N. 83 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 febbraio 2013

Ordinanza del 27 febbraio 2013 emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per l'Umbria sul ricorso proposto  da  Agnelli  Alberto  ed
altri  contro  Universita'  degli  studi  di  Perugia   e   Ministero
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca.. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento  della  spesa  in  materia  di  pubblico   impiego   -
  Previsione, per i dipendenti pubblici non contrattualizzati  (nella
  specie, professori universitari associati  e  ricercatori),  che  i
  meccanismi di adeguamento retributivo non si applicano per gli anni
  2011, 2012 e 2013 e che non danno luogo a  recuperi  -  Previsione,
  altresi', che gli anni 2011, 2012 e 2013 non siano  utili  ai  fini
  della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio e che le
  progressioni hanno effetto per i  predetti  anni  soltanto  a  fini
  giuridici - Irrazionalita' - Ingiustificato  deteriore  trattamento
  dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi  -  Violazione
  del principio  della  promozione  della  cultura  e  della  ricerca
  scientifica e tecnica - Violazione  dei  principi  di  liberta'  di
  insegnamento  -  Violazione  del   principio   della   retribuzione
  proporzionata  ed  adeguata  -  Irragionevole  discriminazione   di
  lavoratori svolgenti la medesima attivita' - Lesione del  principio
  della  capacita'  contributiva  -  Violazione  dei  presupposti  di
  straordinarieta' ed emergenza per l'emanazione del decreto-legge  -
  Violazione  del  principio  di  buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. 
- Costituzione, artt. 3, comma secondo, 9, primo comma, 33,  34,  36,
  37, 53, 77 e 97, primo comma. 
(GU n.18 del 2-5-2013 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n. 278 del 2011, proposto da: 
    Alberto Agnelli, Ester  Bianchi,  Andrea  Carotti,  Enza  Caruso,
Silvia Chessa,  Chiara  Coletti,  Laura  Corte,  Daniele  Del  Buono,
Daniela Farinelli, Michela Farneselli, Alessia Flammini, Andrea  Lena
Corritore, Andrea Lombardi, Regina Lupi, Gianpiero Marconi,  Ombretta
Marconi, Roberta  Mastrofini,  Silvia  Meniconi,  Francesca  Mercati,
Alessandra Migliorati, Francesca  Nunzi,  Maria  Giuseppina  Pacilli,
Giancarlo Palombini, Valentina Poggioni, Fabrizio  Pompei,  Benedetto
Ponti, Mara Quaglia, Francesco Randazzo, Paolo Raspadori,  Gianandrea
Salerno,   Mirko   Santanicchia,   Lorenzo   Tiacci,Lorella   Tosone,
rappresentati e  difesi  dall'avvio  Eugenio  Barale,  con  domicilio
eletto presso Luciano Trombettoni,in Perugia, via XIV Settembre, 67; 
    Contro,   Universita'   degli   studi   di   Perugia,   Ministero
dell'istruzione dell'universita' e  della  ricerca,  rappresentati  e
difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia,
dorniciliataria in Perugia, via degli Offici, 14; 
    Per l'accertamento e la declaratoria del diritto dei ricorrenti a
godere  della  progressione   economica   cosi'   come   prevista   e
disciplinata dagli artt. 36 e 38 d.P.R. n. 382/1980 e del conseguente
diritto  a  percepire  l'adeguamento  stipendiale  e  le   differenze
retributive legate alla maturazione delle c.d. classi biennali ed  ai
c.d. scatti biennali medio tempore eventualmente intervenuta, nonche'
a vedere comunque computata, sia ai  fini  giuridici  che  economici,
l'anzianita' da essi maturata nel periodo compreso tra il 1°  gennaio
2011 ed il 31 dicembre 2013, nonche' per l'accertamento  del  diritto
dell'aumento/scatto previsto per i  soli  ricercatori  in  attesa  di
conferma dopo il primo anno di servizio, dall'art.  1,  comma  2  del
d.l. n. 7/2005; 
    Nonche' per quanto occor possa per  l'annullamento  dei  cedolini
stipendiali  nella  parte  in  cui  «bloccano»   i   c.d.   contatori
dell'anzianita' maturata in ascritta applicazione dell'art. 9,  comma
21, del d.l. n. 78/2010 come convertito in legge e di qualsiasi altro
atto collegato ancorche' non conosciuto ed eventualmente precedente; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Universita' degli
studi di Perugia e del Ministero dell'istruzione  dell'universita'  e
della ricerca; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  14  novembre  2012  il
dott.  Paolo  Amovilli  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
    1. I ricorrenti  in  epigrafe  sono  tutti  docenti  universitari
(professori   associati   o   ricercatori),   in   servizio    presso
l'Universita' degli studi di Perugia, cosi' come documentato in atti. 
    In quanto destinatari delle disposizioni di cui all'art. 9, comma
21, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, come convertito in  legge
30 luglio 2010 n. 122, si dolgono delle  corrispondenti  decurtazioni
economiche scaturenti da tale disciplina,  della  cui  compatibilita'
costituzionale  dubitano   per   articolate   ragioni   esposte   nei
corrispondenti capi di censura. 
    In primo luogo,  deducono  la  violazione  e  falsa  applicazione
dell'art 3-ter del d.l. n. 180/2008, dell'art. 9, comma 21  del  d.l.
n. 78/2010, nonche' degli arti 6 e 8 della legge n.  240/2010,  posto
che secondo i ricorrenti, le decurtazioni di cui  all'art.  9,  comma
21, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78  non  sarebbero  loro  applicabili,
come invece opinato dall'Universita' di Perugia, facendo quest'ultimo
riferimento alle sole categorie di  personale  che  fruiscono  di  un
meccanismo di  progressione  automatica  degli  stipendi;  viceversa,
l'originario impianto previsto dal legislatore di automaticita' della
progressione economica dei ricercatori  e  professori  sarebbe  stato
definitivamente superato dall'art.  3-ter  del  d.l.  n.  180/2008  e
confermato  dalla  legge  n.  240/2010  c.d.   «Gelmini»,   i   quali
condizionano la progressione a verifica delle attivita' didattiche di
ricerca  e  gestionali  svolte,  lungi   pertanto   da   qualsivoglia
automatismo. 
    Ove si volesse ritenere comunque l'art. 9, comma 21, del d.l.  31
maggio 2010 n.  78  applicabile  nei  loro  confronti,  i  ricorrenti
chiedono dunque che,  previa  rimessione  alla  Corte  costituzionale
della questione di costituzionalita' del vigente impianto  normativo,
sia accertato il loro  diritto  alla  percezione  della  retribuzione
integrale, nella misura variamente  computata  in  atti  per  ciascun
ricorrente. L'eccezione di incostituzionalita' della  norma  concerne
l'asserito contrasto con gli artt. 3 sotto diversi profili (principio
di  uguaglianza  tra  categorie  di  lavoratori,  ragionevolezza  con
riguardo in particolare agli  effetti  retroattivi  della  previsione
legislativa), 36 (principio di proporzionalita'  tra  retribuzione  e
prestazione lavorativa), 37 (parita' di retribuzione e di lavoro), 77
(mancanza dei requisiti della necessita' ed urgenza), 3  comma  2,  9
comma 1, 33 e 34 (tutela della ricerca  scientifica  quale  principio
fondamentale) ed infine, 53 Cost. (criterio di  progressivita'  delle
forme di prelievo tributario). 
    Si  e'  costituita  l'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato   di
Perugia,  che  resiste  al  ricorso  di  cui  chiede  la   reiezione,
evidenziando anzitutto l'applicabilita' delle decurtazioni  in  esame
al personale docente universitario, non essendo tutt'ora  intervenuti
i regolamenti attuativi previsti sia  dall'art.  3-ter  del  d.l.  n.
180/2008 sia dalla stessa legge «Gelmini»;  quanto  alla  prospettata
questione di costituzionalita',  rileva  la  manifesta  infondatezza,
perche' la congiuntura economica in cui e'  intervenuto  il  d.l.  n.
78/2010 sarebbe tale da giustificare il sacrificio  di  altri  valori
costituzionali. 
    Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza  del
14 novembre 2012, nella quale la causa e' passata in decisione. 
    2.  La  soluzione  della  questione  prospettata  dai  ricorrenti
dipende dall'esame della compatibilita' costituzionale  dell'impianto
normativo  contenuto  nelle  disposizioni   richiamate,   una   volta
pregiudizialmente  stabilita  la  piena   applicabilita'   nei   loro
confronti delle decurtazioni di cui al suddetto comma 21 dell'art. 9. 
    I ricorrenti, in punto di diritto, espongono quanto segue. 
    Con   riferimento   specificamente   al   personale   c.d.   «non
contrattualizzato» di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, il comma 21  dell'art.  9  stabilisce  che  i  relativi
«meccanismi di adeguamento retributivo», come previsti  dall'art.  24
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, «non si applicano per gli  anni
2017, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno comunque
luogo a successivi  recuperi»;  che  per  le  medesime  categorie  di
personale «che fruiscono di un meccanismo di progressione  automatica
degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non  sono  utili  ai  fini
della maturazione delle classi e degli scatti di  stipendio  previsti
dai rispettivi ordinamenti»,  e  che  «le  progressioni  di  carriera
comunque denominate eventualmente disposte negli anni  2011,  2012  e
2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente
giuridici». 
    Le norme di cui all'art. 9, comma 21, del d.1.  n.  78  del  2010
prevedono dunque  il  blocco,  per  il  triennio  2011-2013  e  senza
possibilita'  di  «successivi  recuperi»:  a)  dei   «meccanismi   di
adeguamento  retributivo»  previsti  dall'art.  24  della  legge   23
dicembre 1998, n. 448; b) degli  automatismi  stipendiali  (classi  e
scatti) correlati all'anzianita' di  servizio;  c)  di  ogni  effetto
economico delle  «progressioni  di  carriera»,  comunque  denominate,
conseguite nel triennio 2011- 2013. 
    Per quanto riguarda i criteri di adeguamento retributivo  di  cui
all'art. 24 della legge n. 448 del 1998,  tale  disposizione  prevede
che «a decorrere dal  1°  gennaio  1998  gli  stipendi,  l'indennita'
integrativa speciale e gli assegni fissi e continuativi dei docenti e
dei  ricercatori  universitari  (...)  sono   adeguati   di   diritto
annualmente in ragione degli incrementi medi,  calcolati  dall'ISTAT,
conseguiti  nell'anno  precedente   dalle   categorie   di   pubblici
dipendenti contrattualizzati sulle  voci  retributive,  ivi  compresa
l'indennita' integrativa speciale, utilizzate dal  medesimo  Istituto
per  l'elaborazione  degli  indici  delle  retribuzioni  contrattuali
(comma 1); ai sensi  del  comma  2  della  stessa  disposizione,  «la
percentuale  dell'adeguamento  annuale  prevista  dal  comma   1   e'
determinata entro il 30  aprile  di  ciascun  anno  con  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei  Ministri  per
la  funzione  pubblica  e  del   tesoro,   del   bilancio   e   della
programmazione economica»; sempre il comma 2 stabilisce  che  «a  tal
fine,  entro  il  mese  di  marzo,  l'ISTAT  comunica  la  variazione
percentuale di cui al comma 1», e che «qualora i dati  necessari  non
siano  disponibili  entro  i  termini  previsti,   l'adeguamento   e'
effettuato nella  stessa  misura  percentuale  dell'anno  precedente,
salvo successivo conguaglio». 
    Per quanto concerne invece  gli  automatismi  stipendiali  legati
all'anzianita' di servizio, il vigente sistema (a  partire  dall'art.
36 del d.p.r. n. 382 del 1980, recante «Riordinamento  della  docenza
universitaria», e con le modifiche e gli  aggiustamenti  susseguitisi
negli anni) prevede che la  progressione  economica  dei  docenti  di
ruolo delle  universita'.  si  sviluppa  in  una  serie  di  «classi»
biennali di stipendio,  al  conseguimento  di  ciascuna  delle  quali
corrisponde uno «scatto» stipendiale: tali «scatti», pero',  incidono
diversamente a seconda dell'anzianita' di servizio, e cio' si traduce
in notevoli sperequazioni negli effetti del «blocco». In applicazione
del citato comma 21 dell'art.  9,  pertanto,  per  l'intero  triennio
2011- 2013 le retribuzioni  dei  docenti  universitari  sono  escluse
tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'art. 24 della legge n.
448 del  1998,  tanto  dall'applicazione  degli  aumenti  retributivi
(«scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianita' di ruolo:
adeguamenti ed aumenti ricominceranno a decorrere a partire dal 2014,
con espressa esclusione, pero', di ogni  possibilita'  di  «recupero»
degli adeguamenti e  degli  scatti  che  sarebbero  spettati  per  il
triennio 2011-2013. 
    La difesa degli istanti precisa che tali misure non sono le prime
ad   incidere   negativamente   sulle   retribuzioni   dei    docenti
universitari, in quanto esse, anche negli  anni  scorsi,  sono  state
oggetto  di  taluni  interventi  sempre  orientati  ad  esigenze   di
contenimento della spesa pubblica: gia' per l'anno 2007, infatti,  in
applicazione dell'art. 1, comma 576, della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (finanziaria 2007), l'adeguamento retributivo previsto  dall'art.
24 della legge n. 448 del 1998 e' stato corrisposto solo nella misura
del 70%; successivamente, l'art. 69 d.l. n. 112 del  25  giugno  2008
come convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 ha  previsto,  per  il
c.d. personale «non contrattualizzato», il differimento  di  12  mesi
della maturazione dell'aumento biennale o della classe di  stipendio,
nel limite del 2,5%. Tuttavia, secondo la difesa dei ricorrenti, tali
circostanze altro  non  farebbero  che  evidenziare  come  i  docenti
universitari siano gia' stati chiamati a contribuire  alla  riduzione
della spesa. 
    La difesa dei ricorrenti evidenzia inoltre che,  con  riferimento
specifico  al  blocco  dei  c.d.  «scatti»  stipendiali,   tutto   il
meccanismo delle «classi» e degli «scatti» degli stipendi dei docenti
universitari e' destinato ad essere profondamente innovato a  seguito
dell'entrata  in  vigore  della  legge  30  dicembre  2010,  n.   240
«Gelmini»,  recante  «norme  in  materia  di   organizzazione   delle
universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'  delega
al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del  sistema
universitario»: il combinato disposto degli artt. 6, comma  14  e  8,
comma 1, della legge n. 240/2010 citata stabilisce che,  a  decorrere
dall'entrata  in  vigore  dei  regolamenti  attuativi  della   legge,
l'attuale meccanismo di  progressione  automatica  basato  su  scatti
biennali di stipendio venga  sostituito  da  un  diverso  meccanismo,
caratterizzato da scatti triennali anziche' biennali e,  soprattutto,
non piu' automatici, in quanto legati all'esito di  una  valutazione,
demandata ai singoli atenei, sull'attivita' svolta  dal  docente  nel
triennio, con la previsione che, in caso di valutazione negativa, non
si da' luogo all'attribuzione di alcuno scatto stipendiale e che  «la
richiesta di attribuzione dello scatto puo' essere reiterata dopo che
sia trascorso almeno un anno accademico» (art. 6, comma 14, cit.). 
    Tale riforma, secondo i ricorrenti - nella denegata  ipotesi  ove
si ritenesse applicabile  al  personale  docente  -  produce  effetti
indiretti  di  ulteriore  aggravamento,  illogicita'  ed  ingiustizia
dell'effetto, sui docenti universitari, dell'intervento  attuato  con
il citato art. 9 comma 21 del d.l. n. 78/2010. 
    A giudizio del Collegio, le censure  dei  ricorrenti  introducono
una questione di compatibilita'  di  quest'ultima  normativa  con  la
Costituzione, che e' rilevante e non manifestamente  infondata,  come
per altro gia' ritenuto da altri Tribunali  amministrativi  regionali
(T.A.R. Lombardia - Milano ordinanza 15 giugno 2012 n.  1691;  T.A.R.
Reggio Calabria ord. 8 maggio  2012,  n.  311)  che  hanno  sollevato
identica questione di costituzionalita', per le seguenti ragioni. 
Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    3. Come prima evidenziato, la normativa di cui all'art. 9,  comma
21, del d.l. n. 78 del 2010 introduce diverse misure,  che  producono
una decurtazione del  trattamento  stipendiale  e  previdenziale  dei
docenti universitari, prevedendo il blocco, per il triennio 2011-2013
e senza possibilita' di «successivi recuperi»: a) dei «meccanismi  di
adeguamento  retributivo»  previsti  dall'art.  24  della  legge   23
dicembre 1998, n. 448; b) degli  automatismi  stipendiali  (classi  e
scatti) correlati all'anzianita' di  servizio;  c)  di  ogni  effetto
economico delle  «progressioni  di  carriera»,  comunque  denominate,
conseguite nel triennio 2011-2013. 
    La normativa richiamata, a  giudizio  del  Collegio,  si  applica
direttamente sulla retribuzione dei ricorrenti,  dal  che  scaturisce
l'interesse processuale alla proposizione del gravarne. 
    Interesse  processuale   e   rilevanza   della   questione   sono
strettamente  connessi:  se   il   Collegio   non   dubitasse   della
compatibilita' costituzionale delle norme in esame,  la  pretesa  dei
ricorrenti sarebbe infondata e da respingersi sotto tutti  i  profili
dedotti, qui presi in considerazione, in quanto le Autorita' intimate
si sono limitate a fare applicazione delle disposizioni in vigore. 
    3.1. Innanzitutto, l'applicabilita' dell'art.  9,  comma  21  del
d.l. n. 78/2010 nei confronti dei ricorrenti discende dal  fatto  che
il nuovo sistema di progressione economica «meritocratico»  non  puo'
dirsi al momento applicabile al personale docente, non essendo ancora
intervenuti i regolamenti attuativi previsti sia dall'art. 3-ter  del
d.l. n. 180/2008 sia dalla stessa legge n. 240/2010 «Gelmini». 
    L'art. 3-ter suddetto demanda infatti  ad  apposito  decreto  del
Ministero  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca,  su
proposta del Consiglio universitario nazionale e sentito il  Comitato
di indirizzo per la valutazione della  ricerca,  la  definizione  dei
criteri identificanti il carattere scientifico  delle  pubblicazioni,
necessari per l'accertamento  da  parte  della  autorita'  accademica
della  effettuazione  nel   biennio   precedente   di   pubblicazioni
scientifiche di cui al primo comma. 
    A sua volta, l'art. 8 della  legge  n.  240/2010  rimanda  ad  un
successivo regolamento, allo stato  non  intervenuto,  la  disciplina
della  revisione  del  trattamento   economico   dei   professori   e
ricercatori   universitari.   D'altronde,   come    condivisibilmente
evidenziato dalla  difesa  erariale,  un  solo  anno,  difetta  nella
sostanza quel requisito  dell'eccezionalita'  e  temporaneita'  della
disciplina che aveva consentito alla stessa  Corte  di  rigettare  le
prospettate questioni di costituzionalita'. 
    In primo luogo, in fatti, nel caso  di  cui  qui  si  discute  la
durata del «blocco» e' temporalmente superiore a  quella  del  citato
art. 7 (tre anni a fronte di uno); a cio' deve aggiungersi che  anche
il carattere «eccezionale» e comunque «transeunte» della misura  pare
poter essere messo in discussione, da momento che, come si e'  visto,
si tratta del terzo  intervento  che,  dal  2007  ad  oggi,  colpisce
(oltretutto in misura notevolmente piu' incisiva dei due  precedenti)
i criteri di adeguamento  e  i  c.d.  «automatismi  stipendiali»  dei
pubblici   dipendenti,   ed   in   particolare   dei    c.d.:    «non
contrattualizzati». Peraltro, a ulteriore conferma del carattere  non
«eccezionale» e non «transeunte» della disciplina, si consideri  come
di recente il d.l. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111  del
2011, all'art. 16, comma 1, lett. b, preveda la «proroga fino  al  31
dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei
trattamenti economici anche accessori del personale  delle  pubbliche
amministrazioni previste dalle  disposizioni  medesime».  Secondo  la
difesa dei ricorrenti, la  circostanza  che  la  riforma  di  cui  al
menzionato d.l. n. 98/2011 si applichi solamente  a  far  data  dallo
scatto successivo a  quello  in  corso,  non  elide,  anzi  conferma,
l'incisivita' della misura, perche' concorre a posticipare nel  tempo
l'incremento di carriera. 
    Piu'   specificatamente,   in   presenza   di   una   sostanziale
reiterazione  di  misure  afflittive,   la   natura   eccezionale   e
transitoria di una  disposizione  se  il  legislatore  avesse  voluto
escludere il personale docente dall'ambito di applicazione  dell'art.
9, comma 21 del d.l. n. 78/2010 avrebbe introdotto  una  disposizione
ad hoc, come avvenuto ad esempio con il successivo comma  22  per  la
categoria dei magistrati. 
    3.2.  Inoltre,  l'applicabilita'  dell'art.  9,  comma   21   nei
confronti dei ricorrenti  puo'  affermarsi  anche  sulla  base  della
considerazione secondo cui anche nel nuovo  sistema  di  progressione
economica  a   regime,   la   progressione   stipendiale   rimarrebbe
prefigurabile ex ante e pertanto pressoche' automatica, in quanto non
subordinata  ad  eventi  estranei   alla   sfera   lavorativa   degli
interessati, quali ad  esempio  determinazioni  assunte  in  sede  di
contrattazione  collettiva  o  superamento  di  selezioni  tra   piu'
aspiranti (cosi' T.A.R. Lombardia Milano sez. IV  ord.  1691  del  15
giugno, 2012). 
    3.3. E' pertanto evidente  la  rilevanza  nel  presente  giudizio
della questione di costituzionalita'. 
Sulla non manifesta infondatezza. 
    4. Le censure di incostituzionalita' della normativa in questione
sono affidate a distinte linee argomentative, che  vengono  esaminate
secondo l'ordine seguito nell'atto introduttivo del giudizio. 
    4.1. In via preliminare, si osserva che,  come  condivisibilmente
esposto  dalla  difesa  dei  ricorrenti,  il  caso  odierno  non   e'
riconducibile a precedenti fattispecie  gia'  esaminate  dalla  Corte
costituzionale (sent. n.  245/1997  e  ord.  n.  299/1999  in  ordine
all'art. 7 del d.l. n. 384 del 1992, convertito in legge n.  438  del
1992), perche', a differenza  di  tali  ipotesi,  in  cui  le  misure
restrittive erano temporalmente circoscritte ad non puo' essere fatta
derivare dalla sua scadenza nominale  perche',  se  cosi'  fosse,  si
consentirebbe un'indeterminata ed indeterminabile compressione  delle
situazioni giuridiche incise, avallando un complessivo  arbitrio  del
legislatore, che violerebbe i criteri della certezza e prevedibilita'
delle norme giuridiche,  con  gravissime  conseguenze  in  ordine  ai
rapporti giuridici in atto. In definitiva, a giudizio  del  Collegio,
lo scrutinio della norma di cui si dubita, sotto il profilo della sua
eccezionalita'  e  temporaneita',  deve   essere   condotto   secondo
ragionevolezza e con approccio sostanziale al piano degli effetti che
la norma produce,  anche  in  termini  di  prevedibilita'  della  sua
reiterazione nel tempo. 
    Osserva preliminarmente il Collegio  come  in  passato  la  Corte
costituzionale abbia gia' effettivamente scrutinato  la  legittimita'
di una normativa analoga a quella contestata nel presente giudizio. 
    Stabiliva infatti l'art. 7 del d.1. n. 384 del  1992,  convertito
in  legge  n.  438  del  1992,  che  «per  l'anno  1993  non  trovano
applicazione le norme che comunque comportano incrementi  retributivi
in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia  dell'attribuzione
di trattamenti economici, per progressione automatica di carriera». 
    La Corte, dato atto che  la  normativa  in  questione  era  stata
emanata «in un momento delicato della  vita  nazionale»,  avente  «la
finalita' di realizzare,  con  immediatezza,  un  contenimento  della
spesa pubblica», ne ha riconosciuto la legittimita',  atteso  che  il
blocco «esauriva i suoi effetti nell'anno considerato, limitandosi  a
impedire erogazioni  per  esigenze  di  riequilibrio  del  bilancio»,
(sentenza 18 luglio 1997, n. 245) affermando che la  siffatta  norma,
nell'imporre sacrifici anche onerosi, poteva ritenersi non lesiva del
principio di cui all'art. 3  della  Costituzione,  sotto  il  duplice
aspetto della  non  contrarieta'  sia  al  principio  di  uguaglianza
sostanziale, sia a quello della non  irragionevolezza,  a  condizione
pero' che i suddetti sacrifici  siano  eccezionali,  transeunti,  non
arbitrari e consentanei allo scopo prefisso. La  fattispecie  di  che
trattasi non pare pertanto riconducibile ai  citati  precedenti  gia'
esaminati dalla Corte costituzionale poiche', a  differenza  di  tali
ipotesi,  in  cui   le   misure   restrittive   erano   temporalmente
circoscritte ad  un  solo  anno,  difetta  ora  nella  sostanza  quel
requisito dell'eccezionalita' e temporaneita' della  disciplina,  che
aveva consentito  alla  stessa  Corte  di  rigettare  le  prospettate
questioni di costituzionalita'. 
    L'estensione del blocco alla maturazione delle classi e scatti di
stipendio ad un triennio, crea infatti una vera  e  propria  paralisi
nella progressione stipendiale dei  ricorrenti,  non  comparabile  ai
seppur gravosi effetti prodotti dal citato art. 7 d.l.  n.  384/1992,
che in quanto circoscritti ad un anno potevano essere considerati una
limitata parentesi meramente temporanea, priva di un vero  e  proprio
carattere di stabilita'. Tanto piu' che  le  decurtazioni  in  esame,
come  visto,  produrranno  effetti  anche  sul  trattamento  di  fine
rapporto e sulla contribuzione pensionistica, diversamente da  quanto
invece disposto dal successivo comma 22 dell'art. 9 per il  personale
della magistratura, avvocati e procuratori dello Stato. 
    Peraltro, ad ulteriore conferma della natura non «eccezionale»  e
non «transeunte» della disciplina, si consideri come  di  recente  il
d.l. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, all'art.
16, comma 1, lett. b, preveda la «proroga fino al  31  dicembre  2014
delle vigenti disposizioni che limitano la crescita  dei  trattamenti
economici   anche   accessori   del   personale    delle    pubbliche
amministrazioni previste dalle disposizioni medesime». 
    Va infine evidenziato, da ultimo,  che  la  Corte  costituzionale
(sent. 11 ottobre  2012,  n.  223)  nel  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 22 del  medesimo  decreto-legge  n.
78/2010 avente ad oggetto l'omologo blocco  stipendiale  emergenziale
disposto nei confronti della categoria dei magistrati con effetto nel
triennio 2011-2013, per contrasto (anche)  con  l'art.  3  Cost.,  ha
rilevato  il  superamento  dei   suesposti   limiti   costituzionali,
trattandosi  di   misure   «suscettibili   di   determinare   effetti
permanenti».  Tale  affermazione,  pur  nell'ambito  delle   rilevate
differenti guarentigie costituzionali a tutela  dell'autonomia  della
magistratura e del relativo  trattamento  economico,  assume  valenza
generale,  dovendo  comunque  gli  interventi  del   legislatore   di
carattere  emergenziale   istitutivi   di   misure   afflittive   del
trattamento economico del personale  pubblico  essere  «temporalmente
delimitati»,  diversamente  da   quanto   avvenuto   con   l'impianto
predisposto dal legislatore con il decreto-legge in questione. 
    Per la ragioni sopra esposte il Collegio  dubita  pertanto  della
legittimita' costituzionale dell'art. 9 comma 21 del d.1. n. 78/2010,
per violazione dell'art. 3, comma 2 Cost. 
    4.2.  Quanto  all'eccepito  contrasto   con   il   principio   di
eguaglianza tra categorie di lavoratori come si e'  gia'  anticipato,
il  meccanismo  delle  «classi»  e   degli   «scatti»   dei   docenti
universitari e' in corso di  revisione  ed  e'  destinato  ad  essere
radicalmente innovato, a seguito dell'entrata in vigore  della  legge
30 dicembre 2010, n. 240, il cui art. 8 prevede che, entro  sei  mesi
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge,  il  Governo  adotti
regolamenti  «per  la  revisione  della  disciplina  del  trattamento
economico   dei   professori   e   dei   ricercatori   universitari»,
introducendo,  tra  l'altro,  la  «trasformatone  della  progressione
biennale per classi e scatti di stipendio in progressione triennale»;
l'art. 6, comma  14,  della  stessa  legge  stabilisce  che  i  nuovi
«scatti»  triennali  non  saranno   piu'   automatici,   ma   saranno
attribuiti, previa richiesta  dell'interessato  accompagnata  da  una
«relazione triennale sul complesso  delle  attivita'  didattiche,  di
ricerca e gestionali svolte», a seguito di una valutazione, demandata
alle singole universita', sull'insieme  delle  attivita'  svolte  dal
docente nel triennio, con la previsione che, in caso  di  valutazione
negativa, non si attribuisce alcuno  scatto  stipendiale  e  che  «la
richiesta di attribuzione dello scatto puo' essere reiterata dopo che
sia trascorso almeno un anno accademico». 
    Sicche', gia' a partire dal  2011,  gli  scatti  biennali  e  gli
«automatismi» su cui pretende di incidere l'art.  9,  comma  21,  del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge n. 122 del  2010,  sono
destinati a scomparire, per essere sostituiti da  un  meccanismo  del
tutto diverso, che  non  solo  presenta  cadenza  triennale  anziche'
biennale,  ma  soprattutto   non   ha   piu'   alcun   carattere   di
«automatismo». 
    Sia l'art. 6, comma 14, sia l'art. 8 della legge n. 240 del  2010
richiamano e fanno espressamente salvo quanto  disposto  dal  decreto
legge n. 78 del 2010, come convertito in legge n.  122  del  2010,  e
quindi anche le disposizioni  dell'art.  9,  comma  21,  relative  al
«blocco»  degli  automatismi  stipendiali;  tuttavia  la  difesa  dei
ricorrenti  dubita  dell'interpretazione   del   menzionato   rinvio,
prospettando che per i  docenti  universitari  il  «blocco»  dovrebbe
essere applicato solo sino all'entrata in vigore -  con  l'emanazione
dei  relativi  regolamenti  -  del  nuovo  regime   di   progressione
economica, per scatti triennali  ed  a  seguito  di  valutazione;  ma
potrebbe anche interpretarsi nel senso che in ogni caso, per l'intero
triennio 2011-2013, non si darebbe luogo all'applicazioni  di  scatti
stipendiali, e che il nuovo regime comincerebbe a decorrere solo  dal
1° gennaio 2014. 
    L'analisi delle disposizioni di  salvaguardia  del  blocco  degli
scatti contenute nei richiamati artt.  6  comma  14  della  legge  n.
240/2010 (a norma del quale «I professori e i ricercatori sono tenuti
a presentare una relazione biennale  sul  complesso  delle  attivita'
didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta
di attribuzione dello scatto stipendiale di cui agli articoli 36 e 38
del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980,  n.  382,
ferma restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122») ed 8 (a norma del quale «Entro sei mesi dalla data  di
entrata in vigore della presente  legge  il  Governo,  tenendo  conto
anche delle disposizioni  recate  in  materia  dal  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122, adotta un regolamento  ai  sensi  dell'art.  17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per la  revisione  della
disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori
universitari gia' in servizio  e  di  quelli  vincitori  di  concorsi
indetti fino alla data di entrata in  vigore  della  presente  legge,
come  determinato  dagli  articoli  36,  38  e  39  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  11  luglio  1980,  n.  382,  secondo  le
seguenti  norme  regolatrici»),  a  giudizio   del   Collegio   rende
plausibile solamente quest'ultima interpretazione, che  e'  anche  la
piu' gravemente incisiva sulle posizioni dei ricorrenti:  essendo  la
sospensione degli scatti volta a correggere  non  la  dinamica  della
loro attribuzione, bensi' la  loro  incidenza  in  termini  economici
sulle poste passive del bilancio statale,  l'automatismo  della  loro
attribuzione e' requisito  meramente  descrittivo  della  fattispecie
normativa  e  non  qualificante,  essendo  indifferente  -  ai   fini
economici  -  la   modalita'   di   attribuzione   degli   incrementi
retributivi. 
    Anche se, per i singoli interessati, l'attribuzione degli  scatti
stipendiali e' eventuale  -  dipendendo  dalle  valutazioni  previste
dalla legge, dal momento che gli scatti non sono contingentati  e  la
loro attribuzione non e' comunque  affidata  a  procedure  selettive,
tali da ridurre l'importo complessivo dell'incremento degli oneri per
il personale, ai fini della previsione della spesa nel bilancio dello
Stato - va  comunque  previsto  (e  conseguentemente  garantito  come
approvvigionamento a  copertura  delle  relative  poste  passive)  un
finanziamento pari agli incrementi stipendiali  spettanti  a  «tutti»
coloro che potenzialmente sono in  grado  di  conseguire  gli  scatti
medesimi. 
    Pertanto, per effetto dell'art. 6, comma 4 ed 8  della  legge  n.
240/2011, il nuovo regime degli scatti per i'  docenti  universitari,
pur entrando giuridicamente in vigore secondo  le  scadenze  previste
nella legge, restera' soggetto alla sospensione di  cui  all'art.  9,
comma 21, del d.1. n. 78 del 2010, come convertito in  legge  n.  122
del 2010, e dunque avra' applicazione solo a decorrere dal 1° gennaio
2014. 
    Ne  deriva   che   la   disposizione   della   cui   legittimita'
costituzionale si dubita  appare  fortemente  discriminatoria  per  i
docenti universitari, perche' li priva  definitivamente  di  utilita'
economiche  che  erano   acquisite   nell'aspettativa   del   proprio
trattamento economico, senza che essi  (per  il  concorrente  effetto
della riforma) possano contare, allo scadere del blocco,  come  tutti
gli altri dipendenti non contrattualizzati, della  ripresa  del  piu'
favorevole   regime   automatico   dell'applicazione   degli   scatti
stipendiali. 
    L'evidente disparita' di trattamento che ne consegue fa  dubitare
della legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l.  n.
78 del 2010, anche in combinato disposto con gli arti. 8 e  6,  comma
14, della legge n. 240 del 2010 (nella parte in cui tali ultime norme
richiamano e fanno salvo il disposto dell'art. 9,  comma  21,  cit.),
per violazione degli art. 3, 97 e 36 Cost 
    4.3. Sono violati infatti l'art. 3 Cost. ed  il  generale  canone
della  ragionevolezza,  in  quanto  i   docenti   universitari,   pur
abbandonando il meccanismo, della  progressione  automatica,  vengono
sottoposti, al pari  di  altre  categorie  per  cui  tale  meccanismo
continua ad applicarsi, agli effetti del blocco di  cui  all'art.  9,
comma 21 del d.1. n. 78 del 2010:  che  sia  del  tutto  illogico  ed
iniquo applicare tale blocco,  riferito  per  esplicito  alle  (sole)
progressioni «automatiche», anche a forme di progressione stipendiale
che non presentano  alcun  automatismo,  emerge  peraltro  anche  dal
confronto con la disciplina dettata per i magistrati dal comma 22 del
medesimo art. 9, peraltro dichiarata incostituzionale con sentenza n.
223/2012. 
    La denunciata disparita' di trattamento in  danno  del  personale
docente, che pure gode di specifiche  guarentigie  costituzionali  ai
sensi degli artt.  9,  33  e  34  Cost.,  pare  evidente  specie  nei
confronti di altre  categorie  di  personale  in  regime  di  diritto
pubblico che invece ne sono prive (procuratori  e  avvocati  generali
dello Stato). 
    4.4. Ritiene  altresi'  il  Collegio  di  rilevare  d'ufficio  la
questione di costituzionalita' per  contrasto  con  l'art.  97  Cost.
sotto due distinti aspetti: prima di tutto, perche' la disparita'  di
trattamento sopra evidenziata si traduce altresi' in  una  violazione
del   principio   costituzionale   di    imparzialita'    dell'azione
amministrativa; in secondo luogo, perche' le  prescrizioni  derivanti
dal combinato disposto di cui all'art. 9 del d.1. n. 78 del  2010  ed
agli artt. 6 e 8 della legge n. 240 del 2010 si traducono, di  fatto,
in uno slittamento in avanti di ben tre anni (a dopo il  2014)  degli
effetti di una riforma che, superando il  sistema  degli  automatismi
stipendiali a  favore  di  una  progressione  economica  legata  alla
valutazione dell'effettiva attivita' didattica e  di  ricerca  svolta
dal  docente  negli  anni  precedenti,  e'  evidentemente  volta   ad
introdurre meccanismi di premialita' fondati sul merito, e quindi  ad
assicurare, come appunto prevede l'art. 97 Cost., il «buon andamento»
e l'efficienza dell'amministrazione. 
    4.5. E' violato, infine, l'art. 36 Cost., in quanto il meccanismo
degli scatti, specie se  legati  ad  una  valutazione  dell'attivita'
effettivamente svolta, e' posto a presidio  anche  del  principio  di
proporzionalita' tra la retribuzione percepita e  la  qualita'  e  la
quantita' del lavoro effettivamente svolto dal docente. 
    Secondo i  ricorrenti,  che  si  affidano  ad  argomenti  che  il
Collegio condivide,  non  si  tratta  di  contestare  il  superamento
dell'automatismo  e  l'accoglimento  del  diverso  principio  che  fa
derivare  la  progressione  stipendiale  da  una  valutazione   sulla
qualita' e quantita' del lavoro, effettivamente  prestato,  che  sono
obiettivi pienamente da sostenere  e  riconoscere:  cio'  che  invece
risulta inaccettabile e' che, nel momento stesso. in  cui  si  decide
per una simile importante riforma, non si scelga di renderla  sin  da
subito operante, ma di fatto se  ne  blocchino  gli  effetti  per  un
intero triennio, ponendo arbitrariamente sullo stesso piano i docenti
universitari   e   le   altre    categorie    di    personale    «non
contrattualizzato», per le quali ultime invece, una volta decorso  il
triennio, i c.d. «automatismi» stipendiali riprenderanno a  decorrere
come prima. 
    Una   corretta   applicazione   dei   sopra   indicati   principi
costituzionali avrebbe  invece  imposto  di  rendere  sin  da  subito
operante la  riforma  introdotta  con  la  legge  n.  240  del  2010,
iniziando immediatamente a  far  dipendere  il  riconoscimento  degli
scatti  stipendiali  dalla  valutazione  dell'attivita'  svolta   dai
docenti negli anni precedenti. 
    Non manifestamente infondato, a  giudizio  del  Collegio,  e'  il
denunziato contrasto con l'art. 37  Cost  comma  primo,  assistendosi
come detto ad una irragionevole discriminazione  tra  lavoratori  che
svolgono le medesime attivita'. 
    4.6.  Quanto  al  contrasto  con  i  principi  di  eguaglianza  e
ragionevolezza (art. 3  Cost.)  di  imparzialita'  e  buon  andamento
dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), anche con riferimento  al
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita'  e  qualita'
del lavoro prestato (art. 36 Cost.) di capacita'  contributiva  e  di
progressivita' dell'imposizione  tributaria  (art.  53  Cost.)  e  di
ingiustificata disparita' di trattamento a danno dei docenti titolari
delle classi stipendiali  piu'  basse,  il  Collegio  osserva  quanto
segue. 
    4.7. Ritiene il Collegio che la normativa in questione denoti una
chiara natura tributaria, con conseguente dubbia compatibilita' con i
principi espressi dall'art. 53 Cost. 
    In  merito,  sussiste  comunque  la  giurisdizione  del   giudice
amministrativo sulla domanda inerente le decurtazioni del trattamento
economico aventi natura tributaria in quanto, ai sensi dell'art.  133
lett. «i» del c.p.a., spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo la cognizione delle «controversie relative ai rapporti
di lavoro del personale in regime di diritto pubblico». 
    La formulazione della norma e' talmente  ampia  da  ricomprendere
ogni questione retributiva che trovi origine, causa oppure  occasione
nel rapporto di lavoro dei dipendenti non  contrattualizzati,  tra  i
quali rientrano i docenti universitari. 
    Coerentemente con tale  impostazione,  i  ricorrenti  evidenziano
come l'applicazione di tale blocco determini  sperequazioni  interne,
perche'  applica  una  misura  indistinta  a  classi   di   stipendio
disomogenee, senza considerare la complessiva e personale  situazione
reddituale dell'inciso; e provochi altresi'  un  effetto  chiaramente
regressivo,  perche'  colpisce  in  maniera  maggiore  le  classi  di
stipendio piu' basse. Con ord. n. 341/2000  la  Consulta,  dopo  aver
Premesso che «l'art. 53 della Costituzione deve  essere  interpretato
in modo unitario e coordinato, e non  per  preposizioni  staccate  ed
autonome le une dalle altre» ha affermato che «la universalita' della
imposizione, desumibile dalla espressione testuale "tutti" (cittadini
o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con  la
Repubblica  italiana),  deve  essere  intesa  nel  senso  di  obbligo
generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna  delle
discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di
concorrere alle "spese pubbliche  in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva" (con riferimento al singolo  tributo  ed  al  complesso
della  imposizione  fiscale),  come  dovere  inserito  nei   rapporti
politici   in   relazione   all'appartenenza   del   soggetto    alla
collettivita' organizzata». 
    Manca,   dunque,   nella   fattispecie   normativa    in    esame
l'«indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro
di sistema informato a criteri di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)», che  la  Corte
ha  ritenuto  essere  la  corretta  condizione   per   un'imposizione
contributiva equa. 
    Tale impostazione fa apparire decisamente anomala e non  conforme
alla Costituzione la scelta del  legislatore  del  2010  che,  in  un
contesto  economico-finanziario   esplicitamente   qualificato   come
«eccezionale»,   avrebbe   potuto   operare    soltanto    interventi
straordinari e/o temporanei di prelievo forzoso ed invece ha posto in
essere misure continuative e sostanzialmente stabili - e percio'  dal
palese «sapore» tributario -  in  quanto  oltretutto  prolungate  nel
triennio 2011-2013; ma soprattutto ha indirizzato tale  prelievo  nei
confronti di una ben limitata «classe di  persone»,  ben  guardandosi
dall'operare nei confronti di «tutti» i contribuenti in  possesso  di
determinate fasce di reddito, nessuno escluso (liberi professionisti,
lavoratori   dipendenti   del   settore   privato,   imprenditori   e
quant'altro),     esentati      immotivatamente      dall'imposizione
straordinaria, nonostante l'eccezionalita' della situazione economica
del Paese, come viceversa una corretta applicazione dei  principi  di
cui all'art. 53 Cost. avrebbe richiesto. 
    Va evidenziato che, come affermato dalla Corte costituzionale con
la citata ordinanza  n.  341/2000,  nell'imposizione  contributiva  e
fiscale  deve  essere  osservato  un  criterio  di  uniformita',  che
nell'ammontare dei cespiti patrimoniali individua un criterio certo e
non discriminatorio di identificazione della  capacita'  contributiva
da assumere  a  presupposto  di  una  imposta,  anche  se  di  natura
temporanea o eccezionale (v. anche la sentenza n. 92/1963 della Corte
costituzionale secondo cui «il primo comma dell'art. 53, nel  sancire
non gia' solo il dovere delle prestazioni tributarie, ma altresi'  il
principio della correlazione di queste con la capacita'  contributiva
di  ciascuno,  imponga  al  legislatore,  oltre  all'obbligo  di  non
disporre  prestazioni  che  siano  in  contrasto   con   i   principi
fondamentali sanciti  dalla  Costituzione  a  tutela  della  persona,
altresi' l'obbligo  di  commisurare  il  carico  tributario  in  modo
uniforme  nei  confronti  dei  vari  soggetti,  allorche'  sia   dato
riscontrare per essi una perfetta identita' della situazione di fatto
presa in considerazione dalla  legge  al  fine  dell'imposizione  del
tributo», in omaggio «al principio generale  di  eguaglianza  sancito
nell'art. 3 della Costituzione»). 
    Quanto sin qui ritenuto dal Collegio  trova,  nell'esposizione  e
nella trattazione dei ricorrenti, importanti ed ulteriori conferme. 
    Piu' precisamente, e seguendo le linee espositive dei  ricorrenti
si osserva quanto segue. 
    Prima  di  tutto,  il  blocco  dei  meccanismi   di   adeguamento
retributivo (art. 24 legge n. 448 del 1998)  influisce  nella  stessa
misura percentuale praticamente per tutti i docenti, incidendo quindi
nella medesima proporzione su tutti gli stipendi, a prescindere dalla
loro consistenza, mentre, ai sensi dell'art. 53  della  Costituzione,
nell'imporre a tutti i docenti universitari un sacrificio in nome  di
esigenze di  contenimento  della  spesa  pubblica  (che  quindi  deve
ritenersi, a tutti gli effetti, una forma di «concorso»  alle  «spese
pubbliche»), una corretta applicazione, oltre che  del  principio  di
«capacita' contributiva», anche del criterio  della  «progressivita'»
(art.   53   Cost.)   avrebbe   imposto   una   partecipazione   piu'
significativa, in termini percentuali, per coloro che  sono  titolari
di stipendi piu' alti. 
    Ne' puo' essere utile a ripristinare un minimo di  progressivita'
in tale  forma  di  concorso  alle  spese  pubbliche,  l'ulteriore  e
distinta misura di cui al comma 2 dell'art. 9 del d.1. n. 78 conv. in
legge n. 122 del 2010, che  prevede,  in  aggiunta  al  blocco  degli
adeguamenti ed aumenti retributivi, ulteriori riduzioni  (dal  5%  al
15%) per gli stipendi superiori ai 90.000  euro  lordi:  ed  infatti,
stante gli attuali livelli delle retribuzioni complessive dei docenti
universitari, tale misura non colpisce che poche classi di  stipendio
(le piu' alte) dei soli professori ordinari a tempo pieno. Per altro,
tale norma e' stata recentemente dichiarata  incostituzionale  (sent.
223/2012) per contrasto con gli art. 3 e 53 Cost. 
    Se  dunque  e'  gia'  discutibile,  alla  luce  del  criterio  di
«progressivita'» che deve informare il  sistema  tributario  nel  suo
complesso, l'imposizione di un sacrificio che colpisce nella medesima
misura  percentuale  tutti  i  redditi,  a  prescindere  dalla   loro
consistenza,  il  meccanismo  diviene  del  tutto   irragionevole   e
discriminatorio nel momento in  cui  al  blocco  degli  «adeguamenti»
retributivi di cui all'art.  24  della  legge  n.  448  del  1998  si
aggiunge l'ulteriore misura rappresentata dal  blocco  degli  aumenti
derivanti dagli «scatti» stipendiali. 
    Qui il meccanismo diviene ancora piu'  irragionevole,  in  quanto
non solo  non  rispetta  alcun  criterio  di  progressivita'  ma,  al
contrario, produce un effetto  addirittura  regressivo,  colpendo  in
misura maggiore proprio gli stipendi piu' bassi. 
    Come si e' gia'  accennato,  infatti,  gli  «scatti»  stipendiali
conseguenti alla maturazione delle diverse «classi» di stipendio  non
operano  in  modo  omogeneo,  ma  sono  profondamente  diversificati,
decrescendo con il progredire dell'anzianita' di ruolo. 
    In particolare: 
        per i docenti confermati a tempo pieno, sino alla  classe  06
la progressione economica si articola  su  scatti  biennali  dell'8%,
calcolati sempre sullo stipendio tabellare annuo lordo  della  classe
00; a partire dalla classe 07 e sino alla classe 14, la  progressione
biennale e' del 6%, calcolato sullo stipendio tabellare  annuo  lordo
della classe 06; sulle classi successive alla 14, lo scatto  biennale
e' invece solo del 2,5%, calcolato sullo  stipendio  tabellare  annuo
lordo della classe 14; 
        per i docenti a tempo definito, invece,  se  la  progressione
biennale per le classi sino alla 06 e' sempre dell'8%,  sulle  classi
successive alla 06 compete lo scatto  del  2,5%  biennale,  calcolato
sempre sullo stipendio tabellare annuo lordo della classe 06; 
        infine, per i docenti in attesa di conferma  e  i  professori
straordinari,  e'  previsto  un  aumento  retributivo  del  2,5%   al
compimento del 1° biennio;  in  piu',  per  i  soli  ricercatori  non
confermati, al 2° anno, e' previsto l'adeguamento della  retribuzione
al 70% di quella annua lorda del professore associato non  confermato
a tempo pieno alla classe 00. 
    E'  quindi  palese  che,  a  seguito  del  blocco  degli  scatti,
l'effetto sulle retribuzioni e' di gran  lunga  piu'  incisivo  sulle
classi di stipendio piu' basse: basti pensare che, per un ricercatore
non confermato, gli effetti al 2014 del blocco, nel suo complesso, in
termini di mancato aumento della retribuzione che sarebbe spettata  a
legislazione invariata,  si  traducono  in  un  mancato  aumento  che
oscilla tra il  34%  e  il  26%  della  retribuzione;  man  mano  che
l'anzianita'  aumenta,  invece,  l'effetto   si   riduce,   scendendo
progressivamente al di sotto il 20%. 
    Anche per i professori di prima e seconda fascia, si constata una
ben diversa incidenza dei mancati aumenti, che dal 23 - 25%  scendono
poi, con l'anzianita', a livelli ben inferiori, sino a sotto il 15%. 
    Oltre ad operare in  senso  chiaramente  regressivo,  come  sopra
illustrato, l'imposizione di  una  contribuzione  personale  pari  al
blocco degli scatti stipendiali comporta una  disparita'  interna  in
termini monetari, perche' colpisce in maniera diversa  gli  incisi  a
seconda di quando hanno maturato l'ultimo scatto (chi  l'ha  maturato
nel 2009 lo perde due volte, mentre chi l'ha  maturato  nel  2010  ne
risente per una sola volta). 
    Ne deriva un  mancato  aumento  dello  stipendio  che  incide  in
maniera  assolutamente  diversa  su  soggetti   che,   ancorche'   in
situazione sostanzialmente identica, sono chiamati a  contribuire  al
sacrificio imposto in maniera ed in quantita' diversa, a  seconda  di
un mero  indicatore  temporale  e  non  certo  in  relazione  ad  una
differente capacita' contributiva. 
    Mette  conto  infine  evidenziare  come  di  recente   la   Corte
costituzionale  (sent.  223  dell'11  ottobre  2012)  ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9,  comma  2  del  medesimo
decreto-legge n. 78/2010, avente ad oggetto tagli, con riferimento al
triennio 2011-2013, al trattamento economico del  personale  pubblico
per la parte eccedente gli importi  superiori  a  90.000  euro  lordi
annui, per contrasto con gli artt.  53  e  3  Cost.,  trattandosi  di
prelievo di natura tributaria del tutto irragionevolmente imposto nei
confronti della sola categoria dei dipendenti pubblici, per la  quale
il   prelievo   imposto   determina    un    irragionevole    effetto
discriminatorio.  Secondo  la   Consulta,   «l'eccezionalita'   della
situazione  economica  che  lo  Stato  deve  affrontare  e'   infatti
suscettibile senza dubbio  di  consentire  al  legislatore  anche  il
ricorso a strumenti  eccezionali.....omissis....Tuttavia  e'  compito
dello Stato garantire anche in queste  condizioni,  il  rispetto  dei
principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale certo
non e' indifferente alla realta'  economica  e  finanziaria,  ma  con
altrettanta certezza non puo'  consentire  deroghe  al  principio  di
uguaglianza sul quale e' fondato l'ordinamento costituzionale». 
    Parimenti natura tributaria, per la Consulta, ha la  decurtazione
dell'indennita' giudiziaria di  cui  all'art.  3  legge  n.  27/1981,
imposta dall'art.  9,  comma  22  del  citato  d.l.  78/2010  per  il
personale di magistratura. 
    E' quindi evidente  l'illegittimita'  costituzionale  del  citato
art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, per violazione degli artt. 3, 97,  36
e 53 Cost. 
    4.8. L'art. 3 Cost. e' violato, infatti, sia nel momento  in  cui
si colpiscono in misura differenziata e piu' penalizzante i' titolari
di  stipendi  piu'  bassi,  sia  nel  momento  in  cui  si  introduce
l'ulteriore, ingiustificata diversita' di trattamento tra coloro che,
nel triennio di «blocco», avrebbero maturato due scatti stipendiali e
coloro che invece ne avrebbero maturato solamente uno. 
    4.9. Per le stesse ragioni deve ritenersi altresi' violato l'art.
97    Cost.,    sia    sotto    il     profilo     dell'imparzialita'
dell'amministrazione, sia sotto il  profilo  del  principio  di  buon
andamento,  dal  momento  che  vengono  penalizzati   i   docenti   e
ricercatori piu'  giovani,  in  pieno  contrasto  con  le  conciamate
esigenze di svecchiamento del corpo docente e di valorizzazione delle
nuove risorse. Con  cio',  peraltro,  arrecando  un  ulteriore  grave
vulnus  alle  giovani  generazioni   di   ricercatori,   gia'   tanto
penalizzate nel Paese. 
    4.10. E' altresi' violato l'art. 36 della Costituzione, sotto  il
profilo della proporzionalita' tra la retribuzione e la  quantita'  e
qualita' del lavoro prestato, da momento che tanto gli adeguamenti di
cui all'art. 24 della legge n. 448 del 1998, quanto i  meccanismi  di
progressione dello  stipendio  legati  a  «scatti»  e  «classi»  sono
evidentemente  finalizzati  ad  assicurare   e   a   mantenere   tale
proporzionalita'. 
    4.11. E' infine violato anche l'art. 53 Cost., dal momento che il
sacrificio che viene imposto ai docenti come ad  altre  categorie  di
pubblici dipendenti, in nome di esigenze di contenimento della spesa,
rappresenta senz'altro una forma di concorso di tali  categorie  alle
spese pubbliche, e quindi deve rispettare tanto il principio generale
di progressivita' (che e' violato nel momento in cui il blocco  degli
adeguamenti  colpisce,  nella  stessa  misura  percentuale,  tutti  i
docenti, a prescindere dal loro  reddito)  quanto  e  soprattutto  il
principio  di  capacita'  contributiva  (manifestamente  violato   in
presenza di un intervento, come quello sulle «classi» e gli  «scatti»
di stipendio, che come si e' visto colpisce in misura percentualmente
piu' elevata proprio i titolari degli stipendi piu' bassi). 
    A voler negare la natura tributaria della disposizione in  esame,
e considerandone gli  effetti  sul  solo  piano  stipendiale,  devono
formularsi ulteriori rilievi circa la  compatibilita'  costituzionale
della norma. 
    Il  meccanismo  introdotto  con  l'art.  9,  comma  21,  comporta
l'esclusione di qualsiasi recupero successivo degli scatti,  rispetto
ai «meccanismi di adeguamento retributivo», di cui all'art. 24  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448; ogni possibilita' di recupero e'  poi
esclusa anche per quanto attiene alla  «maturazione  delle  classi  e
degli scatti di stipendio», e l'anzianita' di servizio riprendera'  a
decorrere, a partire dal 2014, come se il triennio 2011-2012-2013 non
fosse mai esistito. 
    Ne deriva che non solo per il triennio in esame  ciascun  docente
non gode ne' dei meccanismi  di  adeguamento  retributivo  ne'  degli
aumenti automatici legati all'anzianita', ma, a partire dal  2014,  i
meccanismi di adeguamento e gli  scatti  riprenderanno  a  decorrere,
saltando del tutto lo stesso triennio, i cui effetti  sull'anzianita'
di carriera e sui correlati istituti saranno perduti definitivamente. 
    Si  genera  cosi'  un'evidente  alterazione  del  meccanismo   di
adeguamento delle retribuzioni di cui all'art. 24 della  n.  448  del
1998,  finalizzato  a  salvaguardarne  il   valore   reale   rispetto
all'aumento del costo della vita;  ne  consegue  la  violazione,  per
irragionevolezza ed illogicita', degli  artt.  3,  36  e  97  per  le
ragioni esposte in epigrafe. 
    Peraltro, quando in passato si e' ritenuto di  dover  intervenire
sul meccanismi di «adeguamento retributivo» di cui all'art. 24  della
legge n. 448 del 1998 per ridimensionarne temporaneamente la  portata
(in misura e con effetti, peraltro, nettamente piu' modesti di quanto
accade oggi), e' stato  previsto  espressamente  che,  pur  rimanendo
esclusa la corresponsione di arretrati, l'adeguamento  riprendesse  a
decorrere al cessare della misura temporanea,  senza  cancellare  gli
effetti del tempo decorso (cfr. l'art. 1, comma 576, della  legge  27
dicembre 2006, n. 296 - finanziaria 2007; l'art. 69 del d.1.  n.  112
del 2008). 
    L'irragionevolezza della preclusione si apprezza maggiormente con
la comparazione delle posizioni dei  dipendenti  «contrattualizzati»,
per i quali non sembra essere operante il medesimo vincolo. 
    4.12. Non manifestamente infondata, a giudizio del  Collegio,  e'
anche la denunziata violazione dell'art. 77 Cost., non presentando il
d.l. 78/2010 in cui e'  inserito  l'avversato  art.  9  comma  21,  i
presupposti tipici della «necessita' e dell'urgenza». 
    L'esigenza di controllo della finanza pubblica non appare di  per
se' condizione necessaria e sufficiente a concretare la necessita' ed
urgenza di provvedere con norme primarie a  disciplinare  fattispecie
concrete, tanto piu' ove si consideri che la  norma  con  riferimento
alla quale si solleva la questione di costituzionalita' ha  lo  scopo
di produrre effetti a distanza di oltre sei mesi  dal  momento  della
sua adozione e della sua entrata in vigore. L'art. 9 comma  21  della
legge n. 122/2010 converte in legge  una  norma  che  e'  entrata  in
vigore, grazie all'impiego dello strumento del decreto legge,  il  31
maggio dello stesso anno e che produrra' effetti per gli  anni  2011,
2012 e 2013, essendo cosi' evidente che le disposte  correzioni  alle
politiche di spesa pubblica presentano effetto differito rispetto  al
momento dell'entrata in vigore del decreto-legge. 
    Secondo   la   giurisprudenza   costituzionale,   i    vizi    di
illegittimita' del decreto legge, tra cui quello di  adozione  al  di
fuori dei casi di necessita' ed urgenza, non  sono  fatti  salvi  con
l'adozione  della  legge  di  conversione,  bensi'  permangono  nella
persistente   capacita'    di    viziare    l'intervento    normativo
dell'esecutivo (Corte costituzionale sentenze nn. 171/2007, 128/2008,
335 e 367/2010). 
    La mancanza «evidente» di quei  presupposti  configura  tanto  un
vizio di legittimita' costituzionale  del  decreto-legge,  quanto  un
vizio  in  procedendo  della  stessa  legge  di  conversione,  avendo
quest'ultima valutato  erroneamente  l'esistenza  di  presupposti  di
validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge  un
atto che non poteva essere legittimo oggetto  di  conversione  (Corte
costituzionale sentenze 25 novembre 2003 n. 341; n. 29/1995). 
    Ancora,  «il  difetto  dei  presupposti  di  legittimita'   della
decretazione d'urgenza, in sede di  scrutinio  di  costituzionalita'»
deve «risultare evidente», e tale difetto di presupposti, «una  volta
intervenuta la conversione, si traduce  in  un  vizio  in  procedendo
della relativa legge» (Corte cost. sent. n. 128/2008);  la  Corte  ha
escluso, con cio', l'eventuale efficacia sanante di quest'ultima, dal
momento che «affermare che tale legge di  conversione  sana  in  ogni
caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire  in  concreto  al
legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale
delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla  produzione
delle fonti primarie». 
    Alla luce delle suesposte considerazioni, una volta acquisito che
il  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   riguarda   anche   i
presupposti  della  decretazione  d'urgenza,  ne  consegue   la   non
manifesta infondatezza dell'eccezione  di  incostituzionalita'  anche
sotto il profilo del contrasto con l'art. 77 Cost. 
    4.13. Infine, ritiene il collegio  non  manifestamente  infondata
anche la denunziata violazione  da  parte  della  norma  tacciata  di
incostituzionalita', del combinato disposto degli artt. 3 comma 2,  9
comma 1, 33 e 34 Cost. 
    Le forti decurtazioni stipendiali che .  come  visto  penalizzano
irragionevolmente il personale docente, si pongono in contrasto anche
con le suesposte  norme  costituzionali,  le  quali  testimoniano  la
rilevanza sul piano sostanziale della  valorizzazione  della  ricerca
scientifica e dell'insegnamento: in particolare, la centralita' della
ricerca scientifica e' richiamata persino  all'interno  dei  principi
fondamentali (art. 9  comma  1  Cost.)  secondo  cui  «La  Repubblica
promuove lo  sviluppo  della  cultura  e  la  ricerca  scientifica  e
tecnica». 
    4.14. Mette conto evidenziare, in relazione a tutti i profili  di
contrasto    della    legge    sospetta    di    incostituzionalita',
l'impossibilita'   per   questo   giudice   di   risolvere   in   via
interpretativa gli ipotizzati dubbi di compatibilita' costituzionale,
in relazione all'univoco tenore letterale della legge, che  segna  il
confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere
il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (ex multis Corte
cost. sent n. 26/2010). 
    5. Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23,  secondo  comma,  della
legge  11  marzo  1953,  n.   87,   ritenendola   rilevante   e   non
manifestamente infondata, questo Tribunale  amministrativo  regionale
solleva questione di legittimita'. costituzionale dell'art. 9,  comma
21, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, come convertito in legge 30 luglio
2010 n. 122, per contrasto con gli artt. 3, 9, 33, 34, 36, 37, 53, 77
e 97 della Costituzione, secondo i profili e  per  le  ragioni  sopra
indicate, con sospensione del giudizio fino alla pubblicazione  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana  della  decisione  della
Corte costituzionale sulle questioni indicate, ai  sensi  e  per  gli
effetti di cui agli artt. 79 ed 80 cod. proc. amm. ed art. 295 c.p.c. 
    Riserva al definitivo ogni  ulteriore  decisione,  nel  merito  e
sulle spese. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 dellla legge 11 marzo 1953, n.  87,  ritenuta  la
rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. 31 maggio
2010 n. 78 convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010  n.
122 in relazione agli artt. 3, 9, 33, 34, 36, 37, 53, 77 e  97  della
Costituzione, dispone la sospensione del giudizio e  la  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Rinvia ogni definitiva statuizione in rito, nel  merito  e  sulle
spese di lite all'esito del promosso giudizio incidentale,  ai  sensi
degli art. 79 ed 80 cod. proc. amm. 
    Ordina che a cura della  segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e
della Camera dei deputati. 
      Cosi' deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 14
novembre 2012. 
 
                       Il Presidente: Lamberti 
 
 
                    Primo referendario: De Carlo 
 
 
                                                L'estensore: Amovilli