N. 594 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 luglio 1999

                                N. 594
  Ordinanza  emessa  il  21  luglio  1999  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale militare di Torino  nel  procedimento
 penale a carico di Righini Alfredo
 Reati militari - Reato di diserzione - Circostanza aggravante: durata
    dell'assenza  superiore  a  sei  mesi  - Disparita' di trattamento
    rispetto al reato di rifiuto di  prestare  servizio  militare  per
    motivi di coscienza.
 (C.P.M.P., art. 154, comma 1, n. 1 in relazione all'art. 148).
 (Cost., art. 3).
(GU n.43 del 27-10-1999 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   In  sede di udienza preliminare del 21 luglio 1999 nel procedimento
 penale a carico di Righini Alfredo, nato il 26 maggio 1979 a Curitiba
 (Brasile) e residente a Crema (Cremona) in via Carlo Martini  n.  10;
 assente,  imputato del reato di "diserzione aggravata" (artt. 148, n.
 2, 154, comma 1, n.  1  del  c.p.m.p.)  perche',  militare  effettivo
 presso  il 111 deposito sussidiario A.M. in Castello D'Annone (Asti),
 essendo legittimamente assente per licenza  scadente  il  22  ottobre
 1998,   non  si  presentava,  senza  giusto  motivo,  al  reparto  di
 appartenenza  o  ad  altra  autorita'  militare,  nei  cinque  giorni
 successivi  alla predetta data, restando arbitrariamente assente fino
 al 10 maggio 1999 quando rientrava al reparto.
   Con  l'aggravante della durata ultrasemestrale dell'assenza ex art.
 154, comma 1, n. 1), del c.p.m.p.
   Ha pronunciato e pubblicato mediante  lettura  del  dispositivo  la
 seguente  ordinanza  sulla  questione  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 154, comma 1, n. 1) del  c.p.m.p.,  in  relazione  all'art.
 148 del c.p.m.p.
                             O s s e r v a
   Con  atto  del  18  marzo  1999  il  pubblico  ministero esercitava
 l'azione penale nei confronti dell'imputato in rubrica per il delitto
 militare di diserzione sopra descritto.
   All'odierna udienza preliminare, il pubblico ministero,  contestava
 all'imputato  la circostanza aggravante di cui all'art. 154, comma 1,
 n. 1), del c.p.m.p. stante il  fatto  che  l'assenza  arbitraria  dal
 reparto ha superato sei mesi di durata.
   Valutate  le  prove documentali contenute nel fascicolo di indagini
 sentite  le  parti  processuali,  questo  giudice  ritenendo  fondata
 l'ipotesi accusatoria, pur valutata l'azione penale sotto la veste di
 carattere processuale, dovrebbe emettere decreto di rinvio a giudizio
 avanti  il  collegio.  Pero',  ad  un  piu'  attento  esame  circa la
 correttezza della qualificazione giuridica operata oggi dal  pubblico
 ministero,  con  l'attribuzione  all'imputato di un elemento fattuale
 ulteriore,  pur  di  carattere   circostanziale   si   dubita   della
 legittimita' costituzionale della stessa.
   In   altri  termini,  si  dubita  sia  costituzionalmente  corretto
 attribuire ai militari che hanno commesso un reato di  diserzione  di
 durata superiore ai sei mesi la circostanza obbligatoria, oggettiva e
 speciale di cui all'art. 154, comma1, n. 1), del c.p.m.p.
   A  parere  di  questo  giudice  non e' manifestamente infondato che
 quest'ultima norma sia contraria ai  principi  di  uguaglianza  e  ai
 criteri   di   logica  e  ragionevolezza  sottesi  all'art.  3  della
 Costituzione cui deve sottostare anche  il  legislatore.  Tutto  cio'
 operando  un  raffronto  con  la  disciplina  relativa  al delitto di
 rifiuto di prestare servizio militare di cui all'art. 14 della  legge
 8  luglio  1998,  n.    230  (Nuove  norme in materia di obiezione di
 coscienza).
   La circostanza aggravante in questione  e'  di  carattere  speciale
 giacche'  come  recita  il  comma  1  dell'art.  154  del c.p.m.p., e
 prevista solo per  le  fattispecie  delittuose  di  diserzione  e  di
 mancanza  alla  chiamata di cui alle sezioni seconda e terza del capo
 III, libro secondo, del codice penale militare di pace; non e'  stata
 prevista dal legislatore che nel 1972 con legge n. 772 e che nel 1998
 con  la  novella  n. 230 ha disciplinato il regime della obiezione di
 coscienza del servizio militare.
   Trattasi, inoltre, di circostanza obbligatoria ad effetto  speciale
 che,  se  contestata  dal pubblico ministero  (e come lo e' stato nel
 caso che ci occupa) comporta da parte del  giudice  una  obbligatoria
 conoscenza, e, se  ritenuta prevalente su altre eventuali circostanze
 attenuanti, anche un aumento della pena da un terzo alla meta'.
   Il  fatto che sia obbligatoria lo si evince anche dalla descrizione
 del  fatto   circostanziale   operata   dal   legislatore   che   usa
 l'espressione  "la  pena  e'  aumentata"  mentre al n. 2 del medesimo
 comma, nell'illustrare la  circostanza  attenuante,  usa  la  diversa
 espressione "la pena puo' essere diminuita".
   Il  fatto  che siffatta circostanza aggravante sia contestata ad un
 disertore od  un  mancante  alla  chiamata  non  rimane  indifferente
 ovviamente nemmeno al giudice, dato che, una volta ricercati i valori
 concreti  ed  individuata  nel  caso  concreto  la  sussistenza della
 medesima (ed essendo  di  carattere  oggettivo  e'  immediatamente  e
 documentalmente  riscontrabile), comporta un conseguente obbligatorio
 giudizio quantomeno di comparazione con altre circostanze ex art.  69
 del c.p.
   Orbene,  il legislatore che nel 1972 e che nel 1998 (con la legge 8
 luglio 1998, n. 230) ha disciplinato anche il  delitto  del  militare
 arruolato  che  rifiuta il servizio militare, allegando i particolari
 motivi di coscienza  ritenuti  meritevoli  di  tutela  da  parte  del
 legislatore  all'art.  1  medesime  leggi,  non  ha  previsto ipotesi
 circostanziali al fatto. Nessuna circostanza  aggravante  (e  nemmeno
 attenuante)  e'  prevista  all'art.  14 della legge n. 230/1998 ed in
 altre norme  della  recente  legge  di  riforma  della  obiezione  di
 coscienza.
   Orbene,  fra  il  delitto  di  diserzione  e  quello  di rifiuto di
 prestare servizio militare di cui allart. 14 della legge n.  230/1998
 esiste  una  perfetta  analogia,  cosi' come riconosciuto anche dalla
 stessa Corte costituzionale per esempio nelle sentenze nn.  409/1989,
 343/1993,  422/1993.  L'interesse leso tutelato dalle due fattispecie
 penali e' sempre militare ed e' identico: l'interesse ad una regolare
 incorporazione di soggetti obbligati al servizio di leva.
   Le modalita' oggettive di  comportamento  sono  analoghe;  trattasi
 sempre  di  fattispecie a forma libera: il rifiuto totale di prestare
 il servizio obbligatorio con comportamenti commissivi (es. il rifiuto
 di indossare la divisa)  od  omissivi  (es.  il  non  presentarsi  al
 reparto di appartenenza di cui al precetto); e' noto infatti, che chi
 e'  imputato di diserzione o del delitto di cui all'art. 14, legge n.
 230/1998, adotta i medesimi comportamenti commissivi od omissivi  non
 distinguendosi  se  non  dalla  adduzione  dei motivi di coscienza al
 rifiuto stesso.
   L'elemento materiale del delitto di  cui  alla  nuova  legge  sulla
 obiezione  di  coscienza  e'  dato  dalla  manifestazione di volonta'
 attinente  alla   inottemperanza   dell'obbligo   di   leva   facendo
 riferimento   ai  motivi  di  coscienza  riconosciuti  meritevoli  di
 particolare tutela dal legislatore e  di  cui  all'art.  1,  medesima
 legge.  In  altri  termini  quando il militare manifesti altri motivi
 rispetto a quelli codificati (es. privati), oppure non alleghi alcuna
 motivazione (come nel caso dell'odierno imputato), ricorrera' l'altro
 reato militare e, cioe' quello di diserzione oggi contestato.
   I due delitti sono sanzionati in modo identico: reclusione  da  sei
 mesi  a due anni. Devesi ulteriormente tenere presente che i soggetti
 attivi  dei  due  delitti  militari  in  questione   sono   identici:
 l'obiettore  totale  sia  che manifesti le ragioni di cui all'art. 1,
 legge n. 230/1998, sia che ne manifesti  altre,  oppure  nessuna,  e'
 sempre un iscritto di leva gia' arruolato (v. d.P.R. n. 237/1964).
   Ora,  una  identica  situazione  oggettiva e soggettiva, quella del
 militare che rifiuta di prestare il servizio militare di leva per  le
 ragioni  di  cui  all'art. 1, legge n. 230/1998, oppure altre, oppure
 nessuna, viene trattata diversamente  ed  incongruamente  per  quanto
 attiene  la  attribuibilita'  di  elementi  accidentali, accessori al
 reato; elementi che incidono, come nel  caso  che  ci  occupa,  sulla
 gravita' del reato e, quindi, sulla sanzione da irrogare, comportando
 cioe'  una  non  indifferente modificazione della sanzione che invero
 edittalmente e' identica.
   Si ritiene che nel caso  in  questione  il  legislatore  non  abbia
 seguito  i  criteri di parita' di trattamento e di ragionevolezza cui
 deve sottostare la sua attivita'.
   L'uso sproporzionato  ed  ingiustificabile  della  discrezionalita'
 legislativa  e'  provato  anche dal fatto che il disertore che compie
 una assenza arbitraria dal reparto per poco  piu'  di  sei  mesi  (e,
 quindi,  un  rifiuto  al  servizio militare obbligatorio limitato nel
 tempo) si vede attribuita la circostanza aggravante  obbligatoria  ad
 effetto  speciale  di  cui  all'art. 154, comma 1, n. 1, del c.p.m.p.
 mentre, il militare che rifiuta il servizio militare di  leva  per  i
 motivi di cui all'art. 1, legge n. 230/1998 (motivi che, poi, data la
 loro  incidenza  nell'intimo non possano essere provati circa la loro
 reale  sussistenza)  rispondera'  per  il  suo   comportamento   solo
 dell'identica sanzione penale base.
    E'  ovvio,  a  questo punto, che si lascia al militare piu' o meno
 informato  e  smaliziato  che  non  vuole  adempiere  agli   obblighi
 costituzionali  di  difesa  della  patria di optare per una o l'altra
 forma di rifiuto militare a  seconda  della  maggiore  o  meno  grave
 incidenza  della  sanzione  penale.  Per  cui,  alla  fin  fine,  una
 circostanza aggravante definita obbligatoria puo' divenire in pratica
 solo eventuale.
   La questione di costituzionalita' prospettata e' rilevante dato che
 se accolta comporterebbe a questo giudice l'onere di emettere decreto
 di rinvio a giudizio solo per il reato contestato privo  di  elemento
 circostanziale  aggravante  e far sottoporre al vaglio dibattimentale
 l'imputato per il delitto militare semplice.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11  marzo  1953,  n.  87,
 ritenute  le  questioni  prospettate  rilevanti  e non manifestamente
 infondate;
   Solleva per violazione dell'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale  dell'art.  154,  comma  1,  n.  1),  del
 c.p.m.p., in relazione all'art. 148 del c.p.m.p.;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende il processo fino all'esito del  giudizio  di  legittimita'
 costituzionale;
   Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata, a cura della
 cancelleria, alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri,  e
 comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente
 della Camera dei deputati.
   Cosi' deciso in Torino, il 21 luglio 1999.
             Il giudice per l'udienza preliminare: Roberti
 99C1054