N. 713 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 novembre 1999

                                N.  713
  Ordinanza emessa il 30 novembre 1999 dalla Corte militare di appello
 sull'istanza proposta da Priebke Erich
 Amnistia e indulto - Indulto - Concessione per  i  reati  inerenti  a
    fatti  bellici  commessi  da  coloro  che  abbiano  appartenuto  a
    formazioni armate - Applicabilita' del provvedimento di  clemenza,
    secondo   l'interpretazione   della   Corte  di  cassazione,  agli
    appartenenti a raggruppamenti  armati  di  cittadini  a  carattere
    contingente  -  Estensione  agli  appartenenti  a reparti regolari
    delle Forze armate dello Stato e  delle  Forze  armate  nemiche  -
    Mancata  previsione - Ingiustificata disparita' di trattamento nei
    confronti  degli  autori  degli  stessi  crimini, in ragione della
    diversa condizione soggettiva.  D.P.R. 19 dicembre 1953,  n.  922,
    art. 2.
 Costituzione, art. 3.
(GU n.52 del 29-12-1999 )
                           LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza:
   1.  -  Con istanza presentata in data 11 novembre 1999 il difensore
 di Erich Priebke ha chiesto  l'applicazione  -  nei  confronti  dello
 stesso Priebke, condannato all'ergastolo con sentenza di questa Corte
 militare  di  appello in data 7 marzo 1998 (irr. il 16 novembre 1998)
 per il reato  di  concorso  in  violenza  con  omicidio  aggravato  e
 continuato  in  danno  di cittadini italiani - dell'indulto di cui al
 d.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922.
   Nell'istanza si rileva, in ordine alla applicabilita' del  suddetto
 provvedimento di indulto:
     che  appare  certa  la  inerenza  dei  fatti  per  cui  e'  stata
 pronunciata sentenza di condanna agli eventi bellici;
     che parimenti va ritenuta sussistente la  condizione  soggettiva,
 dell'essere  il  condannato  appartenente  a  "formazioni armate", in
 relazione  alla  sua  qualita'  di  appartenente  alle  forze  armate
 tedesche.    Al  riguardo si ritiene non condivisibile l'orientamento
 fatto proprio dalla Corte di cassazione (sez. un.,  24  luglio  1954)
 che  "ha inteso limitare l'applicazione del provvedimento di clemenza
 ai soli ''partigiani'' e agli appartenenti ai  raggruppamenti  armati
 di  cittadini a carattere contingente costituitisi nel Paese, da ambo
 le parti contendenti, con esclusione degli  appartenenti  alle  forze
 armate  dello  Stato  e  di  quelle  straniere". Tale interpretazione
 appare  infatti  alla  difesa  contrastare  con   il   principio   di
 ragionevolezza  sancito  dall'art.    3 della Costituzione, venendo a
 discriminare gli appartenenti alle forze armate;
     che  per  i  militari  italiani  sarebbero  stati  emanati,  "con
 riferimento  a  fatti  in  qualche modo collegati ad eventi bellici",
 altri  provvedimenti  clemenziali,  per  cui  gli  unici  esclusi  da
 qualsivoglia  beneficio  risulterebbero  gli appartenenti alle "forze
 regolari" straniere, in violazione degli artt.  2  e  7  della  Dich.
 Univ. diritti dell'uomo e di altre norme internazionali.
   2.  -  L'istanza  della  difesa  di  Erich Priebke non puo' trovare
 accoglimento in  base  alla  legislazione  vigente.  Ritiene  infatti
 questa  Corte di condividere pienamente l'affermazione della Corte di
 cassazione, Sez. un. pen., 24 luglio 1954, Cianciulli, secondo cui ai
 fini dell'applicazione dell'indulto concesso con l'art. 2,  lett.  b)
 del  D.P.  19 dicembre 1953, n. 922, la locuzione "formazioni armate"
 si riferisce soltanto ai raggruppamenti armati  di  cittadini  (forze
 della  resistenza  e  fascisti  collaborazionisti)  costituitisi  nel
 Paese, con carattere contingente, a seguito degli eventi bellici.
   Il beneficio dell'indulto non e' invece, secondo la Suprema  Corte,
 riferibile    agli   appartenenti   alle   forze   regolari,   tenuti
 all'adempimento del proprio  dovere  all'infuori  ed  al  disopra  di
 qualsiasi   ideologia   o   contingenza   politica   e,  quindi,  non
 equiparabili alle formazioni partigiane o del campo opposto.
   A confortare la soluzione interpretativa cui pervengono le  sezioni
 unite  convergono  plurimi argomenti: la locuzione tecnica utilizzata
 dal  legislatore,  "formazioni  armate",  piuttosto  che  "formazioni
 militari";  la  circostanza  che  il  legislatore,  quando  ha voluto
 riferirsi   agli   appartenenti  alle  Forze  armate,  li  ha  sempre
 considerati distintamente dai componenti delle forze di  liberazione;
 la   ratio   legis,   consistente  nel  raggiungimento  del  fine  di
 pacificazione generale degli animi e nella chiusura di un doloroso  e
 tormentato periodo della vita nazionale.
   Ne'  appare  al  riguardo assumere rilievo l'affermazione difensiva
 secondo cui l'ambito di applicazione del provvedimento  indulgenziale
 in esame (tutti i reati inerenti a eventi bellici) sarebbe assai piu'
 esteso  di  quello  del  d.l. 29 marzo 1946, n. 3 e del r.d. 5 aprile
 1944, n. 96, si' da giustificare  una  piu'  generica  e  comprensiva
 dizione normativa.
   Il   principio   di   diritto  sopra  indicato  e'  stato  peraltro
 successivamente applicato in modo  costante  dalla  giurisprudenza  e
 ribadito  piu'  volte sia dalla Corte di cassazione che dal Tribunale
 supremo militare (cfr. ad. es.: Cass.,  sez.  II,  24  gennaio  1956,
 Bregoli;  Cass. Sez.  II, 23 aprile 1956, Ferrante; Cass., Sez. I, 16
 gennaio 1958, Tommaselli; T.S.M., 26 giugno 1958, Malvagni).
   In particolare il Tribunale supremo  militare  (21  febbraio  1956,
 Reder)  ha affermato che "gli appartenenti alle forze armate tedesche
 non possono essere considerati, ai fini dell'applicazione del condono
 disposto  con  d.P.R.  19  dicembre  1953,  n.  922,  appartenenti  a
 formazioni armate".
   Quanto  al  rilievo  secondo cui, in sostanza, un militare italiano
 avrebbe potuto usufruire di benefici negati ad un  appartenente  alle
 forze  armate  tedesche,  va osservato che l'assunto difensivo sembra
 basato su presupposti erronei.
   Va infatti considerato che: l'art. 7 del D.L.LGT. 29 marzo 1946, n.
 132 (Amnistia e condono per reati militari) esclude  dall'amnistia  e
 dall'indulto  previsti  dagli  articoli precedenti "i reati contro le
 leggi e gli usi di guerra"; parimenti esclude ogni  beneficio  per  i
 reati  contro  le  leggi e gli usi di guerra l'art. 3 del D.C.P.S.  1
 marzo 1947, n. 92  (Concessione  di  amnistia  e  indulto  per  reati
 militari,   in  occasione  del  giuramento  delle  Forze  armate);  i
 successivi provvedimenti di amnistia e condono (a partire dal  d.P.R.
 9 febbraio 1948, n. 32, il cui art. 3 esclude, peraltro tutti i reati
 militari)    non   risultano   aver   mai   distinto   la   posizione
 dell'appartenente alle Forze armate italiane  dall'appartenente  alle
 Forze armate straniere.
   In  definitiva,  poiche'  il  condannato  Priebke  faceva  parte di
 reparti regolari dell'esercito  tedesco  ed  era  "appartenente  alle
 forze  armate  nemiche" (Cass., sez. I, 10 febbraio 1997) va esclusa,
 nei suoi confronti,  l'applicabilita'  del  citato  provvedimento  di
 clemenza.
   3.   -   A   parere  del  collegio  va  ritenuta  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  citato  art.  2  del  d.P.R.  922/1953,  nella  parte in cui non
 estende, alle stesse condizioni, l'indulto concesso agli appartenenti
 alle "formazioni armate", a chi faceva parte delle forze armate.
   La rilevanza della questione appare anzitutto palese,  dal  momento
 che,  in caso di accoglimento da parte della Corte costituzionale, il
 provvedimento di indulto di cui trattasi  dovrebbe  essere  applicato
 nel presente procedimento di esecuzione.
   La  suddetta  questione  di  costituzionalita'  appare  inoltre non
 manifestamente infondata, in quanto la norma in esame stabilisce  una
 disparita'  di trattamento, priva di ragionevole giustificazione, nei
 confronti degli autori degli  stessi  crimini,  in  ragione  soltanto
 della  diversa  condizione soggettiva, cio' in violazione dell'art. 3
 della Costituzione.
   Va preliminarmente considerato, al riguardo,  che,  sulla  base  di
 valutazioni   acquisite  alla  coscienza  odierna,  e  sancite  nelle
 convenzioni internazionali in tema di diritti dell'uomo e di  diritto
 umanitario    bellico,    sembrerebbe    radicalmente   inammissibile
 l'emanazione, oggi, di un  provvedimento  normativo  che  preveda  il
 condono  delle  pene  per  delitti contro l'umanita' e per crimini di
 guerra:  le  stesse   disposizioni   internazionali   relative   alla
 imprescrittibilita'   di   tali   delitti   confermano  il  carattere
 inderogabile della tutela penale  che  nella  materia  e'  assicurata
 dagli ordinamenti nazionali.
   Cio'   non   esclude,   tuttavia,   che,  nell'apprezzamento  circa
 l'applicabilita'  di  norme  entrate  ormai  comunque  a  far   parte
 dell'ordinamento  giuridico  (e  che  si  riferiscono peraltro solo a
 fatti commessi prima del 18 giugno 1946),  il  giudice  debba  tenere
 sempre  in  considerazione  il rispetto del fondamentale principio di
 uguaglianza di cui all'art.  3 della Costituzione.
   Proprio  in  relazione  a  tale  principio  non   si   vede   quale
 giustificazione  possa  esservi  nell'aver  previsto il condono delle
 pene in relazione ai  reati  (anche  gravissimi  e  corrispondenti  a
 quello  per  cui si e' proceduto nei confronti del Priebke) commessi,
 ad esempio, dalle "formazioni armate" dei fascisti collaborazionisti,
 e nell'averlo invece escluso per i reati commessi da  appartenenti  a
 formazioni regolari delle forze armate.
   Cio'  in  particolare  se  si  consideri  che - quando il fatto sia
 commesso in esecuzione di un  ordine  superiore,  come  nel  caso  di
 specie   -   il  vincolo  della  disciplina  militare,  che  riguarda
 ovviamente in misura diversa chi fa parte di forze irregolari, se non
 necessariamente determina l'applicazione di  esimenti  o  attenuanti,
 nemmeno  sembra  poter  essere  considerato  ragione  di una ritenuta
 maggior gravita' e quindi  della  esclusione  dalla  applicazione  di
 provvedimenti di clemenza.
   Nemmeno   possono  essere  considerati  rilevanti,  secondo  questo
 collegio, per giustificare la discriminazione fra formazioni regolari
 e irregolari, gli argomenti utilizzati  dalla  Suprema  Corte,  nella
 sentenza  sopra  citata,  relativi:  alla  scelta  ideologica  di chi
 militava nelle  formazioni  armate  costituitesi  spontaneamente  nel
 periodo bellico; alla finalita' di riconciliazione nazionale.
   Sotto  il primo profilo va comunque osservato che anche chi aderiva
 alle SS, come il  condannato  Priebke,  aveva  compiuto  una  precisa
 scelta  ideologica e che comunque non appare plausibile che una legge
 della Repubblica italiana preveda un  trattamento  preferenziale  per
 chi  abbia  agito in obbedienza al proprio credo ideologico, anche se
 ispirato alla dottrina fascista, rispetto al soggetto  inquadrato  in
 un reparto militare.
   Quanto  alla  finalita'  di  riconciliazione nazionale, va comunque
 osservato che, se il  legislatore,  nella  sua  discrezionalita',  ha
 ritenuto,   per  soddisfare  tale  esigenza  di  riconciliazione,  di
 condonare le pene per certi reati, avrebbe dovuto tuttavia  prevedere
 lo  stesso  trattamento  di favore per tutti, gli autori degli stessi
 reati,  senza  dar  luogo  a  discriminazioni  di trattamento che, in
 quanto basate su presupposti non oggettivi, ma inerenti alle qualita'
 personali dell'agente, appaiono comunque odiose e inammissibili.
   In ultimo va anche considerato che le precedenti  osservazioni,  se
 valgono  per  gli  appartenenti  alle  Forze  Armate dello Stato, non
 possono  non  valere  anche  per  i  militari  nemici,  ai  quali  si
 applicano,  ai  sensi  dell'art. 13 c.p.m.g., le stesse disposizioni,
 relative alla perseguibilita' dei crimini di guerra, che valgono  per
 i  militari  italiani,  e ai quali non possono quindi non applicarsi,
 nelle stesse condizioni, eventuali provvedimenti di clemenza.
   A tal fine puo'  richiamarsi  anche,  nell'ambito  della  normativa
 internazionale, l'art. 75 del I Protocollo aggiuntivo alle Convezioni
 di  Ginevra  (ratificato  con legge 11 dicembre 1985, n. 762) secondo
 cui non e' ammessa, nei confronti delle  persone  in  potere  di  una
 parte  in  conflitto,  alcuna  distinzione  di  carattere sfavorevole
 fondata sulla origine nazionale.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 3, legge 180/1981; 261 e 402  c.p.m.p.;  665,  667,
 comma 4, 672 c.p.p.; 23 legge 11 marzo 1953, n. 87.
   Solleva,  in  relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del   d.P.R.  19  dicembre
 1953,  n.  922,  nella parte in cui non estende l'indulto, concesso a
 "coloro  che  abbiano  appartenuto   a   formazioni   armate",   agli
 appartenenti  a  reparti  regolari  delle  Forze Armate dello Stato e
 delle Forze Armate nemiche, ritenendo tale questione rilevante e  non
 manifestamente infondata.
   Dispone  la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale.
   Ordina che la presente ordinanza sia notificata  alle  parti  e  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
     Roma, addi' 30 novembre 1999.
                          Il presidente: Diana
                                           Il giudice estensore: Mazzi
 99C2253