N. 304 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 2012

Ordinanza del 21 maggio 2012 emessa  dal  Tribunale  di  Santa  Maria
Capua Vetere nel procedimento relativo a D.G.A. . 
 
Misure di prevenzione - Ipotesi di sospensione dell'esecuzione  della
  misura  di  prevenzione  personale  (nella   specie,   sorveglianza
  speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel  comune
  di residenza) a causa dello stato detentivo in espiazione  di  pena
  del proposto - Mancata previsione  del  potere-dovere  del  giudice
  dell'esecuzione di valutare la persistenza della pericolosita'  nel
  momento   dell'esecuzione   -   Violazione   del    principio    di
  ragionevolezza  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  a  quanto
  previsto dall'art. 679 cod. proc. pen. per le misure di  sicurezza,
  anche non  detentive  -  Lesione  del  diritto  di  difesa  (stante
  l'attuale disciplina che trasferisce  sull'interessato  l'onere  di
  promuovere  istanza  di  revoca  per  intervenuta  modifica   della
  personalita' li' dove la verifica della persistenza  dei  parametri
  applicativi della misura va garantita ex officio). 
- Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 12 (ora decreto legislativo 6
  settembre 2011, n. 159, art. 15). 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24. 
(GU n.4 del 23-1-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Nella procedura di  prevenzione  personale  n.  23/2011  R.G.M.P.
pendente nei confronti di D. G. A., nato a S. M. (..)  il  24  maggio
1956; 
    Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 18 aprile
2012 
 
                          Premesso in fatto 
 
    che, in data 3 febbraio 2011,  la  Procura  della  Repubblica  di
Napoli, Direzione Distrettuale  Antimafia  ha  avanzato  proposta  di
applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza
speciale della pubblica  sicurezza,  con  obbligo  di  soggiorno  nel
comune di residenza o di dimora abituale, ai  sensi  della  legge  27
dicembre 1965 n. 575 (applicabile razione temporis  alla  fattispecie
al vaglio, a norma dell'art. 117 d.lgs. n. 159/2011),  nei  confronti
di D. G. A., quale soggetto indiziato  di  appartenere  al  sodalizio
camorrista  denominato  «clan  dei  casalesi»,  fondando  il  proprio
assunto sugli elementi di fatto emersi a suo carico nel  procedimento
penale  n.  22138/05  R.G.P.M.  (ancora   pendente)   e   compendiati
nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 871/08, emessa dal
G.i.p. presso il Tribunale di Napoli il 16 aprile 2008 (e  confermata
in sede di riesame), nonche' sulla sentenza di condanna del  processo
cd. «Spartacus I»  pronunciata  (anche)  nei  confronti  dell'odierno
proposto dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere in data 15
settembre 2005; 
    che nel corso della presente procedura sono stati acquisiti  (tra
l'altro) certificato aggiornato del casellario giudiziale e posizione
giuridica  del  proposto,  dai  quali  si  evince  che  quest'ultimo,
attualmente detenuto  (in  espiazione  pena),  ha  riportato  plurime
condanne definitive a pene detentive anche molto elevate per  delitti
di stampo camorristico (anni 30 di reclusione inflitti  con  sentenza
della Corte d'Assise di  Appello  di  Napoli  del  23  gennaio  2003,
irrevocabile il 9 dicembre 2003; anni  26  e  mesi  6  di  reclusione
irrogati con sentenza della Corte d'Assise di Appello di Napoli del 5
maggio 2004, irrevocabile il 5 ottobre 2004; anni  30  di  reclusione
inflitti con sentenza della Corte d'Assise di Appello di  Napoli  del
24 ottobre 2007, irrevocabile  il  15  luglio  2008)  e  che  la  sua
liberazione, per fine pena, e' attualmente prevista per il 21  maggio
2027 (ossia, tra circa 15 anni) 
 
                               Osserva 
 
    Il Tribunale, per i  motivi  che  verranno  di  seguito  esposti,
ritiene che la decisione sulla applicazione o meno  della  misura  di
prevenzione  personale  presuppone  -   in   via   pregiudiziale - la
soluzione di una questione di  legittimita'  costituzionale  relativa
alla norma di cui all'art. 12 legge 1423/1956 (attuale art.  15  T.U.
Antimafia) da sollevarsi per violazione degli artt.  3  e  24  Cost.,
nella parte in cui detta norma non prevede, in ipotesi di sospensione
della esecuzione della misura di prevenzione personale a causa  dello
stato detentivo in espiazione  pena,  il  potere-dovere  del  giudice
dell'esecuzione  di  valutare  la  persistenza  della   pericolosita'
sociale nel momento della esecuzione. 
    Al fine di comprendere le ragioni da  cui  deriva  il  dubbio  di
costituzionalita', vanno sinteticamente  esposte  le  circostanze  di
fatto e di diritto di seguito indicate. 
    Viene in rilievo, nella fattispecie al vaglio, il  caso  (invero,
non infrequente) in cui la  misura  di  prevenzione  personale  debba
essere applicata ad un soggetto che si trovi in stato  di  detenzione
per reato commesso in precedenza, ipotesi non regolata dalla legge n.
1423/56 (ora d.lgs. n. 159/2011), che, all'art. 11, comma 2 (ora art.
14, comma 2, del T.U.Antimafia), prevede il  diverso  caso  di  reato
commesso nel corso del termine di durata della sorveglianza speciale. 
    Nell'ipotesi  al  vaglio,  la  misura  di  prevenzione  personale
eventualmente  applicata  al  proposto  non  sarebbe   immediatamente
eseguibile a  causa  della  detenzione  del  soggetto,  in  stato  di
espiazione pena, venendo, quindi,  l'esecuzione  differita  all'epoca
della successiva scarcerazione. Si viene, in tal modo, a  creare  una
scissione temporale tra il momento dell'applicazione della  misura  -
nel quale il giudice e' chiamato a verificare la sussistenza di tutti
i presupposti di legge,  tra  cui  l'attualita'  della  pericolosita'
sociale del soggetto, senza la quale le  limitazioni  della  liberta'
personale connesse alla misura non troverebbero giustificazione -  ed
il momento in cui la misura stessa e' destinata  a  produrre  i  suoi
effetti, e tale separazione tra il momento dell'applicazione e quello
della  esecuzione   appare   particolarmente   rilevante   nel   caso
(ricorrente nella fattispecie al vaglio) di detenzione in  espiazione
pena di lunga durata (ed ancora di piu', in caso di ergastolo). 
    Ed infatti, la questione dei rapporti tra detenzione e misure  di
prevenzione   personali   e'   stata   piu'   volte   dibattuta    in
giurisprudenza, la  quale  si  e'  principalmente  interrogata  sulla
applicabilita' delle  misure  di  prevenzione  personali  a  soggetti
detenuti in stato di espiazione pena (mentre non si e' mai seriamente
dubitato della compatibilita' tra l'applicazione di tali misure e  la
custodia cautelare, potendo questa cessare in qualsiasi momento). 
    Un  primo  indirizzo,  tradizionale  e  da   sempre   prevalente,
considerava compatibile l'applicazione della  misura  di  prevenzione
con la restrizione in carcere per titolo definitivo, sul  presupposto
che puo' sussistere  pericolosita'  sociale  anche  nel  detenuto  in
espiazione di pena, e che, d'altro lato, nulla autorizza  a  ritenere
certa la prognosi dell'esito positivo del trattamento  penitenziario:
rimanendo cosi' l'esecuzione della misura stessa posposta al  termine
della pena, salva la possibilita' di chiederne la  revoca,  ai  sensi
dell'art. 7 della legge 1423/56, ove, medio tempore, la pericolosita'
accertata sia venuta meno (cfr.: Sez. 1ª, ord. 8  febbraio  1958,  n.
2536 Scavone; Sez. 1^, sent. 6 ottobre 1965, Rimi; Sez.  1ª,  ord.  7
giugno 1969, n. 356, Langella; Sez. 6ª, ord. 24 giugno 1971, n. 2347,
Tiritiello; Sez. lª, ord. 30 settembre 1972, n. 355, Parisi; Sez. 1ª,
ord. 13 giugno 1975, n. 1709, Serra; Sez. 1ª decr. 4  febbraio  1985,
n. 3315, Dolce; Sez. 1ª, sent. 30 maggio 1985, n. 648  Celeste;  Sez.
1ª, decr. 7 aprile 1986, n. 1637, Sacca'; Sez. 1ª, decr. 28  novembre
1986, n. 3652 Tinnirello; Sez.  1ª,  decr.  3  marzo  1987,  n.  606,
Campanella; Sez. 1ª, sent. 3 marzo 1989, n. 578, Rugolino;  Sez.  4ª,
sent. 7 aprile 1989, n. 940, Zuccheroso). 
    Un secondo indirizzo, finora assolutamente minoritario, riteneva,
invece, l'incompatibilita' della misura di prevenzione con  lo  stato
detentivo in espiazione di pena (non anche con la custodia  cautelare
in carcere) per la inconfigurabilita' della pericolosita' sociale nei
confronti di individuo che,  per  essere  soggetto  alla  restrizione
carceraria e, nel contempo, al trattamento rieducativo, non  soltanto
non e' in grado di dar luogo a comportamenti pericolosi per  l'ordine
e  la  sicurezza  pubblica,  ma   e'   destinatario   degli   effetti
riabilitanti del trattamento  predetto,  idonei  all'annullamento  di
residua pericolosita' sociale, a nulla rilevando la  distinzione  tra
momento deliberativo e  momento  esecutivo  della  misura:  giacche',
diversamente ragionando,  il  giudizio  di  pericolosita',  che  deve
riposare sull'attualita', finirebbe per essere  rapportato  non  alla
situazione  presente,  ma  a  quella  futura  ed   incerta   che   si
determinera' quando l'espiazione della pena avra' avuto termine,  con
inevitabile scissione dell'indispensabile correlazione temporale  tra
attualita' della pericolosita' ed applicazione effettiva della misura
(cfr. Sez. 1ª, 26 settembre 1988, n. 2066, Musitano, cit.;  Sez.  1ª,
sent. 12 novembre 1990, n. 3058, Albergatore, cit.; Sez. 1ª  sent.  9
marzo 1992, n. 1092, Franchina; Sez. 1ª, sent.  15  giugno  1992,  n.
2815 Cordaro). 
    Come e' noto, la questione e' stata risolta dalle  Sezioni  Unite
della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6  del  1993  nel  senso
della applicabilita' della misura di prevenzione  della  sorveglianza
speciale della pubblica sicurezza  anche  nei  confronti  di  persona
detenuta in espiazione di pena. 
    Le Sezioni Unite, premesso che dal sistema e' ricavabile, in tema
di misure di prevenzione, una distinzione tra  momento  deliberativo,
nel quale la  misura  viene  applicata,  e  momento  esecutivo,  anno
ritenuto compatibile lo stato di detenzione in  espiazione  pena  del
proposto con  l'applicazione  della  misura  e  sussistente,  invece,
l'incompatibilita' con l'esecuzione della  stessa,  che  deve  essere
differita alla cessazione di tale stato, salva la possibilita' per il
soggetto di chiederne la  revoca,  ai  sensi  dell'art.  7  legge  n.
1423/56 (ora art. 11 d.lgs. 159/2011), per il successivo  venir  meno
della pericolosita' in forza del trattamento risocializzante connesso
al regime di espiazione  pena  o  in  seguito  alla  sottrazione  del
soggetto all'ambiente in cui manifestava la sua condotta  pericolosa.
Secondo tale decisione la pericolosita' sociale non  e'  di  per  se'
eliminata dalla privazione della liberta'  personale  e,  se,  da  un
lato,  l'inclinazione  della   persona   a   delinquere   non   viene
necessariamente cancellata dalla espiazione della pena in corso,  che
non elide totalmente i contatti con il mondo esterno,  d'altro  lato,
persiste  l'interesse  all'adozione  della  misura   anche   se   non
attualmente eseguibile, sussistendo l'esigenza della  predisposizione
della stessa  in  modo  che  possa  essere  immediatamente  posta  in
esecuzione, senza il rischio di  pericolose  dilazioni,  nel  momento
stesso in cui il detenuto  riacquista  la  liberta',  soprattutto  in
considerazione della  possibilita'  per  lo  stesso  di  ottenere  la
liberazione anticipata o il rinvio dell'esecuzione della pena. 
    Tale interpretazione trova conferme normative nella  disposizione
di cui all'art. 10 legge n. 1423/56 (ora  art.  13  T.U.  Antimafia),
argomentando a contrario, dal silenzio serbato  circa  la  detenzione
per effetto di condanna, la compatibilita' tra sorveglianza  speciale
e detenzione in espiazione pena. Peraltro,  l'art.  2-ter,  comma  8,
legge n. 575/65 (ora art. 18,  comma  5,  d.lgs.  159/2011),  prevede
espressamente l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali
nei confronti di soggetti  sottoposti  ad  una  misura  di  sicurezza
detentiva o alla liberta' vigilata, ai quali (in ragione dell'analoga
funzioni  delle  misure  di  sicurezza)   non   e'   applicabile   la
sorveglianza speciale,  ed  allo  stesso  modo  il  comma  precedente
consente l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali  nei
confronti nei  confronti  di  persone  assenti,  residenti  dimoranti
all'estero. «Poiche' l'esigenza di disporre misure patrimoniali  puo'
porsi, ovviamente, anche nel caso di persone in espiazione  di  pena,
la  mancata  estensione  a   questo   caso   dell'autorizzazione   al
procedimento di prevenzione ai detti fini puo' solo  significare  che
l'adottabilita'  nei  loro  confronti  delle  misure  di  prevenzione
personali, presupposto dell'adozione delle  misure  patrimoniali,  e'
considerata dalla legge come indubbia e scontata: il che  elimina  in
radice la necessita' di previsioni come quelle suddette». 
    Tale opzione interpretativa e' stata costantemente ribadita dalla
successiva giurisprudenza (Sez. 1ª, n. 3671 del  28  settembre  1993,
Modesto; Sez. 6ª, Sentenza n. 1057 del 7 marzo  1996,  Fontana;  Sez.
1ª, n. 3581 del 24 maggio 1996, Alario;  Sez.  1ª,  n.  6964  del  20
dicembre  1996,  Azzali;  Sez.  1ª,  n.  239  dell'11  gennaio  1999,
Pappacena A; Sez. 1ª, n. 5221 del 22 settembre 2000, Ignazzi e altro)
ed anche dalle stesse Sezioni Unite con  sentenza  n.  10281  del  25
ottobre 2007 ed e', quindi, ormai assolutamente consolidata. 
    Deve,  invero,  precisarsi  che,  tra  gli  argomenti  addotti  a
sostegno della tesi appena  esposta,  e'  orami  venuto  meno  quello
fondato sulla conseguenza, ritenuta inaccettabile - perche' contraria
al sistema delineato dalla  legge  n.  575/65  -  ed  a  cui  avrebbe
condotto l'avverso indirizzo,  di  rendere  inapplicabili  le  misure
patrimoniali ai soggetti in  espiazione  pena  detentiva,  difettando
l'espressa previsione della adottabilita' nei  loro  confronti  delle
sole misure di prevenzione patrimoniali 
    Ed invero, con l'introduzione del  comma  6-bis  nell'art.  2-bis
legge n. 575/1965 (con le novelle del 2008 e 2009) e  successivamente
con  l'entrata  in  vigote  del  d.lgs.   n.   159/2011,   e'   stata
definitivamente sancita nel  nostro  ordinamento  l'operativita'  del
principio di  applicazione  disgiunta  delle  misure  di  prevenzione
patrimoniali, in base al quale, in presenza dei relativi presupposti,
le  misure  patrimoniali  del  sequestro  e  della  confisca  possono
applicarsi non solo in tempi diversi rispetto alle misure  personali,
ma anche indipendentemente dall'applicazione di queste  ultime  nelle
fattispecie legislativamente previste ed in ogni ipotesi in cui,  pur
in presenza di persona pericolosa o  che  e'  stata  pericolosa,  non
possa farsi luogo alla misura personale ovvero questa non sia piu' in
atto.    Esse,    in    particolare,    possono    essere    adottate
«indipendentemente dalla pericolosita' sociale del soggetto  proposto
per la loro applicazione al momento della richiesta della  misura  di
prevenzione». 
    Restano, tuttavia, ferme tutte le altre  argomentazioni  poste  a
sostegno dell'applicabilita' delle misure  di  prevenzioni  personali
anche a soggetti in espiazione pena  detentiva,  sopra  esposte,  ivi
compresa quella di carattere normativo della espressa previsione,  da
parte dell'art. 10 legge n. 1423/56  (ora  art.  13  T.U.  Antimafia)
della   inapplicabilita'   della   sorveglianza   speciale    durante
l'esecuzione di una misura di sicurezza detentiva  o  della  liberta'
vigilata   (rimanendo   la   misura    di    prevenzione    assorbita
nell'esecuzione della  misura  di  sicurezza),  che,  argomentando  a
contrario,   porta   a   ritenere,    invece,    la    compatibilita'
dell'applicazione di tale misura  con  la  detenzione  in  espiazione
pena. Peraltro, la ratio della citata disposizione  e'  evidentemente
quella di evitare un'inutile sovrapposizione tra misure che assolvono
alla stessa funzione - impedire la commissione di reati da parte  del
destinatario ed eliminarne la pericolosita'  sociale  -,  chiaramente
distinta e non assimilabile, invece, a quella della pena. 
    Dall'applicabilita' - alla stregua dell'indirizzo  interpretativo
consolidatosi dopo la citata pronuncia a Sezioni Unite - delle misure
di prevenzione personali anche a soggetti (quali l'odierno  proposto)
in  stato  detentivo  per  espiazione  pena,  deriva   che,   essendo
l'esecuzione necessariamente differita,  in  tali  casi,  al  momento
della scarcerazione,  le  limitazioni  alla  liberta'  personale  del
sottoposto  connesse  alla  misura   di   prevenzione   eventualmente
applicata finiscono per essere, di fatto, imposte in un'epoca diversa
ed, in alcune ipotesi, anche molto lontana dal  momento  deliberativo
in cui viene vagliata la pericolosita' del soggetto e, quindi, in  un
tempo in cui egli potrebbe non essere piu' pericoloso. 
    Siffatto  automatismo  induce  a  dubitare  della  compatibilita'
dell'art. 12 legge 1423/1956, (attuale art. 15  T.U.  Antimafia)  con
l'art. 3, comma 1, Cost., nella parte in cui non prevede, in  ipotesi
di sospensione della esecuzione della misura di prevenzione personale
a causa dello stato detentivo in espiazione  pena,  il  potere-dovere
del  giudice  dell'esecuzione  di  valutare  la   persistenza   della
pericolosita' sociale nel  momento  dell'esecuzione,  analogamente  a
quanto previsto dall'art. 679 c.p.p per le misure di sicurezza, anche
non detentive. 
    Se infatti (come ribadito anche dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 124/2004, che ha  dichiarato  la  manifesta  infondatezza
della questione di illegittimita' dell'art. 3 legge n. 1423/1956  per
contrasto con l'art. 27, comma 3, Cost, nella parte in  cui  consente
l'applicazione della  misura  di  prevenzione  sorveglianza  speciale
della p.s. nei confronti di persona detenuta in espiazione  pena)  le
misure di prevenzione e le misure di sicurezza assolvono alla  stessa
funzione, che e' quella di impedire la commissione di reati da  parte
del destinatario ed eliminarne la pericolosita' sociale  -  tanto  da
essere esclusa la possibilita' di una loro  applicazione  cumulativa,
secondo quanto previsto dal citato art. 10 legge  n.  1423/1956  (ora
art. 13 d.lgs. 159/2011)  -,  appare  irragionevole  e  contrario  al
principio di uguaglianza riservare un diverso trattamento in sede  di
esecuzione ai destinatari delle misura di  prevenzione,  rispetto  ai
destinatari delle misure di sicurezza, prevedendo soltanto in  favore
di questi ultimi e non anche dei primi, una verifica ex officio della
persistenza della pericolosita' nel momento dell'esecuzione. 
    Invero, entrambe  le  categorie  di  misure  hanno  quale  comune
fondamento e finalita'  l'esigenza  di  prevenzione  di  fronte  alla
pericolosita' sociale del soggetto, che deve  essere  necessariamente
attuale al momento dell'applicazione; il giudice e', quindi, chiamato
non solo a  verificare  che  il  soggetto  abbia  commesso  un  fatto
previsto dalla legge come reato o «quasi reato (artt. 49 e 115 c.p.),
nel caso delle misure di sicurezza, o che il proposto  appartenga  ad
una  delle  categorie  soggettive  individuate  dalla   legge   quali
possibili destinatari delle misure di prevenzione, nel caso in cui si
discuta dell'applicazione di queste ultime, ma anche a formulare  una
prognosi di attuale pericolosita' sociale che tali  misure  mirano  a
neutralizzare. In altri termini, la  pericolosita'  sociale  (secondo
una  terminologia  che  e'  ormai  costantemente   utilizzata   dalla
giurisprudenza  anche  per  le  misure  di  prevenzione)  costituisce
presupposto imprescindibile per l'applicazione tanto delle misure  di
sicurezza, quanto di quelle di prevenzione, con la conseguenza che le
stesse possono  essere  applicate  solo  a  soggetti  dei  quali  sia
accertata l'attuale pericolosita', senza la quale, si ribadisce,  non
si giustificano le connesse restrizioni. 
    Appare particolarmente significativo, nella specie, il dato  che,
proprio partendo dalla considerazione  che  le  misure  di  sicurezza
personali sono fondate  sui  medesimi  presupposti  delle  misure  di
prevenzioni  personali  e  sono  tendenti   al   medesimo   obiettivo
dell'eliminazione della pericolosita', la Corte di Cassazione, in una
recente pronuncia  (sentenza  n.  2698  del  10  dicembre  2010),  ha
ritenuto estensibili i principi espressi  dal  costante  orientamento
della giurisprudenza di legittimita' sopra richiamato in  materia  di
compatibilita' dello stato di  detenzione  con  l'applicazione  delle
misure di prevenzione, anche alle misure di sicurezza personali. 
    Peraltro, un parallelismo tra le  due  categorie  di  misure  (di
sicurezza e  di  prevenzione),  fondato  proprio  sulla  loro  comune
finalita' di porre fine a quello stato di pericolosita'  attuale  che
giustifica  le  limitazioni  della  liberta'   personale   che   esse
implicano, e' stato  operato  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'
anche nelle pronunce in cui la Suprema Corte ha  affrontato  il  tema
della invocabilita', in materia  di  prevenzione,  del  principio  di
irretroattivita' della legge penale previsto dagli artt. 25 Cost e  2
c.p.  Essa  ha,  infatti,  ritenuto  che  le  norme  in  materia   di
prevenzione devono ritenersi  informate  non  gia'  ai  principi  che
riguardano  le  pene,  bensi'  a  quelli  concernenti  le  misure  di
sicurezza, che, in  base  al  disposto  dell'art.  200  c.p.,  devono
intendersi «regolate dalla  legge  in  vigore  al  tempo  della  loro
applicazione». La possibilita' di applicare le misure di prevenzione,
al  pari  delle   misure   di   sicurezza,   anche   se   intervenute
successivamente  al  sorgere  della  pericolosita',  viene   spiegata
proprio considerando che con la loro previsione  il  legislatore  non
intende punire per un reato o un fatto specifico commesso, ma intende
porre rimedio ad uno  stato  di  pericolosita'  attuale,  cosi'  come
prevede l'art.  200  c.p.  (cfr.  Cass  nn.  1986/4048,  1984/1193  e
1983/677). 
    Nonostante tali analogie, mentre per le misure  di  sicurezza  il
legislatore ha previsto la  necessita'  di  una  verifica,  anche  di
ufficio,   della   persistenza   della   pericolosita'   al   momento
dell'esecuzione  (art.  679  c.p.p.),  simile   meccanismo   non   e'
contemplato anche dalla normativa in materia di prevenzione. 
    In tale ambito, la misura viene, invece, automaticamente  portata
ad esecuzione non appena sono venute meno  eventuali  cause  ostative
sussistenti  nel  momento  dell'applicazione  -  quali  lo  stato  di
detenzione del proposto -, anche a distanza di  diversi  anni,  senza
che sia garantito al sottoposto un controllo analogo. 
    Tale disparita' di trattamento di situazioni che,  per  i  motivi
sopra  esposti,  sono   evidentemente   analoghe,   appare,   quindi,
irragionevole e, dunque, contraria all'art. 3, comma 1, Cost. 
    Occorre, inoltre, rilevare che, la facolta'  dell'interessato  di
promuovere istanza di revoca della misura di  prevenzione  ove  venga
meno la sua pericolosita', prevista dall'art. 7 legge n. 1423/56 (ora
art. 11 T.U. Antimafia) - considerati anche gli oneri economici ed  i
tempi connessi alla relativa procedura -  non  e'  equiparabile  alla
garanzia di una verifica ex officio della persistenza  dei  parametri
applicativi   della   misura.   In    altri    termini,    trasferire
sull'interessato l'onere  di  promuovere  un  procedimento  volto  ad
ottenere  l'accertamento  della  sopravvenuta  cessazione  della  sua
pericolosita', nei casi -  quale  quello  in  esame  -  di  scissione
temporale tra momento deliberativo e momento esecutivo  della  misura
di prevenzione, diversamente  da  quanto  accade  per  le  misure  di
sicurezza,  appare  in  contrasto  anche  con  le  garanzie   sancite
dall'art. 24 Cost. 
    Va, infine, osservato: 
        che,  nonostante  l'abrogazione  della   legge   n.   1423/56
espressamente  disposta  dall'art.  120  del  d.lgs.   159/2011,   la
questione  di  legittimita'  posta  deve  ritenersi  ammissibile,  in
ragione della sia pur  parziale  «ultrattivita'»  delle  disposizione
contenute in detta legge sancita  dall'art.  117  del  medesimo  T.U.
Antimafia: nei procedimenti di prevenzione introdotti da proposte  di
applicazione formulate prima del 13 ottobre 2011 - e,  quindi,  anche
nel procedimento in esame - continuano,  infatti,  ad  applicarsi  le
norme previgenti (sostituite da quelle di cui al Libro I  del  citato
T.U.); pertanto, l'applicabilita' nella fattispecie al  vaglio  della
norma  sospettata  di  illegittimita'  costituzionale  (e,  peraltro,
trasfusa  nel  nuovo  testo  unico),  indipendentemente   dalla   sua
abrogazione,  consente  di  ritenere  la  questione  di  legittimita'
ammissibile e rilevante; 
        che la questione  appare,  inoltre,  rilevante  nel  presente
procedimento, posto che la prognosi di pericolosita' che - allo stato
- questo Tribunale dovrebbe formulare  nei  confronti  di  D.  G.  A.
costituirebbe, di per se', fonte della futura sottoposizione a misura
di prevenzione incidente sulla liberta' personale  del  soggetto,  in
assenza  di  un  meccanismo  generale  -  simile  a  quello  previsto
dall'art. 679 c.p.p. in sede di misure di sicurezza personali -  teso
alla verifica in concreto  della  «persistenza»  della  pericolosita'
sociale del soggetto all'esito  della  sottoposizione  a  trattamento
sanzionatorio correlato all'accertamento di  penale  responsabilita';
invero, stante l'automatismo della sottoposizione  del  proposto,  al
momento della scarcerazione, alla misura di prevenzione eventualmente
disposta a suo carico, previsto dalla normativa vigente, la  presente
questione di legittimita' costituzionale appare di decisiva rilevanza
in questa sede, costituendo essa l'unica in cui puo' essere utilmente
posta; in  altri  termini,  la  decisione  della  proposta  in  senso
applicativo determinerebbe sin d'ora il  pregiudizio  correlato  alla
futura e differita sottoposizione, senza alcun momento  di  ulteriore
controllo; 
        che la questione appare non manifestamente  infondata,  posto
che, per le ragioni prima esposte, sussiste  un  concreto  dubbio  di
violazione sia dell'art.  3  della  Costituzione  (per  irragionevole
disparita' di trattamento normativo di situazioni analoghe, assumendo
come tertium comparationis la  disciplina  della  applicazione  delle
misure di sicurezza non detentive, regolata  dall'art.  679  c.p.p.),
che dell'art. 24 della  Costituzione  (perche'  l'attuale  disciplina
trasferisce sull'interessato l'onere di promuovere istanza di  revoca
per intervenuta modifica della personalita' li dove la verifica della
persistenza dei parametri applicativi della misura  va  garantita  ex
officio) ; 
    La decisione va pertanto sospesa, con  notifica  della  ordinanza
alle parti, in attesa della decisione della Corte Costituzionale, cui
vanno trasmessi gli atti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Solleva,  d'ufficio,  questione  di  legittimita'  costituzionale
della norma di cui all'art. 12 legge n. 1423/1956 (ora art.  15  T.U.
Antimafia), per violazione degli arti. 3 e 24 Cost., nella  parte  in
cui  detta  norma  non  prevede,  in  ipotesi  di  sospensione  della
esecuzione della misura di prevenzione personale a causa dello  stato
detentivo  in  espiazione  pena,   il   potere-dovere   del   giudice
dell'esecuzione  di  valutare  la  persistenza  della   pericolosita'
sociale nel momento della esecuzione. 
    Sospende la decisione sulla proposta sino all'esito del  giudizio
di costituzionalita'. 
    Dispone la notifica della presente ordinanza: 
        al Pubblico Ministero; 
        al proposto e ai suoi difensori; 
        al Presidente del Consiglio dei Ministri; 
        al Presidente del Senato della Repubblica  ed  al  Presidente
della Camera dei Deputati. 
    Manda la Cancelleria per i conseguenti adempimenti. 
        Cosi' deciso in Sanata Maria Capua Vetere, il 18 maggio 2012 
 
                         Il Presidente: Magi 
 
 
                                              Il Giudice est.: Attena