del d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in legge 20
 dicmebre 1995, n. 534, nella parte in cui non prevede che l'ordinanza
 costituisca  titolo  per  l'iscrizione  dell'ipoteca  giudiziale,  in
 relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
   Dispone  la  immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende  il  procedimento  e  dispone  la  notifica della presente
 ordinanza, a cura della cancelleria, alle parti in causa, nonche'  al
 Presidente del Consiglio del Ministri.
   L'ordinanza  sara' comunicata dalla cancelleria ai Presidenti delle
 due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Roma, il 15 marzo 1999.
                       Il presidente: Giustiniani
                                    Il consigliere estensore: Severini
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