N. 410 ORDINANZA 25 - 29 ottobre 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Procedimenti riguardanti i soggetti collaboratori
 di giustizia, beneficiari di uno speciale programma di  protezione  -
 Elezione   del  loro  domicilio  presso  la  commissione  centrale  -
 Competenza territoriale esclusiva del tribunale di sorveglianza della
 capitale,  secondo  l'interpretazione  che  il   remittente   ritiene
 consolidata  -  Prospettata  illegittima  istituzione  di  un giudice
 speciale  con  competenza  su  tutto  il  territorio  nazionale,   in
 violazione  inoltre  dei  principi di emenda e del giudice naturale -
 Questione gia' dichiarata non fondata - Manifesta infondatezza.
 
 (D.-L. 15 gennaio 1991, n. 8 (convertito,  con  modificazioni,  nella
 legge 15 marzo 1991, n. 82), art. 13-ter, comma 3, aggiunto dal d.-l.
 8  giugno  1992, n. 306 (convertito, con modificazioni, nella legge 7
 agosto 1992, n. 356)).
 
 (Cost., artt. 102, primo e secondo comma, 3, 25 e 27, terzo comma).
 
(GU n.44 del 3-11-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 13-ter comma 3,
 del d.-l. 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove misure in materia di sequestri
 di persona a scopo di estorsione e per la protezione  di  coloro  che
 collaborano  con  la giustizia), convertito, con modificazioni, nella
 legge 15 marzo 1991, n. 82, aggiunto dal d.-l. 8 giugno 1992, n.  306
 (Modifiche  urgenti  al  nuovo   codice   di   procedura   penale   e
 provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito,
 con modificazioni, nella  legge  7  agosto  1992,  n.  356,  giudizio
 promosso  con  ordinanza  emessa  il 2 dicembre 1998 dal Tribunale di
 sorveglianza di Roma nel  procedimento  di  sorveglianza  relativo  a
 Caruso  Luigi,  iscritta  al  n.  103  del  registro ordinanze 1999 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,  prima
 serie speciale, dell'anno 1999.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 29 settembre  1999  il  giudice
 relatore Francesco Guizzi.
   Ritenuto  che  nel corso di un procedimento per la prosecuzione del
 programma  di  protezione  di  un  collaboratore  di  giustizia,   il
 Tribunale  di  sorveglianza di Roma ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 102, primo e secondo comma, 3, 25  e  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 13-ter comma 3, del d.-l. 15 gennaio 1991,  n.  8  (Nuove  misure  in
 materia  di  sequestri  di  persona  a  scopo  di estorsione e per la
 protezione di coloro che collaborano con la  giustizia),  convertito,
 con  modificazioni,  nella  legge  15 marzo 1991, n. 82, aggiunto dal
 d.-l. 8 giugno 1992, n.  306 (Modifiche urgenti al  nuovo  codice  di
 procedura  penale  e  provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita'
 mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7  agosto  1992,
 n. 356;
     che, per i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 della disposizione
 in  esame,  secondo  il  rimettente,  "la  competenza  appartiene  al
 tribunale e al magistrato di sorveglianza del luogo in cui la persona
 ammessa allo speciale programma di protezione ha il domicilio"; e, ai
 sensi dell'art. 12,  comma  3,  "all'atto  della  sottoscrizione  del
 programma  l'interessato elegge il proprio domicilio nel luogo in cui
 ha sede la commissione di cui all'art. 10";
     che la Corte di cassazione -  ricorda  il  giudice  a  quo  -  ha
 interpretato  i suddetti articoli nel senso che le persone sottoposte
 al programma di protezione abbiano,  ai  fini  processuali,  il  loro
 domicilio a Roma, presso la Commissione centrale;
     che  tale  interpretazione  non troverebbe conforto nella lettera
 della legge e nei  lavori  parlamentari:  la  disposizione  censurata
 riguarderebbe,  infatti, il domicilio effettivo senza contenere alcun
 riferimento alla sede della Commissione, richiamata al solo scopo  di
 indicare il recapito per le comunicazioni e le notifiche;
     che  la  legge non deroga al criterio di competenza territoriale,
 di cui all'art. 677  del  codice  di  procedura  penale,  poiche'  il
 legislatore  si  e' limitato a rendere piu' facile il reperimento dei
 collaboratori di giustizia, assicurando nel contempo la  riservatezza
 delle  informazioni  concentrate  presso  l'autorita'  amministrativa
 centrale;
     che, di conseguenza, la certificazione del domicilio, proveniente
 dal predetto organismo, si rivelerebbe strumento idoneo  a  garantire
 l'efficienza delle attivita' processuali;
     che  l'interpretazione  della  Corte  di  cassazione si configura
 ormai come diritto vivente, palesemente pero' in contrasto, ad avviso
 del rimettente, con i parametri  menzionati,  giacche'  introduce  di
 fatto una norma eccezionale e anomala;
     che  essa recherebbe, innanzitutto, lesione all'art. 102, primo e
 secondo comma, della Costituzione, perche' introdurrebbe  un  giudice
 speciale,  con  competenza esclusiva su tutto il territorio nazionale
 per  i  procedimenti  riguardanti  i  beneficiari  del  programma  di
 protezione;
     che   il  carattere  della  straordinarieta'  risulterebbe  dalla
 deroga, sostanziale,  alle  "vigenti  disposizioni"  dell'ordinamento
 penitenziario,  in  considerazione  del  particolare  status  di tali
 soggetti e  dei  poteri  attribuiti  alla  Commissione,  la  quale  -
 attraverso  i  pareri  obbligatori resi - inciderebbe inevitabilmente
 sui procedimenti  giudiziari;
     che violerebbe il principio di emenda sottrarre al  magistrato  -
 che  ha la giurisdizione e la sorveglianza sull'istituto carcerario -
 il processo rieducativo del detenuto;
     che sarebbe, altresi', leso il  principio  del  giudice  naturale
 precostituito   per  legge,  poiche'  la  Commissione  centrale  (che
 attualmente ha sede a Roma) potrebbe essere trasferita  altrove;  ma,
 in  questo caso, tenendo ferma la linea interpretativa della Corte di
 cassazione, il giudice di Roma sarebbe privato  della  competenza  in
 ordine  a tali procedimenti, dato che la legge non individua il luogo
 ove ha sede la Commissione;
     che, in via gradata, il Tribunale  di  sorveglianza  di  Roma  ha
 sollevato  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 13-ter
 comma 3, "in relazione alla competenza territoriale del tribunale  di
 sorveglianza  (di  Roma)  nei  confronti di soggetti collaboratori di
 giustizia, titolari di speciale programma  di  protezione,  ai  sensi
 dell'art.  10,  comma  1,  della  legge  n.  82  del 1991", che siano
 detenuti al di fuori del distretto della Corte di appello di Roma;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per
 l'infondatezza;
     che le decisioni della Corte di cassazione richiamate dal giudice
 a quo - ad avviso dell'Avvocatura -  non possono ancora  considerarsi
 diritto  vivente, onde la possibilita' di una diversa interpretazione
 secundum  constitutionem;
     che comunque non sarebbe violato l'art. 102  della  Costituzione,
 dal  momento che la concentrazione della competenza non implicherebbe
 la creazione di un giudice straordinario, ne' speciale;
     che non vi  sarebbe  lesione  del  principio  di  ragionevolezza,
 poiche' si giustificherebbe siffatta competenza sia con la necessita'
 di  mantenere  il riserbo sul luogo in cui il collaboratore vive, sia
 con l'esigenza di collegare i  benefici  penitenziari  con  l'operato
 della Commissione centrale;
     che  non  sarebbe vanificato il principio di emenda, posto che il
 giudice diverso  da  quello  del  luogo  di  detenzione  avrebbe  gli
 strumenti    informativi    per    apprezzare    il    percorso    di
 risocializzazione;
     che, infine, sarebbe da escludere il contrasto con  il  principio
 del  giudice  naturale  precostituito  per  legge, giacche' i criteri
 previsti dalla normativa in esame hanno i requisiti di generalita'  e
 astrattezza.
   Considerato  che  viene  all'esame  della  Corte  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  del  citato  art.   13-ter   comma   3,
 interpretato  dalla  Corte  di cassazione nel senso che la competenza
 territoriale spetta al Tribunale di sorveglianza della  Capitale  per
 effetto dell'elezione di domicilio presso la Commissione centrale;
     che  tale norma contrasterebbe con gli artt. 102, primo e secondo
 comma, 3, sotto il profilo della ragionevolezza, 27, terzo  comma,  e
 25 della Costituzione;
     che,  con  la  sentenza  n.  227  del  1999, questa Corte ha gia'
 dichiarato la non fondatezza della questione, perche'  la  previsione
 della competenza esclusiva attribuita al Tribunale di sorveglianza di
 Roma  risponde  alla  necessita'  di garantire la maggiore protezione
 possibile ai collaboratori  di  giustizia,  impedendo  che  si  possa
 risalire  al luogo ove costoro sono ristretti o comunque sottoposti a
 regime protettivo;
     che non e' leso  il  principio  di  emenda,  perche'  gli  organi
 giurisdizionali  preposti  alla  sorveglianza possono avvalersi degli
 istituti penitenziari per l'osservazione del percorso emendativo  dei
 collaboratori  detenuti  in  strutture  carcerarie non comprese nella
 circoscrizione dell'ufficio romano;
     che ogni doglianza circa  gli  strumenti  esistenti  riguarda  il
 momento  organizzatorio,  non  quello  processuale  che  concerne  la
 normativa in materia di competenza;
     che la previsione d'una speciale competenza territoriale, secondo
 la giurisprudenza di questa Corte, non viola il divieto d'istituzione
 di giudici straordinari o speciali;
     che  nell'ordinanza  di  rimessione  la   precostituzione   viene
 riferita  non  al  giudice, bensi' alla Commissione che non e' organo
 giurisdizionale, per la quale non  vige,  quindi,  il  principio  del
 giudice naturale;
     che   mutamenti  del  regime  della  competenza  dovuti  a  fatti
 modificativi, in ragione dell'applicazione delle sue  stesse  regole,
 sono  possibili  senza  che  cio'  comporti  una lesione del suddetto
 principio;
     che, pertanto, non essendo prospettati nuovi motivi, la questione
 va dichiarata manifestamente  non fondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 13-ter comma 3, del d.-l. 15  gennaio  1991,
 n.  8  (Nuove  misure  in  materia di sequestri di persona a scopo di
 estorsione e per la protezione  di  coloro  che  collaborano  con  la
 giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991,
 n. 82, aggiunto dal d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al
 nuovo  codice  di  procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
 criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, nella  legge  7
 agosto 1992, n. 356, sollevata, in riferimento agli art. 102, primo e
 secondo  comma,  3,  25  e  27,  terzo comma, della Costituzione, dal
 Tribunale di  sorveglianza  di  Roma,  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Guizzi
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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