N. 390 SENTENZA 13 - 22 ottobre 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Oggetto del giudizio - Individuazione,  in  base  ai  termini  della
 questione  sollevata - Riferibilita' alla sola normativa statale (non
 concordataria) applicabile nel giudizio principale.
 
 Intervento in giudizio  -  Intervento  della  conferenza  episcopale
 italiana (CEI) - Difetto di presupposti - Inammissibilita'.
 
 Istituzione  pubblica - Insegnamento della religione cattolica nelle
 scuole pubbliche - Stato giuridico degli insegnanti  di  religione  -
 Disciplina  -  Dicrezionalita' e competenza del legislatore italiano,
 nel rispetto degli impegni patrizi.
 
 Parametri  del  giudizio  -  Individuazione  da  parte  del  giudice
 rimettente  -  Natura  non  concordataria e non vincolata delle norme
 denunciate  -  Necessaria  valutazione  della  loro  legittimita'  in
 relazione ai soli principi supremi - Esclusione.
 
 Petitum - Richiesta di intervento integrativo-correttivo della Corte
 costituzionale   -   Eccezione   di   inammissibilita',  per  pretesa
 interferenza  con  la  discrezionalita'  del  legislatore  -  Effetto
 preclusivo   dell'esame   nel  merito  della  questione  sollevata  -
 Esclusione.
 
 Istruzione pubblica - Insegnamento della religione cattolica - Nomina
 annuale dei docenti (e  revocabilita'  ad  libitum  dell'incarico)  -
 Prospettata  lesione  del principio di eguaglianza, per disparita' di
 trattamento rispetto ai docenti  di  altre  discipline,  nonche'  del
 diritto  al  lavoro  e  del  canone  di buon andamento della pubblica
 amministrazione - Specialita' della disciplina censurata, nell'ambito
 della legislazione scolastica, in relazione  alla  preculiare  natura
 dell'insegnamento - Non fondatezza della questione.
 
 (Legge  5  giugno  1930,  n. 824, artt. 5, primo comma, e 6; legge 25
 marzo 1985, n. 121; d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297,  art.  309,  comma
 2).
 
 (Cost., artt. 3, 4, 35 e 97).
 
 Diritto  al lavoro - Effettivita' - Garanzia di stabilita' nella sede
 conseguita - Esclusione.
 
 (Cost., artt. 1, 4 e 35).
 
 Amministrazione pubblica - Principio di buon andamento -  Diversita'
 di discipline riguardanti il personale dipendente - Ammissibilita'.
 
 (Cost., art. 97).
 
(GU n.43 del 27-10-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,   prof. Carlo MEZZANOTTE,   avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Guido  NEPPI  MODONA,    prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI,  prof.  Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 5, primo
 comma, e 6 della legge 5 giugno 1930, n. 824 (Insegnamento  religioso
 negli  istituti  medi d'istruzione classica, scientifica, magistrale,
 tecnica ed artistica); della legge 25 marzo 1985, n. 121 (Ratifica ed
 esecuzione dell'Accordo, con protocollo addizionale, firmato  a  Roma
 il   18  febbraio  1984,  che  apporta  modificazioni  al  Concordato
 lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica  italiana  e  la
 Santa  Sede), nella parte in cui da' esecuzione all'art. 9, numero 2,
 di tale Accordo; dell'art. 309, comma 2, del decreto  legislativo  16
 aprile  1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
 legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di
 ogni ordine e grado), promosso con ordinanza emessa  il  13  dicembre
 1996  dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione
 staccata di Catania - sui ricorsi riuniti proposti da Smeralda Prinzi
 contro l'Istituto tecnico industriale  "G.  Marconi"  di  Messina  ed
 altri,  iscritta  al  n. 903 del registro ordinanze 1997 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie  speciale,  n.
 3, dell'anno 1998;
   Visti  l'atto  di costituzione dell'Archidiocesi di Messina nonche'
 gli atti di intervento della Conferenza  episcopale  italiana  e  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 19 maggio 1998 il giudice relatore
 Cesare Mirabelli;
   Uditi l'avvocato Franco G. Scoca per l'Archidiocesi  di  Messina  e
 per  la Conferenza episcopale italiana e l'avvocato dello Stato Paolo
 di Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso  di  un  giudizio  promosso  da  una  insegnante  di
 religione   che   chiedeva   l'annullamento  della  mancata  conferma
 dell'incarico,  per  l'anno  scolastico  1994-95,  presso  l'Istituto
 tecnico  industriale  "G.  Marconi" di Messina e dei provvedimenti di
 nomina presso altri istituti di istruzione (Scuola media  statale  di
 Furnari   e    Istituto  magistrale  di  Castroreale),  il  tribunale
 amministrativo  regionale  per  la  Sicilia  -  sezione  staccata  di
 Catania - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 97 della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale: degli artt.
 5, primo comma, e 6 della legge 5 giugno 1930, n.  824  (Insegnamento
 religioso  negli  istituti  medi  d'istruzione classica, scientifica,
 magistrale, tecnica ed artistica); dell'art. 9, numero 2, della legge
 25 marzo 1985, n.  121  (Ratifica  ed  esecuzione  dell'Accordo,  con
 protocollo  addizionale,  firmato  a  Roma  il  18 febbraio 1984, che
 apporta modificazioni  al  Concordato  lateranense  dell'11  febbraio
 1929,  tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), esattamente della
 legge n. 121 del 1985, nella parte in cui da' esecuzione all'art.  9,
 numero  2,  di  tale  Accordo;  dell'art.   309, comma 2, del decreto
 legislativo 16 aprile 1994, n.  297  (Approvazione  del  testo  unico
 delle  disposizioni  legislative  vigenti  in  materia di istruzione,
 relative alle scuole di ogni ordine  e  grado).  Queste  disposizioni
 sono  denunciate  laddove prevedono che la nomina degli insegnanti di
 religione,  su  proposta  dell'ordinario  diocesano,   ha   efficacia
 annuale,  senza  alcuna possibilita' di inserimento nell'organico dei
 docenti, e con la possibilita' di revoca ad libitum dell'incarico.
   La legge n. 824 del 1930 stabilisce che l'insegnamento religioso e'
 affidato  per  incarico  a  persone   scelte   all'inizio   dell'anno
 scolastico dal capo dell'istituto, inteso l'ordinario diocesano (art.
 5, primo comma), e prevede che l'incarico puo' essere revocato, anche
 durante l'anno, di accordo con l'autorita' ecclesiastica (art. 6). La
 legge  n. 121 del 1985 dispone la ratifica ed esecuzione dell'Accordo
 che apporta modificazioni al Concordato lateranense, il quale prevede
 (all'art. 9, numero 2) che la Repubblica  italiana,  riconoscendo  il
 valore  della  cultura  religiosa  e tenendo conto che i principi del
 cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano,
 continuera' ad assicurare, nel quadro delle finalita'  della  scuola,
 l'insegnamento  della  religione cattolica nelle scuole pubbliche non
 universitarie di ogni ordine e grado.
   Il  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia  di
 istruzione,  approvato  con  il  decreto legislativo n. 297 del 1994,
 prevede (all'art.    309)  che  per  l'insegnamento  della  religione
 cattolica  nelle  scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e
 grado,  il  capo  dell'istituto conferisce incarichi annuali d'intesa
 con l'ordinario diocesano secondo le disposizioni dell'Accordo tra la
 Repubblica  italiana  e  la  Santa   Sede   e   relativo   protocollo
 addizionale, ratificato con la legge n.  121 del 1985, e delle intese
 previste dal punto 5, lettera b) di tale protocollo.
   Il  giudice  rimettente richiama queste disposizioni per denunciare
 la norma, che ha trovato applicazione  nel  caso  sottoposto  al  suo
 giudizio,  la quale stabilisce l'efficacia annuale della nomina degli
 insegnanti di religione.
   La mancanza per essi della stabilita', che caratterizzerebbe invece
 la posizione degli altri insegnanti  e  dei  pubblici  dipendenti  in
 genere,  sarebbe  priva  di  giustificazione  e  discriminerebbe,  in
 violazione del principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.),
 questa categoria di insegnanti,  che  fanno  parte  della  componente
 docente  negli  organi  scolastici,  con  gli stessi diritti e doveri
 degli altri docenti (art. 309, comma 3, del  decreto  legislativo  n.
 297  del  1994);  ne'  le  peculiari  caratteristiche  della  materia
 insegnata giustificherebbero un trattamento deteriore.
   La designazione  annuale  da  parte  dell'ordinario  diocesano  non
 sarebbe  diretta  ad  assicurare  il  controllo  della  idoneita' dei
 docenti,  giacche'  il  potere  di  controllare  la  permanenza   dei
 requisiti  di  idoneita' richiesti per l'insegnamento della religione
 sarebbe comunque garantito da altre disposizioni. Ne' viene posto  in
 discussione  questo  potere dell'ordinario diocesano, che costituisce
 il logico e necessario corollario del  potere  di  designazione,  che
 caratterizza questo insegnamento.
   L'efficacia  solo  annuale dell'incarico sarebbe anche in contrasto
 con l'esigenza di  stabilita',  considerata  uno  degli  aspetti  del
 diritto  al  lavoro,  tutelato  in tutte le sue forme ed applicazioni
 (artt.   4,  primo  comma,  e  35  Cost.);  violerebbe,  inoltre,  il
 principio  di  buon  andamento  dell'amministrazione  (art. 97, primo
 comma, Cost.), che richiede non solo la preparazione dell'insegnante,
 ma anche l'esperienza e la continuita' didattica, che  si  conseguono
 prestando   servizio   nella   stessa   sede;   mentre   l'annualita'
 dell'incarico  determinerebbe  un  disagio  personale   e   familiare
 dell'insegnante,  che  si  ripercuoterebbe  sul  suo rendimento e, in
 definitiva, sul buon andamento del servizio.
   2. - Nel giudizio di legittimita' costituzionale si  e'  costituito
 l'Ordinario   diocesano  di  Messina,  che  era  parte  nel  giudizio
 principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
 manifestamente infondata.
   L'atto di costituzione recepisce un unito parere  pro-veritate  nel
 quale  si osserva che tra le norme denunciate e' stato incluso l'art.
 9, numero 2, dell'Accordo che  apporta  modificazioni  al  Concordato
 lateranense,   che   pure   non  contiene  specifiche  determinazioni
 sull'efficacia annuale della nomina degli  insegnanti  di  religione.
 Cio'   indurrebbe   a  ritenere  che  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale si estenda all'ambito delle relazioni tra lo  Stato  e
 le  confessioni  religiose,  per  il  quale  opera  la garanzia della
 disciplina pattizia, prevista dagli artt. 7 ed 8 della  Costituzione.
 Investendo  una  norma di derivazione concordataria, il parametro del
 giudizio di legittimita' costituzionale  dovrebbe  essere  costituito
 dai  "principi  supremi"  dell'ordinamento costituzionale; mentre non
 sarebbero  tali  quelli  indicati dal giudice rimettente, i quali, se
 pure in astratto  possono  riferirsi  a  diritti  umani  (diritto  al
 lavoro)  o a principi fondamentali (eguaglianza, imparzialita' e buon
 andamento della amministrazione), in concreto rifletterebbero  valori
 che  non  assurgono a "principi supremi". Non si potrebbe confondere,
 difatti, con  il  diritto  inviolabile  al  lavoro,  che  riguarda  i
 molteplici  modi  di  esplicare  l'attivita'  lavorativa,  la pretesa
 stabilita' nel posto di lavoro, che e' sempre relativa e non e'  lesa
 da  un regime di mobilita' estesamente previsto in ambito scolastico.
 Ne' le differenziazioni di  trattamento  all'interno  di  una  stessa
 categoria,  quale  e' quella degli insegnanti, toccherebbero i valori
 fondamentali espressi dal principio di eguaglianza, il quale  esclude
 discriminazioni basate sugli elementi distintivi indicati dall'art. 3
 della  Costituzione  o  che,  investendo  la  tutela di diritti umani
 inviolabili, alterino la pari dignita' delle persone.
   Quanto alle norme interne statali, senza considerare la  estensione
 ad  esse della "copertura" assicurata dall'art. 7 della Costituzione,
 i problemi sollevati  dall'ordinanza  di  rimessione  riguarderebbero
 solo  profili amministrativi, attinenti alla organizzazione didattica
 della scuola. In ogni caso l'intervento correttivo ed integrativo che
 viene richiesto toccherebbe la  discrezionalita'  del  legislatore  e
 comporterebbe una scelta tra molteplici soluzioni.
   Queste  considerazioni, formulate per sostenere la inammissibilita'
 della questione di legittimita' costituzionale, sono  poi  sviluppate
 per dimostrarne anche la infondatezza.
   Nel  merito  sarebbe  inesatta la stessa premessa dalla quale muove
 l'ordinanza di rimessione, che  presuppone  la  stabilita'  come  una
 caratteristica del pubblico impiego, della quale rimarrebbero privi i
 soli insegnanti di religione.
   Difatti,   i   rapporti   di   lavoro   a   tempo  determinato  non
 costituirebbero   piu'   una   eccezione;   anzi,   essi    sarebbero
 espressamente  previsti  e  considerati  nell'ambito della scuola (si
 veda l'art. 36, comma 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993,  n.
 29).  Lo  stesso  contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro per il
 personale   scolastico   (sottoscritto   il   4   agosto   1995,   su
 autorizzazione  del  Governo  con  provvedimento  del  Presidente del
 Consiglio dei Ministri 21  luglio  1995,  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale  n.  207,  supplemento ordinario, del 5 settembre 1995) non
 farebbe piu' riferimento al "ruolo" degli insegnanti, ma prevederebbe
 per essi, accanto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato,  anche
 l'assunzione  a  tempo  determinato. Inoltre l'evoluzione del sistema
 scolastico avrebbe portato alla generale utilizzazione  di  procedure
 di   mobilita'  nell'impiego  dei  docenti  presso  diversi  istituti
 scolastici.
   In questo  contesto  gli  insegnanti  di  religione  non  sarebbero
 discriminati;  vedrebbero, anzi, salvaguardate le loro aspettative di
 stabilita', nel rispetto del carattere annuale  dell'incarico  e  del
 potere  di  controllo  e  di intervento dell'autorita' ecclesiastica.
 L'annualita' dell'incarico sarebbe giustificata sia  dalle  possibili
 variazioni   delle   esigenze  del  servizio  scolastico,  sia  dalla
 particolare natura e  struttura  dell'insegnamento  della  religione,
 affidato,  tra l'altro, preferibilmente a sacerdoti o religiosi (art.
 5, ultimo comma, della legge n. 824 del 1930) o, nelle scuole materne
 ed elementari, ad insegnanti di classe disposti  a  svolgerlo  (punto
 2.6.  dell'intesa tra l'autorita' scolastica italiana e la Conferenza
 episcopale italiana, cui e' stata data esecuzione con  il  d.P.R.  16
 dicembre 1985, n. 751).
   L'incarico,  inoltre,  si  considera  confermato  se  permangono le
 condizioni ed i requisiti  prescritti,  sicche'  lo  stato  giuridico
 degli  insegnanti di religione, che pur costituiscono una categoria a
 parte, sarebbe quello dell'incaricato annuale  stabilizzato,  con  un
 rapporto assimilabile a quello a tempo indeterminato.
   L'intervento   dell'autorita'  ecclesiastica  nel  procedimento  di
 conferimento dell'incarico costituirebbe una forma di  partecipazione
 all'organizzazione  di  un  servizio  che  e' reso nella scuola e nel
 quadro delle finalita' della scuola, ma che non  sarebbe  interamente
 della  scuola.  La  Chiesa,  difatti  -  concorrendo  a determinare i
 programmi, le modalita' di organizzazione, i criteri  per  la  scelta
 dei  libri  di  testo,  i  profili della qualificazione professionale
 degli  insegnanti,  il  riconoscimento  della  idoneita'  e  la  loro
 designazione  (punto  5,  lettere  a) e b) del protocollo addizionale
 all'Accordo  di  revisione   del   Concordato)   -   assumerebbe   le
 responsabilita'  connesse  ai tratti confessionali di un insegnamento
 nei cui riguardi lo  Stato  rimane  aperto  e  disponibile,  giacche'
 riconosce  il  valore  della  cultura  religiosa  e tiene conto che i
 principi del cattolicesimo fanno parte  del  patrimonio  storico  del
 popolo   italiano   (art.  9,  numero  2,  dell'Accordo  che  apporta
 modificazioni al Concordato), ma mantiene la distanza propria di  uno
 Stato  laico pluralista, che non si identifica con alcuna confessione
 religiosa.  Cio' comporterebbe il riconoscimento  di  uno  spazio  di
 autonomia  connesso  con l'ordine proprio della Chiesa, e non sarebbe
 irragionevole,  in  corrispondenza  al  legittimo  riconoscimento  di
 questo  ordine,  attribuire  ai  competenti  organi ecclesiastici una
 qualche   discrezionalita'   nell'esercizio   della    facolta'    di
 designazione degli insegnanti che da quell'ordine provengono.
   Considerati  ragionevoli  i  limiti  posti  alla  stabilita'  degli
 insegnanti,  rimarrebbe  anche  escluso  che  questi  limiti  possano
 incidere   negativamente   sui   criteri   di  buon  andamento  e  di
 imparzialita' dell'amministrazione (art. 97  Cost.).    La  questione
 sarebbe  infondata  anche  in  riferimento agli artt.   4 e 35 Cost.,
 giacche' l'inviolabile diritto umano al lavoro  non  potrebbe  essere
 identificato con il diritto alla stabilita' nel posto di lavoro.
   3.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata inammissibile o,
 comunque, infondata.  L'inammissibilita' deriverebbe  dalla  mancanza
 di  un  parametro  di riferimento obbligato, che e' necessario in una
 sentenza manipolativa  per  addizione,  quale  e'  quella  richiesta.
 Inoltre,  essendo  la  materia  disciplinata  pattiziamente,  sarebbe
 pregiudiziale un accordo a livello sovranazionale, o quanto meno  una
 intesa  fra  il  Ministero  della pubblica istruzione e la Conferenza
 episcopale italiana (punto 5 del protocollo  addizionale  all'Accordo
 di revisione del Concordato).  Nel merito l'Avvocatura sottolinea che
 il  giudice  rimettente  muove  da  una  incompleta ricostruzione del
 quadro normativo, che, se non  prevede  una  piena  stabilita'  o  la
 collocazione  in ruolo dell'insegnante di religione, lo pone tuttavia
 in una posizione garantita. L'evoluzione normativa ha delineato, sino
 al vigente contratto collettivo nazionale della scuola del  4  agosto
 1995  (art.  47,  comma  6),  che ha efficacia normativa generale (in
 forza dell'art. 2 del  decreto  legislativo  n.  29  del  1993),  una
 sostanziale   equiparazione,   quanto  al  trattamento  giuridico  ed
 economico, degli insegnanti di religione ai docenti assunti  a  tempo
 indeterminato.   Anche per quanto riguarda le modalita' di assunzione
 la  situazione  sarebbe  diversa  da  quella  esposta   dal   giudice
 rimettente.  Il  capo  di  istituto  determina,  nella  sua autonomia
 organizzativa,  le  esigenze  di  servizio  e  verifica  i  requisiti
 generali   di   ammissione   all'insegnamento,   mentre   l'ordinario
 diocesano, ai  fini  del  raggiungimento  dell'intesa  sulla  nomina,
 attesta  l'idoneita'  dei  docenti.    Ad  avviso dell'Avvocatura, lo
 status  degli  insegnanti  di  religione   sarebbe   tutt'altro   che
 profondamente  differenziato  rispetto  a  quello degli altri docenti
 "stabili". Essi  sono  annualmente  confermati  nell'incarico,  salvo
 nuove  intese  tra l'autorita' diocesana e quella scolastica, che non
 comportano normalmente risoluzione del rapporto di  servizio  bensi',
 come nel caso esaminato dal giudice rimettente, spostamenti di sede o
 variazioni   di   orario   anche  in  relazione  al  sopravvenire  di
 circostanze oggettive.  Quanto al potere di revoca  dell'incarico  da
 parte  del capo d'istituto "di accordo con l'autorita' ecclesiastica"
 (previsto dall'art. 6 della legge n. 824 del 1930), esso  sarebbe  da
 leggere  alla  luce  delle  nuove intese con la Conferenza episcopale
 italiana:  il  riconoscimento  della  idoneita'  all'insegnamento  ha
 effetto  permanente  (d.P.R.  23  giugno  1990, n. 202, di esecuzione
 dell'intesa del 13 giugno 1990) e la revoca presuppone  la  grave  ed
 accertata  carenza  dei  requisiti  (retta dottrina, testimonianza di
 vita cristiana, abilita' pedagogica)  previsti  dal  canone  804  del
 codice  di diritto canonico (delibera della CEI n. 41 del 5 settembre
 1986 e n.42-bis del 30 dicembre 1987).  Ad avviso dell'Avvocatura, la
 questione di  legittimita'  costituzionale  sarebbe  infondata  anche
 sotto  ulteriori profili.  Le differenze di status tra gli insegnanti
 di religione e gli altri insegnanti  risponderebbero  alla  oggettiva
 diversita'  delle situazioni che si vorrebbero comparare, sicche' non
 vi  sarebbe  alcuna  violazione  dell'art.  3   della   Costituzione.
 L'insegnamento  della  religione  cattolica  presenterebbe,  difatti,
 caratteristiche oggettivamente e  soggettivamente  atipiche,  che  ne
 hanno   impedito   l'inquadramento   in   classi  di  concorso  e  di
 abilitazione.  Questo  insegnamento  verrebbe  svolto   nel   sistema
 organizzativo dell'istruzione pubblica, del quale condivide finalita'
 ed  obiettivi,  ma  deriverebbe da una fonte esterna alle istituzioni
 scolastiche, collegandosi al  regime  pattizio-concordatario  con  la
 Chiesa cattolica.  Quanto al diritto al lavoro, garantito dagli artt.
 4  e  35  della Costituzione, esso non comprenderebbe il diritto alla
 stabilita'   nel   posto   di   lavoro.   Rientra,   inoltre,   nella
 discrezionalita'   del  legislatore  privilegiare  o  meno,  sia  nel
 pubblico  impiego  sia  in  quello  privato,  il  rapporto  a   tempo
 indeterminato.
   Con riferimento al principio di buon andamento dell'amministrazione
 (art.  97  Cost.), l'Avvocatura rileva che si deve tener conto, oltre
 che della continuita' didattica che assicurerebbe la permanenza dello
 stesso docente, anche di altri fattori, i  quali  incidono  sul  buon
 andamento  dell'organizzazione  scolastica.  La  scelta  tra  fattore
 soggettivo (continuita' didattica e serenita' del docente)  e  quello
 oggettivo  (organizzazione  dell'insegnamento)  ai  fini  del miglior
 andamento    dell'istruzione    apparterrebbe    alla   insindacabile
 discrezionalita' politica del legislatore.
   4. - Ha  depositato  una  memoria  di  costituzione  la  Conferenza
 episcopale italiana (CEI), che non era parte nel giudizio principale,
 per   sostenere   la   inammissibilita'  o,  comunque,  la  manifesta
 infondatezza della questione.
   Pur non ignorando la giurisprudenza che  esclude  l'ammissibilita',
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale, di parti non costituite
 nel giudizio principale, la CEI ritiene che in questo caso sussistano
 le ragioni  che  hanno  altre  volte  portato  a  derogare  a  questo
 principio.    Difatti  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 metterebbe  in  discussione  l'intesa  stipulata  tra  la  Conferenza
 episcopale  italiana  ed il Ministero della pubblica istruzione il 14
 dicembre 1985 (eseguita con il d.P.R. 16 dicembre 1985,  n.  751),  o
 norme  statali  da  essa  richiamate  o  recepite. La soluzione della
 questione inciderebbe sull'esercizio delle  attribuzioni  della  CEI,
 toccando  la  sfera  di  competenza di tale organo per quanto attiene
 all'insegnamento della religione cattolica.   Una eventuale  modifica
 della  disciplina  posta  in  attuazione  del punto 5, lettera b) del
 protocollo addizionale all'Accordo sottoscritto il 18  febbraio  1984
 tra  Repubblica  italiana  e  Santa  Sede  toccherebbe  i  poteri  di
 intervento del vescovo, bilateralmente  determinati,  ai  fini  della
 conclusione  dell'intesa,  necessaria per la nomina degli insegnanti.
 Il giudizio di legittimita' costituzionale, investendo  l'intesa  tra
 Ministero   della   pubblica   istruzione  e  Conferenza  episcopale,
 coinvolgerebbe  direttamente  la  posizione  e   gli   interessi   di
 quest'ultima.    La memoria prospetta, poi, gli argomenti per i quali
 la questione di  legittimita'  costituzionale  sarebbe,  nel  merito,
 infondata.
                         Considerato in diritto
   1. -  La questione di legittimita' costituzionale riguarda le norme
 che  disciplinano  la  nomina  annuale  degli insegnanti di religione
 nelle scuole pubbliche. Il tribunale amministrativo regionale per  la
 Sicilia  -  sezione staccata di Catania - denuncia gli artt. 5, primo
 comma, e 6 della legge 5 giugno 1930, n. 824 (Insegnamento  religioso
 negli  istituti  medi d'istruzione classica, scientifica, magistrale,
 tecnica ed artistica); la legge 25 marzo 1985, n.  121  (Ratifica  ed
 esecuzione  dell'Accordo,  con protocollo addizionale, firmato a Roma
 il  18  febbraio  1984,  che  apporta  modificazioni  al   Concordato
 lateranense  dell'11  febbraio  1929, tra la Repubblica italiana e la
 Santa Sede), nella parte in cui da' esecuzione all'art. 9, numero  2,
 di  tale  Accordo;  l'art.  309,  comma 2, del decreto legislativo 16
 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle  disposizioni
 legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di
 ogni ordine e grado).
   Il  giudice  rimettente  ritiene  che  queste  disposizioni possano
 essere in contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 97  della  Costituzione,
 laddove  prevedono  che  la  nomina degli insegnanti di religione, su
 proposta dell'ordinario diocesano, ha efficacia annuale, senza alcuna
 possibilita' di essere inseriti  nell'organico  dei  docenti,  e  con
 possibilita' di revoca ad libitum dell'incarico.
   Lo  stesso  giudice  non pone in discussione il potere di controllo
 dell'ordinario     diocesano     sul     permanere     dell'idoneita'
 all'insegnamento,  che  sarebbe  logico  e  necessario corollario del
 potere di designazione, ma ritiene che  la  annualita'  della  nomina
 costituisca una limitazione lesiva del principio di eguaglianza (art.
 3  Cost.),  perche'  non  sarebbe  giustificato escludere questa sola
 categoria di insegnanti, che fanno parte come  gli  altri  del  corpo
 docente  ed  hanno gli stessi diritti e doveri, dalla stabilita', sia
 pure relativa, nel posto d'impiego.  L'annualita' dell'incarico,  con
 la possibilita' che esso non venga rinnovato, lederebbe, inoltre, sia
 il  diritto  al lavoro, garantito in tutte le sue forme (artt. 4 e 35
 Cost.),  sia  il  principio  di   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione  (art.  97  Cost.),  cui risponderebbe, nella scuola,
 oltre che  la  preparazione,  anche  l'esperienza  che  deriva  dalla
 continuita' didattica e dalla maggiore serenita' dell'insegnante, che
 la stabilita' nella sede assicurerebbe, accrescendone il rendimento.
   2.  -  I  dubbi di legittimita' costituzionale, investendo la norma
 che prevede il conferimento di incarichi annuali da  parte  del  capo
 d'istituto  per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole
 pubbliche - la sola norma che, tra l'altro,  trova  applicazione  nel
 giudizio  principale  -  riguardano  esclusivamente  l'art.  5, primo
 comma, della legge n. 824 del 1930 e l'art. 309, comma 2, del decreto
 legislativo n. 297 del 1994. Sono queste,  difatti,  le  disposizioni
 che stabiliscono il conferimento annuale dell'incarico.
   Questa  previsione,  sia  pure  adottata  nel contesto dell'impegno
 concordatario di assicurare l'insegnamento della religione  cattolica
 nelle  scuole  pubbliche,  riguarda  un aspetto dello stato giuridico
 degli insegnanti di religione, la  cui  disciplina  e'  rimessa  alla
 competenza  del  legislatore  statale,  il  quale, nel rispetto degli
 impegni    pattizi,    puo'    discrezionalmente    stabilire     una
 regolamentazione  coerente  con il sistema scolastico e adeguata alle
 particolari caratteristiche di questo insegnamento.
   Del resto l'intesa tra autorita' scolastica e Conferenza episcopale
 italiana, alla quale ha dato esecuzione il d.P.R. 16  dicembre  1985,
 n.  751,  prendendo  atto  dell'intento dello Stato di dare una nuova
 disciplina dello  stato  giuridico  degli  insegnanti  di  religione,
 implica  il  riconoscimento  che  esso sia compreso nell'ambito della
 legislazione scolastica di competenza statale.
   3. -  In  relazione  all'oggetto  del  giudizio,  cosi'  precisato,
 l'intervento  della  Conferenza  episcopale  italiana  (CEI)  non  e'
 ammissibile.
   Difatti la CEI non era parte nel  giudizio  principale,  nel  quale
 erano  costituiti  l'Ordinario  diocesano  di  Messina  e l'autorita'
 scolastica che aveva adottato i provvedimenti impugnati; ne'  la  sua
 posizione  giuridica  e'  suscettibile  di essere direttamente incisa
 dall'esito del giudizio  di  costituzionalita'  della  norma  statale
 denunciata.
   4.  - Il contesto normativo nel quale si inserisce la norma oggetto
 della verifica di legittimita' costituzionale riguarda l'insegnamento
 della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che lo Stato si  e'
 impegnato ad assicurare, in attuazione della disciplina pattizia, nel
 quadro delle finalita' della scuola.
   In  ragione  delle  peculiarita'  di  tale  insegnamento,  che, nel
 rispetto della liberta' di coscienza,  e'  impartito  in  conformita'
 alla  dottrina della Chiesa, l'idoneita' degli insegnanti deve essere
 riconosciuta dall'autorita' ecclesiastica e la loro  nomina  disposta
 dall'autorita'  scolastica  d'intesa  con  essa  (art.  9,  numero 2,
 dell'Accordo  di  revisione  del  Concordato e punto 5 del protocollo
 addizionale).  Il  riconoscimento   dell'idoneita'   presuppone   una
 particolare  qualificazione  professionale  degli insegnanti, i quali
 devono possedere uno dei titoli considerati adeguati per  il  livello
 scolastico  nel  quale  l'insegnamento  deve essere impartito; titoli
 che, in attuazione della previsione concordataria (punto  5,  lettera
 a)  e  lettera b) numero 4, del protocollo addizionale all'Accordo di
 revisione del Concordato),  sono  stati  stabiliti  con  la  prevista
 intesa tra l'autorita' scolastica e la Conferenza episcopale italiana
 (sottoscritta  il  14  dicembre  1985  ed eseguita con il d.P.R.   16
 dicembre 1985, n. 751). Con il medesimo strumento  dell'intesa  (alla
 quale  e' stata data esecuzione con il d.P.R. 23 giugno 1990, n. 202)
 si   e'   stabilito   che   il   riconoscimento    della    idoneita'
 all'insegnamento  della religione ha effetto permanente, salvo revoca
 da parte dell'ordinario diocesano.
   La questione di legittimita' costituzionale, pur muovendo in questo
 contesto, non riguarda  tuttavia,  come  si  e'  gia'  precisato,  la
 normativa  di  derivazione  bilaterale,  bensi' la disciplina statale
 che, nell'ambito della discrezionalita'  propria  della  legislazione
 scolastica,  regolamenta  lo  stato  giuridico  degli  insegnanti  di
 religione prevedendo la loro nomina con efficacia annuale.
   5. - Le eccezioni di inammissibilita', che sono state  prospettate,
 non hanno fondamento.
   In relazione alle norme denunciate l'ordinanza di rimessione indica
 correttamente  i  parametri  del  giudizio,  che non investe norme di
 derivazione concordataria  o  vincolate  per  l'attuazione  di  esse,
 bensi'  norme  stabilite  da una legge ordinaria, la cui legittimita'
 costituzionale non deve essere necessariamente valutata, come  invece
 per  le prime, in relazione ai soli principi supremi dell'ordinamento
 costituzionale (sentenza n. 1 del 1977).
   Inoltre  la  discrezionalita'  del  legislatore  non   esclude   la
 possibilita'  di  verificare  la  ragionevolezza  e non arbitrarieta'
 della  disciplina  adottata  ed  il  rispetto  degli  altri  principi
 costituzionali;  mentre  la  valutazione  dell'eventuale carattere di
 innovazione legislativa che la pronuncia richiesta  dovesse  assumere
 dipende, nel caso in esame, dall'esito della verifica di legittimita'
 costituzionale  e non impedisce, quindi, un esame della questione nel
 merito (sentenze n.310 del 1995 e n.98 del 1997).
   6. - Nel merito la questione non e' fondata.
   6.1. - La lesione del principio  di  eguaglianza  viene  denunciata
 comparando  la  condizione  degli  insegnanti di religione rispetto a
 quella dei docenti di altre discipline, sul presupposto che solo  per
 i primi, nell'ambito del personale docente della scuola, sia prevista
 la annualita' dell'incarico.
   Questa  premessa  e' inesatta sia quanto all'assenza di rapporti di
 lavoro a tempo determinato per il personale docente, sia quanto  alla
 configurazione   dell'assoluta   precarieta'   degli   insegnanti  di
 religione.
   Sotto  il  primo  aspetto  il  conferimento  dell'insegnamento  per
 incarico   si   inquadra   nel   sistema  delle  assunzioni  a  tempo
 determinato, sempre previste dalla comune disciplina  scolastica  (da
 ultimo,  art.  18  e  art.  47  del contratto collettivo nazionale di
 lavoro del comparto del personale  della  scuola  di  cui  al  provv.
 p.c.m.  21  luglio  1995).    Sotto  il  secondo aspetto proprio tale
 disciplina  (art.  47,  commi  6  e 7) prevede che l'incarico annuale
 degli  insegnanti  di  religione  si   intende   confermato   qualora
 permangano  le  condizioni  ed  i  requisiti  prescritti, assimilando
 questo incarico, con le specificita' ad esso proprie, al rapporto  di
 lavoro   a   tempo  indeterminato,  anche  quanto  alla  progressione
 economica di carriera (art. 53 della legge 11 luglio 1980,  n.  312).
 Ne'  la  scelta  dell'incarico quale strumento di provvista di questo
 personale docente - pur essendo sempre  possibili  soluzioni  diverse
 rimesse,  nel  rispetto  degli impegni pattizi, alla discrezionalita'
 del   legislatore   -   si   manifesta   arbitraria   o   palesemente
 irragionevole,   anche  in  relazione  alle  peculiarita'  di  questo
 insegnamento, che hanno gia'  portato  a  ritenere  non  fondata  una
 questione   di  legittimita'  costituzionale  relativa  alla  mancata
 partecipazione  degli  insegnanti  di   religione   a   sessioni   di
 abilitazione ed a concorsi riservati (sentenza n. 343 del 1999).
   6.2   -   Egualmente   infondati   sono  i  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale prospettati  in  riferimento  al  diritto  al  lavoro,
 garantito dagli artt. 4 e 35 della Costituzione.
   L'affermazione  costituzionale  del  diritto al lavoro, tutelato in
 tutte le sue forme ed applicazioni, rispecchia il valore riconosciuto
 al lavoro, posto tra le basi dell'ordinamento  (art.  1  Cost.),  nel
 quale  si  manifesta  anche la dignita' e la liberta' di scelta della
 persona. Ma gli artt. 4 e 35  della  Costituzione,  se  impongono  di
 promuovere  le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro,
 non assicurano in ogni caso il conseguimento di una occupazione o  la
 conservazione  del posto di lavoro (sentenze n. 419 e n. 219 del 1993
 e n. 1 del 1986); ne', tanto meno, il diritto al lavoro garantisce la
 stabilita' nella  sede,  quale  vorrebbe  conseguire  l'ordinanza  di
 rimessione.
   6.3.  -  Anche  in  riferimento  all'art.  97 della Costituzione la
 questione non e' fondata.
   Il principio di buon andamento dell'amministrazione non  impone  un
 modello  organizzativo  nell'inquadramento  del  personale  e  dunque
 consente, sempre nei limiti della ragionevolezza e non arbitrarieta',
 non  superati  nel  caso  in  esame,  diversita'  di  discipline  che
 riguardino  categorie di dipendenti (sentenze n. 63 del 1998 e n. 217
 del 1997).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  5,  primo  comma, e 6 della legge 5 giugno 1930, n. 824
 (Insegnamento religioso negli istituti  medi  d'istruzione  classica,
 scientifica,  magistrale, tecnica ed artistica); della legge 25 marzo
 1985, n. 121 (Ratifica ed  esecuzione  dell'Accordo,  con  protocollo
 addizionale,  firmato  a  Roma  il  18  febbraio  1984,  che  apporta
 modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la
 Repubblica italiana  e  la  Santa  Sede),  nella  parte  in  cui  da'
 esecuzione  all'art.    9,  numero 2, di tale Accordo; dell'art. 309,
 comma 2, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione
 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia  di
 istruzione,  relative alle scuole di ogni ordine e grado); sollevata,
 in riferimento agli artt. 3, 4,  35  e  97  della  Costituzione,  dal
 tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sezione staccata di
 Catania con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 ottobre 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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