N. 159 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2013

Ordinanza del 10 maggio 2013  emessa  dal  G.U.P.  del  Tribunale  di
Brescia nel procedimento penale a carico di B.K.. 
 
Processo penale -  Misure  cautelari  -  Arresti  domiciliari  -  Non
  concedibilita' della misura a chi sia stato condannato per il reato
  di evasione nei cinque anni precedenti al fatto  per  il  quale  si
  procede  -  Decorrenza  del  termine  dalla  sentenza  di  condanna
  anziche'  dalla  data  di  commissione  del  reato  di  evasione  -
  Disparita' di trattamento di casi identici a  seconda  del  diverso
  tempo di definizione del processo - Irragionevolezza  -  Violazione
  del principio della finalita' rieducativa della pena  -  Violazione
  del principio della ragionevole durata del processo. 
- Codice di procedura penale, art. 284, comma 5-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 27 e 111. 
(GU n.28 del 10-7-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Il Giudice dell'Udienza Preliminare, dott. Marco Cucchetto; 
    Vista la richiesta avanzata all'udienza di giudizio abbreviato in
data 7 maggio 2013 con la quale il difensore di B.K., nato in Tunisia
il 27 luglio 1974 attualmente sottoposto alla misura  della  custodia
cautelare in carcere presso la  Casa  circondariale  di  Brescia  per
questa causa, ha chiesto per il  proprio  assistito  la  sostituzione
della custodia cautelare in  carcere  con  la  misura  degli  arresti
domiciliari presso il luogo di residenza a Brescia, ove la moglie  si
e' dichiarata disponibile ad accoglierlo e mantenerlo; 
    Visto il parere sfavorevole espresso dal  pubblico  ministero  in
udienza; Posto che il giudice si e' riservato di decidere nel termine
di legge; 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza 7 maggio 2013  solleva
ex officio questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  284,
comma 5-bis c.p.p., emettendo la seguente ordinanza: 
Il fatto contestato nel procedimento. 
    Si procede nei confronti di B.K. nato in  Tunisia  il  27  luglio
1974, 
    imputato nel procedimento dei seguenti reati: 
        a) per il reato di cui agli artt. 110 e 628, commi l° e 3° n.
1) c.p. perche', in concorso  con  altre  due  persone,  al  fine  di
procurarsi un ingiusto profitto, con violenza, consistita nel colpire
con pugni  al  volto  ed  al  corpo  P.M.,  si  impossessavano  della
collanina in  oro  che  lo  stesso  portava  intorno  al  collo.  Con
l'aggravante dell'aver commesso il fatto in piu' persone riunite; 
        b) per reato di cui agli artt. 110, 582 e 585  (in  relazione
all'art. 576, comma 1° n. 1) c.p. perche', in concorso con altre  due
persone, con la condotta di  cui  al  capo  a),  cagionavano  a  P.M.
lesioni  personali  giudicate  guaribili  in  gg.  7   per   "deposte
percosse". Con l'aggravante dell'aver commesso il fatto per  eseguire
il reato di cui al capo a) ed in piu' persone riunite; 
        c) per il reato di cui agli artt. 110 e 628, commi l° e 3° n.
1) c.p. perche', in concorso  con  altre  due  persone,  al  fine  di
procurarsi un ingiusto profitto, con violenza, consistita nel colpire
con calci e pugni al volto ed al corpo L.K., si impossessavano  della
giacca della tuta, marca  Adidas,  che  lo  stesso  indossava  e  del
telefono cellulare marca Samsung, custodito all'interno delle  tasche
del predetto capo d'abbigliamento; 
        d) per reato di cui agli artt. 110, 582 e 585  (in  relazione
all'art. 576, comma 1° n. 1) c.p., perche', in concorso con altre due
persone, con la condotta di  cui  al  capo  c),  cagionavano  a  L.K.
lesioni personali giudicate guaribili in gg. 15 per  "trauma  cranico
facciale con ematoma palpebrale dx ed  emorragia  sottocongiuntivale,
contusione escoriata gomito sx". Con l'aggravante dell'aver  commesso
il fatto per eseguire il reato di cui al capo c) ed in  piu'  persone
riunite; 
        e) per reato di cui all'art. 337  c.p.,  perche',  a  seguito
delle operazioni di p.g. eseguite nei suoi confronti per i  reati  di
cui capi che precedono, si  opponeva  con  violenza  all'Ass.te  Capo
M.P., all'A.F.S., ed agli Agenti Scelti S.Q. e C.V., impegnati in  un
atto del loro ufficio, colpendoli con calci  al  corpo  e  agitandosi
violentemente; 
        f) per reato di cui  agli  artt.  582  e  585  (in  relazione
all'art. 576, comma l° n. 1) c.p., perche', con la condotta di cui al
capo e), cagionava all'Agente Scelto C.V. lesioni personali giudicate
guaribili in giorni 10 per "contusione polso  dx".  Con  l'aggravante
dell'aver commesso il fatto per eseguire il reato di cui al capo e). 
    In Brescia il 27 settembre 2012. 
    L'imputato fu arrestato in data 28  settembre  2012  nella  quasi
flagranza del reato di rapina aggravata di cui al capo c) e all'esito
dell'udienza di convalida venne a lui applicata la  misura  cautelare
della custodia in carcere. 
    Il  G.I.P.  in  data  12  novembre  2012  rigetto'  l'istanza  di
sostituzione della misura avanzata dal difensore ed il  Tribunale  di
Brescia - Sezione Riesame  respinse  a  sua  volta  con  ordinanza  4
dicembre 2012 l'appello del  difensore  evidenziando  preliminarmente
come fosse ostativo alla concessione  degli  arresti  domiciliari  il
disposto di cui all'art. 284, comma 5-bis c.p.p.  -  che  esprime  il
divieto di concessione degli arresti  domiciliari  a  chi  sia  stato
condannato per evasione nel quinquennio antecedente - in relazione al
decreto penale di condanna emesso nei confronti del B. dal G.I.P.  di
Brescia il 7 ottobre 2008, esecutivo  il  16  aprile  2009,  per  una
condotta di evasione commessa in Brescia il 29 dicembre 2007. 
    Il 28 febbraio 2013 il pubblico ministero ha  avanzato  richiesta
di rinvio a giudizio per i reati ascritti  ed  all'udienza  7  maggio
2013  su  richiesta  dell'imputato,  si  e'  celebrato  il   giudizio
abbreviato conclusosi con la condanna dell'imputato per i reati a lui
ascritti alla pena di anni tre di reclusione ed euro 800,00 di multa,
con motivazione riservata nei trenta giorni e con la  sospensione  ex
art. 304 c.p.p.  dei  termini  di  durata  della  custodia  cautelare
previsti dall'art. 303 c.p.p. 
Legittimazione a proporre la questione. 
    Sussiste  la   condizione   preliminare   della   concretezza   e
incidentalita' della questione che si pone nel presente  procedimento
penale, ed in particolare nella fase della discussione  del  giudizio
abbreviato nel quale, in sede di  deliberazione  della  sentenza,  il
giudicante si e' riservato in merito alla decisione  sulla  richiesta
di modifica della misura  cautelare  in  carcere  in  atto  applicata
all'imputato. 
    Persiste piena attualita' dell'esercizio del potere decisorio  da
parte del giudice essendo la questione dell'applicazione della norma,
della legittimita' costituzionale della quale si dubita, rilevante  e
dirimente ai fini della decisione di modifica della misura cautelare. 
La rilevanza della questione. 
    La rilevanza deriva dalla  impossibilita'  di  prescindere  dalla
applicazione del disposto della norma in scrutinio cosi'  come  dalla
impossibilita' di seguire una interpretazione della  stessa  difforme
da quella confliggente con i principi costituzionali. 
    Ferma la indiscutibilita' dei  gravi  indizi  di  colpevolezza  a
fronte della condanna emessa in primo grado  all'esito  del  giudizio
abbreviato, la considerazione del quadro cautelare per B. rimanda  ad
una valutazione concreta in termini di concedibilita'  degli  arresti
domiciliaci presso il luogo di residenza indicato. 
    Si valorizzano in tal senso: 
        1)  le  modalita'  scarsamente  strutturate   e   decisamente
"maldestre" della rapina (l'imputato fu arrestato in quanto ritorno',
visibilmente ubriaco,  sul  luogo  teatro  della  rapina  dopo  pochi
minuti, recando indosso la giacca della tuta  che  aveva  poco  prima
rapinato al L., dato che ha consentito una  sua  immediata  e  sicura
identificazione: v. capo c); 
        2) l'attenuazione delle esigenze correlate  al  significativo
lasso temporale trascorso in carcere (quasi otto mesi); 
        3) la risalenza a nove e  tredici  anni  addietro  dei  reati
oggetto  dei  due  precedenti  penali   non   specifici   (reati   di
stupefacenti); 
        4) la situazione famigliare certamente gravosa (vive  con  la
moglie,  invalida  civile  al  46%,  occupata   quale   cassiera   di
supermercato, con i tre figli avuti dalla  donna  e  con  una  quarta
figlia avuta da altra relazione e della quale si' e' responsabilmente
preso cura, come emerge dalla certificazione dei servizi sociali  del
Comune di Brescia 19.11.12); 
        5) l'apprezzabile "allontanamento" da  ambiti  delinquenziali
comunque garantito dalla sua presenza in casa per accudire i figli  e
per consentire alla moglie una migliore capacita' lavorativa; 
        6) la condotta di resipiscenza manifestata in  udienza  nella
quale ha chiesto scusa per quanto commesso imputando la  condotta  al
fatto di avere sbagliato a "bere" alcolici. 
    Una misura meno afflittiva degli arresti domiciliari  e  che  gli
consenta una liberta' di spostamento sul territorio, del  resto,  non
pare adeguata a fronteggiare le esigenze  afferenti  il  pericolo  di
ricaduta nei reati proprio per i precedenti penali, per le  modalita'
della  condotta  e  per  il  pericolo  rappresentato  dal,  sia  pure
episodico, consumo di alcolici. 
    Il divieto di concessione degli arresti domiciliari a  chi  abbia
riportato condanna nel quinquennio opera sia al momento dell'adozione
della misura cautelare sia nel corso dello svolgimento della  vicenda
cautelare per il periodo successivo:  cio'  discende  dall'inequivoco
tenore del dettato normativo ("Non possono essere, comunque, concessi
gli arresti domiciliari a chi...") per come interpretato anche  nella
piu' recente giurisprudenza  della  Suprema  Corte:  "Il  divieto  di
concessione degli arresti domiciliari a  colui  che  nel  quinquennio
precedente abbia riportato condanna per il reato  di  evasione  opera
sia al momento dell'adozione originaria della misura  cautelare,  sia
nel  successivo  svolgimento  della  vicenda   cautelare,   impedendo
l'applicazione  degli  arresti  domiciliari  in  sostituzione   della
custodia  carceraria  precedentemente  irrogata":  Cass.   Sez.   VI,
9.6.10-29.9.10 n. 35164, CED 249366). 
    Sotto diverso profilo non puo' non osservarsi come il divieto  di
concessione degli arresti domiciliari a chi abbia riportato  condanna
per il reato di evasione operi,  in  virtu'  della  norma  in  esame,
calcolando il quinquennio a partire dalla pronuncia della sentenza di
condanna e non gia' dalla data di commissione del fatto. 
    Una siffatta lettura appare robustamente avallata, oltre che  dal
dato letterale e sistematico, anche dalla recente interpretazione che
e' stata ribadita dalla condivisibile  giurisprudenza  della  Suprema
Corte: "Il divieto di concessione degli arresti domiciliari  previsto
dall'art. 284, comma quinto-bis, cod. proc. pen. , per colui che "sia
stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni  precedenti
al fatto per il quale si procede", deve applicarsi con riferimento al
momento della condanna e non a quello del fatto di evasione da cui la
condanna medesima e' scaturita": Cass. sez. VI, 14  luglio  2009,  n.
38148, CED 244778. 
    La  rilevanza  della   questione   si   coglie,   allora,   nella
individuazione della decorrenza  del  quinquennio  in  cui  opera  il
divieto di sostituzione: nel caso in esame, difatti, il  calcolo  del
dies a quo dalla pronuncia del decreto penale di condanna - ossia dal
7 ottobre 2008 - oggettivamente inibisce la concessione degli arresti
domiciliari non essendo  ancora  decorso  il  periodo  minimo  di  un
lustro. 
    Il che vale a significare, nel caso di  specie,  che  fino  al  7
ottobre 2013 (od anche oltre, qualora si computi  la  decorrenza  del
quinquennio dalla esecutivita' del decreto penale) B. non potrebbe in
ogni caso beneficiare degli arresti domiciliari. 
    Al contrario, l'individuazione del momento iniziale a partire dal
quale calcolare il quinquennio dalla data di  commissione  del  fatto
(ossia dal 29 dicembre 2007, con cessazione del periodo  di  "divieto
domiciliare"  al  29  dicembre  2012)   conformemente   ai   principi
costituzionali  che  verranno  a  breve   richiamati,   consentirebbe
l'applicazione al B. della misura degli arresti domiciliari nel luogo
di residenza, maggiormente adeguata al grado delle esigenze cautelari
da fronteggiare ed obiettivamente meglio  parametrata  alla  gravita'
del fatto commesso. 
La  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 284, comma V-bis c.p.p. 
    Si Ritiene che la norma in  commento  si  presenti  di  piu'  che
dubbia legittimita' costituzionale nella parte in cui fa decorrere il
termine dei cinque anni dalla pronuncia della  sentenza  irrevocabile
di condanna, anziche' dalla commissione del  reato  di  evasione,  in
quanto apertamente in contrasto con i  principi  di  eguaglianza  dei
cittadini di fronte alla legge penale sanciti dall'art. 3 Cost. 
    L'art.  284,  comma  V-bis  c.p.p.  sostanzialmente  esprime  una
presunzione legale circa il difetto di capacita' autocustodiali e  di
rispetto delle prescrizioni da parte  dell'indagato  che  abbia  gia'
dimostrato, nei cinque anni antecedenti  al  momento  in  cui  si  e'
chiamati ad operare la valutazione dei criteri di scelta della misura
cautelare, di non sapersi controllare cosi' palesando  un  tratto  di
autoresponsabilita' deficitario. 
    Il legislatore ha posto in materia una presunzione  iuris  et  de
iure di inadeguatezza di misure cautelari  diverse  da  quella  della
custodia cautelare in carcere ed il dato testuale, nel suo  esplicito
riferimento  al  momento  della  "condanna",  non  consente   diversa
interpretazione, essendo preclusa al  giudice  penale  una  sorta  di
"aberrante"   applicazione   "analogica"   che   presupporrebbe    la
fungibilita' nel corpo della norma del riferimento al  momento  della
"condanna" per  evasione  rispetto  a  quello  del  compimento  della
condotta  di  evasione  oggetto  di  successiva   condanna,   opzione
all'evidenza non percorribile. 
    La norma delimita la durata della presunzione ad un periodo di un
lustro che  il  legislatore  ha  reputato  congruo  a  fare  ritenere
superata quella presunzione di legge di  inadeguatezza  della  misura
"autocustodiale" domiciliare a fronteggiare  le  esigenze  cautelari,
"restituendo" solamente dopo il decorso del prescritto quinquennio al
giudice una nuova piena ed autonoma valutazione di tutti gli indici e
le specificita' del caso concreto ai  fini  di  scelta  della  misura
meglio adeguata e  proporzionata  a  cautelare  le  esigenze  di  cui
all'art. 274 c.p.p. 
    Non si puo'  non  rilevare  come  l'espresso  "ancoraggio"  della
decorrenza  del  termine  quinquennale  di  "inibizione"  di   misure
"domiciliari" al momento della pronuncia della sentenza o del decreto
di condanna comporti una  deprecabile  estrema  "variabilita'"  della
"collocazione" dell'intervallo temporale "ostativo", ricollegandolo a
evenienze  affatto  eterogenee   ed   imponderabili,   quali   quelle
riconnesse alla durata delle indagini preliminari ed  alle  modalita'
di esercizio dell'azione penale, cosi' come alla durata dello  stesso
giudizio. 
    E' evidente, allora, la sostanziale disparita' di trattamento che
si puo' determinare in casi identici in conseguenza della  maggior  o
minore "distanza" della pronuncia di condanna dal fatto "storico" che
integra la condotta di evasione: con la conseguenza  paradossale  che
due soggetti che evadano contemporaneamente e con identiche modalita'
dal regime custodiate loro imposto  potrebbero  vedersi  accordare  o
negare la misura degli arresti domiciliari, in ipotesi nell'ambito di
un futuro procedimento instaurato a distanza di un decennio dai fatti
di evasione, in conseguenza della mera "variabile indipendente",  del
tutto casuale  e  comunque  non  addebitabile  agli  indagati,  della
maggiore o minore durata del procedimento penale celebratosi  a  loro
carico per i fatti di evasione. 
    Una simile conseguenza dell'applicazione della norma di legge che
qui si intende censurare confliggerebbe altrettanto  apertamente  con
il principio della ragionevole durata del  processo  posto  dall'art.
111 Cost., refluendo in senso apertamente sfavorevole all'imputato la
dilatazione  dei  tempi  di   definizione   del   procedimento,   che
determinerebbe a sua volta un indebito "scivolamento" del momento  di
possibile fruizione della misura detentiva domiciliare. 
    Il principio di eguaglianza risulta allora violato dalla norma in
censura posto che la piana applicazione del disposto di cui  all'art.
284, comma V-bis c.p.p.,  nella  conforme  lettura  giurisprudenziale
innanzi ricordata,  palesemente  "riserva"  senza  alcun  ragionevole
motivo  un  trattamento  diverso  a  cittadini  che  si  trovino   in
situazioni identiche, determinandosi discriminazioni irragionevoli  o
arbitrarie tra i soggetti nelle ipotesi regolate dalla norma. 
    A  controprova  della  plateale  irragionevolezza  della  dedotta
violazione del principio di eguaglianza si  ipotizzi,  al  contrario,
che nel caso sopra considerato i due indagati  "evasi"  nello  stesso
frangente temporale vedano loro applicarsi la disciplina della  norma
nella "interpretazione" costituzionalmente orientata che fa decorrere
il termine quinquennale dalla data del fatto: in questo caso entrambi
avranno la concreta certezza di non poter  beneficiare  della  misura
domiciliare  in  futuro  nei  cinque  anni  susseguenti   al   fatto,
decorrenti per ciascuno dallo stesso dies a quo e  che  per  entrambi
avranno termine, a  prescindere  dalle  vicende  processuali  che  li
vedranno  coinvolti  per  le  condotte  di  evasione,  alla  identica
scadenza del "lustro" inibitorio. 
    Conseguenza, peraltro, maggiormente armonica anche con gli  scopi
perseguiti dal  legislatore  attraverso  l'introduzione  del  divieto
quinquennale, essendo evidente  che,  quanto  piu'  ci  si  allontana
dall'episodio di evasione, tanto maggiori saranno le probabilita'  di
una recuperata capacita' autocustodiale e di autocontrollo  da  parte
del soggetto. 
    Un iniquo  "slittamento"  fino  al  momento  della  pronuncia  di
condanna del dies a quo per il  calcolo  del  lasso  quinquennale  di
"esclusione  domiciliare"  porterebbe  a  negare  il  beneficio,   in
ipotesi, anche a distanza decennale dai fatti  di  cui  all'art.  385
c.p. in modo del tutto svincolato dalla responsabilita' personale del
soggetto e dalla sua condotta mantenuta in quel decennio, con patente
elusione della volonta' legislativa - tesa a contenere il divieto per
un periodo decisamente inferiore - ed in violazione del principio  di
uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. 
    Ma anche il principio  della  finalita'  rieducativa  della  pena
posto dall'art. 27 Cost. parrebbe violato dall'attuale  tenore  della
norma in censura, non potendosi trattare in modo cosi'  divergente  a
fini  cautelari  situazioni  oggettive  e   soggettive   coincidenti,
dovendosi calibrare la cautela anche in relazione agli  sviluppi  del
procedimento, dovendosi intendere le misure cautelari  quale  momento
in senso ampio "rieducativo" orientato alla rimozione delle deteriori
spinte   delinquenziali   ed   alla   inibizione    della    ricaduta
nell'illegalita'. 
    Cio'  anche   per   scongiurare   una   anomala   sovrapposizione
concettuale  tra  "misura  cautelare"  -  per  la  quale  la  massima
restrizione rappresenta la extrema  ratio  vincolata  a  ben  precisi
limiti temporali e di "tipizzazione"  legislativa  mirata  al  minimo
sacrificio della liberta' personale - e  "trattamento  sanzionatorio"
in  quanto  tale,  caratterizzato  da   profili   piu'   marcatamente
retributivi, dovendosi evitare di conferire alla cautela funzioni  di
"anticipazione della pena" in aperto contrasto con  quanto  stabilito
dal ricordato art. 27 Cost. 
    Cio'  posto,  deve  ritenersi  rilevante  e  non   manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  rilevata  ex
officio nel procedimento cautelare  "de  libertate"  con  conseguente
sospensione del procedimento nonche' con la trasmissione degli atti e
con le comunicazioni e notificazioni nei sensi di cui in dispositivo. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost., 1,  legge  costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1 e 23, legge 87/1953; 
    Ritiene che il giudizio sulla richiesta in materia cautelare  non
possa  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione di legittimita' costituzionale; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 284,  comma  V-bis  c.p.p.  per
contrasto con gli artt. 3, 27 e 111  Cost.  nella  parte  in  cui  fa
decorrere il termine dei  cinque  anni  dalla  sentenza  di  condanna
anziche' dalla commissione del reato di evasione; 
    Dispone la sospensione del procedimento in corso; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale  per  la  risoluzione  della  superiore  questione  di
legittimita' costituzionale; 
    Dispone che la  cancelleria  provveda  alla  comunicazione  della
presente ordinanza al Pubblico  ministero,  all'imputato  ed  al  suo
difensore, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri,  con  la
comunicazione ai Presidenti di Camera e Senato. 
        Brescia 10 maggio 2013 
 
           Il Giudice per l'udienza preliminare: Cucchetto