N. 10 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 2012
Ordinanza del 14 novembre 2012 emessa dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da C. R. contro Regione Campania e S. C.. Consiglio regionale - Norme della Regione Campania - Consiglieri che hanno riportato condanna penale, anche non definitiva per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. - Prevista sospensione dalla carica - Violazione di diritto fondamentale della persona - Lesione del principio di uguaglianza sotto il profilo della disparita' di trattamento rispetto ai consiglieri di altre Regioni e sotto il profilo dell'irragionevolezza - Incidenza sul diritto di elettorato passivo - Violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. - Legge della Regione Campania 11 ottobre 2011, n. 16, art. 1, aggiuntivo dell'art. 9, comma 5, alla legge della Regione Campania 19 gennaio 2007, n. 1. - Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, 51, primo comma, e 117, comma secondo, lett. h).(GU n.6 del 6-2-2013 )
IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio all'esito della riserva espressa nell'udienza camerale del 5 ottobre 2012 elette le note autorizzate, ha pronunziato la seguente ordinanza, nella causa civile iscritta al n. 34698 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2011 avente ad oggetto: contenzioso elettorale e vertente tra C. R., rappresentato e difeso, giuste procure a margine del ricorso e della memoria difensiva, dagli avvocati Alfonso Capotorto, Ciro Sito ed Alfonso Vuolo ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli avvocati Alfonso Capotorto e Ciro Sito ubicato in Napoli al Centro Direzionale Is. E/2, ricorrente,e Regione Campania, in persona del legale rappresentante Presidente pro tempore della giunta Regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Corrado Grande, giusta procura generale ad lites nonche' provvedimento autorizzativo e con la stessa elettivamente domiciliato in Napoli alla via S. Lucia n. 81, controricorrente, e S. C., rappresentato e difeso, in virtu' di procura a margine della comparsa di costituzione, dall'avv. Antonio Manfredi con il quale elettivamente domicilia presso lo studio dell'avv. Salvatore Della Corte sito in Napoli alla via Vittorio Veneto n. 288/A, controricorrente, nonche' il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli in persona del sostituto procuratore della Repubblica dott.ssa Valeria Gonzales y Reyero, interventore ex lege F a t t o Con ricorso, proposto ex art. 22 d.lgs. n. 150/2011 e depositato il 5 dicembre 2011, C. R. rappresentava che: nella qualita' di Consigliere Regionale della Campania nell'attuale legislatura, ha subito un procedimento di contestazione definitiva di incompatibilita' alla carica ricoperta, formalizzato con Delibera adottata nella seduta del Consiglio Regionale del 1° agosto 2011 e notificatagli il successivo 3 agosto 2011; il relativo procedimento non veniva concluso in alcun modo sicche' il Tribunale di Napoli dichiarava l'inammissibilita' del ricorso r.g. n. 29988/11 proposto per la declaratoria di illegittimita' del predetto procedimento della Regione; frattanto veniva pubblicato sul BURC n. 67 del 25 ottobre 2011, l'art. 9, comma 5 della legge regionale n. 1 del 19 gennaio 2007, cosi' come modificato dalla legge regionale n. 16/2011; in virtu' di tale modifica normativa, veniva notificata al C. in data 9 novembre 2011, la delibera del Consiglio Regionale della Campania del 27 ottobre 2011 recante la presa d'atto della sospensione dalla carica di consigliere regionale per tutta la durata della consiliatura, ai sensi dell'art. 9 legge regionale n. 1/2007, come modificata dalla legge regionale n. 16/2011. Pertanto il ricorrente proponeva ricorso avverso e per l'annullamento o la disapplicazione della delibera in questione nonche' per la declaratoria del suo diritto a rivestire la carica di consigliere regionale stante l'incostituzionalita' della normativa di sospensione applicata. Nelle conclusioni dell'atto introduttivo chiedeva, in via preliminare, sollevarsi questione di legittimita' costituzionale della legge regionale della Campania, reintegrando, in via cautelare, il ricorrente nelle funzioni nelle more della decisione della Corte costituzionale ed, all'esito della declaratoria di illegittimita', reintegrarsi, in via definitiva, il predetto nella carica di consigliere regionale della Campania. Si costituivano la Regione Campania e S. C. che eccepivano, in via preliminare, l'inammissibilita' del ricorso e, nel merito, l'infondatezza dello stesso. All'udienza del 13 aprile 2012, su richiesta concorde delle parti, il procedimento era sospeso, ex art. 297 c.p.c., per la durata di tre mesi e rinviato all'udienza del 5 ottobre 2012. Con memoria depositata il 3 ottobre 2012 si costituiva, per il C., in aggiunta ai precedenti, un altro difensore che chiedeva a questo Tribunale di: dichiarare l'illegittimita' della delibera consiliare impugnata in quanto nulla/inesistente per inesistenza della legge regionale di cui costituiva applicazione e per l'effetto reintegrare - se del caso anche mediante pronuncia cautelare nelle more della pubblicazione della decisione - il C. nel pieno esercizio delle sue funzioni di consigliere regionale della Campania; in via subordinata sollevare la questione di legittimita' costituzionale della legge regionale della Campania n. 16 dell'11 ottobre 2011 sotto tutti i profili illustrati negli atti di causa, reintegrando, in via cautelare il ricorrente, nelle funzioni nelle more della decisione del Giudice delle Leggi ed, all'esito di tale pronuncia, reintegrare definitivamente il C. nella carica di consigliere regionale della Campania. All'udienza camerale del 5 ottobre 2012 la difesa del C. ha insistito nella richiesta di reintegra nell'esercizio delle sue funzioni attesa la nullita' e/o inesistenza della delibera del Consiglio Regionale che ne ha decretato la sospensione in quanto il suddetto vizio deriverebbe dalla nullita' o inesistenza della legge regionale nel testo rettificato nel Bollettino Ufficiale di cui costituiva applicazione; in subordine ha chiesto sollevarsi questione di legittimita' costituzionale e, nelle more, adottarsi un provvedimento cautelare di reintegra nell'esercizio delle sue funzioni. La difesa del S. ha chiesto al Tribunale di non anticipare il giudizio della Corte costituzionale. Il Pubblico Ministero ha chiesto confermarsi la sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione Campania; in subordine, in relazione ai motivi nuovi, ha rilevato l'inammissibilita' degli stessi e, nel merito, ritenendo non manifestamente fondata la questione di legittimita' costituzionale, ha chiesto il rigetto del ricorso. Questioni processuali Sulla richiesta del Pubblico Ministero di sospensione del giudizio. Ritiene il Collegio non meritevole di accoglimento l'istanza del Pubblico Ministero di sospensione del presente procedimento in attesa della definizione, da parte della Corte costituzionale del conflitto di attribuzione tra Stato e Regione a seguito del ricorso depositato il 20 dicembre 2011 (udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2013) perche', essendo stata la richiesta formulata ai sensi dell'art. 296 c.p.c., non sussistono i presupposti normativi per l'applicazione della disposizione invocata. Infatti, mentre all'udienza del 13 aprile 2012 su concorde richiesta delle parti il processo e' stato sospeso per tre mesi ai sensi della disposizione invocata, alla successiva udienza, solo il Pubblico Ministero ha chiesto la reiterazione di detta sospensione, tra l'altro, non consentita dal legislatore. Pertanto va disattesa l'istanza de qua. Per mera completezza di motivazione va, comunque, evidenziato che, nel caso in esame, non ricorrono neppure i presupposti per la sospensione necessaria del giudizio contemplata dall'art. 295 c.p.c. che recita «E giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.». Infatti secondo una pronuncia della Suprema Corte piuttosto risalente nel tempo (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 1° aprile 1992, n. 3922) - emessa con riferimento al caso in cui penda giudizio di costituzionalita' di una norma ed in relazione alla formulazione dell'art. 295 c.p.c., prima della sostituzione di cui all'art. 35 legge n. 353/1990 - «... la soluzione del dubbio se una norma sia o no contraria alla costituzione, soluzione appunto riservata alla Corte costituzionale, non puo' equipararsi alla risoluzione di un'altra controversia, civile o amministrativa, in quanto la decisione della Corte costituzionale non risolve mai direttamente ed immediatamente una controversia, nemmeno quella che era di fronte al giudice della rimessione a norma dell'art. 23 legge n. 87/1953.». Piu' di recente i Giudici di legittimita' (Cass. Civ. Sez. VI n. 170 del 30 settembre 2011) hanno ribadito che «l'ipotesi della sospensione necessaria del processo, che non sia imposta da una specifica disposizione di legge, ha per fondamento non solo l'indispensabilita' logica dell'antecedente, avente carattere pregiudiziale nel senso che la definizione della relativa controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente, prendendo questa contenuto anche da quanto affermato con la pronuncia sulla controversia pregiudiziale ma anche l'indispensabilita' giuridica nel senso che l'accertamento dell'antecedente logico venga postulato con effetto di giudicato, per modo che possa eventualmente verificarsi conflitto di giudicati.». Applicando i principi esposti al caso in esame e' agevole desumere che la risoluzione del conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione non solo non costituisce un momento ineliminabile del processo logico del presente procedimento, atteso che quand'anche la Corte risolvesse il conflitto riconoscendo la potesta' a legiferare della Regione, tale decisione non esaurirebbe, comunque, tutti gli altri possibili profili di incostituzionalita' della norma, ma anche perche' la decisione della Corte non produrrebbe effetti decisivi sulla controversia in esame e, quindi, giammai potrebbe verificarsi un contrasto di giudicati. Sull'ammissibilita' del ricorso. Va premesso che, per orientamento del tutto consolidato nella giurisprudenza di legittimita' (cfr. Cass. n. 6153 del 1996; Cass. n. 13588 del 2000; Cass. n. 5323 del 2004; Cass. Sez. I n. 9533 del 12 giugno 2012), nel contenzioso elettorale, il giudice ordinario non esercita una giurisdizione di annullamento, perche' la delibera consiliare non costituisce l'oggetto, ma un mero presupposto del giudizio, che tende alla tutela del diritto soggettivo violato. Orbene, considerato che il ricorrente ha chiesto, in via alternativa, l'annullamento o la disapplicazione della delibera ed in quest'ultima ipotesi ha invocato il previo vaglio di costituzionalita' ad opera del Giudice delle leggi, del tutto privi di pregio si appalesano i rilievi di inammissibilita' del ricorso prospettati dal controinteressato S. Infatti non ignora il Collegio che, per consolidata giurisprudenza costituzionale formatasi in merito alla sospensione ex art, 15 della legge n. 55/1990, assimilabile a quella applicata al caso in questione, il provvedimento amministrativo con cui viene acclarato l'intervenuto effetto sospensivo connesso alla condanna non definitiva per alcune ipotesi di reato ha valore di mera presa d'atto di un effetto che si ricollega di diritto al dettato normativo. Pertanto, promanando l'effetto sospensivo direttamente dall'art. 9 legge regionale n. 1/2007, come modificato dalla legge regionale n. 16/2011, il ricorso de quo costituisce l'unico rimedio esperibile dall'istante per ottenere, previo accertamento dell'illegittimita' costituzionale della legge, l'eliminazione dell'effetto sospensivo della carica di consigliere regionale. Sull'ammissibilita' di motivi nuovi e/o aggiunti al ricorso. Osserva preliminarmente il Collegio che, come si ricava agevolmente dalla concisa esposizione dello sviluppo del procedimento, parte ricorrente, sulla base di motivi, in gran parte, nuovi ed esposti in una memoria depositata ben oltre il deposito del ricorso, ha modificato le originarie richieste cristallizate nel primo atto difensivo e, nel corso dell'ultima udienza camerale, ha ribadito le istanze difensive illustrate nella memoria in questione. Orbene e' evidente che l'iniziale richiesta di annullamento o di disapplicazione di delibera consiliare fondata su di un solo motivo - costituito dalla prospettata illegittimita' costituzionale della normativa di cui l'atto costituirebbe mera applicazione - e' ben diversa dalla successiva richiesta diretta alla dichiarazione di illegittimita' della delibera de qua per prospettata nullita' o inesistenza della legge regionale. Cio' e' tanto piu' vero se si considera che se e' indubbio che, in entrambi gli atti difensivi, l'ulteriore consequenziale richiesta e' quella della reintegra del C. nel pieno esercizio delle sue funzioni di consigliere regionale della Campania, e' anche certo che, mentre nel ricorso, tale risultato viene richiesto, in via principale, attraverso la previa rimessione degli atti al Giudice delle Leggi per il giudizio di legittimita' costituzionale della normativa regionale e la reintegra, in via cautelare, del ricorrente nelle more della decisione su detta questione, nell'ulteriore memoria difensiva tale effetto viene richiesto, in via principale, mediante una pronuncia cautelare da adottarsi nelle more della pubblicazione della decisione del giudice a quo e, solo in via subordinata, attraverso il giudizio di legittimita' costituzionale. Tra l'altro va evidenziato che l'ulteriore domanda del ricorrente - volta ad ottenere la definitiva reintegra del C. nella carica di consigliere regionale - e' prospettata, in entrambi gli scritti difensivi, come imprescindibile conseguenza della pronuncia di incostituzionalita' della normativa regionale. Tanto premesso, considerati anche i rilievi della difesa del controinteressato S. nonche' del Pubblico Ministero, il Tribunale e' chiamato a stabilire se la peculiarita' del rito - di recente scelto dal legislatore per la controversia in oggetto - consenta il deposito di una memoria contenente motivi aggiunti e/o diversi da quelli contenuti in ricorso. L'esame del quesito impone di ricordare che il procedimento del contenzioso elettorale e' stato novellato dal d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 settembre 2011, n. 220, ed in vigore dal 6 ottobre 2011 - contenente disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69. Per effetto di tale normativa - applicabile ratione temporis al giudizio in esame ai sensi all'art. 36 comma 1 del citato decreto legislativo, essendo stato il ricorso proposto il 5 dicembre 2011 - in particolare in base all'art. 22, le controversie in materia di eleggibilita', decadenza ed incompatibilita' nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal citato articolo. Va precisato, altresi', che per effetto del combinato disposto degli articoli 3 e 22 del decreto legislativo e degli articoli 702-bis e ter c.p.c, il rito speciale da applicarsi alla fattispecie in esame, sebbene inserito nella tipologia del procedimento sommario di cognizione (contemplato nel capo III-bis aggiunto al Titolo I del Libro Quarto del Codice di rito), presenta una serie di peculiarita' tali da renderlo contrassegnato, per un verso, da una maggiore celerita' in ragione della rilevanza della materia elettorale da trattare e, per un altro, da una maggiore garanzia di ponderatezza della decisione attraverso la collegialita' della stessa. Volendosi soffermare, in estrema sintesi, sulle peculiarita' piu' significative del rito da applicare al caso sub iudice, va evidenziato che: la domanda, da proporsi con ricorso, deve contenere i requisiti di cui agli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6 e l'avvertimento di cui all'art. 7 del terzo comma dell'art. 163 c.p.c.; la competenza a decidere - come gia' detto - e' collegiale con partecipazione necessaria del Pubblico Ministero; sono previsti termini brevi per la notifica del ricorso e per la costituzione delle parti e tali termini sono tutti perentori; non e' possibile ne' una valutazione di ammissibilita' della domanda in punto di rito ne' il mutamento dello stesso; e' consentita un'istruttoria priva di formalita'; la controversia deve essere trattata, in ogni grado, in via d'urgenza. Orbene dalla previsione legislativa della natura perentoria dei termini per la costituzione delle parti deriva, come naturale conseguenza processuale, la cristallizzazione del thema decidendum in quello risultante dai rispettivi atti difensivi (ricorso e memorie dei controinteressati) e, dunque, la conseguente inammissibilita' di qualsiasi mutamento dell'originaria domanda. Soccorre, in proposito, la giurisprudenza di legittimita', formatasi per lo piu' in riferimento al rito del lavoro caratterizzato da una rigorosa scansione di termini per l'esercizio di facolta' processuali e, come tale, piu' vicino al rito speciale in esame. In particolare, in alcune decisioni, i Supremi Giudici hanno detto che: «Nel rito del lavoro, mentre e' consentita - sia pure previa autorizzazione del giudice - la modificazione della domanda (emendatio libelli), non e' ammissibile la proposizione di una domanda nuova per mutamento della "causa petendi" o del "petitum", neppure con il consenso della controparte manifestato espressamente con l'esplicita accettazione del contraddittorio od implicitamente con la difesa nel merito. La mutatio libelli non consentita dall'art. 420 c.p.c. e' solo quella che si traduce in una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un tema di indagine completamente nuovo, in modo da determinare uno spostamento dei termini della contestazione, con la conseguenza di disorientare la difesa predisposta dalla controparte, e, quindi, di alterare il regolare svolgimento del processo, sussistendo, invece, soltanto una emendatio quando la modifica della domanda iniziale incide sulla "causa petendi" unicamente nel senso di una diversa interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto e sul "petitum" nel solo senso di un ampliamento o di una limitazione di questo, al fine di renderlo piu' idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio» (cfr. tra le altre Cass. Civ. Sez. lav. 8 ottobre 2007, n. 21017, in Giust. Civ. Mass. 2007,10) o ancora «L'introduzione di un diverso fatto costitutivo della pretesa, pur potendo comportare le stesse conseguenze, in tema di attribuzione del bene della vita, costituisce domanda nuova. E' possibile, infatti, che da una sola situazione scaturisca una pluralita' di diritti connotati da requisiti propri e suscettibili di formare oggetto di domande diverse, mentre puo' considerarsi virtualmente in quella originaria solo la domanda fondata su fatti e comportamenti non diversi, per consistenza ontologica, struttura e qualificazione giuridica, da quelli prospettati con la domanda originaria e diretta a precisarne o restringerne il "petitum".» (Cass, Civ. Sez. 4 ottobre 2007, n. 20798, in Guida al Diritto 2008,1,41). Ebbene, applicando i principi esposti al caso in esame, il Collegio ritiene che, dal raffronto tra la causa petendi di cui al ricorso e quella di cui alla memoria, emerga una sostanziale diversita' dal momento che, mentre nel primo atto, l'unico ed assorbente profilo per annullare e/o disapplicare la delibera e' l'illegittimita' costituzionale della legge regionale sull'implicito presupposto del regolarita' formale e sostanziale dell'iter procedimentale per l'adozione e per la proclamazione della stessa, nel secondo atto l'unico ed assorbente profilo per dichiarare illegittima la delibera e' costituito, al contrario, da vizi formali e/o sostanziali del procedimento per la promulgazione e/o di approvazione della stessa. Di conseguenza il risultato invocato in entrambi gli atti, cioe' il petitum (costituito dalla reintegra, prima, in via cautelare e, poi, in via definitiva nella carica di consigliere regionale), nel primo atto, presuppone l'investitura della Corte costituzionale della relativa questione e, nel secondo atto, prescinde del tutto dalla stessa. Una volta stabilito il principio in forza del quale, ai fini che occupano, non possono essere presi in considerazioni i rilievi difensivi esposti nella citata memoria, va poi accertato se, nel rassegnare le conclusioni a verbale la difesa del C. abbia, comunque, inteso insistere nelle sue richieste formulate nel ricorso introduttivo. Ebbene, considerato che, seppure in via subordinata, l'istante ha, comunque, ribadito la sua richiesta di rimettere alla Corte costituzionale il vaglio di legittimita' della legge regionale in esame e le ulteriori istanze consequenziali, il Collegio ritiene di essere tutt'ora chiamato ad esaminare la domanda cos/ come originariamente formulata. Merito della controversia 1. Ricostruzione della vicenda sulla base delle deduzioni difensive non contestate e/o della documentazione in atti. C. R. ha impugnato, per ottenerne l'annullamento e/o la disapplicazione, la delibera del Consiglio Regionale della Campania del 27 ottobre 2011 - notificata il 9 novembre 2011 - nella quale lo stesso Consiglio ha preso atto della sospensione del predetto dalla carica di consigliere regionale ai sensi dell'art. 9 della legge regionale del 19 gennaio 2007, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge Finanziaria regionale 2007) come modificata ed integrata dalla legge regionale 11 ottobre 2011, n. 16. In detta delibera si da' atto che il 18 ottobre 2011 e' entrata in vigore la disposizione della legge citata che recita testualmente «i consiglieri regionali che hanno riportato condanna, anche non definitiva per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice penale restano sospesi dalla carica fino alla sentenza definitiva». In virtu' di detta disposizione il Consiglio prendeva atto dell'intervenuta sospensione dal momento che il ricorrente era stato condannato, il 4 giugno 2009, dal g.u.p. presso il Tribunale di Napoli alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per i reati di cui agli articoli 110-416-bis commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto ed ottavo del codice penale ascritti nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, proc. pen. n. 54040/08 con esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416-bis comma 6 del codice penale. A fondamento dell'azione promossa il ricorrente ha esposto che: e' stato eletto consigliere regionale della Campania in occasione della competizione elettorale del 2010; in forza di un precedente provvedimento di sospensione (adottato l'8 maggio 2010 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per il periodo di diciotto mesi a decorrere dal 18 aprile 2010, data di avvenuta proclamazione degli eletti, ai sensi dell'art. 15 comma 4-bis della legge n. 55 del 19 marzo 1990, avendo il predetto riportato la gia' menzionata condanna del 4 giugno 2009, soggetta a gravame) al suo posto siede S. C.; l'istante ha subito un procedimento di contestazione definitiva di incompatibilita' con la delibera adottata dal Consiglio Regionale del 1° agosto 2011 che, tuttavia, non veniva portato a termine; dopo la pausa estiva, a seguito di una proposta di modifica dell'art. 9 legge regionale del 19 gennaio 2007 era aggiunto a tale disposizione normativa un ultimo comma del seguente tenore testuale «5. La disposizione di cui al comma 4 non trova applicazione nei confronti di coloro che hanno riportato condanna anche non definitiva per il delitto previsto dall'art. 416-bis del codice penale, per i quali, nelle more dell'approvazione della legge organica di disciplina dei casi di ineleggibilita' ed incompatibilita' del Presidente, dei componenti della Giunta e dei Consiglieri regionali, si applicano le disposizioni della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilita' ed incompatibilita' alle cariche di Consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale ed in materia di incompatibilita' degli addetti al Servizio sanitario nazionale)»; tale norma, pubblicata nel BURC n. 64 del 17 ottobre 2011, era ripubblicata nel BURC n. 67 del 25 ottobre 2011 recante tra l'altro «Errata corrige legge regionale 11 ottobre 2011, n. 16» ed il testo corretto era quello posto a base della delibera oggetto di impugnativa. 2. Profili di incostituzionalita' prospettati dalla difesa del Conte ed i rilevi dei controricorrenti. Va premesso che, sebbene nelle conclusioni del suo ricorso, il C. chieda che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'intera legge regionale della Campania n. 16 dell'11 ottobre 2011, in realta', alla luce delle specifiche doglianze illustrate nell'atto difensivo, il Collegio ritiene che l'istante abbia inteso agire per ottenere l'eliminazione dal mondo giuridico solo del disposto della legge regionale di cui all'art. 1, comma 1 - nel testo corretto ed oggetto di ripubblicazione nel BURC - e recepito nel comma 5 dell'art. 9 della legge regionale n. 1/2007. Cio' detto, va evidenziato, in estrema sintesi, che i profili di incostituzionalita' sarebbero integrati dal contrasto della norma indicata con: 1) gli articoli 117, secondo comma, lettera h) e lettera l) e 122 Cost., per avere la regione legiferato in materia riservata alla competenza statale; 2) gli articoli 2 e 3 Cost.: a) per la disparita' di trattamento dei consiglieri regionali della Campania rispetto ai consiglieri regionali di altra regione, posto che la normativa per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso sarebbe di competenza statale ed uniforme su tutto il territorio nazionale; b) per la disparita' di trattamento tra i consiglieri regionali della Campania, sottoposti a procedimento penale per l'ipotesi di reato di cui all'art. 416-bis c.p., e quelli perseguiti per tutte le altre ipotesi criminose di pari gravita' della legge statale n. 55/1990, per le quali non sarebbe previsto alcun inasprimento del regime di sospensione; c) per il mancato rispetto dei criteri di necessita', adeguatezza e proporzionalita' delle ipotesi previste nella legge regionale rispetto allo scopo perseguito dal legislatore, posto che la sospensione finirebbe con l'avere pari durata rispetto al mandato elettorale terminando con l'adozione della sentenza definitiva; 3) gli articoli 24 e 113 Cost. per l'automatismo della sospensione associato alla sua durata pari a quella del mandato elettivo dal momento che sarebbe sottratta all'interessato la possibilita' di far valere concretamente le proprie ragioni in sede amministrativa e di giurisdizione amministrativa contro la misura di sospensione; 4) la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 secondo comma Cost., dal momento che, per la durata della sospensione equiparata a quella della durata del mandato, la misura verrebbe ad assumere il carattere di una vera e propria sanzione anticipata in contrasto con la funzione cautelare della stessa; 5) i principi di imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost., per il rigido automatismo della sospensione tale da escludere ogni possibilita' di apprezzamento, in concreto, da parte dell'amministrazione dell'adeguatezza della misura al caso concreto, sia, sotto il profilo della gravita' del reato, che, sotto quello della sua connessione con la funzione della vita dell'organo elettivo interessato; 6) gli articoli 2 e 51 Cost., perche', data l'assenza di un termine finale certo e la piu' che probabile parificazione della sospensione all'intero mandato elettivo, la sospensione costituirebbe una limitazione del diritto di elettorato passivo non rispondente all'esigenza di salvaguardare altri beni o interessi parimenti tutelati dalla Costituzione ed a quella della stretta strumentalita' rispetto all'obiettivo perseguito. Dal canto suo la difesa del S. ha puntualmente contrastato i rilievi del ricorrente sulla base delle considerazioni sinteticamente riportate: 1) in materia di cause di sospensione dalle cariche elettive non vi e' un'espressa riserva di legge statale e, pertanto, ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost., legittimamente la Regione Campania ha legiferato in detta materia; 2) quand'anche si volesse ritenere la materia in esame rientrante nell'ambito di quelle oggetto di legislazione concorrente tra lo Stato e la Regione, in assenza di principi generali di provenienza statale, l'attivita' legislativa regionale non incontrerebbe alcuna limitazione; 3) la durata della sospensione dalla carica non e' commisurata alla durata del mandato perche' la sentenza definitiva ben potrebbe intervenire prima della scadenza del mandato elettivo; 4) non vi sarebbe diversita' di trattamento tra i consiglieri della regione Campania, condannati con sentenza non definitiva, per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. con quelli delle altre regioni perche' gli amministratori locali ben potrebbero attivare la propria competenza legislativa e perche', data la particolare situazione della regione Campania, in cui piu' frequente e' il fenomeno dell'infiltrazione della malavita organizzata nell'ambito delle istituzioni, non sarebbe irragionevole una diversita' di trattamento tra i consiglieri sottoposti a procedimenti penali per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. rispetto a quelli perseguiti in tutte le altre ipotesi criminose considerate dalla legge statale n. 55 del 1990. Sulla giurisdizione del giudice adito e sulla rilevanza della questione di legittimita' rispetto all'oggetto del giudizio. Una volta stabilito che le uniche doglianze sottoposte all'attenzione del Collegio sono costituite dai prospettati rilievi di incostituzionalita' della normativa in esame, la prima questione da risolvere e' quella dell'esatta individuazione del petitum. E' noto, infatti, che il secondo comma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, stabilisce che «l'autorita' giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con, la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso». Pertanto, se dalla valutazione dell'oggetto della domanda in relazione alla normativa vigente ed ai consolidati orientamenti giurisprudenziali consegue l'infondatezza, e' evidente che la questione di legittimita' costituzionale si appalesa prima facie irrilevante dal momento che il giudizio ben puo' - ed anzi deve - essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa. Fatte queste doverose premesse, per una piu' esatta comprensione dei termini del problema, e' opportuno un breve excursus sull'evoluzione normativa in materia di ineleggibilita' e di incompatibilita' alle cariche di consigliere regionale. Sia prima della modifica dell'art. 122 Cost., per effetto dell'art. 2 legge Cost. 22 novembre 1999, n. 1 (in vigore dal 6 gennaio 2000) che dopo detta modifica, per effetto dell'art. 274 comma 1 lettera l) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, le cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' alle cariche di consigliere regionale sono state, da ultimo, disciplinate dalla legge 23 aprile 1981, n. 154, che, agli articoli 2, 3, 4 ed 8, contempla dette cause, all'art. 6 le conseguenze della perdita delle condizioni di eleggibilita' e della sussistenza di cause di incompatibilita' ed, infine, all'art. 7 il procedimento di contestazione di una causa di ineleggibilita' sopravvenuta o di una causa di incompatibilita' antecedente e/o sopravvenuta. Con la novella del primo comma dell'art. 122 Cost., come e' noto, e' stato riconosciuto alle Regioni il potere di legiferare in ordine al sistema di elezione ed ai casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con la legge della Repubblica che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. In attuazione di quanto disposto da tale norma e' stata promulgata la legge 2 luglio 2004, n. 165, che, agli articoli 2 e 3 ha previsto le disposizioni di principio in materia di ineleggibilita' e di incompatibilita'. Orbene, come detto, pur dopo la modifica della disposizione costituzionale, sino alla data - di entrata in vigore della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1 (contenente «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2007), per effetto della disposizione sopra richiamata, hanno continuato ad applicarsi, ai consiglieri regionali, le disposizioni di cui alla legge n. 154/1981. Nella menzionata legge regionale, all'art. 9 comma 4 e' previsto che «In armonia con i principi fondamentali della legge 2004 n. 165 ai consiglieri regionali, ai componenti della Giunta ed al Presidente si applica la disciplina di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e successive modifiche». Tale disposizione, concernente le cause di incompatibilita', al comma 1, n. 4, nel testo novellato dalla legge 24 aprile 2002, n. 75 (conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 13, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita' degli enti locali) - da leggersi con riferimento ai consiglieri regionali - prevede tra le incompatibilita' a ricoprire detta carica il caso di: «colui che ha lite pendente, in quanto parte in un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente con il comune o la provincia» e, nel seguito, tale disposizione recita testualmente «La pendenza di una lite in materia tributaria ovvero di una lite promossa ai sensi dell'art. 9 del presente decreto non determina incompatibilita'. Qualora il contribuente venga eletto amministratore comunale, competente a decidere sul suo ricorso e' la commissione del comune capoluogo di circondario sede di tribunale ovvero sezione staccata di tribunale. Qualora il ricorso sia proposto contro tale comune, competente a decidere e' la commissione del comune capoluogo di provincia. Qualora il ricorso sia proposto contro quest'ultimo comune, competente a decidere e', in ogni caso, la commissione del comune capoluogo di regione. Qualora il ricorso sia proposto contro quest'ultimo comune, competente a decidere e' la commissione del capoluogo di provincia territorialmente piu' vicino. La lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina incompatibilita' soltanto in caso di affermazione con sentenza passata in giudicato. La costituzione di parte civile nel processo penale non costituisce causa di incompatibilita'. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso». In ordine alle cause di ineleggibilita' alla carica di consigliere regionale, va ricordato che, oltre alle ipotesi contemplate dalla legislazione sinora esaminata, la legge n. 55 del 19 marzo 1990 (intitolata «Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale») contempla, all'art. 15 - disposizione abrogata ma tutt'ora applicabile ai consiglieri regionali ex art. 274, comma 1, lettera p), d.P.R. n. 267/2000 - ulteriori cause di incandidabilita' conseguenti a condanne definitive per reati destanti maggiore allarme sociale ed a misure di prevenzione definitive. Inoltre la medesima disposizione prevede una serie di casi di sospensione di diritto dalla carica di consigliere regionale conseguenti o a condanne, non definitive, per alcune tipologie di delitti o alla pena della reclusione non inferiore a due anni per delitto non colposo o all'applicazione di misure di prevenzione non definitive o, ancora, delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 c.p.p. e la stessa norma stabilisce un periodo di durata massima di tale sospensione. La breve sintesi normativa e' prodromica all'inquadramento degli esatti termini della controversia dal momento che, come ampiamente esposto, a base del presente ricorso vi e' una delibera contenente la presa d'atto della sospensione del C. dalla carica di consigliere regionale fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, avendo lo stesso riportato - prima della proclamazione degli eletti - una condanna di primo grado per il reato di cui all'art. 416-bis c.p. E', dunque, pacifico che, oltre a non essere intervenuta sino ad ora alcuna delibera del Consiglio Regionale contenente la dichiarazione di decadenza del C. dalla carica (il procedimento di contestazione non e' stato portato a termine), la delibera oggetto di impugnativa, nel prevedere la sospensione del predetto dalla carica, necessariamente presuppone la persistente titolarita' della carica in capo al predetto. Ne consegue che la controversia sub iudice verte sulla richiesta di annullamento e/o disapplicazione di una delibera regionale sulla base della prospettata illegittimita' della norma regionale di cui la delibera costituisce applicazione. Se questa, dunque, e' la causa petendi facilmente desumibile dalle ragioni di fatto e di diritto di cui al ricorso, diversamente per l'individuazione del petitum dello stesso e' necessaria un'attivita' interpretativa dal momento che, mentre nella - premessa dell'atto introduttivo, l'istante chiede la declaratoria del suo diritto a rivestire la carica di consigliere regionale, nelle conclusioni finali chiede di essere reintegrato, in via definitiva, nella carica. Tornando all'interpretazione del petitum va detto che, pur volendo considerare meramente funzionale alla seconda richiesta quella volta all'affermazione del diritto del ricorrente a rivestire la carica di consigliere, non vi e' chi non veda l'inutilita' della stessa dal momento che non viene neppure prospettata la sussistenza di una causa di ineleggibilita' del ricorrente, ne' precedente ne' successiva alle elezioni, tale da giustificare la necessita' di un'eventuale accertamento - evidentemente incidentale - della sussistenza di tale diritto. Ai fini che occupano e' utile soffermarsi sulle differenze tra gli istituti dell'ineleggibilita' e dell'incompatibilita' in ragione delle diverse esigenze sottostanti la previsione di tali istituti. Il diritto di elettorato passivo di cui all'art. 51 Cost. e' riconducibile nell'alveo dei diritti inviolabili di cui all'art. 2, e' considerato una specificazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. ed espressione di un sistema di democrazia rappresentativa. Ne consegue che sono ritenute ammissibili limitazioni a tale diritto o a garanzia della sostanziale correttezza della competizione elettorale ed, in particolare, dell'uguaglianza effettiva tra candidati, nel rispetto anche del principio posto dall'art. 48 Cost. in tema di elettorato attivo, oppure a tutela del principio di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione discendente dall'art. 97 Cost. il quale ha ispirato la costruzione dell'istituto dell'incompatibilita' per le ipotesi in cui non vi sia pericolo di inquinamento della competizione elettorale ma vi sia anche il rischio che l'eletto non svolga correttamente i compiti connessi al suo ufficio, trovandosi in una situazione di conflitto di interessi. Da tali principi e' sorta l'esigenza di distinguere le cause ostative in cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' in base alla loro diversa finalita' per adattare a ciascuna una disciplina differente nell'ottica di limitare al minimo indispensabile la lesione del diritto stabilito dall'art. 51 Cost. Tali principi, uniti a quello che considera l'eleggibilita' la regola e l'ineleggibilita' l'eccezione, sono, tra l'altro, desumibili dalla giurisprudenza costante della Corte costituzionale (cfr. sent. n. 46/1969; n. 166/1972; n. 5/1978; n. 571/1989; n. 467/1991; n. 344/1993 e n. 141/1996). In definitiva, alla stregua di quanto sinora esposto, deve ritenersi che il fine delle cause di ineleggibilita' e', in primo luogo, rinvenuto nella determinazione di garantire la par conditio tra i candidati e la libera manifestazione di volonta' degli elettori, attraverso l'esclusione di soggetti che, per ragioni d'ufficio, si trovano in una particolare condizione tale da potere incidere, anche solo psicologicamente, sulla libera scelta degli elettori. Diversamente quello delle cause di incompatibilita' consiste nel garantire l'imparzialita' ed il disinteresse nell'esercizio delle pubbliche funzioni vietando, ad esempio, il cumulo fra piu' cariche in capo allo stesso soggetto ed il conseguente crearsi di situazioni di conflitto di interessi. A tutela di finalita' social-preventive presiedono, inoltre, le norme (tra le quali la legge n. 55/1990 ed il decreto legislativo n. 267/2000) che contemplano quali cause ostative alla candidatura (se la condanna definitiva e' intervenuta prima) o quali cause di decadenza dalla carica (se la condanna e' intervenuta dopo la proclamazione degli eletti o dopo l'assunzione delle relative funzioni) l'aver riportato condanne definitive per determinati delitti e/o per determinati periodi di tempo o l'essere stati sottoposti a misure di prevenzione definitive. Rispetto a tali esigenze le previsioni di cause di sospensione obbligatoria di diritto dalla carica assumono gli effetti di una tutela anticipata di natura cautelare. Quanto all'individuazione delle citate esigenze e di quelle sottostanti alle menzionate cause di sospensione di diritto dalla carica soccorrono, tra l'altro, i principi desumibili dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 206/1999 chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 4-septies della legge 19 marzo 1990, n. 55, nella parte in cui prevede la sospensione obbligatoria dalla funzione o dall'ufficio nei confronti di dipendenti delle amministrazioni pubbliche rinviati a giudizio per i reati complessivamente considerati dalla lettera a) della disposizione. In detta sentenza, intervenuta dopo diverse pronunce concernenti le piu' varie questioni di legittimita' costituzionale di alcune norme dalla legge in esame, la Corte, nel ritenere non fondata la questione, afferma, tra l'altro, che «La norma ... censurata non comporta la privazione della capacita' di accesso a uffici o cariche pubbliche ... e ... "nemmeno l'applicazione di una misura destitutiva conseguente ad una accertata responsabilita' penale ... Essa configura invece una tipica misura cautelare, collegata alla pendenza di un'accusa penale nei confronti del funzionario pubblico». E la Corte continua affermando che «... La misura in questione, risponde ad esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta servizio: logicamente, dunque, essa e' svincolata da esigenze processuali e da finalita' di prevenzione speciale, ed e' disposta con un provvedimento dell'amministrazione, sia pure, nella specie, vincolato dalla legge (e sottoposto, com'e' ovvio, a controllo giurisdizionale per quanto riguarda la sua rispondenza ai presupposti legalmente stabiliti). L'esigenza cautelare e' qui collegata all'accusa penale solo in quanto e' la pendenza dell'accusa, come tale, che mette in pericolo interessi connessi all'amministrazione, che la espone cioe' ad un pregiudizio direttamente derivante dalla permanenza dell'impiegato nell'ufficio. Il pregiudizio possibile concerne in particolare la "credibilita'" dell'amministrazione presso il pubblico, cioe' il rapporto di fiducia dei cittadini verso l'istituzione, che puo' rischiare di essere incrinato dall'"ombra" gravante su di essa a causa dell'accusa da cui e' colpita una persona attraverso la quale l'istituzione stessa opera». Aggiunge la Corte che «I delitti per i quali l'art. 15 della legge n. 55 del 1990 prevede la sospensione obbligatoria vuoi a seguito di condanna non definitiva (lettera a), vuoi a seguito di rinvio a giudizio dell'impiegato (lettera e), sono qualificati non tanto dalla loro gravita' in relazione al "valore" del bene offeso o all'entita' della pena comminata dalla legge, quanto da una caratteristica che tutti li accomuna: di essere cioe' delitti di criminalita' organizzata (associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, traffico di armi, favoreggiamento in relazione agli stessi reati). Si tratta cioe' di delitti per i quali la sussistenza di un'accusa a carico di pubblici impiegati fa sorgere immediatamente il sospetto di un inquinamento dell'apparato pubblico da parte di quelle organizzazioni criminali, la cui pericolosita' sociale va al di la' della gravita' dei singoli delitti che vengono commessi o contestati». Conclusa la disamina delle differenze ontologiche sottostanti le diverse limitazioni del diritto di elettorato passivo e chiarito che la delibera, oggetto di gravame, e' meramente attuativa di una disposizione normativa che contempla, come detto, non un'ipotesi di incandidabilita' e/o di incompatibilita' ma solo una misura cautelare del tipo di quella sopra esaminata, resta da stabilire, in primo luogo, se la controversia verta in materia di diritto soggettivo la cui risoluzione rientri nella giurisdizione del giudice adito ed, in caso di risposta affermativa al primo quesito, se la questione di legittimita' costituzionale sia rilevante nel presente giudizio. Per la risposta al primo quesito e' indispensabile un sintetico richiamo alle piu' significative pronunce della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione in materia di riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario ed il giudice amministrativo. Quanto alle decisioni dei Giudici Costituzionali va, in primo luogo, ricordata la sentenza n. 377/2008 in cui, a seguito di incidente di costituzionalita' sollevato dal TAR - Puglia in relazione dell'art. 69, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui devolve al Tribunale ordinario la tutela giurisdizionale avverso la delibera di decadenza dalla carica di consigliere, per incompatibilita'», nonche', con riferimento agli articoli 3, 24 e 51 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 1, numero 4), dello stesso decreto legislativo, «nella parte in cui prevede, anche agli effetti di cui al successivo art. 68, comma 2, che, colui il quale ha una lite pendente, in quanto parte di un procedimento, civile (od amministrativo) con il comune, e' incompatibile con la carica di consigliere comunale», la Corte, nel ritenere non fondata la questione in relazione all'art. 69, quinto comma del citato decreto legislativo afferma, tra l'altro, che «Non e' convincente ... l'affermazione secondo la quale, in materia elettorale, possono essere fatte valere soltanto situazioni soggettive di interesse legittimo, con esclusione di diritti soggettivi» e che il fatto che venga emanato un provvedimento amministrativo, per dichiarare la decadenza dell'amministratore locale, non e' sufficiente a escludere la sussistenza di diritti soggettivi, sui quali detto provvedimento possa incidere, ribadendo, al contrario, un costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo il quale i provvedimenti che dichiarano la decadenza dell'amministratore locale incidono sul diritto di elettorato passivo. Degna di nota e' anche la sentenza n. 259/2009 nella quale la Corte, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 23 e 87 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sezione giurisdizionale, oltre a non condividere la prospettazione del remittente che qualifica interessi legittimi - la cui tutela spetta, in linea di principio, alla giurisdizione amministrativa - le situazioni giuridiche soggettive che vengono in rilievo nel procedimento elettorale preparatorio, ribadisce l'orientamento della giurisprudenza di legittimita', che ha statuito appartenere alla giurisdizione ordinaria la cognizione delle controversie, pur sorte nel procedimento elettorale preparatorio, coinvolgenti il diritto a prendere parte al procedimento medesimo (ex plurimis, cfr. Cass. Sez. U. 22 gennaio 2002, n. 717). Nell'ambito delle piu' rilevanti pronunce dei Supremi Giudici vanno ricordate le seguenti: 1) Cass. Sez. prima sez. n. 9533 del 12 giugno 2012 secondo la quale «nel contenzioso elettorale, il giudice ordinario non esercita una giurisdizione di annullamento, perche' la delibera consiliare non costituisce l'oggetto, ma un mero presupposto del giudizio, che tende alla tutela del diritto soggettivo violato» (la pronuncia e' stata resa in riferimento ad un caso di impugnativa di una delibera di convalida dell'elezione di un consigliere della regione Lombardia sulla base di una prospettata sussistenza di una causa di ineleggibilita'); 3) Cass. Sez. U. n. 22640 del 29 ottobre 2007 secondo la quale «In tema di contenzioso elettorale amministrativo, la giurisdizione e' distribuita tra giudice ordinario e amministrativo - ai sensi degli articoli 82 e seguenti del d.P.R. n. 570 del 1960 e dell'art. 6 della legge n. 1034 del 1971 - nel senso che al primo spettano tutte le controversie che concernono l'ineleggibilita', le incompatibilita' e le decadenze, ossia aventi ad oggetto diritti soggettivi, mentre al secondo spettano quelle aventi ad oggetto in via diretta l'annullamento degli atti amministrativi attinenti alle operazioni elettorali; ne' la giurisdizione del giudice ordinario viene meno per il fatto che la questione sull'ineleggibilita' venga introdotta mediante l'impugnazione del provvedimento di convalida degli eletti» (Conf. Cass. S.U. n. 8469 del 4 maggio 2004); 4) Cass. Sez. U. n. 3601 del 12 marzo 2003 secondo la quale: «In tema di contenzioso elettorale amministrativo, le controversie aventi ad oggetto, in modo diretto, l'accertamento della titolarita' o meno del diritto di elettorato attivo in capo alle persone ammesse alla votazione, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, quale che sia la natura (pubblica o privata) dell'ente interessato, atteso che i diritti di elettorato rilevano quali diritti soggettivi pubblici e, in quanto tali, non possono essere degradati dalla pubblica amministrazione»; 5) Cass. S.U. n. 717 del 22 gennaio 2002 secondo la quale «La giurisdizione in tema di contenzioso elettorale amministrativo e' distribuita tra giudice ordinario e giudice amministrativo, spettando al primo le questioni che, ancorche' insorte nel procedimento elettorale preparatorio, attengono alla eleggibilita', e al secondo quelle che riguardano le operazioni elettorali; e' devoluta pertanto all'autorita' giudiziaria ordinaria la cognizione della controversia promossa da un candidato alle elezioni comunali escluso dalla lista elettorale dalla commissione elettorale circondariale perche' versante in una situazione di incandidabilita' in quanto condannato per uno dei reati previsti dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55». Orbene alla stregua dei consolidati principi giurisprudenziali ritiene il Collegio sussistente la giurisdizione del giudice adito. Ed invero, premesso che ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non tanto la prospettazione compiuta delle parti quanto il petitum sostanziale che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (cfr. tra le molte altre Cass. S.U. n. 20902 dell'11 ottobre 2011), in base a detti parametri deve ritenersi che, nel caso in esame, l'istante agisca al fine di ripristinare tutte le prerogative insite nella carica dallo stesso tutt'ora rivestita, previa disapplicazione della delibera consiliare. Affermata la giurisdizione del giudice adito, rileva il Collegio che, dall'attenta lettura del contenuto del ricorso come sopra riportato, si ricava agevolmente che il ricorrente ha proposto due domande: una diretta all'accertamento del suo diritto a rivestire la carica - rectius ad esercitare le funzioni - di consigliere regionale, stante la prospettata incostituzionalita' della normativa di sospensione applicata, e l'altra di reintegra nella carica - rectius nelle funzioni. E' evidente che la risoluzione della prima domanda dipende dalla definizione della questione di costituzionalita' laddove, per la seconda, logicamente dipendente dalla prima, si pone il problema dell'ambito dei poteri del giudice ordinario nei confronti della p.a. Quindi il primo nodo da sciogliere e' quello relativo alla rilevanza, nel caso in esame, dei rilievi di incostituzionalita' sollevati tenendo presente che la delibera, oggetto di impugnativa, costituisce diretta applicazione della normativa regionale e che l'eventuale decisione della Corte costituzionale consentirebbe al giudice adito di dirimere solo la prima delle due domande proposte. Ebbene, premesso che spetta al giudice a quo ritenere quale sia l'ordine logico di esame delle varie domande, oltre che valutare se la controversia non possa essere decisa senza affrontare la questione di costituzionalita' (si vedano le sentenze n. 73 del 1991, n. 97 del 1987, n. 139 del 1980, n. 100 del 1993 della Corte costituzionale), va ricordato che, secondo la stessa Corte (cfr. sent. n. 108/1995) «Perche' sussista la rilevanza della questione incidentale di costituzionalita', e' sufficiente che le disposizioni indubbiate debbano essere applicate per risolvere una o piu' delle domande formulate nel giudizio "a quo", pur se l'ambito complessivo delle domande degli attori sia piu' ampio di quello cui si riferiscono le disposizioni censurate. Ne' in tal caso l'ordinanza di rimessione e' tenuta a motivare in merito alla capacita' delle norme indubbiate di "paralizzare" le altre azioni esercitate nel giudizio "a quo"». Sulla scorta di tali principi, e' evidente la rilevanza, nel caso di specie, della questione di costituzionalita' della legge regionale dal momento che, senza la risoluzione della stessa, il giudice adito non e' messo in condizione di decidere ne' sulla prima domanda ne' sulla seconda, direttamente collegata alla prima. D'altronde non va sottaciuto che l'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale della normativa a base della delibera con la quale il C. e' stato sospeso dalla carica di consigliere regionale comporterebbe effetti diretti sulla possibilita' per il ricorrente di esercitare le funzioni connesse alla sua carica dal momento che risulta ormai definitivamente decorso il termine di durata della precedente sospensione ex lege disposta con provvedimento dell'8 maggio 2010; dato fattuale che avvalora la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Sulla non manifesta infondatezza di alcune delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate dal ricorrente. In ordine all'ulteriore requisito imposto dall'art. 23 legge n. 53/1987 per sollevare la questione di legittimita' costituzionale, ad avviso del Collegio tale parametro discende dalla funzione di filtro del giudice a quo, il quale deve sottoporre all'attenzione della Corte questioni di legittimita' costituzionale «serie» e non meramente dilatorie. Sebbene con l'espressione «non manifesta infondatezza» il legislatore abbia indicato uno stato dubitativo, ossia una condizione psicologica minima, anche al fine di evitare eventuali conflitti tra giudici «a quibus» e Corte costituzionale, la giurisprudenza della Consulta ha sempre richiesto, sul punto, un esame approfondito e non semplicemente delibatorio, giungendo a non ritenere sufficiente - nelle sentenze additive - un semplice dubbio ed esigendosi, invece, da parte del giudice a quo l'indicazione del verso dell'addizione. Inoltre vi deve essere identita' tra l'istanza di parte e l'ordinanza di rimessione del giudice. Tanto premesso, vanno singolarmente esaminate le censure proposte dal ricorrente sulla base del citato parametro. a. Sulla prospettata violazione dell'art. 117 comma 2, lettere h) ed l) Cost. e dell'art. 122 Cost. dall'art. 1 della legge regionale della Campania 11 ottobre 2011, n. 16, nel testo corretto pubblicato nel Burc n. 67 del 25 ottobre 2011. La norma in questione - intitolata «Modifica ed integrazione dell'art. 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1» (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge regionale finanziaria regionale 2007) testualmente recita: l. All'art. 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1, e' aggiunto il seguente comma: "5. I consiglieri regionali che hanno riportato condanna, anche non definitiva, per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice penale restano sospesi dalla carica fino alla sentenza definitiva".». E' evidente che, avendo la norma introdotto un ulteriore comma all'art. 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1, la questione deve necessariamente intendersi estesa, con riferimento alle norme costituzionali sopra indicate ed a tutte le altre che si andranno ad esaminare, anche al comma 5 della disposizione citata. In ordine alle questioni prospettate, come gia' ampiamente esposte, ritiene il Collegio non manifestamente infondata solo quella integrata dal prospettato contrasto della disposizione in esame con l'art. 117, comma 2, lettera h) Cost. per essere il legislatore regionale intervenuto in una materia - qual e' quella dell'ordine pubblico e della sicurezza - riservata alla legislazione esclusiva dello Stato. Diversamente non sono condivisibili gli ulteriori rilievi di parte prospettati in ordine alla lettera l) della norma costituzionale teste' menzionata ed all'art. 122 della Costituzione dal momento che, per un verso, la disposizione in esame, contemplando esclusivamente una causa di sospensione ex lege dalla carica di consigliere regionale, non contiene alcuna normativa, direttamente o indirettamente, inquadrabile nelle ulteriori materie riservate alla legislazione statale esclusiva (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) e, per un altro, non introduce un'ulteriore ipotesi di ineleggibilita' e/o di incompatibilita' rispetto alla quale, essendo alle regioni riconosciuta una potesta' legislativa concorrente, potrebbe porsi il problema del rispetto o meno dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. Tornando alla censura di incostituzionalita' che si ritiene non manifestamente infondata, ritiene il Collegio che elementi decisivi ai fini dell'esatto inquadramento delle cause di sospensione ex lege da una carica elettiva, per effetto di condanne non definitive per alcune tipologie di reati, si traggono dall'inserimento di dette ipotesi nell'ambito della legislazione statale ed, in particolare, nella legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale) che all'art. 15 - formalmente abrogato tra gli altri, dall'art. 274, comma 1 lettera p), del sopravvenuto d.lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), ma il cui contenuto precettivo e' stato integralmente riprodotto dal combinato disposto degli articoli 58, comma 1 lettera a), e 59, comma 1, lettera a), e comma 4 del medesimo decreto legislativo - nonche' dai principi desumibili nei vari interventi dei Giudici delle leggi su diverse disposizioni di cui alla legge citata. A titolo meramente semplificativo va ricordato che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 25 del 2002, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, commi 1 lettera a), 4-bis lettera a) (che prevede ipotesi di sospensione di diritto da cariche elettive conseguenti a condanne non definitive per determinate tipologie di reato), e 4-ter della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), sostituiti, come gia' detto, dalle menzionate disposizioni del legge n. 18 agosto 2000, n. 267, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione, ha ribadito l'orientamento secondo il quale le norme dell'art. 15 della legge n. 55 del 1990 e successive modificazioni perseguono finalita' di salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i gravi pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalita' organizzata e dalle sue infiltrazioni (sentenze n. 407 del 1992, n. 141 del 1996, n. 288 del 1993, n. 118 e n. 295 del 1994), coinvolgendo cosi' esigenze ed interessi dell'intera comunita' nazionale connessi a «valori costituzionali di rilevanza primaria» (sentenza n. 197, 218 e 288 del 1993). Ne consegue che, prospettandosi un'invasione da parte della legge regionale della Campania dell'ambito di competenza legislativa dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, va sollevata la questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h) Cost. b. Sugli ulteriori profili di incostituzionalita'. Passando alla valutazione degli ulteriori profili di incostituzionalita' della normativa in esame - dal cui esame il Collegio non puo' prescindere dal momento che la Corte costituzionale ben potrebbe non condividere la censura di incostituzionalita' in relazione al primo ed assorbente profilo - ritiene il Collegio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni sopra menzionate in relazione agli articoli 2, 3 primo comma e 51 primo comma della Costituzione. In ordine a tali profili, ritiene il Tribunale che, sulla scorta dei consolidati principi espressi dalla Corte costituzionale in relazione alle disposizioni della legge n. 55/1990, la normativa in esame, nella parte in cui fa coincidere la durata della sospensione dalla carica di consigliere regionale della Campania, dopo una condanna non definitiva per il solo delitto di cui all'art. 416-bis c.p., alla durata del processo penale fino alla sua naturale conclusione con la sentenza definitiva, appare contrastante con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalita' di cui all'art. 3 della Costituzione nonche' con il principio di inviolabilita' di un diritto fondamentale dell'uomo, qual e' quello all'elettorato passivo, codificato negli articoli 2 e 51 della Costituzione (cfr. Corte cost. sent. n. 571/1989 e sent. n. 235/1998). Quanto alle prime censure va, innanzi tutto, rimarcato che, dal raffronto tra le cause di sospensione ex lege contemplate dalla normativa statale (art. 15 comma 4-bis legge n. 55/1990, come integralmente riformulato dall'art. 1 comma 4 della legge 13 dicembre 1999, n. 475; norma tutt'ora applicabile, come gia' detto, ai consiglieri regionali) e quella prevista dalla legge regionale in esame, risulta che i consiglieri regionali della Campania vengono a subire, in caso di condanna non definitiva per il solo delitto di cui all'art. 416-bis c.p., un trattamento deteriore sia rispetto all'ipotesi di condanna non definitiva riportata per una qualunque delle altre ipotesi di delitti, analiticamente previste dalla legge statale al comma 1 lettera a) del medesimo articolo, che rispetto alla condanna non definitiva per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. riportata da tutti gli altri consiglieri regionali eletti in una qualunque delle restanti regioni d'Italia. Infatti mentre per le altre ipotesi di reato e/o per i consiglieri regionali delle altre regioni la sospensione dalla carica, ai sensi dell'ultima parte del secondo comma del comma 4-bis legge n. 55/1990, come riformulato, ha una durata massima predeterminata dalla legge (diciotto mesi a cui si possono aggiungere, in caso di rigetto dell'impugnazione, in punto di responsabilita' anche con sentenza non definitiva, ulteriori dodici mesi dalla sentenza di rigetto), in caso di condanna non definitiva riportata da un consigliere regionale della Campania solo per delitto di cui all'art. 416-bis c.p. la sospensione non avrebbe una durata predeterminata dipendendo dai tempi imprevisti ed imprevedibili della durata del procedimento penale. Ebbene la scelta del legislatore regionale si appalesa, innanzitutto, irragionevole. A tal fine giova ricordare che i delitti per i quali l'art. 15 citato prevede - dopo la condanna definitiva - la decadenza o anche - in caso di condanna non definitiva - la sospensione obbligatoria dalla carica elettiva sono qualificati, secondo la giurisprudenza costituzionale (n. 184/1994, n. 132/2001 e n. 206/1999), non tanto dalla loro gravita' in relazione al «valore» del bene offeso o all'entita' della pena comminata, ma piuttosto dal fatto di essere considerati tutti dal legislatore come manifestazione di delinquenza di tipo mafioso o di altre gravi forme di pericolosita' sociale, non irragionevolmente ritenendoli il legislatore stesso, nell'ambito delle proprie, insindacabili scelte di politica criminale, parimenti forniti di alta capacita' di inquinamento degli apparati pubblici da parte delle organizzazioni criminali. Si giustifica in questo modo una disciplina molto rigorosa ispirata alla comune ratio di prevenire e combattere tali gravi pericoli allo scopo appunto di salvaguardare «interessi fondamentali dello Stato». Questa disciplina e' stata, dunque, formulata dal legislatore in modo unitario, pur prendendo in considerazione diverse figure di reato, proprio per realizzare un efficace strumento - secondo la precisazione contenuta nel titolo della legge - di «prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale», attraverso l'individuazione, sulla base di criteri omogenei, di una serie di reati la cui commissione e' appunto valutata - di per se' stessa e senza distinzione alcuna - come indice di oggettiva pericolosita'. Ebbene se, dunque, i delitti contemplati dalla normativa statale sono considerati tutti come manifestazione di delinquenza di tipo mafioso o di altre gravi forme di pericolosita' sociale, la scelta discrezionale del legislatore regionale contrasta con il canone della ragionevolezza in quanto non e' dato comprendere la ragione per la quale dalla condanna non definitiva riportata, esclusivamente, da un consigliere regionale della Campania e per uno solo dei reati ugualmente espressivi della delinquenza di tipo mafioso debbano discendere conseguenze piu' limitative del diritto all'elettorato passivo. Inoltre va sottolineato che sempre secondo i Giudici delle leggi la sospensione ex lege dalla carica elettiva a seguito di condanna non definitiva non si configura come sanzione disciplinare, ma consiste in un provvedimento cautelare di carattere speciale ed obbligatorio (sent. n. 184/1994) o anche come una tipica misura cautelare, collegata alla pendenza di un'accusa penale nei confronti del funzionario pubblico (sent. n. 206/1999). In considerazione della funzione cautelare di detta sanzione, proprio perche' finalizzata a proteggere l'interesse pubblico nelle more dell'accertamento giudiziale definitivo, la norma che la contempla, per essere adeguata allo scopo e non ingiustificatamente lesiva del diritto all'elettorato passivo, non solo deve prevedere limiti di durata ma tali limiti non devono neppure apparire irragionevoli. Infatti le restrizioni del contenuto di un diritto inviolabile sono ammissibili solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale, e cio' in base alla regola della necessarieta' e della ragionevole proporzionalita' di tale limitazione (sentenza n. 467 del 1991, cons. dir., n. 5; sui limiti posti a diritti inviolabili da esigenze di conservazione dell'ordine pubblico, v., fra le varie, le sentenze nn. 138 del 1985 e 102 del 1975). In altri termini, per valutare se una limitazione del diritto di elettorato passivo sia conforme ai principi costituzionali deve valutarsi se sia indispensabile per assicurare la salvaguardia di detti valori, se sia misura proporzionata al fine perseguito o non finisca piuttosto per alterare i meccanismi di partecipazione dei cittadini alla vita politica, delineati dal titolo IV, parte 1, della Carta costituzionale, comprimendo un diritto inviolabile senza adeguata giustificazione di rilievo costituzionale. Nel compiere tale verifica, non bisogna dimenticare che «l'eleggibilita' e' la regola, e l'ineleggibilita' l'eccezione»: le norme che derogano al principio della generalita' del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi entro i limiti di quanto e' necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (v. gia' la sentenza n. 46 del 1969, indi la sentenza n. 166 del 1972, fino alle sentenze nn. 571 del 1989 e 344 del 1993). Orbene ritiene il Collegio che dall'assenza di un limite di durata predeterminato nella normativa regionale consegua il serio sospetto di contrasto della previsione di una causa di sospensione ex lege collegata alla durata del processo penale anche con gli articoli 2 e 51 comma 1 Cost. Considerazioni diverse valgono per gli ulteriori profili di incostituzionalita' prospettati dal ricorrente in quanto, ad avviso del Collegio, l'automatismo della sospensione e l'assenza di un termine di durata predeterminato non appare contrastante ne' con l'art. 24 comma 1 Cost. (diritto di difesa) ne' con l'art. 113 comma 1 Cost. (diritto di tutela dei diritti soggettivi ed interessi legittimi in sede giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione) dal momento che la normativa regionale non contempla alcuna limitazione al diritto di impugnare in sede giurisdizionale la delibera contenente la presa d'atto della sospensiva; circostanza, tra l'altro, confermata dalla proposizione dell'odierno ricorso dinanzi a questo giudice. Parimenti la disposizione regionale non si appalesa in contrasto con l'art. 97 comma 1 della Costituzione (principio di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione) perche' l'automatismo dell'applicazione della causa di sospensione rispetto alla condanna non definitiva anche per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p., e' stato ripetutamente considerato dal Giudice delle leggi - nelle pronunce gia' richiamate in relazione all'art. 117 Cost. - funzionale all'esigenza di buon andamento e di trasparenza delle amministrazioni pubblica contro i gravi pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalita' organizzata e dalle sue infiltrazioni. Infine ritiene il Tribunale che l'assenza di un termine massimo di durata della sospensione ex lege di cui alla normativa regionale sub iudice non contrasti con la presunzione di non colpevolezza dell'imputato sino alla condanna definitiva (art. 27 comma 1 Cost.) perche' la norma contempla esclusivamente una causa di sospensione dalla carica destinata, comunque, a cessare per effetto della definizione del giudizio penale. In conclusione il Tribunale ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dall'art. 1 della legge regionale della Campania 11 ottobre 2011, n. 16, nel testo corretto pubblicato nel Burc n. 67 del 25 ottobre 2011 nonche' dell'art. 9 comma 5 della legge regionale della Campania 19 gennaio 2007, n. 1, per contrasto con gli articoli 117 comma 2 lettera h), 2, 3, primo comma e 51 primo comma della Costituzione. Pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Sara' cura della cancelleria provvedere agli adempimenti previsti nell'ultima parte della citata disposizione ed analiticamente riportati nella parte dispositiva. Sulla richiesta di reintegra nelle funzioni nelle more del giudizio di costituzionalita'. Ritiene il Collegio - per le considerazioni di seguito esposte - non meritevole di accoglimento la richiesta di reintegra, in via cautelare, del ricorrente, nell'esercizio delle funzioni di consigliere regionale durante il tempo necessario per la trattazione dall'incidente di costituzionalita'. Ed invero, premesso che, come si ricava dal chiaro tenore del ricorso, l'istante non ha chiesto, in via cautelare, la mera disapplicazione della delibera e, dunque, della normativa sottoposta al vaglio di costituzionalita', bensi' ha sollecitato l'emissione di un provvedimento di reintegra nell'esercizio delle funzioni di consigliere regionale, ritiene il Tribunale che, in ossequio ai consolidati principi giurisprudenziali, non rientri nelle prerogative del giudice ordinario l'adozione del provvedimento invocato in base alle norme generali di cui agli articoli 2, 4 e 5 allegato E legge n. 2248/1865. E' noto che l'art. 2 della legge citata stabilisce che «Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione d'un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorche' siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorita' amministrativa» e che l'art. 4 recita «1. Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorita' amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. 2. L'atto amministrativo non potra' essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorita' amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso». Dunque, senza volersi soffermare sulla copiosa giurisprudenza formatasi in ordine ai poteri del giudice ordinario e del giudice amministrativo, va detto che, in linea di principio, il giudice ordinario, oltre ad avere cognizione incidentale sull'atto amministrativo, ha il potere di disapplicazione dell'atto illegittimo nei casi in cui esso venga in rilievo non gia' come causa della lesione del diritto soggettivo dedotto in giudizio, ma solo come mero antecedente sicche' la questione della sua legittimita' venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico, restando esclusa dalla sua giurisdizione l'azione risarcitoria avente ad oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendogli precluso il sindacato, in via principale, sull'atto o sul provvedimento amministrativo (Cassazione civile Sez. Un. 23 gennaio 2006, n. 1207). Orbene, secondo l'orientamento espresso, in alcune pronunce, dalla Suprema Corte (cfr. per il caso di sospensione dalla carica di consigliere regionale: Cass. Sez. I n. 17020 del 12 novembre 2003 e per il caso di sospensione dalla carica di consigliere comunale Cass. Sez. I n. 1990 del 20 gennaio 2003 e Cass. Sez. I n. 16052 dell'8 luglio 2009), nelle controversie - come quella in esame - aventi ad oggetto l'impugnativa di una delibera applicativa di una sospensione dalla carica si applicano - secondo un'interpretazione estensiva del concetto di «delibere in materia di eleggibilita'» - le disposizioni di cui all'art. 82 d.P.R. 16 maggio 960, n. 570, in quanto l'art. 9-bis del citato decreto - abrogato dall'art. 274, comma 1, lettera e) del d.lgs. 8 agosto 2000, n. 267, fatta salva l'applicabilita' agli amministratori regionali - ai sensi dell'art. 19, legge 17 febbraio 1968, n. 108, richiama per i relativi giudizi i termini stabiliti dall'art. 82. Quanto, poi, all'ambito dei poteri del giudice adito in detta materia, ritiene il Collegio che, pur nell'ampiezza delle prerogative allo stesso riconosciute nel contenzioso elettorale, oltre all'eventuale disapplicazione dell'atto amministrativo, non spetti al giudice ordinario anche il potere di sostituirsi, del tutto, alla pubblica amministrazione al punto da immettere direttamente nell'esercizio delle funzioni il consigliere precedentemente sospeso. D'altronde un'indiretta conferma della correttezza di tale interpretazione si ricava dal fatto che, in tutti i casi esaminati dai Giudici di legittimita', di impugnativa di delibere aventi ad oggetto la sospensione da una carica, i giudici di merito, nei casi di accoglimento, si sono limitati a disapplicare le delibere a seguito dell'accertamento dell'inesistenza di una causa di sospensione di diritto dalla carica, senza adottare ulteriori provvedimenti consequenziali, evidentemente, demandati alla pubblica amministrazione. Pertanto, considerato che, per sua natura, ogni provvedimento cautelare destinato ad anticipare gli effetti di un'eventuale pronuncia favorevole nel merito al fine di evitare il pregiudizio al diritto vantato connesso al tempo necessario per l'accertamento dell'esistenza dello stesso, e' evidente che, a prescindere dall'ammissibilita' in astratto della disapplicazione di una legge oggetto di un giudizio di costituzionalita', la carenza del potere - in capo al giudice adito - di reintegra del C. nelle funzioni e' ostativa all'accoglimento della richiesta di un provvedimento cautelare.
P. Q. M. Rigetta la richiesta del Pubblico Ministero di sospensione del giudizio; Dichiara ammissibile il ricorso; Dichiara inammissibili i motivi aggiunti e/o nuovi di cui alla memoria depositata il 3 ottobre 2012; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dall'art. 1 della legge regionale della Campania 11 ottobre 2011, n. 16 - nel testo corretto pubblicato nel Burc n. 67 del 25 ottobre 2011 «Modifica ed integrazione dell'art. 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1» (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - legge regionale finanziaria regionale 2007) nonche' dell'art. 9, comma 5, della legge regionale della Campania 19 gennaio 2007, n. 1, per contrasto con gli articoli 117 comma 2 lettera h), 2, 3 primo collima, 51 primo comma della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Rigetta la richiesta di reintegra del Conte nelle funzioni nelle more della decisione della Corte costituzionale; Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti del giudizio, al Pubblico Ministero ed al Presidente della Giunta della Regione Campania nonche' di comunicare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio Regionale della Campania. Cosi deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 16 ottobre 2012. Il Presidente: Casoria Il giudice estensore: Di Clemente