N. 651 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 settembre 1999

                                N. 651
  Ordinanza  emessa  il  13  settembre 1999 dal tribunale di Cagliari,
 sezione distaccata di Carbonia nel procedimento civile  vertente  tra
 Melis Bruno ed altra e Melis Luigino
 Procedimento  civile  - Deduzioni istruttorie - Termini assegnati dal
    giudice - Perentorieta' - Possibilita' di produrre documenti oltre
    la scadenza (senza invocare  la  rimessione  in  termini  ex  art.
    184-bis  cod.  proc. civ. - Preclusione - Compressione del diritto
    di  difesa  -  Irrazionalita'  -  Ingiustificata   disparita'   di
    trattamento  ed illogicita' in raffronto al regime delle prove nel
    rito del  lavoro  ed  all'ammissibilita'  di  nuovi  documenti  in
    appello.
     Cod. proc. civ., art. 184.
  Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.48 del 1-12-1999 )
                               IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18 giugno 1999
 nell'affare  contraddistinto al RAC n. 5170 per l'anno 1996, promosso
 da Melis Bruno + 1, col ministero dell'avv. S. Mameli, attore;
   Contro Melis Luigino, difeso dagli avvocati  L.  Boi  e  M.  Onnis,
 convenuto;
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Con  atto di citazione notificato il 13 giugno 1996 i signori Melis
 Bruno e Falchi Luisella convenivano in giudizio davanti la pretura di
 Cagliari, sezione distaccata di Carbonia (ora sezione distaccata  del
 tribunale  di  Cagliari)  il  sig.  Melis Luigino, per il giudizio di
 merito susseguente all'ordinanza resa in data 15  aprile  1996  dalla
 medesima  autorita'  che  ordinava  a  Melis  Luigino di cessare ogni
 turbativa nel possesso degli istanti e  di  astenersi  dal  porre  in
 essere  atti  diretti  ad impedire o comunque limitare l'esercizio di
 quel possesso.
   All'udienza del 9 ottobre 1998, il giudice designato  assegnava,  a
 mente  dell'art. 184 c.p.c., i termini per le deduzioni istruttorie e
 per le relative repliche, pari rispettivamente a  sessanta  e  trenta
 giorni.
   All'udienza  del  18  giugno  1999,  mentre  il  difensore di parte
 attrice insisteva per l'ammissione dei mezzi  di  prova  dedotti,  il
 convenuto    produceva   ulteriore   documentazione   (nella   specie
 rappresentata da un contratto di compravendita del  30  ottobre  1991
 intercorso  tra  Melis  Basilio  e  Azara  Quirica,  e da una perizia
 grafica redatta da un tecnico di parte), chiedendone l'ammissione  ex
 art. 184-bis, c.p.c., senza peraltro allegare i motivi che ne avevano
 impedito la produzione entro i termini prefissati.
   All'ammissione  dei  documenti  prodotti  si  opponeva l'attore, il
 quale ne eccepiva l'inammissibilita'  in  quanto  prodotti  oltre  il
 termine perentorio di cui all'art. 184 c.p.c.
   Il thema decidendum ruota quindi sull'art. 184 c.p.c. e sul sistema
 processuale   nel   quale  questo  si  inserisce,  cadenzato  da  una
 progressiva formazione delle allegazioni fattuali, delle deduzioni  e
 delle eccezioni, per terminare poi con un rigoroso sbarramento per la
 formulazione dei mezzi istruttori.
   Il regime incasellato nell'articolo in disamina prevede infatti una
 preclusione  assoluta  per  l'acquisizione  in  causa  del  materiale
 probatorio, preclusione che opera con  la  fissazione  giudiziale  di
 termini  espressamente  qualificati  dalla  legge  come  perentori, e
 quindi non prorogabili.
   Il legislatore della riforma ha poi accorpato prove precostituite e
 precostituende, assoggettandole alla stessa  disciplina  in  tema  di
 termini e preclusioni.
   La  drastica  e  inequivocabile  soluzione  legislativa ha ricevuto
 unanime conferma dai commentatori della riforma, che, senza ventilare
 ipotesi   di   attenuazione   dell'impianto   normativo,   si    sono
 pacificamente attestati sull'opinione in virtu' della quale una volta
 spirato  il termine perentoriamente stabilito dal giudice, si consuma
 indefettibilmente il potere della parte di allegare  nuovi  documenti
 (in  linea  con  quanto  sopra, Lazzaro, L'esordio del nuovo processo
 civile, Milano, 1997, p. 320 e  545,  Tarzia,  Lineamenti  del  nuovo
 processo  di  cognizione,  Milano, 1996, p. 111 e Bartolini, il nuovo
 codice di procedura civile, Piacenza, 1995, p. 295).
   L'enunciato assetto  a  scansione  del  nuovo  rito  ordinario  del
 processo  civile  registra  un  marcato scostamento rispetto a quelle
 limitazioni istruttorie, peraltro gia' granitiche, che valgono per il
 processo del lavoro.
   Malgrado  infatti  la  celerita'  e   la   speditezza   tipicamente
 connaturate  a quest'ultimo rito, per effetto dell'esplicita sanzione
 di decadenza comminata dagli artt. 414 n. 4, 416,  comma  3,  e  420,
 comma   5  ,  c.p.c.,  in  caso  di  omessa  indicazione  negli  atti
 introduttivi del giudizio dei mezzi di prova e dei documenti  che  si
 offrono  in comunicazione, la Corte di legittimita' (Cass. Civ., sez.
 lav., 16 dicembre 1988, n. 6868, Cass. Civ.,  sez.  lav.,  25  giugno
 1988,  n. 5597 e Cass Civ., sez. lav., 30 maggio 1989, n. 2618, Cass.
 Civ., sez. lav., 16 aprile 1984 n. 2641 e Cass.  Civ.,  sez.  lav.  4
 febbraio  1993, n. 1359) si e' schierata a favore di una lettura piu'
 tollerante  e  meno  restrittiva  dei  meccanismi   processuali   che
 scandiscono l'ingresso delle prove nel giudizio del lavoro.
   La  Suprema  Corte e' quindi giunta ad affermare che, fino a quando
 non si apre la discussione orale, le prove documentali possono essere
 prodotte in qualsiasi momento del giudizio di primo grado (e anche in
 appello), dal momento  che  le  prove  precostituite  non  richiedono
 alcuna  attivita'  istruttoria  e non intaccano quindi le esigenze di
 celerita' e di concentrazione del processo.
   La ricognizione  sopra  tratteggiata  del  contesto  normativo  che
 governa  il  metodo  e  i  termini  per  il deposito di documenti nel
 processo civile ingenera non infondati dubbi circa la  compatibilita'
 della  sanzione  di tardivita' suggellata dall' art. 184 c.p.c. con i
 parametri delineati dagli artt. 3 e 24  della  Carta  costituzionale,
 sotto   i   profili   della   compressione  del  diritto  di  difesa,
 dell'irrazionalita' e dell'ingiustificata disparita'  di  trattamento
 del  regime delle prove, e, piu' specificatamente, nella parte in cui
 l'art. 184 in parola colpisce con  l'inammissibilita'  le  produzioni
 documentali effettuate dopo scaduto il termine assegnato dal giudice,
 e  peraltro  senza la necessita' per la parte che e' incorsa in detta
 decadenza di invocare la  rimessione  in  termini  ex  art.  184-bis,
 c.p.c.
   Quale   premessa  imprescindibile,  questo  giudicante  non  ignora
 l'ampio apprezzamento discrezionale che vanta  il  legislatore  nella
 scelta della soluzione normativa da adottare nei singoli casi.
   Cio'  non  esclude  pero'  che  il  provvedimento legislativo possa
 essere inficiato sotto il profilo dell'eccesso di potere.
   Nel caso che ci occupa, non paiono  essere  soddisfatti  appieno  i
 criteri di logicita' e ragionevolezza dell'attivita' normativa.
   Tale  assunto trova la sua chiave di lettura nella diversa ossatura
 del procedimento civile e del processo del lavoro. Quest'ultimo,  pur
 presidiato  da  una  netta  limitazione  delle  deduzioni istruttorie
 (limitazione che si raccorda intuitivamente alle  peculiari  esigenze
 di   celerita'   e   di  concentrazione),  si  snoda  attraverso  una
 mitigazione del suo  rigore  probatorio  per  lasciare  ampio  spazio
 all'esibizione di prove precostituite sino all'udienza di discussione
 della  causa;  tale riconosciuta liberta' trova giustificazione nella
 scarsa incidenza che  la  produzione  di  nuovi  documenti  ha  sulla
 speditezza  del  giudizio,  del quale non ne viene compromesso ne' lo
 spirito ne' l'andamento.
   Paradossalmente, nel processo ordinario di cognizione, permeato  da
 una  sequenza  di  atti  piu'  graduale e diluita in progressive fasi
 processuali, il frazionamento di che trattasi incontra  una  barriera
 terminale,  che (fermo il disposto dell'art. 184-bis, c.p.c.) arresta
 indeclinabilmente la possibilita' di  espletare  ulteriore  attivita'
 istruttoria.
   E  cio'  a  prescindere  che  si  tratti di produrre documenti o di
 dedurre altri mezzi di prova,  stante  l'insuperabile  dizione  della
 norma   oggetto   di   censura,   ben  testimoniata  dalla  posizione
 dottrinaria sopra richiamata.
   Pur dando per implicita la circostanza che il  legislatore  non  ha
 certamente voluto uniformare le tracce dei due giudizi, non e' scevra
 di  incongruenza l'opzione di assoggettare ad un regime piu' rigoroso
 l'impianto del processo civile, acclarato che, se alla base vi e'  il
 principio  che  non  va  osteggiata l'attivita' difensiva inidonea ad
 incrinare  la  funzionalita'  del  processo,  cio'  vale,  a  maggior
 ragione,  anche  per  quei modelli procedimentali dove il percorso di
 introduzione delle prove e' improntato su criteri piu' elastici.
   L'illogicita' e' inoltre acuita se si amplia la visuale di indagine
 alla  disciplina  del  processo d'appello, per il quale e' pacifica e
 consolidata l'opinione in base alla quale e'  pienamente  ammissibile
 la  produzione  di  documenti  nuovi  in  fase di impugnazione (cosi'
 Lasagno, in AA.VV., Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, p.
 435 e Tarzia, Lineamenti del nuovo processo  di  cognizione,  Milano,
 1996, p. 249).
   Cio' si ripercuote inoltre sulla stessa economia dei giudizi, posto
 che non e' disconoscibile la prospettiva di un necessario giudizio di
 secondo grado solo per produrre prove precostituite (magari decisive)
 che  non  potevano  piu'  essere  offerte  in  causa  per  l'ostacolo
 rappresentato dall' art. 184 c.p.c.
   Come corollario aggiuntivo, ne deriva una consistente  lesione  del
 diritto  alla  difesa,  i  cui  contenuti  risultano  erosi senza una
 plausibile ragione., e quindi in insanabile contrasto con  l'art.  24
 della Costituzione.
   L'univoco  tenore  letterale  della  disposizione de quo esclude in
 radice una ricostruzione della tematica secondo un'ottica conforme al
 dettato costituzionale.
   La  rilevanza  della  questione  promana  invece  dal  fatto   che,
 attenendosi  al  precetto  codicistico,  questo  giudicante  dovrebbe
 statuire  l'inammissibilita'  delle   produzioni   effettuate   fuori
 termine,  senza  inoltre  poter decidere la questione ex art. 184-bis
 c.p.c., non avendo il richiedente dato contezza della  causa  che  ha
 dato origine alla  decadenza.
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 184 c.p.c., nella parte  meglio
 specificata nella superiore parte espositiva;
   Visto   l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  ordina
 l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
 dispone la sospensione del presente giudizio;
   Ordina che il presente provvedimento, a cura della Cancelleria, sia
 comunicata alle parti costituite, nonche' al Presidente del Consiglio
 dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Cagliari, addi' 13 settembre 1999.
                      Il giudice onorario: Cogotti
 99C1161