N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 gennaio 2013
Ordinanza del 31 gennaio 2013 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di M. F.. Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici penitenziari per i condannati per taluni delitti in assenza di collaborazione con la giustizia - Applicabilita' anche con riferimento al beneficio della detenzione domiciliare speciale, previsto a favore delle condannate madri di minori con eta' non superiore ai dieci anni - Violazione del principio di ragionevolezza, a fronte dalla diversita' tra le misure alternative alla detenzione aventi la finalita' del reinserimento sociale del condannato e quella nella specie avente la finalita' di protezione dell'infanzia - Lesione del diritto di tutela della famiglia, del diritto-dovere dei genitori di educare i figli e dell'obbligo di protezione dell'infanzia. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 29, 30 e 31.(GU n.21 del 22-5-2013 )
IL TRIBUNALE Per deliberare sulla domanda di Detenzione Domiciliare Speciale (47-quinquies comma 1 - 1-bis O.P.) presentata da M. F., nata a (Nigeria) il 22-06-1972, detenuta presso la Casa Circondariale di Firenze - via G. Minervini n. 2/R Firenze con fine pena attuale al 26-02-2019 per le seguenti condanne in cumulo: 1) Sentenza N. 2010/40 Reg. Gen., emessa in data 14-12-2010 da Corte di Assise di Appello Bari, confermata in data 15-01-2010 da Corte di Assise Bari, definitiva il 29-01-2011, alla pena di anni 7 di reclusione per i seguenti reati: Reato Capo A: Art 110 C.P., Art. 601 c. 1 C.P., Art. 12 D.lvo del 1998 n. 286 Reato Capo B: Art 110 C.P., Art. 600 c. 1 2 3 C.P., Art. 12 c. 5 D.lvo del 1998 n. 286 Reato Capo F: Art 110 C.P. data consumazione: 01-01-2005 - luogo: Bari, Art. 3 L. del 1958 n. 75, Art. 7 L. del 1958 n. 75 2) Cumulo del 21.04.2010 della Procura Repubblica c/o Tribunale Bari comprendente: Sentenza del 19.11.2003 del Trib. Bari reato art. 385 c.p. Sentenza del 12.02.2004 della Corte Appello Roma reati art. 3 L. n. 75/58 Pena determinata in anni 2 mesi 6 di reclusione Osserva L'interessata ha proposto istanza di detenzione domiciliare speciale allegando di essere madre di un figlio di eta' inferiore ai dieci anni. In particolare dalla relazione G.O.T. della casa circondariale "Sollicciano" di Firenze del 17.09.2012 si evince che quando la donna ha fatto ingresso in carcere aveva con se' I., nato il 09.02.2008, mentre l'altro figlio, E. era gia' stato affidato dal Tribunale per i Minorenni di Lecce alla zia paterna residente in Spagna. Su J. dopo che aveva compiuto tre anni, si e' pronunciato il Tribunale per i Minorenni di Firenze che ne disponeva l'affidamento ai servizi sociali, ma su ricorso della cognata della detenuta la procedura non e' stata ancora definita. I. e' quindi in carcere con la madre fin dall'eta' di un anno e ha tenuto un rapporto affettivo regolare con il padre, per le visite che questi compie in istituto, visite interrotte solo negli ultimi mesi. Lo sviluppo cognitivo e psicofisico del bambino, riferiscono gli operatori dell'area educativa, non ha risentito fino ad oggi dell'ambiente di crescita anche per il supporto interno di Telefono Azzurro. I. e' stato poi inserito in una scuola comunale non lontano dal carcere, fatto non visto all'inizio positivamente dalla madre, che temeva trattarsi di un escamotage per sottrarle il figlio, ma poi l'inserimento e' stato possibile con l'aiuto degli operatori dell'area educativa e della responsabile di Telefono Azzurro, consentendo alla donna di accompagnare al primo giorno di scuola il figlio in virtu' di un permesso di necessita' emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Firenze. La ricerca di una soluzione che consentisse alla M. di seguire il figlio fuori dal circuito carcerario e' stata faticosa ma grazie alle sinergie degli operatori e' stato previsto un intervento di accoglienza a spese del Comune di Firenze presso "Casa Speranza" di Settignano, finalizzato ad una prima osservazione del caso ed a favorire gli interventi socio-educativi nei confronti della condannata e del figlio, per poi passare ad una seconda fase di individuazione di successiva struttura a minore intensita' assistenziale sempre a spese del Comune. La soluzione prospettata potra' consentire al Tribunale per i Minorenni di riorientare la propria decisione per quanto attiene a I. Agli atti e' allegata la dichiarazione di disponibilita' del Comune di Firenze. La nota del C.O.S.P. di Firenze del 24.10.2012 con allegata analoga nota del 22.09.2012, richiesta ai sensi dell'art. 4-bis comma 2 O.P. si esprime nel senso che non e' possibile escludere collegamenti della condannata con la criminalita' organizzata, ma va rilevato che, come emerge dalle dette note, le forze di polizia non offrono alcun elemento da cui possa desumersi l'attualita' e concretezza di rapporti tra l'interessata ed organizzazioni criminali, potendosi conseguentemente ritenere che la carcerazione subita, ininterrottamente dall'11.02.2009, abbia dissolto ogni eventuale legame o contatto con associazioni delinquenziali (la M. peraltro non e' stata condannata per reati associativi). Nonostante la validita' della soluzione proposta dagli operatori, soprattutto (se non esclusivamente) per venire incontro alle esigenze del minore, che in pratica sta crescendo in carcere con la madre per i reati da costei commessi, e sebbene non ricorra un attuale e concreto pericolo di reiterazione di condotte illecite da parte della condannata, va rilevato che l'interessata sta espiando la pena anche per i delitti di cui agli artt. 600 comma 1, 2, 3 c.p. e 601 c.p., esplicitamente contemplati dall'art. 4-bis comma 1 c.p. secondo cui "le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati ... solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter della presente legge". Nel caso in esame la detenuta non versa in tale ultima condizione, non risultando accertata, dal competente Tribunale di Sorveglianza, una sua collaborazione a fini di Giustizia ne' che ricorrano le condizioni per un accertamento di collaborazione impossibile, inesigibile o superflua ai sensi dell'art. 4-bis comma 1-bis O.P., peraltro non richiesto dall'interessata. La Suprema Corte ha gia' chiaramente affermato: "Anche per la misura alternativa della detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquies della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario) opera il divieto di concessione previsto dalla disposizione dell'art. 4-bis, comma primo, della stessa legge per i condannati per reati da essa contemplati." (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25664 del 13/02/2004 Cc. - dep. 08/06/2004 - Rv. 228131). Nel caso specifico poi non e' utilmente invocabile nemmeno l'applicazione del principio del cd. "scorporo", ossia la scissione delle pene in cumulo per verificare se quelle che presentano carattere di ostativita' siano state integralmente espiate, in modo da potersi valutare il venir meno degli effetti preclusivi per l'accesso a benefici penitenziari: la condanna per i reati ostativi e' di anni 7 per cui, decorrendo l'esecuzione della sanzione dal giorno 11.02.2009, l'integrale espiazione della stessa e' ancora lontana. E' evidente come l'applicazione della suesposta normativa e dei suddetti principi conduca alla reiezione dell'istanza della condannata. Ritiene pero' il Collegio che non sia manifestamente infondato un profilo di incostituzionalita' della normativa esaminata, e che la relativa questione sia meritevole di essere sollevata d'ufficio. Va infatti evidenziato che la disciplina di cui all'art. 4-bis O.P., progressivamente inasprita nel tempo dal Legislatore, risponde ad una ratio di preclusione all'accesso ai benefici penitenziari per categorie di soggetti riconosciuti responsabili di gravi delitti. La norma infatti si pone come barriera alla discrezionalita' del Tribunale di Sorveglianza (o del Magistrato di Sorveglianza, per i procedimenti monocratici) nella valutazione sull'accessibilita' di un condannato ai benefici penitenziari, ponendo una sorta di presunzione di pericolosita' in ragione della gravita' del fatto da questi commesso, quasi a prescindere del tutto dall'effettivo esame della personalita' del soggetto e della validita', o meno, del percorso trattamentale seguito in carcere. E' merito della Consulta, in primis con Sentenza 30.12.1997 n. 445 e Sentenza 22.04.1999 n. 137, aver nuovamente confermato la centralita', nella decisione sull'accesso a benefici penitenziari, della verifica del grado di rieducazione raggiunto dal condannato, sia pur con riferimento al tempo anteriore all'entrata in vigore delle norme che, di volta in volta, hanno inasprito i vincoli dell'art. 4-bis O.P. in esame, nonche' aver escluso che le preclusioni, in ambito di esecuzione della pena, possano avere un'applicazione cieca secondo automatismi meramente normativi, ma richiedono sempre una lettura costituzionalmente orientata nel senso di un accertamento in concreto dei progressi trattamentali del detenuto (es. Sent. C. Cost. 189/2010). Cio' nonostante, resta forte la barriera posta dall'art. 4-bis comma 1 O.P. ai benefici penitenziari per quei delitti, gravissimi, ivi contemplati sebbene altrove (art. 4-bis comma 1-ter e comma 1-quater O.P.) uno specifico approfondimento "istruttorio" consente comunque di sbloccare alcuni istituti (es. affidamento in prova al servizio sociale, semiliberta', permesso premio) anche se con alcune condizioni aggiuntive (es. l'espiazione di un quantum di pena, oppure l'osservazione intramuraria da parte di una speciale commissione ex art. 80 O.P. per un anno in riferimento ai reati sessuali). La preclusivita' assoluta dei delitti contemplati dall'art. 4-bis comma 1 O.P. conosce un temperamento solo alla luce di un particolare comportamento attivo del condannato, ossia la collaborazione a fini di Giustizia che va riconosciuta dal Tribunale di Sorveglianza con procedura camerale ex art. 58-ter O.P. ovvero al riconoscimento, sempre mediante detta procedura camerale, che tale collaborazione e' inesigibile, impossibile o irrilevante. Tutto cio' e' sancito nell'ordinamento penitenziario in tema di benefici penitenziari e, specialmente, in riferimento alle misura alternative alla detenzione che costituiscono lo strumento principale per rendere operativo e concreto il principio rieducativo della pena di cui all'art. 27 Cost. Secondo tale prospettiva puo' apparire quindi comprensibile e ragionevole che il Legislatore, nella sua discrezionalita', individui categorie di delitti i cui responsabili, in ragione della gravita' degli stessi, abbiano un percorso piu' complesso ed impegnativo per raggiungere quei benefici che soggetti condannati per reati meno gravi possono conoscere piu' agevolmente. Ma se la struttura fortemente ostativa dell' art. 4-bis comma 1 O.P. ha una sua ratio se il thema decidendum e' l'accesso di un detenuto ad un beneficio penitenziario, ben diversa appare la prospettiva se il diritto "ostacolato" e' un altro che poco o nulla ha a che fare con la situazione esecutiva di un condannato. Nel caso in esame, infatti, la detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies O.P. costituisce un istituto inserito ratione materiae nell'Ordinamento Penitenziario ma che ben difficilmente e' accostabile alle altre misure alternative contemplate tutte nel medesimo Capo VI integralmente richiamato dall'art. 4-bis comma 1 O.P. La detenzione domiciliare speciale infatti prescinde da qualsiasi contenuto rieducativo o trattamentale e si preoccupa solo di ripristinare, dove possibile, la convivenza tra madre e figli, consentendo cosi' alla prole di godere di quelle cure di cui abbisogna per un corretto sviluppo psicofisico. Tale preoccupazione emerge in tutta evidenza con la recente introduzione del comma 1-bis all'art. 47-quinquies O.P., laddove si prescrive che "Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4-bis, l'espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, puo' avvenire presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli. In caso di impossibilita' di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa puo' essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite". E' chiaro che tale integrazione normativa e' stata voluta dal Legislatore proprio per agevolare ulteriormente l'accesso all'istituto giuridico e cio' al fine di meglio tutelare la prole. La "diversita'" teleologica della detenzione domiciliare speciale e' stata peraltro anche evidenziata, sia pure incidenter tantum, dalla Suprema Corte che, nell'escludere l'automatismo della preclusione ex art. 58-quater O.P. in caso di revoca della misura in argomento, ha sottolineato come "L'eccezione alla regola, invero, trova una ragione nella particolarita' dei presupposti condizionanti la concessione della misura alternativa de qua" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 44562 del 2010). La "particolarita' dei presupposti condizionanti la concessione della misura alternativa de qua" risiede invero proprio nella necessita' di garantire al minore di godere del proprio diritto alla vita ed al suo sviluppo, diritto che ai sensi dell'art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the Rights of the Child), approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, costituisce uno dei quattro principi fondamentali del citato documento internazionale, ossia il cd. "superiore interesse", secondo cui in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino/adolescente deve avere la priorita'. La stessa Corte Costituzionale, con Sentenza n. 31/2012 depositata il 23.02.2012, ha chiaramente evidenziato il rango costituzionale del diritto alla tutela dell'infanzia. In tale pronuncia la Consulta ha sottolineato l'importanza dell'interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione: "Si tratta di un interesse complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento internazionale sia in quello interno". La Corte delle Leggi ha ben rappresentato le fonti di riferimento: "la Convenzione sui diritti del fanciullo (per quest'ultimo dovendosi intendere «ogni essere umano avente un'eta' inferiore a diciotto anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturita' in virtu' della legislazione applicabile», ai sensi dell'art. 1 della Convenzione stessa), fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, dispone nell'art. 3, primo comma, che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita' amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». La Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta le modalita' cui l'autorita' giudiziaria deve conformarsi «prima di giungere a qualunque decisione», stabilendo (tra l'altro) che l'autorita' stessa deve acquisire «informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell'interesse superiore del minore». La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell'art. 24, comma secondo, prescrive che «In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente»; e il comma terzo del medesimo articolo aggiunge che «Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora cio' sia contrario al suo interesse». Come si vede, nell'ordinamento internazionale e' principio acquisito che in ogni atto comunque riguardante un minore deve tenersi presente il suo interesse, considerato preminente. E non diverso e' l'indirizzo dell'ordinamento interno, nel quale l'interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralita', specialmente dopo la riforma attuata con legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell'adozione realizzata con la legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre piu' incisiva dei diritti del minore." (Sentenza C. Cost. n. 31/2012). E' pertanto evidente come non risponda a ragionevolezza imporre tout court alla detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies O.P. i vincoli e le preclusioni che l'art. 4-bis comma 1 O.P. estende indiscriminatamente a tutte le misure alternative alla detenzione di cui al Capo VI dell'Ordinamento Penitenziario, senza tenere in conto la diversita' quasi ontologica tra le misure che hanno per finalita' il reinserimento sociale del condannato, e quindi si profilano come benefici, e quella invece che tende alla diversa meta di proteggere l'infanzia, consentendo alla prole di eta' inferiore a dieci anni di recuperare al piu' presto un normale rapporto di convivenza con la madre fuori da un ambiente carcerario. Ed invero, pur essendo la norma orientata alla salvaguardia del diritto del figlio a ripristinare il naturale rapporto di convivenza con la madre, il "superiore interesse" del minore, anziche' prevalere, sembra cedere il passo innanzi alla pretesa punitiva dello Stato ed ai rigori che il Legislatore ha inteso prevedere per l'accesso ai benefici penitenziari per i responsabili di gravi delitti. Non appare ragionevole addossare sulle fragili spalle del minore le conseguenze delle gravi responsabilita' penali della madre, tantomeno quelle della di lei scelta di non collaborare a fini di Giustizia, ovvero del fatto che la madre condannata non riesca a vedere riconosciuta l'impossibilita', irrilevanza o superfluita' di una propria collaborazione, atteso che infine si trasferirebbero sul minore gli esiti negativi di una scelta o di una procedimento giurisdizionale rispetto al quale il piccolo e' del tutto estraneo. La formulazione dell'art. 4-bis comma 1 O.P. appare pertanto discostarsi fortemente dal principio del "superiore interesse" dell'infanzia, ponendo in realta' ostacoli, in relazione all'art. 47-quinquies O.P., non all'accesso da parte di un detenuto ad un beneficio penitenziario ma all'esercizio di un diritto del tutto diverso, quello del minore a vivere e a crescere mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con la propria madre, dalla quale ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione. Ne', di fatto, la situazione pare ovviabile attraverso un'interpretazione della norma costituzionalmente orientata, che si risolverebbe con la mera illegittima disapplicazione da parte del Tribunale di Sorveglianza di una disposizione in realta' letteralmente chiara e cogente, ne' il presente giudizio puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, che ha un carattere dirimente sull'accoglimento o meno dell'istanza, atteso che solo l'ostativita' dell'art. 4-bis comma 1 O.P. impedisce la possibile concessione della misura della detenzione domiciliare speciale alla condannata ed il ripristino di una condizione di vita piu' adeguata per il di lei figlio minore. Alla luce di quanto sopra esposto non appare manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis comma 1 O.P., nella parte in cui estende la propria applicabilita' anche all'art. 47-quinquies O.P., apparendo porsi in contrasto con gli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., sembrando detta norma irragionevole (e quindi lesiva del diritto di eguaglianza innanzi alla Legge) nell'estendere la sua operativita' verso un istituto giuridico che presenta "particolarita' dei presupposti condizionanti" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 44562 del 2010) che non ne consentono l'assimilazione tout court alle altre misure alternative alla detenzione, lesiva del diritto di tutela della famiglia come societa' naturale, lesiva del diritto-dovere dei genitori di educare i figli (e del converso diritto dei figli di essere educati dai genitori), lesiva dell'obbligo di protezione ("superiore interesse") nei confronti dell'infanzia.
P.Q.M. Nel procedimento come in epigrafe rubricato; Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativamente all'art. 4-bis comma 1 O.P. nella parte in cui estende la sua applicabilita' anche all'art. 47-quinquies O.P. per contrasto con gli artt. 3, 29, 30, 31 Cost. Dispone l'immediata trasmissione - previamente eseguiti gli adempimenti di cancelleria di cui sotto - degli atti alla Corte costituzionale. Dispone la sospensione del giudizio in corso. Manda alla cancelleria affinche' notifichi la presente ordinanza alla sig.ra M. F. ed al suo difensore in causa Avv. Macari Emilio, al sig. Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze, al sig. Presidente del Consiglio dei ministri nonche' ai sigg. Presidenti delle due Camere del Parlamento. Si allegano i testi delle norme di riferimento. Il Presidente: Fiorillo L'Estensore: Tocci