N. 696 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 novembre 1998
N. 696 Ordinanza emessa il 25 novembre 1998 dal tribunale, sezione per il riesame di Napoli sull'appello proposto da Zara Alfredo Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di fase - Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione del procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia della misura solo nel caso di superamento del termine di durata complessivo e non anche nel caso di superamento del doppio del termine di fase - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui all'art. 304, comma 6, cod proc. pen. C.P.P. 1988, art. 303, comma 4. Costituzione, art. 3.(GU n.52 del 29-12-1999 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza su appello nell'interesse di Zara Alfredo avverso ordinanza 14 agosto 1998 della Corte di assise di S. Maria Capua Vetere, sezione feriale, con la quale veniva rigettata istanza di scarcerazione per scadenza, nella fase delle indagini preliminari, del termine massimo della custodia cautelare; O s s e r v a 1. - Zara Alfredo e' sottoposto a custodia cautelare in carcere a far data dal 6 dicembre 1995 per reati di associazione mafiosa, armi e omicidio in forza di ordinanza 25 novembre 1995 emessa dal g.i.p. del tribunale di Napoli nell'ambito del procedimento c.d. Spartacus. In data 8 novembre 1996 fu rinviato a giudizio avanti alla Corte di assise di Napoli, la quale, pero', con sentenza 22 ottobre 1997, dichiaro' la propria incompetenza per territorio e rimise gli atti al p.m. della D.D.A. di Napoli perche' promuovesse l'azione penale avanti alla Corte di assise di S. Maria Capua Vetere. A tanto il p.m. ha poi provveduto e in data 4 aprile 1998 e' stato emesso dal g.i.p. nuovo decreto di rinvio a giudizio. La difesa ha formulato istanza di scarcerazione invocando l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 292/1998 e, con l'appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p. avverso il provvedimento di rigetto della Corte di assise di S. Maria Capua Vetere, lamenta che erroneamente la citata sentenza e' stata ritenuta non vincolante e che del pari erroneamente e' stato escluso dal computo della custodia cautelare il periodo ricompreso fra il primo decreto che disponeva il giudizio e la sentenza di incompetenza. 2. - Non e' dubbio che nel caso in esame, a seguito della sentenza di incompetenza pronunciata dalla Corte di assise di Napoli, si e' verificata la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari e la nuova decorrenza del termine della custodia cautelare relativo a tale fase, secondo quanto previsto dall'art. 303/2 c.p.p. La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento". La previsione dell'art. 303/2 era stata piu' volte oggetto di questioni di incostituzionalita', sempre ritenute manifestamente infondate dalla Corte di cassazione. Si era affermato, in particolare: che la norma, nel parificare, agli effetti dell'allungamento del termine di fase, la regressione del procedimento per nullita' (anche nel caso di gravi vizi di costituzione delle parti) alle altre ipotesi di regressione stabilite dalla legge, non contrasta con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), poiche' essa intende in ogni caso bilanciare le conseguenze negative del riprendere ex novo l'iter processuale con il permanere delle esigenze cautelari, consentendo l'allungamento del termine di fase, ma comunque entro il termine di durata complessiva della custodia stabilito dall'art. 303/4 (Cass., Sez. VI, n. 915/1993, Esposito); che non sussiste violazione dell'art. 13, ultimo comma della Costituzione, in quanto la norma costituzionale impone che la legge ordinaria stabilisca, per il completamento dell'intero procedimento, il limite massimo alla carcerazione preventiva, ma non esige anche che sia fissato altro limite parziale interno a ciascuna fase del procedimento stesso (Cass., Sez. VI, n. 3525/1993, Massidda); che non sussiste violazione degli artt. 13 e 24 della Costituzione perche', da un lato, e' comunque previsto un tetto massimo della custodia cautelare, conformemente a quanto dispone l'art. 13 della Costituzione, che riserva alla discrezionalita' del legislatore ordinario i casi e i modi della detenzione e, in genere, di ogni forma di restrizione della liberta' personale e, dall'altro, non puo' farsi commistione tra il diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, che consente di eccepire una nullita', e i riflessi che il suo esercizio puo' avere in materia di liberta', essendo rimessa alla discrezionalita' difensiva la valutazione della convenienza di esercitare, o meno, una certa facolta', anche per le implicazioni, le conseguenze e le interferenze di fatto in ogni direzione (Cass., Sez. I, n. 421/1994, Gigliotti ed altri; Cass., Sez. I, n. 1431/1996, Affuso, ha poi escluso la sussistenza di una violazione dell'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega rispetto alla direttiva n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81). Peraltro, con ordinanza 22 novembre 1996 il tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma 2 di detto art. 303". Nel caso che dava occasione alla questione vi erano state due successive regressioni del procedimento nella fase delle indagini preliminari, a seguito di sentenze di incompetenza, e la difesa istante aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a giudizio era decorso un periodo di tempo superiore al doppio del termine di fase. Il g.i.p., competente a decidere, aveva rigettato la richiesta di scarcerazione sul rilievo che la situazione degli imputati era disciplinata unicamente dai commi 2 e 4 dell'art. 303 e non anche dall'art. 304. Con l'atto di appello la difesa aveva riproposto la questione al tribunale e nella discussione aveva poi, in via subordinata, denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in quanto applicabile al solo caso di sospensione dei termini e non anche ai casi di regressione, con conseguente irragionevole disparita' di trattamento. Il tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza di rimessione rilevava che la questione era mal posta dalla difesa, poiche' la fattispecie del regresso "e' disciplinata dalle norme contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 c.p.p. e' ... ogni riferimento all'art. 304 c.p.p. e' ... inconferente, poiche' disciplina situazioni affatto differenti ... attiene all'istituto della sospensione del termine di custodia cautelare ed ai suoi limiti cronologici". Peraltro, anche il tribunale riteneva irragionevole la disparita' di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini e la interruzione dovuta a regressione o rinvio del procedimento - che presentano una "sostanziale omogeneita'" in quanto "entrambi rappresentano degli accidenti che si verificano nel cammino del procedimento, perlopiu' indipendenti dalla volonta' dell'imputato"; pertanto sollevava la questione di costituzionalita' nei termini sopra riportati (v. ord. 22 novembre 1996 tribunale di Reggio Calabria, Ardizzone ed altro in Gazzetta Ufficiale n. 45/1997 - prima serie speciale, n. 756). La Corte costituzionale con la sentenza n. 292/1998 ha dichiarato la questione non fondata, affermando in motivazione che - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della custodia anche se quei termini ... sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo". La Corte, infatti, ha ritenuto che il "limite finale" di durata della custodia cautelare nelle singole fasi, fissato dall'art. 304/6 nel doppio del termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi di sospensione dei termini, come sembrerebbe indicare la collocazione della norma, ma anche in quelli di proroga o di interruzione determinata da regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice. 3. - Contrariamente a quanto sostiene la difesa appellante, la soluzione interpretativa adottata dalla Corte costituzionale non e' giuridicamente vincolante nel presente procedimento. Le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale non sono infatti munite dell'efficacia erga omnes propria delle decisioni con le quali viene dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una disposizione di legge, per cui assumono il valore di mero precedente, certamente autorevole, ma non vincolante per il giudice (SS.UU. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri). Nel caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa - ispirata dall'intento di superare la denunciata irragionevole disparita' di disciplina tra i casi di sospensione dei termini di custodia e quelli di interruzione dovuta a regresso o rinvio del procedimento - finisce per creare una omogeneita' di disciplina tra tali casi, nei quali l'allungamento della durata della custodia e' per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della evasione, nel quale l'allungamento deriva invece dal comportamento dell'imputato, per di piu' penalmente illecito. Nella sentenza n. 292/1998, in verita', non vi e' menzione del caso di evasione dell'imputato, ma anch'esso rientra tra i "i fenomeni che comunque possono interferire con la disciplina dei termini di fase", ai quali tutti si riferirebbe il "limite finale" di cui all'art. 304/6, e, d'altro canto, l'art. 303/3 e' espressamente richiamato dall'art. 304/6. Anche prescindendo da tale rilievo, il collegio ritiene di doversi discostare dalla soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della norma di cui all'art. 304/3, alla sua collocazione e, soprattutto, alla sua letterale formulazione. Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della custodia cautelare e' stata avvertita dal legislatore proprio in relazione all'istituto della sospensione dei termini, che nelle sue concrete applicazioni avrebbe potuto determinare la quiescenza sine die del decorso dei termini. Il "limite finale" e' stato originariamente introdotto per la durata complessiva della custodia cautelare (art. 272/9 c.p.p abrogato; art. 304/4 nuovo c.p.p. nel testo vigente anteriormente alla legge n. 532/1995) e la sua collocazione (subito dopo le norme sulla sospensione dei termini e nel nuovo codice proprio nell'articolo intitolato alla sospensione) rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato. Prima dell'entrata in vigore della legge n. 532/1995, non pare fosse, in realta', neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite finale" ai casi del regresso o del rinvio del procedimento (salvo quando - beninteso - dopo tali vicende fosse intervenuta anche la sospensione dei termini): infatti, nel codice abrogato l'irragionevole prolungamento della custodia nei casi di regressione o rinvio del procedimento, disciplinati dal comma 5 dell'art. 272, era assicurato dalla specifica previsione del comma 6 dello stesso articolo che fissava limiti massimi di durata complessiva della custodia inferiori al "limite finale" di cui al comma 9; nel nuovo codice, anteriormente alla legge n. 532/1995, i termini di durata complessiva della custodia previsti dall'art. 303/4 - applicabili nei casi di regressione o rinvio del procedimento - risultavano sempre inferiori al "limite finale" di cui all'art. 304/4. Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per sostenere che il "limite finale" abbia portata non circoscritta ai casi di sospensione dei termini. L'art. 15/1 della legge n. 532/1995, nel riformulare il testo dell'art. 304, ha introdotto un "limite finale" di durata della custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase) e ha piu' favorevolmente disciplinato il "limite finale" di durata complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i termini di cui all'art. 303/4 aumentati della meta' e richiamando comunque il previgente "limite" (due terzi del massimo della pena temporanea), da applicarsi pero' solo se piu' favorevole. Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei termini della custodia si dovrebbe desumere dalla scelta del legislatore di tener ferma la collocazione della norma nell'articolo dedicato appunto alla sospensione. Ne' pare che l'uso dell'avverbio "comunque" nell'art. 304/6 confermi l'ipotesi che i "limiti finali" siano riferiti a tutti i fenomeni che possono interferire con la disciplina dei termini, e percio' anche ai casi di proroga dei termini e regressione del procedimento. Ben puo' ritenersi, infatti, che l'avverbio valga invece a sottolineare la correlazione tra la norma sui "limiti finali" e tutte le varie ipotesi di sospensione dei termini previste nei cinque commi che precedono, nel senso cioe' che i limiti operano quale che sia la causa della sospensione. Ma vi e' una ragione ulteriore e decisiva che induce a escludere che il "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia riferibile ai casi di regressione o rinvio del procedimento. Occorre infatti considerare che l'art. 304/6, come sostituito dall'art. 15/1 della legge n. 332/1995, fissa il "limite finale" relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3". La norma, dunque, richiama espressamente i casi di regressione o rinvio del procedimento e il caso di evasione, nei quali i termini decorrono ex novo, e la previsione risulta perfettamente giustificata anche per chi ritenga, come qui si sostiene, che l'art. 304/6 si applichi solo in caso di sospensione dei termini: infatti, ben puo' darsi il caso che il procedimento regredisca nella fase del giudizio e intervenga poi sospensione dei termini di custodia. Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e 3 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini della individuazione del "limite finale" di durata della custodia nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o rinvio del procedimento e della evasione. Cio' comporta che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase del giudizio di primo grado ed essendo stati poi sospesi i termini, la custodia cautelare non potra' superare il doppio del termine di fase, calcolato pero' a partire dalla data del provvedimento che ha disposto il regresso e non dall'emissione del provvedimento che originariamente aveva disposto il giudizio (in tal senso si e' pronunciata la I Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 1063/1996, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso da questo tribunale, IV Sezione, con ordinanza ex art. 310 c.p.p. in data 21 dicembre 1995). Se il legislatore del '95 avesse inteso invece equiparare, ai fini della individuazione del "limite finale" di durata della custodia nella fase, le situazioni di regresso o rinvio del procedimento e di evasione alle altre, si sarebbe limitato a prevedere che "la durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, comma 1...", eventualmente aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo". Il dato testuale appare dunque chiaro e il collegio deve tenerne conto, poiche' "nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore". Peraltro, la conclusione cui si e' pervenuti esclude incontestabilmente che il "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia riferibile anche ai casi di regressione o rinvio del procedimento e di evasione, per la semplice ragione che, se in tali casi il "limite finale" di durata della custodia nella fase va computato, come si e' detto, a partire dal momento di nuova decorrenza del termine indicato per ciascuna delle ipotesi dai commi 2 e 3 dell'art. 303, e' ovvio che detto "limite finale" giammai potra' essere superato (in quanto scadrebbe ben prima l'ordinario termine di fase), se non intervenga anche la sospensione dei termini. Il che appunto conferma che il "limite finale" di cui all'art. 304/6 e' riferibile unicamente ai casi di sospensione dei termini della custodia. 4. - Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente affermato che, sebbene la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes facendo essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a quo, non si puo' mai giungere a sostenere che per gli altri giudici la decisione della Corte costituzionale sia da ritenersi inutiliter data. Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi dall'interpretazione proposta nella sentenza della Corte costituzionale non ha altra alternativa che quella di sollevare ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione (SS.UU. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri). Il collegio, uniformandosi a tale principio, ritiene di dover sollevare nuovamente la questione di legittimita' dell'art. 303/4 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22 novembre 1996 del tribunale di Reggio Calabria.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata "la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma 2 di detto art. 303"; Sospende il procedimento in corso e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'appellante, al suo difensore, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Napoli, addi' 25 novembre 1998. Il presidente est.: Guglielmo 99C2234