N. 110 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 dicembre 2012
Ordinanza del 6 dicembre 2012 emessa dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili riuniti promossi da Caravassilis Daniele ed altri contro Ministero dell'interno. Lavoro e occupazione - Personale volontario dei vigili del fuoco assunto a tempo determinato - Possibilita' di richiamo in servizio a tempo determinato in caso di qualsivoglia necessita' delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale, al di fuori dei principi di cui d.lgs. n. 368 del 2001, e segnatamente, di quello contenuto nell'art. 5 - Conseguente possibilita' di determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolate dall'indicazione di ragioni e obiettivi o della predeterminazione di una durata massima o di un certo numero di rinnovi - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria. - Legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, commi 11 e 12. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 70/1999/CE del 28 giugno 1999.(GU n.21 del 22-5-2013 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura integrale all'udienza del 6 dicembre 2012, la seguente ordinanza nella causa in materia di lavoro, iscritta al n. 36602/2011 r.a.c.c., cui sono state riunite le cause nn. 36603/2011, 36905/2011, 36913/2011, 36919/2011, 36925/2011 e 37177/2011, vertenti tra Caravassilis Daniele, Ciucci Roberto, Balducci Tiziano, Castelli Andrea, Di Carlo Tania, Fagiani Riccardo e Patrone Simone, elettivamente domiciliati in Roma, Via Luigi Calamatta 16, presso lo studio degli avv.ti Fernando Gallone e Iole Urso, che li rappresentano e difendono in forza di procura a margine della memoria difensiva, ricorrenti e: Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso gli uffici dell'Avvocatura generale dello Stato, che per legge lo rappresenta e difende, resistente. Con distinti atti depositati tra il 14.10.2011 e il 18.10.2011, ritualmente notificati e successivamente riuniti, i ricorrenti, iscritti negli elenchi del Personale Volontario del Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Ministero convenuto, hanno chiesto dichiararsi la nullita' e l'inefficacia dei termini apposti ai contratti a tempo determinato stipulati con il Ministero convenuto, nonche' la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato; hanno chiesto inoltre la conversione dei rispettivi rapporti di lavoro in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ovvero l'accertamento del loro diritto alla stabilizzazione, ovvero la conversione del rapporto ex art. 5 D.Lgs. n. 368/200, ovvero la condanna del Ministero convenuto alla loro immissione in ruolo e al pagamento in loro favore dell'indennita' sostitutiva della mancata conversione; in ogni caso hanno chiesto la condanna del Ministero convenuto al risarcimento del danno da illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato, in misura pari a 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto. Si e' costituito in giudizio il Ministero convenuto, che ha contestato la fondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto. All'udienza odierna, all'esito della discussione, e' stata pronunciata e letta la presente ordinanza di promovimento di questione di legittimita' costituzionale. 1 - Normativa applicabile al personale volontario dei Vigili del Fuoco Il personale volontario del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, non legato all'Amministrazione da vincolo d'impiego, chiamato a prestare servizio durante i periodi di richiamo previsti dagli artt. 6 e 8 D.Lgs. 139/06, integra un sotto-sistema peculiare, inserito nell'organizzazione del Corpo medesimo. I Vigili del fuoco volontari costituiscono un nucleo di persone "qualificate e specificamente addestrate e attrezzate a disposizione dell'Amministrazione, che se ne avvale in caso di emergenza e con la quale esso ha un rapporto di dipendenza funzionale" (Cons. Stato, sez. I, parere 20.6.2001 n. 640). La loro attivita' non e' dunque riconducibile al volontariato regolato dalla L. 266/91, ne' al volontariato di protezione civile ex art. 8 L. 225/92, ne' all'associazionismo di promozione sociale ex L. 383/00. Essa da' viceversa luogo ad un rapporto di lavoro, senza dubbio inquadrabile nel genus della subordinazione, come si evince, tra l'altro, dalla norma che espressamente assoggetta tale personale "volontario" alle disposizioni "in materia di doveri, attribuzioni e responsabilita' previste per il personale permanente di corrispondente qualifica" (art. 8 comma 3 D.Lgs. 139/06 cit.), nonche' ad un sistema disciplinare paragonabile a quello proprio del lavoro dipendente (artt. 11 D.Lgs. 139/06 cit.). In tale contesto, assume diretto rilievo l'art. 10 D.Lgs. 139/06 cit., che recita: "1. Al personale volontario richiamato in servizio temporaneo, per l'intera durata di tale richiamo, spetta il trattamento economico iniziale del personale permanente di corrispondente qualifica, il trattamento di missione, i compensi inerenti alle prestazioni di lavoro straordinario. 2. Il personale volontario e' assicurato contro gli infortuni in servizio e le infermita' contratte per causa diretta ed immediata di servizio (...)". Non puo' inoltre sottacersi che il Ministero dell'Interno ha avviato le procedure selettive per la stabilizzazione del personale volontario dei Vigili del Fuoco ai sensi dell'art. 1 commi 519 e 526 della L. n. 296/2006, che, riferendosi espressamente al medesimo personale, ha riconosciuto il carattere subordinato del relativo rapporto di lavoro. Ne' puo' rilevare in contrario la circostanza che il richiamo in servizio del vigile volontario derivi da atto amministrativo unilaterale, giacche' l'esistenza di una fonte negoziale del rapporto non e' essenziale ai fini del riconoscimento della subordinazione. Non osta alla qualificazione del rapporto in termini di subordinazione nemmeno l'ulteriore circostanza che il vigile richiamato in servizio possa essere gia' un lavoratore alle dipendenze di altro datare (che in tal caso sara' tenuto a consentirgli lo svolgimento del servizio e a conservargli il posto: art. 8 comma 4 D.Lgs. 139/06 cit.), giacche' la coesistenza, nella specie meramente eventuale e contingente, di diversi rapporti di lavoro non viola alcun limite logico o legale, in presenza di espressa normativa regolatrice, che evidentemente deroga alle previsioni sull'esclusivita' d'impiego del lavoratore pubblico. Trattasi peraltro di rapporto di lavoro dipendente connotato da assoluta specialita', per la quale e' stata espressamente esclusa l'applicazione della disciplina comune sul contratto di lavoro a termine - come ora espressamente enunciato (con disposizione di natura ricognitiva) dall'art. 10 comma 1 lettera c-bis D.Lgs. 368/01 (lettera inserita dall'art. 4 comma 12 L. 183/11) - e retto viceversa da normativa particolare. 2 - Normativa interna sui rapporti a tempo determinato Nel nostro ordinamento il D.Lgs. 368/01, come integrato dalla L. 247/07, contiene un apparato di regole che - per dare specifica attuazione alla direttiva europea 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (su cui infra) - mira ad evitare l'abusivo ricorso al contratto a termine. Nel novero di tali disposizioni, vanno segnalate in particolare quella che richiede la specificazione per iscritto delle ragioni tecniche, produttive, sostitutive o organizzative (art. 1) e quella che impone la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato nel caso in cui una nuova assunzione sia effettuata, senza soluzione di continuita', al termine di un primo rapporto, e quella che fissa nel termine massimo di trentasei mesi il periodo durante il quale il medesimo lavoratore possa essere impiegato in virtu' di contratti a termine (art. 5). 3 - Disciplina applicabile ai rapporti di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego La disciplina del contratto a termine, posta dal D.Lgs. 368/2001, deve ritenersi di massima applicabile anche ai rapporti alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. L'art. 36 D.Lgs. 165/01 infatti, al comma 1, ribadisce, sotto il profilo delle esigenze di personale, il principio gia' enunciato dal D.Lgs. 368/01, secondo cui, di norma, il rapporto di lavoro e' a tempo indeterminato. Al successivo comma 2 esso indica, piu' restrittivamente anzi che per il settore privato, le circostanze in cui puo' farsi ricorso ad assunzioni a termine ("Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti"). Esiste - peraltro - l'importante differenza secondo cui, in caso di violazione delle norme imperative in materia, non e' possibile la conversione in un rapporto di impiego pubblico, secondo quanto espressamente prevede l'art. 36 cit., comma 5 (nel testo da ultimo risultante per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 78/09 conv. in L. 102/09), fermo il diritto al risarcimento del danno. Il legislatore ha quindi fatto espresso riferimento alla disciplina privatistica la quale, salvo le singole disposizioni speciali per il pubblico impiego sopra evidenziate, costituisce la normativa generale per tutti i lavoratori, a prescindere dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro. 4 - Inapplicabilita' della disciplina interna sul rapporto di lavoro a tempo determinato al personale volontario dei Vigili del Fuoco Se cosi e' in linea di massima, il personale volontario dei Vigili del Fuoco sfugge a tale assimilazione: nei termini sopra ricostruiti, il rapporto di lavoro del personale suddetto risulta in se' compiuto, specifico e doppiamente speciale, sia rispetto al sistema delle assunzioni alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in genere, sia rispetto alla normativa comune sui contratti a termine (altrimenti applicabili in via di principio a tutti i lavoratori, e quindi, residualmente, anche ai lavoratori pubblici). La disciplina di settore riguardante il personale volontario dei Vigili del Fuoco ha peraltro natura chiusa, non presenta "lacune" logico-normative bisognose di essere colmate e non tollera "integrazioni" per via ermeneutica da parte di fonti piu' generali. Tale conclusione trova conferma nell'art. 4 c. 11 della L. n. 183/2011, che ha cosi sostituito la lett. a) del comma 2 dell'art. 9 del D.Lgs. n. 139/2006: "a) in caso di necessita' delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale motivate dall'autorita' competente che opera il richiamo", (cosi introducendo una deroga all'art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001, atteso che in precedenza la medesima disposizione richiedeva "particolari necessita'") ed ha aggiunto, al comma 1 dell'art. 10 del D.Lgs. 368/01, dopo la lettera c), la seguente disposizione: "c-bis) i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che ai sensi dell'art. 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006 n. 139, non costituiscono rapporti di impiego con l'Amministrazione". Le disposizioni di settore sopra citate, prevalenti sulla disciplina comune, non contengono prescrizioni effettive, volte a circoscrivere le ragioni poste a sostegno della clausola di apposizione del termine, ne' a limitare le proroghe e le assunzioni successive. In base alla normativa speciale sul personale volontario dei Vigili del Fuoco, pertanto, e' lecito, In tal modo un lavoratore potrebbe, senza che cio' costituisca violazione delle norme specifiche di settore, essere periodicamente richiamato in servizio dall'Amministrazione a tempo determinato, a prescindere da situazioni eccezionali o di emergenza, e senza i limiti temporali per i rinnovi previsti dall'art. 5 D.Lgs. n. 368/2001. Per il personale volontario dei Vigili del Fuoco non vale pertanto - in base al diritto interno - alcuna delle norme limitative dettate al fine di dare attuazione alla citata direttiva europea del 1999. 5 - Contrasto tra la normativa comunitaria in materia di contratti a tempo determinato e la disciplina interna sul personale volontario dei Vigili del Fuoco. Tale conclusione non e' ammissibile proprio alla luce del diritto dell'Unione europea, che fissa puntuali condizioni affinche' siano tutelati gli interessi ed i diritti dei lavoratori a termine. L'accordo quadro CES, UNICE e CEEP 28.6.1999 sul lavoro a tempo determinato, cui ha dato attuazione la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999, stabilisce il principio che gli Stati membri dell'Unione europea sono tenuti ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali norme idonee a prevenire ed a sanzionare l'abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Come risulta dalla clausola 1, lett. b), dell'accordo quadro medesimo, suo obiettivo essenziale e', infatti, proprio quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. La clausola 5, punto 1, a tal fine stabilisce: "Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri [...] dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o piu' misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti". E' da dire, subito, che l'applicabilita' della direttiva europea a tutti i lavoratori indistintamente, pubblici e privati, e' affermata senza equivoci dalla Corte di Giustizia medesima (sentenza 4.7.2006, causa C-212/04, Adeneler). In ordine alle misure previste sub b) e c) della clausola 5, (durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, numero dei loro rinnovi) appare evidente l'assenza della loro previsione nella disciplina interna relativa al reclutamento del personale volontario dei Vigili del Fuoco. In ordine alla misura prevista sub a) della clausola 5 (esistenza di "ragioni obiettive" che giustifichino il rinnovo dei rapporti a tempo determinato successivi), la Corte di giustizia ha precisato (sentenza Adeneler cit.; sentenza 23.4.2009, in cause riunite C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed altri) che" (...) La nozione di «ragioni oggettive» dev'essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attivita' e, pertanto, tali da giustificare, in un simile contesto particolare, l'utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione". "Dette circostanze" - prosegue la Corte di Lussemburgo - "possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalita' di politica sociale di uno Stato membro (...) Per contro, una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, non soddisferebbe i criteri precisati al punto precedente (...)". Da ultimo occorre, sul punto, ricordare che l'accordo quadro, al n. 10 del "considerando", facendo salva la possibilita' che ciascuno Stato tenga conto di "circostanze relative a particolari settori ed occupazioni", lascia - e' vero - margini per discipline ragionevolmente derogatorie rispetto ai suoi stessi principi, se giustificate da effettive peculiarita'. La Corte di Giustizia UE, nella sentenza 7.9.2006, causa C-53/04, Marrosu, ha tuttavia precisato che la citata clausola 5, punto 1, impone - comunque - agli Stati membri l'obbligo di introdurre nel loro ordinamento giuridico almeno una delle misure elencate nel detto punto 1, lett. a) - c), qualora non siano gia' in vigore nello Stato membro interessato disposizioni normative equivalenti, volte a prevenire in modo effettivo l'utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La stessa sentenza aggiunge che la facolta' di tenere in considerazione le particolari anzidette esigenze puo', viceversa, legittimare, nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali, reazioni sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per settori attivita' e/categorie di lavoratori, senza pregiudizio per la loro efficacia, come appresso si dira'. In conclusione, l'indiscriminato e reiterato rinnovo di contratti a tempo determinato risulta, in subiecta materia, certamente difforme dal diritto europeo. Palese appare dunque il contrasto tra quest'ultimo e la nostra disciplina interna sui richiami in servizio a tempo determinato del personale volontario dei Vigili del Fuoco. 6 - Impossibilita' di disapplicare la disciplina interna incompatibile Il contrasto tra tale normativa europea e la legislazione italiana sul lavoro precario nella scuola pubblica non puo' essere risolto - re melius perpensa - mediante la disapplicazione della fonte interna incompatibile, nella misura che appaia indispensabile per risolvere l'antinomia. I rapporti tra le fonti dell'Unione europea e le fonti interne sono da tempo ordinati dalla giurisprudenza costituzionale grazie ad una lettura dell'art. 11 Cost. capace di dare un significato concreto alle "aperture" sovranazionali che la norma consente al legislatore ordinario. Sin dalla sentenza n. 170 del 1984 la Corte Costituzionale ha adottato la teoria della separazione/coordinamento di due ordinamenti che rimangono formalmente distinti, giungendo, sia pure sulla base di diversi fondamenti teorici, alle medesime conclusioni offerte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in merito alla supremazia del diritto dell'Unione europea sul diritto interno ed al suo corollario della efficacia diretta delle fonti UE direttamente applicabili. E' dunque del tutto incontroverso che, in presenza di disposizioni interne irrimediabilmente incompatibili con fonti dell'Unione dotate di diretta efficacia, che si tratti di diritto scritto come disposizioni del Trattato, regolamenti, Carta dei diritti fondamentali o di fonti non scritte, quali i principi generali del diritto, e' compito del giudice procedere alla disapplicazione delle prime al fine di dare applicazione all'unica norma che regola la fattispecie, quella dell'Unione. Quanto alle direttive, esse, pur concepite dai redattori del Trattato come una sorta di "legge-quadro", per definizione in debito di un compiuto intervento di dettaglio da parte degli Stati membri, contengono sovente una disciplina (quantomeno parzialmente) dettagliata di determinate materie. Tale prassi (legittimata dalla Corte di Giustizia UE: cfr. sentenza 23.11.1977, causa 38/77, Enka) e' dovuta all'esigenza di evitare che l'azione di armonizzazione delle discipline nazionali, sede elettiva per il ricorso alle direttive medesime da parte del legislatore europeo, possa essere resa inefficace a causa dell'eccessiva latitudine dell'intervento attuativo riconosciuto agli Stati membri, in particolare qualora detta attivita' si sia indirizzata verso la disciplina di' fenomeni giuridici tipicamente privatistici: di conseguenza, pur se destinate formalmente agli Stati membri, le direttive includono disposizioni che nella sostanza disciplinano, anche in maniera esclusiva, rapporti interindividuali (come, tipicamente, nella materia del lavoro). Se il testo del Trattato non attribuisce alle direttive la qualifica di atti "direttamente applicabili", riservata dall'art. 288 TFUE ai regolamenti, e' un dato consolidato che le prime siano in grado di produrre "effetti diretti", potendo essere invocate in giudizio dai privati "per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva ovvero in quanto sono atte a definire diritti che i singoli possono far valere nei confronti di uno Stato" (sentenza Corte di Giustizia 19.1.1982, causa 8/81, Becker: c.d. effetti verticali). Cio' avviene, pero', nel rispetto, ineludibile, di due condizioni: e' necessario, da un lato, che le disposizioni contenute in una direttiva risultino, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise; dall'altro, che lo Stato membro in questione non abbia adottato, entro il termine indicato dalla direttiva stessa, le necessarie disposizioni di attuazione, ovvero che detta attivita' si sia svolta in maniera non corretta (cfr., ex pluribus, la sentenza Corte di Giustizia 5.10.2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer, in cui si legge che "risulta da una costante giurisprudenza della Corte che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva sia che l'abbia recepita in modo non corretto"). Le disposizioni di una direttiva hanno dunque, nella ricostruzione operata dalla Corte di giustizia, la capacita' di operare come precetto normativo che, in mancanza di (corrette) norme interne di attuazione, si pone come regola della singola fattispecie. La circostanza che detto rimedio sia inteso come "reazione" ad un inadempimento da parte dello Stato membro non esclude che la direttiva operi come fonte autonoma di diritto, la quale - situandosi in un livello, nella gerarchia delle fonti, superiore alle norme interne - prevale, all'occorrenza, su norme interne incompatibili, anche di rango legislativo. Cio' avviene, e' il caso di precisarlo, anche qualora le direttive siano invocate in giudizio in rapporti di contenuto privatistico, purche' sempre nei confronti di un ente pur indirettamente riconducibile alla definizione di "Stato" accolta in questo contesto dalla Corte di giustizia (ad esempio, un'impresa pubblica: cfr. sentenza 12.7.1990, causa C-188/89, Foster). La Corte di giustizia ha invece ripetutamente escluso (cfr. sentenze 26.9.1996, causa C-168/95, Arcaro; 7.1.2004, causa C-201/02, Wells) che le direttive, nonostante il loro carattere di "completezza", siano capaci di produrre effetti diretti "orizzontali" (ossia nei rapporti tra privati), ne' che siano invocabili dal potere pubblico nei confronti del privato (c.d. "effetti verticali inversi"); soccorrendo tuttavia in tali casi - di direttive non autoapplicative, o rilevanti in rapporti non direttamente verticali, ma pur sempre, per definizione, incidenti nel sistema "integrato" delle fonti, in quanto contenenti norme che godono di una posizione di primaute' rispetto a quelle nazionali - il rimedio dell'interpretazione conforme (sentenza Pfeiffer citata) ovvero quello, residuale, della responsabilita' patrimoniale dello Stato inadempiente (sentenza 25.2.1999, causa C-131/97, Carbonari). Orbene, nella fattispecie di causa non ricorrono i requisiti perche' la direttiva europea in discorso spieghi effetti diretti. La Corte di giustizia ha infatti statuito (sentenze 15.4.2008, causa C-268/2006, Impact; Angelidaki e altri, cit.) che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale in quanto, ai sensi di tale disposizione, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o piu' tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purche' essi tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori; nel contempo non e' possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtu' di suddetta clausola. Si e' dunque a cospetto di un contrasto tra la normativa interna e una fonte europea priva di effetto diretto. 7 - Impossibilita' di comporre il contrasto in via interpretativa La Corte di giustizia insegna che il contrasto va composto, se possibile, in via interpretativa. Il giudice nazionale, nell'applicare il diritto interno, "deve interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima (...)" (sentenze 10.4.1984, causa C-14/83, Von Colson Kamann; 13.11.1990, causa C-106/89, Marleasing; 14.7.1994, causa C-91/92, Faccini Dori; 23.2.1999, causa C-63/97, BMW; Pfeiffer ed altri, citata). "Il principio di interpretazione conforme richiede (...) che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti della loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, al fine di garantire la piena effettivita' della direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme alla finalita' perseguita da quest'ultima" (Pfeiffer e altri, Adeneler ed altri, citate). Tuttavia "l'obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita', e non puo' servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del diritto nazionale" (sentenze 8.10.1987, causa C-80/86, Kolpinghuis Nijmegen; 16.6.2005, causa C-105/03, Pupino; Adeneler e altri, citata; Impact, citata). Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica, stante il carattere chiuso e in se' esaustivo della normativa di settore da cui origina, e l'univoca volonta' legislativa - da ultimo ribadita con l'art. 4 commi 11 e 12 L. n.183/2011 di mettere siffatta normativa al riparo da ogni "contaminazione" con regole e principi di genesi o derivazione europea. 8 - Questione di legittimita' costituzionale Se cosi e', la disciplina vincolante per il giudice resta quella interna, salvo il potere-dovere del medesimo di provocare su di essa il controllo della Corte Costituzionale. E' pacifico infatti, nella giurisprudenza di quest'ultima, che le direttive comunitarie fungano da norme interposte, atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformita' della legislazione interna, nazionale e regionale, al precetto di cui all'art. 117 primo comma Cost. (secondo cui "La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ..."). La violazione della direttiva 1999/70/CE, alla cui illustrazione e' dedicata la narrativa che precede, ridonda pertanto in vizio di legittimita' costituzionale della fonte interna. Quest'ultima va identificata, precisamente, nell'art. 4 commi 11 e 12 L. 183/2011, nella parte in cui tali disposizioni consentono il richiamo in servizio a tempo determinato del personale volontario dei Vigili del Fuoco in caso di (qualsivoglia) necessita' delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale, al di fuori dell'applicazione dei principi di cui al D.Lgs. n. 368/2001, e segnatamente di quello contenuto nell'art. 5, cosi' da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi. In questi termini deve sollevarsi, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale, alla luce delle argomentazioni fin qui esposte sulla sua non manifesta infondatezza. 9 - Rilevanza della questione Trattasi di questione rilevante per l'esito del processo in corso, dovendosi ritenere infondata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Ministero convenuto. Infatti le disposizioni richiamate dallo stesso Ministero nella sua memoria di costituzione (L. n. 252/2004 e art. 3 c. 1-bis del D.Lgs. n. 165/2001) hanno escluso il personale volontario dei Vigili del Fuoco dal regime di diritto pubblico e dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; inoltre la collocazione sistematica del comma 1-bis sopra richiamato nell'ambito della disposizione riguardante il regime del rapporto di impiego dei pubblici dipendenti ai fini del riparto di giurisdizione depone senz'altro per l'attribuzione della giurisdizione sulle controversie relative al rapporto del personale volontario dei Vigili del Fuoco al giudice ordinario ai sensi dell'art. 63 D.Lgs. n. 165/2001. Lo stesso Ministero convenuto, comunque, nella sua memoria di costituzione, pur avendo escluso la giurisdizione del giudice amministrativo, in forza delle disposizioni sopra richiamate, ha prospettato il difetto di giurisdizione del giudice del lavoro, e non del giudice ordinario, cosi prospettando nella sostanza una questione di competenza e non di giurisdizione. A fronte delle domande proposte dai ricorrenti, che hanno chiesto l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero convenuto, e alla luce delle argomentazioni sopra esposte, deve ritenersi la competenza per materia del giudice del lavoro. Nel merito, tutti i ricorrenti risultano assunti in forza di atti privi dell'indicazione dei motivi ed in assenza di ragioni giustificatrici obiettive (che non possono comunque risolversi in esigenze permanenti del datore di lavoro, in fabbisogni tendenzialmente immutabili o dalla durata non preventivabile) e alcuni di loro per una durata complessiva di oltre trentasei mesi, e cio' in difetto di specifiche, valide ed applicabili indicazioni su durata massima dei contratti o rapporti e numero dei loro rinnovi. Tali assunzioni, allo stato conformi al diritto interno, muterebbero la loro qualificazione nel caso d'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale, essendo l'intervento del giudice delle leggi qui indispensabile perche' il settore (pubblico) scolastico italiano possa trovarsi a rispettare il principio ispiratore, espresso al n. 6 del "considerando" dell'accordo quadro, secondo cui "i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualita' della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento". E' il caso di anticipare che, secondo quanto sopra accennato, l'illegittima apposizione del termine non potrebbe comportare, nel nostro ordinamento, la costituzione con una pubblica amministrazione di un rapporto a tempo indeterminato, ostandovi il disposto dell'art. 36 D.Lgs. 165/01 (e, segnatamente per il settore scolastico, dell'art. 4, comma 14-bis, L. 124/99). Tuttavia, la pronuncia di accoglimento della Corte Costituzionale schiuderebbe le porte alla domanda di risarcimento dei danni, proposta dai ricorrenti in via subordinata rispetto alla richiesta. Con la citata sentenza Adeneler, la Corte di Giustizia UE ha del resto chiarito che la sanzione della conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non e' l'unico possibile mezzo di tutela che uno Stato membro puo' approntare per assicurare il raggiungimento degli obiettivi posti dalla direttiva; che e' pur necessaria l'adozione di misure dirette a prevenire e contrastare l'utilizzazione abusiva di contratti a termine in successione; che ciascuno Stato puo' dunque escludere l'effetto della conversione, purche' adotti misure concrete, proporzionate ed effettive, volte a contrastare il fenomeno dell'abusivo ricorso alle assunzioni a termine. Misure che, dunque, ben possono risolversi - lo si indica qui sin d'ora, al solo scopo di consentire alla Corte adita un'esaustiva delibazione in punto di rilevanza - nel risarcimento dei danni previsto dall'art. 36 D.Lgs. 165/01, modulato in modo che al vigile del fuoco volontario, che sia stato illegittimamente assunto a termine e che non possa vedere accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, sia riconosciuto un quantum che insieme rappresenti adeguato ristoro del danno costituito dalla impossibilita' di fruire di un'occupazione stabile alle dipendenze della pubblica amministrazione, possibilita' invece attribuita ai dipendenti di aziende private assunti a termine illegittimamente, e contemporaneamente costituisca una valida misura dissuasiva contro l'abusivo ricorso alle assunzioni a termine. Ne' potrebbe diversamente addivenirsi al medesimo risultato nel giudizio a quo, atteso che la disciplina di cui all'art. 1 commi 519 e 526 della L. n. 296/2006 invocata da alcuni dei ricorrenti prevede una procedura selettiva effettivamente attivata dal Ministero convenuto e rispetto alla quali gli interessati, posizionatisi in graduatoria in una posizione non utile ai fini della stabilizzazione, non hanno lamentato alcun vizio.
P.Q.M. Dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale, che d'ufficio solleva, dell'art. 4 commi 11 e 12 L. 183/2011, nella parte in cui tali consentono rispettivamente il richiamo in servizio a tempo determinato del personale volontario dei Vigili del Fuoco in caso di (qualsivoglia) necessita' delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale, al di fuori dell'applicazione dei principi di cui al D.Lgs. n. 368/2001, e segnatamente di quello contenuto nell'art. 5, cosi' da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi, in contrasto con l'art. 117 primo comma Cost., in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP su lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Sospende il processo in corso. Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza, pronunciata e letta in udienza, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma il 6 dicembre 2012 Il Giudice: Buconi