N. 642 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 1999

                                N. 642
  Ordinanza  emessa  il  12  maggio  1999  dal giudice per le indagini
 preliminari presso la pretura di Latina  nel  procedimento  penale  a
 carico di Manuelli Monica ed altro
 Processo  penale  -  Procedimento  per decreto - Richiesta di decreto
    penale  di  condanna  -  Mancata  previsione  di   previo   invito
    all'indagato a presentarsi per rendere interrogatorio - Disparita'
    di  trattamento  rispetto  a  situazioni  analoghe  -  Lesione del
    diritto di difesa.
     Cod. proc. pen. 1988, art. 459.
  Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.48 del 1-12-1999 )
                  IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letti gli atti del procedimento penale n. 8072/1997 g.i.p.;
   Preso  atto  dell'opposizione  presentata   dal   difensore   degli
 imputati;
   Preso    atto,    altresi',   nella   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 459 c.p.p. in relazione agli artt.  3  e  24
 della   Costituzione   sollevata  sul  presupposto  che  "la  mancata
 previsione dell'obbligo di interrogare l'indagato anche nel  caso  di
 richiesta  al  giudice  per  le  indagini preliminari di emissione di
 decreto penale di condanna contrasta con il principio di  uguaglianza
 del  cittadino  davanti  alla  legge,  stabilito  dall'art.  3  della
 Costituzione e con il diritto  alla  difesa  contenuto  nell'art.  24
 della  Costituzione  ''...'' la decisione del giudice sulla richiesta
 di emissione del decreto sopravverra' senza che il giudice stesso sia
 messo in grado di valutare le obiezioni dell'imputato all'accusa".
   Rileva  che  la  questione, cosi' come proposta, appare pertinente,
 con riferimento all'art. 459 c.p.p., e non  manifestamente  infondata
 alla luce degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
   Come  e'  noto  l'attuale sistema processuale (parlare di procedura
 penale tout-court, nel significato che a tale espressione veniva dato
 nel vigore del vecchio codice, non appare piu'  corretto,  in  quanto
 quello  attuale  potrebbe  definirsi, piu' propriamente, codice delle
 procedure) prevede che il p.m., all'esito delle indagini  preliminari
 o  richieda al g.i.p. il decreto di archiviazione o eserciti l'azione
 penale nei casi di giudizio abbreviato  (artt.  438-443  c.p.p.),  di
 applicazione  della  pena  su  richiesta  (art.  444-448  c.p.p.), di
 giudizio direttissimo (art. 449-452 c.p.p.),  di  giudizio  immediato
 (artt.    453-458  c.p.p.)  di procedimento per decreto penale (artt.
 459-464 c.p.p.), oppure richieda, nei casi di  reati  competenza  del
 tribunale,  rinvio  a  giudizio  al  g.i.p.,  o,  infine, per i reati
 competenza  pretorile,  emetta  direttamente  decreto  di  rinvio   a
 giudizio.
   Orbene  in tale articolato sistema di esercizio dell'azione penale,
 in cui il legislatore ha  inteso  attuare  il  principio  accusatorio
 attraverso  la massima semplificazione dello svolgimento del processo
 con  l'adozione  del  metodo  orale  e  la   massima   partecipazione
 dell'accusa  e  della  difesa  su un piano di parita' in ogni stato e
 grado  del  procedimento,  si   pone   il   problema   della   tutela
 dell'indagato  nella  fase delle indagini preliminari, quella, cioe',
 che precede l'esercizio vero e proprio dell'azione penale.
   Ebbene il problema, per quanto concerne i riti  alternativi  sembra
 trovare  una  soluzione  nell'ambito del sistema stesso: con riguardo
 infatti a quelli regolati dai titoli I e II del libro  VI  l'indagato
 prima  di  essere  ammesso  al rito abbreviato o al patteggiamento ha
 invero  ampia  conoscenza  degli  atti  ed  ampia   possibilita'   di
 contraddittorio  con  il  p.m.;  per  quanto  concerne  invece i riti
 contemplati dai titoli III e  IV,  l'indagato,  prima  del  processo,
 viene   sottoposto   ad  interrogatorio  nel  corso  del  quale  puo'
 evidentemente, avanzare le proprie  discolpe  ed  indicare  i  propri
 mezzi di prova.
   Ben  altra  risulta essere invece la posizione del "giudicando" con
 riferimento al rito speciale previsto dal titolo V del libro VI.
   Trattasi, come e' noto, del  procedimento  per  decreto  penale  di
 condanna  che  il  p.m.  attiva,  avanzando richiesta al g.i.p., ogni
 qualvolta ritenga di volere applicare la sola pena pecuniaria,  anche
 se  in  sostituzione  di  una pena detentiva. Appare evidente come il
 rito  cosi'  conformato  si  presenti  non  piu'  come  actus   trium
 personarum,  caratteristica,  questa,  che gli altri riti alternativi
 continuano  a  mantenere  anche  se  risultano  mancanti  della  fase
 dibattimentale  o della udienza preliminare, ma come nel procedimento
 diverso in cui gli unici protagonisti sono il p.m. ed il giudice  per
 le  indagini preliminari, l'imputato apparendo, alla fine, colpito da
 una condanna senza contraddittorio.
   Orbene e' di tutta evidenza quanto poco tutelata sia  la  posizione
 dell'indagato  nel  procedimento de quo rispetto a quella degli altri
 indagati nei procedimenti speciali cui si e' fatto cenno.
   Se  e'  vero  che  i  riti  alternativi  (che  pure  possono  esser
 inquadrati in categorie distinte e quasi agli antipodi tra  di  loro:
 alcuni  hanno come scopo quello di deflazionare il dibattimento (tit.
 I, II, V) mentre altri (tit. II, IV) hanno lo  scopo  di  anticiparlo
 trovano   il   loro   denominatore   comune   nello  snellimento  del
 procedimento, nell'economia dei giudizi e nella riduzione  dei  costi
 attraverso  la  contrazione del processo, e' altrettanto vero che nel
 delinearli il legislatore ha cercato di dare consistenza al principio
 del  processo  penale  come  processo   di   parti,   garantendo   la
 partecipazione  paritaria dell'accusa e della difesa anche nella fase
 delle  indagini  preliminari.  Cio'  pero'  non   e'   avvenuto   nel
 procedimento per decreto in cui si verifica il caso che il p.m. invii
 al  g.i.p. richiesta di d.p. senza che l'indagato abbia avuto il modo
 di presentare le proprie argomentazioni  contrarie  all'accusa  e  di
 indicare eventuali mezzi di prova.
   Fatto,  questo,  che  indubbiamente  crea  un vulnus nel diritto di
 difesa, sancito dalla Costituzione e  regolato  dal  codice  sia  con
 riferimento  ai riti speciali diversi da quello direttissimo sia ora,
 dopo l'entrata in  vigore  della  legge  n.  234/1997,  con  riguardo
 all'udienza  preliminare ex art. 416 c.p.p. ed al decreto di rinvio a
 giudizio ex art. 555 c.p.p.
   Alla luce di tale testo normativo, il cui art.  2,  commi  2  e  3,
 modifica i richiamati articoli 416 e 555 c.p.p., nel senso che impone
 al  p.m.  di invitare l'indagato a rendere l'interrogatorio, prima di
 inviare al g.i.p. la richiesta  di  rinvio  a  giudizio  o  prima  di
 emettere  il  decreto  di  rinvio  a  giudizio,  nel caso di reati di
 competenza pretorile, appare evidente come il legislatore, in  virtu'
 dell'acquisito principio della partecipazione paritaria dell'accusa e
 della  difesa,  abbia  voluto  renderlo  ancora  piu'  operante,  non
 trovando ragionevole giustificazione  nelle  ipotesi  regolate  dagli
 artt. 416 e 555 c.p.p.  alcuna disparita' di trattamento, trattandosi
 di  situazioni  razionalmente  correlabili  all'attuazione  piena del
 principio di uguaglianza sostanziale che informa di  se'  il  sistema
 processuale.
   Se  dunque  il legislatore ha affermato che la parita' tra accusa e
 difesa deve  trovare  compiuta  attuazione  anche  nelle  ipotesi  di
 richiesta di rinvio a giudizio e di emissione di decreto di citazione
 a giudizio, a seguito dei quali si svolgera' un processo con pienezza
 del contraddittorio, non si vede perche', in tema di procedimento per
 decreto penale non debba essere consentito all'indagato di esercitare
 il  proprio  diritto  di difesa nel corso delle indagini preliminari,
 prima della formulazione da parte del p.m. della  richiesta  ex  art.
 459 c.p.p.
   Non va dimenticato, invero, che caratteristica del procedimento per
 decreto  e' la sua natura inquisitoria - estremo retaggio del vecchio
 sistema -  che,  seppure  trova  giustificazione  in  una  situazione
 probatoria   tale   da  non  lasciare  dubbi,  nell'alto  livello  di
 premialita' (diminuzione  della  pena  fino  alla  meta'  del  minimo
 edittale)  e  nella  considerazione  che  l'imputato ha il diritto di
 proporre opposizione, non puo' pero' incidere sul diritto  di  difesa
 che,   se   correttamente   esercitato   nella  fase  delle  indagini
 preliminari, potrebbe indurre il p.m. a chiedere l'archiviazione o lo
 stesso g.i.p. ad emettere per sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
   Non  puo'  passare sotto silenzio comunque la considerazione che in
 assenza di contraddittorio nella fase delle indagini  preliminari  la
 impossibilita'  per l'indagato di avanzare istanze difensive potrebbe
 causare la perdita  di  elementi  probatori  favorevoli  all'imputato
 stesso,  soprattutto  in  tutte  le  ipotesi  in  cui potrebbe essere
 necessario l'esperimento di un incidente probatorio.
   Ne'  a  ritenere  inattuabile   tale   ipotesi   puo'   valere   la
 considerazione  che  il  decreto  penale  attiene a materie di scarso
 rilievo criminale.
   A parte il fatto che nell'attuale sistema il  decreto  penale  puo'
 essere  adottato  anche  per reati di competenza del tribunale, e' di
 tutta evidenza che la maggior parte dei casi in cui viene dato  corso
 al  procedimento  per  decreto riguardano reati contravvenzionali che
 attengono a materie di particolare delicatezza e rilevanza sociale.
   Si pensi ai reati in  materia  di  alimenti,  di  inquinamento,  di
 violazione  della  normativa  sulla  prevenzione  degli  infortuni di
 circolazione stradale, di  codice  della  navigazione,  di  caccia  e
 pesca, di tutela del patrimonio culturale, di abusivismo edilizio, di
 sanita'  e  sicurezza  pubblica e ad un'altra infinita' di violazioni
 del cui accertamento o per la cui esclusione puo'  essere  necessario
 esperire  indagini  peritali la cui non immediata attuazione potrebbe
 vanificare ogni diritto di difesa.
    Appare di tutta  evidenza  invero  come  in  molte  delle  ipotesi
 indicate,  data  la  modificabilita' delle cose pertinenti al reato e
 spesso del corpo di reato stesso, potrebbe essere necessario esperire
 un incidente probatorio con conseguenze fondamentali in  ordine  alla
 stessa esercitabilita' dell'azione penale.
   Alla  luce di tali necessariamente sintetiche considerazioni emerge
 come, nel sistema in cui e' attualmente  strutturato  il  ricorso  al
 rito  speciale previsto dagli artt. 459 e segg. c.p.p, l'indagato sia
 privato del diritto di esercitare la facolta' che l'art.  392  c.p.p.
 riconosce a tutti gli indagati.
    Ne'  al  mancato  esercizio  del  diritto  di  difesa supplisce il
 diritto di proporre opposizione che, per le ipotesi  prospettate,  si
 risolverebbe  in  una  larvata  forma di denegata giustizia con buona
 pace del diritto di difesa  e  del  principio  accusatorio,  che,  si
 sostiene, deve informare di se' tutto il nuovo sistema processuale.
   Ne'  a  togliere  valore  alle  osservazioni  fin  qui fatte sembra
 possano indurre le  argomentazioni  svolte  nella  ordinanza  del  23
 dicembre  1998  n.  432  con  la  quale  la  Corte  costituzionale ha
 dichiarato la infondatezza di analoga questione di  costituzionalita'
 sollevata dal g.i.p. presso il tribunale di Milano.
   Orbene sostiene la Corte - con un ragionamento non solo tautologico
 ma  contrario  agli  stessi  principi sanciti dagli artt. 3 e 4 della
 Costituzione - che e' proprio  la  specialita'  del  rito,  sotto  il
 profilo  "essenziale e caratterizzante della sua configurazione quale
 rito a contraddittorio eventuale e differito, improntato a criteri di
 economia  processuale  e  speditezza",  a  giustificare  il   diverso
 regolamento processuale.
   Premesso  che  il  principio  del  contraddittorio,  attinente alle
 liberta' fondamentali dell'individuo, non  puo'  e  non  deve  essere
 conculcato da alcuna forma di rito speciale, ne' da alcun criterio di
 speditezza  ed  economia  processuale  -  che  per loro natura devono
 essere strumentali alla tutela dell'indagato quale  soggetto  libero,
 uguale  e  avente  diritto  ad  un processo in tanto giusto in quanto
 obiettivo  e veloce - non va dimenticato che tutti i riti alternativi
 previsti  nell'attuale  sistema  processuale,  riti  da   considerare
 speciali,  sono  improntati  a  criteri  di  economia  processuale  e
 speditezza senza che per questo il diritto  di  difesa  dell'indagato
 venga in qualche modo limitato.
   Vanno  a  questo  punto  fatti  alcuni  rilievi: uno attinente alla
 differenza tra interrogatorio e  invito  a  presentarsi  per  rendere
 l'interrogatorio;   l'altro   afferente   ai   concetti  di  economia
 processuale e speditezza, perni del nuovo  sistema  processuale,  che
 mal  si accorderebbereo - secondo il dictum della Corte - con l'onere
 che verrebbe a gravare sul p.m. di invitare l'indagato a presentarsi.
   Premesso  che  invitare  taluno  a  rendere  l'interrogatorio   non
 equivale ad interrogarlo, di talche' non si vede in quale modo, cosi'
 operando,   verrebbero   a   risentire  la  speditezza  e  l'economia
 processuale, va  ribadito,  al  contrario,  che  proprio  l'invito  a
 presentarsi  per  rendere  l'interrogatorio  ben  si accorda con quei
 richiamati  principi.  E  invero   il   non   impedire   all'indagato
 l'esercizio del diritto di difesa - supportato e giustificato da quel
 principio di non colpevolezza, che non sembra ancora trovare organico
 inserimento  nell'intero  sistema  processuale  -  si  risolve, nella
 sostanza, non solo in mezzo per accorciare i tempi del  processo,  ma
 nella stessa possibilita' di evitare un inutile processo.
   E  quale  piu'  inutile processo di quello che potrebbe concludersi
 con una sentenza di non doversi procedere ex art. 129 c.p.p.  ove  si
 fosse  ascoltato  l'indagato  disposto  a  rendere l'interrogatorio e
 messo nella condizione di esercitare quei  diritti  che  in  rapporto
 agli  altri  "riti  speciali"  gli altri indagati possono esercitare?
 Senza considerare che il corretto esercizio del diritto di  difesa  -
 che si esprime nel contraddittorio - esercitato prima della emissione
 del  decreto  penale  (la  cui  richiesta  spesso  si basa sulla sola
 notizia di reato) porterebbe in una alta percentuale di casi  al  non
 esercizio   del   diritto   di  proporre  opposizione,  con  positive
 conseguenze per tutto il sistema processuale.
   Ne' a sostegno di quanto fin qui evidenziato vale,  lo  si  ripete,
 l'argomentazione  con  la  quale  la Corte costituzionale, nella gia'
 ricordata ordinanza, rileva che l'imputato ha sempre  il  diritto  di
 proporre  opposizione, cosi' manifestando la propria non acquiescenza
 al provvedimento di condanna.
   A  parte  che  si  tratterebbe,  come  ci   si   e'   sforzati   di
 puntualizzare,   di   un  diritto  che,  seppure  formalmente  pieno,
 risulterebbe  nella  sostanza  monco,  in  quanto  relativo  ad   una
 situazione  oggettivamente  mutata per il trascorrere del tempo ed in
 ordine  alla  quale  l'imputato  non  potra'  piu'  far   ricorso   a
 determinati  mezzi  probatori:  va  rilevato  -  ed  e'  cosa  di non
 secondaria importanza - che nel giudizio conseguente  all'opposizione
 la  posizione  dell'opponente  si  pone su un piano diverso da quello
 degli imputati negli altri tipi di rito, vuoi  perche'  si  trova  di
 fronte  ad  un  apparato  probatorio  ormai  consolidato  che  potra'
 difficilmente contestare, vuoi perche' e'  esposto  ad  un  possibile
 inasprimento  di  pena, come previsto dall'art. 464, comma 4, c.p.p.,
 fatto, questo, che lo pone in una situazione deteriore rispetto  agli
 altri indagati.
   Se  cio'  e'  vero,  e  non  sembra logicamente confutabile, appare
 evidente  quanto  diversa  sia,  nel  suo  complesso,  la   posizione
 dell'indagato  prima e dell'imputato poi nel procedimento per decreto
 penale rispetto a  quella  degli  altri  indagati  negli  altri  riti
 previsti dal libro VI del codice di procedura attuale.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 459 c.p.p.;
   Visti gli artt. 3 e 24 della Costituzione;
   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuto  che  la  questione  sollevata  appare  pertinente  e  non
 manifestamente infondata;
   Ritenuto che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente
 dalla risoluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  459 c.p.p. nella parte in cui non prevede che la richiesta
 di emissione di decreto penale  di condanna sia preceduta dall'invito
 per l'indagato a presentarsi per rendere  l'interrogatorio  ai  sensi
 dell'art. 375, comma 3, c.p.p;
   Dispone,   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di  cui  sopra  sia
 notificata  alle  parti  in  causa  e al presidente del Consiglio dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Latina, addi' 12 maggio 1999.
             Il giudice per le indagini preliminari: Carta
 99C1152